Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 12 Dicembre 2021
È un termine ovviamente dispregiativo usato per definire certi contenuti dei giornali, ma la diffusione e articolazione di questi contenuti lo ha reso ormai anche una definizione tecnica neutra: che però spesso viene usata per indicare cose diverse che invece è utile distinguere.
– ci sono articoli concordati con aziende, pagati dalle aziende (direttamente o dentro un accordo di investimento pubblicitario più esteso) e pubblicati con un’indicazione chiara che si tratta di spazi a pagamento. Non sono “marchette”, sono contenuti promozionali al pari delle pagine pubblicitarie tradizionali, leciti e trasparenti fino a che non ci sia il rischio che i lettori li confondano con altro.
– ci sono articoli del genere di cui sopra in cui invece l’indicazione della loro genesi commerciale non è mostrata o è evasiva e oscura per i lettori. Si tratta di pubblicità, ma ingannevole e in violazione quotidiana delle regole che le stesse istituzioni giornalistiche e pubblicitarie si sono date. Il termine “marchette” viene usato per estensione della categoria seguente, perché compaiono come articoli identici a quelli ideati autonomamente dalla redazione, ma sono piuttosto pubblicità occulte.
– ci sono articoli pubblicati per accontentare i desideri di inserzionisti reali o potenziali, a volte richiesti esplicitamente dagli inserzionisti, a volte decisi dal giornale per attrarre gli stessi inserzionisti. Non vengono pagati direttamente, sono un “investimento” nel rapporto commerciale, o un contributo accessorio e parallelo all’accordo commerciale. Sono la cosa che più esattamente si chiama “marchetta”, un favore per ricevere benefici.
– ci sono infine, ma qui ci interessa meno, “marchette” prodotte non per accontentare direttamente un inserzionista e riceverne investimenti pubblicitari, ma per coltivare relazioni e interessi del giornale, e attrarre i favori di potenziali interlocutori preziosi per il giornale, per chi lo fa o lo pubblica, o per il lavoro del giornale stesso: persone e strutture di potere istituzionale, personaggi famosi, politici, uffici stampa, procure, banche, amici.
domenica 12 Dicembre 2021
Qualche settimana fa Daniela Santanchè – che oggi è senatrice del partito Fratelli d’Italia – ha dato le dimissioni da presidente del consiglio di amministrazione e amministratrice delegata di Visibilia Editore: che è una società editoriale di cui Santanchè resta tuttora azionista di maggioranza e che pubblica diverse riviste come Villegiardini, Ciak, Pc Professionale (fino al 2014 del Gruppo Mondadori). Le più note però sono probabilmente i settimanali scandalistici e di gossip Visto e Novella2000, che furono acquisiti nel 2015 dalla precedente società editoriale di cui Santanchè era azionista di maggioranza, Visibilia Magazine (entrambe le testate erano state nel grande gruppo RCS, quello che possiede il Corriere della Sera, fino al 2013). Nel 2017 Visibilia Magazine venne mandata in liquidazione e furono licenziati tutti i dipendenti di Visto e Novella2000 (14 tra giornalisti e impiegati). Contestualmente venne aperta una nuova società editoriale, Visibilia Editore appunto, che riprese a pubblicare tutte le testate di Visibilia Magazine, affidando però la realizzazione di Visto e Novella2000, a quel punto senza giornalisti, a dei “service” esterni (sono strutture editoriali create per produrre contenuti per altri). Dopo diverse proteste del Comitato di redazione dei due settimanali – che sosteneva che la liquidazione fosse stata usata in maniera strumentale per licenziare i dipendenti – e il giudizio di un tribunale, Visibilia Editore aveva dovuto riassumere giornalisti e impiegati di Visto e Novella2000.
Tutto questo contesto serve a capire meglio il rapido declino dei due settimanali negli ultimi anni. Negli anni Settanta Novella2000 comunicava una diffusione di oltre 700mila copie: Visto invece era nella sua massima diffusione ancora nel 2007, con oltre 200mila copie, quando Novella2000 era intorno alle 150mila. Quando li comprò Visibilia Magazine, nel novembre del 2015, erano già scesi rispettivamente intorno alle 40 e 50mila copie diffuse. Soltanto un mese più tardi, mentre Visto era rimasto più o meno stabile, Novella2000 aveva perso circa 10mila copie. A dicembre 2015 erano anche i due settimanali italiani con la maggiore percentuale di reso, cioè le copie invendute che finiscono al macero, oltre il 70 per cento (tra le molte accuse che il Cdr dei due giornali aveva rivolto all’editore nel 2017 c’era la «totale incapacità nel gestire la diffusione di Visto e Novella2000»). Da gennaio 2020 i due settimanali vengono venduti insieme: i dati sulla loro diffusione non sono più disponibili da alcuni anni perché non sono iscritti ad ADS, la società che li rileva, ma sul sito di Visibilia Editore c’è scritto che Visto raggiunge «una diffusione di circa 50mila copie, grazie anche all’abbinamento con altri settimanali» (Novella2000 sul sito non è menzionato). Nonostante possano essere venduti anche singolarmente, è verosimile che il dato sulla diffusione – seppure non del tutto sovrapponibile – sia valido per entrambe le testate, che in edicola si trovano impacchettate in coppia.
La società Visibilia Editore ha dichiarato perdite per 550mila euro nel primo semestre del 2021, e non ha mai avuto conti molto in salute. Il nuovo amministratore delegato sarà scelto questa settimana.
domenica 12 Dicembre 2021
La quotazione in borsa di Buzzfeed – uno dei progetti di informazione digitale di maggior successo e studio dello scorso ventennio, poi messo in difficoltà dal declino dei ricavi pubblicitari e dai cambiamenti negli algoritmi di Facebook – ha avuto una prima settimana deludente ancora più di quanto lo fosse stata la vigilia di cui avevamo detto la scorsa domenica. Secondo il Financial Times il declino immediato delle quotazioni sancisce un cambio di atteggiamento e fiducia del mondo finanziario nei confronti dei nuovi media digitali, e in particolare della capacità di Buzzfeed di inventare qualcosa che non abbia già inventato: “non è più una startup”.
domenica 12 Dicembre 2021
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a ottobre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo mese variazioni minime rispetto al mese precedente da parte di quasi tutti i quotidiani nazionali, con i miglioramenti più sensibili per il Sole 24 Ore e la Verità, e i cali maggiori al Fatto, al Giornale e ad Avvenire. Il mese scorso avevano raggiunto i loro minimi storici Repubblica e Stampa, i quotidiani maggiori del gruppo GEDI: a ottobre Repubblica recupera poche copie, mentre la Stampa cala ulteriormente, anche se di poco. La crescita della Verità prosegue in corrispondenza con le prese di posizione di Libero – che perde ancora copie – a favore di vaccino e Green pass, dei cui contestatori la Verità è rimasta il maggiore rappresentante, seguita da una più limitata critica ad alcuni obblighi di Green Pass che affiora spesso sul Fatto.
Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti, con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 17% in un anno e quella più modesta del Messaggero, che guadagna il 2%. A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 26% delle copie il Giornale.
Ma anche questo mese c’è un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi”, per avere un dato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Con questo risultato:
Corriere della Sera 187.376
Repubblica 140.692
Stampa 90.669
Sole 24 Ore 68.289
Resto del Carlino 67.150
Messaggero 59.244
Fatto 48.403
Nazione 45.170
Gazzettino 40.293
Giornale 34.643
Altri giornali nazionali:
Verità 29.783
Libero 21.123
Avvenire 17.528
Manifesto 13.527
ItaliaOggi 11.293
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione” è interessante notare che:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie scontate oltre il 70%: 43mila e 34mila, dietro di loro c’è Repubblica con 11mila.
– il numero di copie cartacee vendute dal Fatto è per il secondo mese sceso sotto quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto è ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 65mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, quasi 18mila (4mila in più del mese scorso), in gran parte digitali.
– delle 23mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora Avvenire, Messaggero, Sole 24 Ore e Gazzettino.
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” sono Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
(Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 12 Dicembre 2021
Lunedì Time – il settimanale americano – annuncerà con una diretta su YouTube la sua scelta per la “Persona dell’anno” del 2021: è un’iniziativa di comunicazione e brand tra le più riuscite della storia delle aziende giornalistiche, ma che da diversi anni si è indebolita tantissimo, assieme al declino della testata in questione e dei newsmagazines in generale. L’idea del “Man of the year” (divenne “person” solo nel 1999, benchè ci fossero state prima quattro “Woman of the year”, una “Machine of the year” e un “Planet of the year”) fu introdotta nel 1927: il gruppo di direzione del giornale da allora sceglie chi a suo giudizio abbia avuto il maggior impatto sulle vicende del mondo di quell’anno (con una visione a lungo molto statiuniticentrica del mondo), e quindi prescindendo in teoria da giudizi morali o di valore sull’opera del nominato: anche se nella pratica da molti anni il giornale ha rinunciato a rischiare dissensi e proteste con personaggi impopolari, e anzi ha introdotto anche una parallela votazione dei lettori (il giornale online Politico ha proposto di recuperare invece la vecchia neutralità e di scegliere il famigerato editore Rupert Murdoch).
Fino ancora all’inizio di questo secolo la scelta annuale è stata un successo di comunicazione e attenzioni, suppergiù equivalenti a quelle per i premiati col Nobel: ma il proliferare di nuove fonti di informazione online e di iniziative, liste, premi, istantanei e volatili, ha diluito anche il primato della “Person of the year”, insieme alla perdita di ruolo di Time nell’informazione internazionale. Lunedì ancora molti giornali segnaleranno la notizia, mostreranno la copertina, ma come si fa con i tori di Pamplona e il sangue di San Gennaro, e tutti ce ne dimenticheremo una settimana dopo.
domenica 12 Dicembre 2021
Un articolo del Sole 24 Ore completa le informazioni che avevamo dato la settimana scorsa sulla crescita degli investimenti pubblicitari sul digitale nel 2021 rispetto sia al 2020 che al 2019: aggiunge, cioè, la quota degli investimenti pubblicitari complessivi di cui sono beneficiari i cosiddetti “OTT” (“over the top”), termine un po’ desueto nato per indicare servizi digitali come quelli di Google, Facebook e Amazon in tempi in cui erano protagonisti nuovi del mercato. Quota che nel 2021 è rimasta invariata, avendo superato un terzo del totale l’anno precedente: 36,8%, ovvero ormai quasi quanto quelli destinati alla televisione (il Sole 24 Ore spiega che questo dato potrebbe essere però sottostimato).
domenica 12 Dicembre 2021
Qualche settimana fa avevamo raccontato del severo intervento della Federal Trade Commission americana contro le pratiche scorrette di molti giornali online americani per rendere difficili le cancellazioni degli abbonamenti (pratiche adottate anche da gran parte dei maggiori giornali italiani), e la richiesta che i sistemi siano adeguati perché cancellare diventi semplice quanto abbonarsi. Il sito NiemanLab – che con altri aveva annunciato l’intervento come potenzialmente sovversivo rispetto a quelle pratiche consolidate – ha constatato che le testate che le adottano lo hanno in sostanza ignorato, finora.
domenica 5 Dicembre 2021
Charlie andrà in vacanza per le feste e non arriverà domenica 26 dicembre e domenica 2 gennaio, cominciamo a ricordarlo.
domenica 5 Dicembre 2021
Il prossimo weekend la rassegna stampa pubblica “I giornali spiegati bene”, condotta da Luca Sofri e Francesco Costa, ha due appuntamenti: sabato al Circolo dei lettori di Torino, e domenica al Palazzo senza tempo a Peccioli (Pisa).
Oggi domenica 5 alle 19, invece, Luca Sofri presenterà a Roma insieme al direttore dell’Espresso Marco Damilano il libro dell’ex direttrice del New York Times Jill Abramson Mercanti di verità (Sellerio): lettura molto esauriente per capire cosa sia successo ai giornali in questi due decenni, e anche per verificare le grandi differenze di approcci tra le testate tradizionali americane e quelle italiane di cui parliamo più spesso su Charlie.
domenica 5 Dicembre 2021
L’Ordine dei giornalisti si fa spesso percepire all’esterno per le tensioni e i conflitti interni, e questa settimana l’insediamento del nuovo presidente Carlo Bartoli è stato contestato da un gruppo guidato dal suo predecessore (con cui le tensioni durano da un pezzo), persino con un “esposto al Ministero di Grazia e Giustizia”, nel giro di una giornata
domenica 5 Dicembre 2021
Il popolarissimo disegnatore e fumettista Zerocalcare ha raccontato in alcune vignette le conseguenze di una consuetudine quotidiana di molti giornali, quella di usare dei virgolettati estrapolati e fuori contesto in titoli ad effetto che fanno perdere alle cose dette tutta la loro misura e danno loro gravità nuove e sproporzionate. È una cosa che capita continuamente, e il racconto che traiamo da queste titolazioni è completamente diverso dalla realtà.
domenica 5 Dicembre 2021
Una delle pratiche principali adottate da alcuni tipi di quotidiani per aggregare lettori, compattare il sostegno di quelli esistenti, e distinguersi dal più convenzionale racconto delle notizie su cui le testate più grandi non hanno concorrenza, è quello di creare delle proprie “campagne” con metodi di comunicazione e promozione non dissimili da quelli di campagne pubblicitarie o politiche: raccolte di firme, insistenza su alcuni slogan, richieste chiare e definite, e tutto l’armamentario dell’attivismo. A volte ne sono stati attratti anche alcuni quotidiani maggiori (le “10 domande” a Berlusconi di Repubblica), a volte hanno scale piccole ed estemporanee (lo sta facendo spesso Domani, vedi per esempio la sbrigativa campagna di “boicottaggio” contro il professor Barbero).
Se a questa strategia frequente ne aggiungiamo un’altra diffusa presso lo stesso genere di quotidiani – quella di indicare un “nemico” ai propri lettori intorno al quale raccogliere indignazione e consenso per il giornale che lo attacca – abbiamo la spiegazione della scelta commerciale del Fatto di questa settimana, e della reazione omologa di Libero. Il Fatto ha dedicato prime pagine e forze a costruire una campagna e una protesta contro l’eventualità che Berlusconi venga eletto presidente della Repubblica (eventualità assai remota), e Libero ha dedicato prontamente un simmetrico impegno per una campagna e una protesta contro il Fatto e il preteso “furto di Quirinale” di cui lo accusa. Nessuna delle due iniziative ha rilevanza concreta, né politica né giornalistica, ed esistono soltanto tra le comunità di lettori dei due quotidiani: che però riescono a ottenere i risultati di cui sopra.
domenica 5 Dicembre 2021
Il quotidiano Domani è nato un anno fa dal desiderio di Carlo De Benedetti di recuperare i lettori che secondo lui stavano andando perduti da parte di Repubblica, il quotidiano di cui era stato per decenni editore e che con una serie di sviluppi degli ultimi anni è stato acquistato dalla famiglia Agnelli-Elkann e portato verso grosse trasformazioni: che secondo De Benedetti lo avrebbero snaturato. La contesa dell’editore di Domani col suo vecchio giornale e la sua attuale proprietà si è nutrita durante questo anno soprattutto dell’acquisizione da parte di Domani di alcuni ex giornalisti di Repubblica, e di alcune polemiche puntuali (per esempio sulla primogenitura delle rivelazioni delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere). Questo contesto è stato difficile da ignorare di fronte alla prima pagina di Domani di sabato, che ha chiesto le dimissioni del presidente della Juventus, Andrea Agnelli.
domenica 5 Dicembre 2021
Buzzfeed è uno dei prodotti digitali di informazione di maggior successo e più discussi di sempre: Jonah Peretti lo fondò nel 2006 (dopo aver creato lo Huffington Post insieme ad Arianna Huffington) come sito che sfruttasse contenuti virali e spesso frivoli: ma crebbe così tanto da permettersi di costruire una sezione più giornalistica, Buzzfeed News, che ha ottenuto successi e riconoscimenti. Poi il suo investimento sulle grandi quantità di traffico e sui ricavi pubblicitari ha iniziato a pagare meno, ma negli ultimi anni Peretti si è dedicato a nuovi rilanci, tra l’altro con l’acquisizione dello stesso Huffington Post.
Qualche settimana fa aveva annunciato la decisione di quotare Buzzfeed in borsa per raccogliere nuovi capitali (attraverso lo strumento dello SPAC), ma la vigilia della quotazione – che dovrebbe iniziare lunedì – è risultata più deludente delle aspettative, con molti degli investitori attesi che si sono ritirati. Contemporaneamente, 61 dipendenti di Buzzfeed News hanno organizzato una giornata di sciopero per protestare contro la resistenza dell’azienda a concedere loro migliori condizioni contrattuali, rivendicando che le iniziative finanziarie in corso e le loro fortune dipendano proprio dal loro lavoro.
domenica 5 Dicembre 2021
Tra gli articoli – soprattutto nelle pagine di economia – che riproducono senza nessun intervento o mediazione giornalistica gli interessi e i comunicati degli inserzionisti pubblicitari, questa è una piccola selezione di quello che si è notato di più questa settimana sui quotidiani maggiori:
– una comunicazione di Edison e Crédit Agricole di quattro righe con immagine e messaggio promozionale (su Repubblica).
– un box dedicato esclusivamente a un virgolettato di cinque righe – privo di qualunque contesto o mediazione del giornale – dell’amministratore delegato di una società che aveva comprato pagine di pubblicità pochi giorni prima (sul Corriere della Sera).
– un articolo sulle dichiarazioni dell’amministratore delegato di ENI, accanto a una pagina di pubblicità di ENI (sul Sole 24 Ore).
domenica 5 Dicembre 2021
L’asticella della separazione tra l’autonomia di scelta dei quotidiani italiani e gli interessi dell’editore ha subito forti abbassamenti in questi anni, e quello che dapprima era notato come una presenza anomala col tempo diventa una consuetudine e crea una tolleranza e un’abitudine digerita sia nelle redazioni che da parte dei lettori. Abbiamo scritto altre volte di come il presidente di Confindustria – editrice del Sole 24 Ore – goda addirittura di una sorta di suo spazio fisso nelle pagine di quel quotidiano, con tre o quattro occasioni settimanali in cui un articolo viene dedicato alle sue dichiarazioni. Ma anche gli editori degli altri tre quotidiani maggiori stanno seguendo strade simili, e questa settimana è stato vistoso il caso di Repubblica:
martedì: una foto dell’editore a illustrare un articolo su altro;
mercoledì: un articolo celebrativo dell’azienda dell’editore, con altra foto dell’editore;
di nuovo mercoledì: un articolo sull’editore che difende la squadra di calcio dell’editore;
giovedì: un articolo critico su un sindacato in una vertenza con l’azienda dell’editore;
venerdì: un articolo sulle dichiarazioni del CEO dell’altra azienda dell’editore.
domenica 5 Dicembre 2021
Il National Enquirer è un famigerato settimanale americano scandalistico e di gossip sulle celebrities, responsabile di condotte giornalistiche spregevoli nel corso della sua storia (ricca peraltro di “scoop” su questi temi), con frequenti conseguenze giudiziarie, e accusato tra l’altro di avere concordato alcune delle sue storie con lo staff di Donald Trump durante la campagna elettorale del 2016. Tanto che la sua stessa proprietà attuale ha cercato di liberarsene negli ultimi anni.
La ragione per cui se ne è parlato di nuovo internazionalmente negli scorsi anni è la divulgazione sul giornale di alcuni messaggi sessualmente espliciti scambiati tra Jeff Bezos – CEO di Amazon ed editore del Washington Post – e la sua amante Lauren Sanchez. Bezos aveva denunciato l’Enquirer sostenendo che il giornale lo avesse ricattato e che lo avesse minacciato di pubblicare delle foto sottratte dal suo smartphone insieme a quei messaggi: Bezos voleva che fosse confermata la sua accusa di una manovra che coinvolgeva il regime saudita e l’amministrazione Trump per screditarlo.
Ma a quanto riferisce il Wall Street Journal, le indagini sembrano orientate a concludere che la sola responsabilità del furto di dati sia stata del fratello di Lauren Sanchez, che li avrebbe passati all’Enquirer per soldi.
domenica 5 Dicembre 2021
Una delle occasioni in cui è più scivoloso e meno facile da giudicare il rapporto tra l’autonomia delle redazioni e gli interessi delle aziende, e più complicata la questione della trasparenza con i lettori, è quella dei viaggi promozionali offerti dalle aziende stesse in cambio di articoli dedicati alle loro attività. Nei fatti, si tratta di articoli che il giornale non avrebbe scelto di pubblicare, e sarebbe quindi corretto che i lettori conoscessero la genesi e la natura di quelle informazioni. È anche vero, però, che a volte il contenuto di quegli articoli può essere in effetti interessante e di valore informativo (nelle attività delle aziende c’è molto che racconta la realtà, l’attualità e il futuro), e che la proposta dell’azienda può aiutare la redazione a conoscerlo e divulgarlo.
Prendiamo un esempio di questa settimana, in cui diverse testate hanno scritto del completamento di una grande nave da crociera di una società italiana in un cantiere finlandese: il racconto della produzione di un mezzo di questa dimensione e impegno può essere potenzialmente interessante e attraente, “una storia”, come si dice.
Il problema è che i giornali ritengono – con buone ragioni – che i costi di produzione di un articolo di questo genere superino gli standard delle loro spese abituali rispetto al valore dell’articolo in questione, e quindi non spendono tutto quello che c’è da spendere per mandare un giornalista in Finlandia per alcuni giorni a lavorarci sopra.
Quello che invece avviene è che la società interessata “invita” alcuni giornali a mandare un loro giornalista a spese della società, garantendogli accesso alle informazioni necessarie. Il risultato però è che a quel punto l’articolo implicitamente concordato (di solito nessuno fa richieste preventive, ma vengono date per scontate; e gli uffici stampa telefonano molto al giornalista, al suo ritorno) non è mai un articolo che abbia in testa gli interessi dei lettori, ma è di fatto “dettato” dall’ufficio stampa di chi ha pagato il viaggio eccetera. È impensabile – sarebbe anche un po’ scorretto – che si torni da un simile viaggio e ospitalità parlando male del prodotto presentato, ma alla fine si rinuncia anche a qualunque tipo di approfondimento critico che vada oltre le comunicazioni ricevute, spesso aderendo del tutto alle enfasi promozionali. La soluzione “corretta” sarebbe quella per cui il giornale non accetta contributi dai soggetti di cui scriverà, ma è una soluzione che nel sistema italiano esistente esclude chi sceglie di adottarla da articoli costosi, oppure dall’accesso a informazioni e storie disponibili ad altri, oltre che da una posizione privilegiata nel ricevere investimenti pubblicitari accessori. Che di questi tempi è un guaio, soprattutto per le testate con economie più dipendenti dalla pubblicità.
domenica 5 Dicembre 2021
Il Sole 24 Ore è nelle difficoltà degli altri grandi quotidiani italiani, a cui si sono aggiunte nell’ultimo decennio delle gestioni controverse e con implicazioni di inchieste giudiziarie, interventi massicci di riduzione dei costi (ultimo e più vistoso il trasloco dalla prestigiosa sede progettata da Renzo Piano a quella in una più economica zona milanese: che però continua a essere disabitata per regole di pandemia), tensioni tra la redazione e l’azienda, e tra la redazione e la direzione.
Ora che si è concluso il mese di novembre, entro il quale erano stati offerti compensi equivalenti a due anni di stipendio a chi avesse scelto di lasciare il giornale, ci si aspettano ulteriori riduzioni del personale: ne ha scritto estesamente il Fatto giovedì.
“Il progetto prevede esuberi per almeno 50 giornalisti, di cui 26-28 al quotidiano e gli altri tra l’agenzia di stampa Radiocor, Radio24 e altre aree del gruppo. Un piano che punta a un taglio strutturale di almeno il 20% dei costi del personale, 79 milioni l’anno, pari cioè a 16 milioni di risparmi. Realizzato con lo strumento dei prepensionamenti per i nati prima del 1960 e con l’uso della cassa integrazione (uno-due giorni al mese) per l’intera redazione. Non basta: c’è anche la chiusura della stamperia di Carsoli (L’Aquila) e ci saranno 73 trasferimenti di grafici e poligrafici da Roma a Milano”.
domenica 5 Dicembre 2021
Il sito di “media e marketing” Prima Comunicazione ha messo in ordine i dati Audiweb sul traffico dei siti di informazione a settembre. Ricordiamo che non tutti i siti sono iscritti ad Audiweb (quello indicato come Libero è il portale con quel nome, non il giornale), che i dati sono elaborati con un sistema misto di rilevazioni e che sono spesso suscettibili di oscillazioni mensili piuttosto forti e occasionali (sul sistema di rilevazione ci sono tra l’altro investimenti economici straordinariamente più esigui di quelli che per esempio ci sono sulle rilevazioni televisive Auditel). Qui c’è una sintesi maggiore che comprende solo i primi venti siti di news generalisti.
domenica 5 Dicembre 2021
FCP, associazione delle concessionarie di pubblicità, ha comunicato i dati degli investimenti sui giornali di carta nei primi dieci mesi del 2021, che hanno avuto una piccola crescita rispetto allo stesso periodo del 2020 (5,1% sui quotidiani e 3,2% sui periodici): anno che però era stato piuttosto catastrofico per via della pandemia, recuperando un po’ solo negli ultimi mesi. E infatti, se si paragonano gli stessi dati con quelli del 2019, il risultato è una perdita rispettivamente del 14% e del 38% per quotidiani e periodici (perdita complessiva del 22%).
Quanto agli investimenti “sul digitale”, sono invece in crescita del 15% rispetto al 2019, ma sono quote assolute che sono tuttora più ridotte di quelle sulla carta, e i cui beneficiari non sono solo i giornali.
domenica 5 Dicembre 2021
Sono due modi di chiamare quelle che spesso sono la stessa cosa: la difesa della privacy di qualcuno spesso implica una limitazione dell’informazione pubblica su quella persona, e gli equilibri tra l’una e l’altra non sono definibili universalmente (pensate per esempio al diritto all’oblio cosiddetto).
Adesso la questione si sta ponendo di nuovo con le nuove politiche di Twitter per tutelare le persone i cui dati o le cui immagini vengono condivisi sul social network: apparentemente protettive, le scelte di Twitter sono state già contestate come una potenziale limitazione alla diffusione di informazioni di interesse pubblico e al lavoro giornalistico. E il Washington Post ha raccontato di come stiano già venendo sfruttate da estremisti violenti di destra per rimuovere le testimonianze e le denunce delle loro condotte.
domenica 28 Novembre 2021
Il secondo numero di Cose spiegate bene, la rivista/libro del Post che già dal primo numero aveva confermato la validità dell’esperimento non solo in termini di apprezzamenti, ma anche nel partecipare ai ricavi accessori della testata (ovvero quelli che ne compongono la terza parte, dopo gli abbonamenti e la pubblicità: eventi, affiliazioni, prodotti editoriali, formazione, e altro) e alla sua sostenibilità, è entrato al quinto posto, nella settimana della sua uscita, nella classifica dei libri più venduti nella sezione “saggistica”.
La prossima presentazione pubblica sarà a Roma sabato 4 dicembre nel corso della fiera “Più libri più liberi”.
domenica 28 Novembre 2021
Un articolo del Post ha raccontato nuove recenti polemiche intorno al settimanale che un tempo fu uno dei due più importanti newsmagazine del mondo, e oggi è in declini peggiori dell’altro.
“Negli ultimi anni Newsweek si è fatto notare per una ricerca aggressiva di titoli sensazionalistici ed estremi, per lo spazio concesso a opinionisti discussi e discutibili, per un uso continuo e disinvolto del clickbait nella sua edizione online, per l’abbandono dell’accuratezza, del fact-checking e delle posizioni liberal che lo contraddistinguevano. Tali scelte, prese dalle diverse proprietà che si sono succedute in questi anni alla ricerca di una risposta immediata alla crisi di ricavi e alla perdita di lettori, ne hanno determinato un ulteriore declino e hanno disperso il patrimonio di autorevolezza che il settimanale aveva costruito nel secolo scorso”.
domenica 28 Novembre 2021
La gran parte dei siti di news e giornali che offrono abbonamenti ai loro contenuti (che siano quelli del sito o dell’edizione digitale del giornale cartaceo) impone dei limiti al numero di apparecchi mobili che possono beneficiare dell’abbonamento che è stato pagato, per impedire che un account sia usato da più persone; oppure da troppe persone non paganti, quando l’abbonamento consente che un gruppo familiare usi lo stesso account. Di solito questo limite è tra i tre e i cinque “device”, ma ci sono abbonamenti aziendali che offrono limiti maggiori.
Ciò nonostante, esistono servizi online di condivisione di abbonamenti di ogni genere – streaming video e audio soprattutto, non solo – su cui vengono offerte anche le condivisioni di abbonamenti ai giornali entro questi limiti, chiedendo in cambio una quota dell’abbonamento, o comunque una cifra minore di quella che chiedono i siti relativi: in sostanza, chi paga un abbonamento lo mette a disposizione di altre persone chiedendo una quota del prezzo. La proposta viola quasi sempre le condizioni contrattuali, ma la dispersione di tante piccole violazioni e l’uso di una piattaforma intermedia rendono molto difficile perseguirla. Alcuni di questi servizi, tra l’altro, sono stati promossi in articoli sugli stessi giornali che vengono ingannati da queste offerte.
domenica 28 Novembre 2021
Questo è l’anno del bicentenario del Saturday Evening Post, di cui si può dire senza esagerazioni che sia stato un pezzo della storia degli Stati Uniti per buona parte della sua esistenza, prima di perdere rilievo negli ultimi decenni, come tutte le riviste. Il Post lo aveva raccontato nel 2013 nell’occasione di un suo restyling:
“Il Saturday Evening Post, che inizialmente era un quotidiano, ha avuto lo stesso nome e lo stesso stile grafico di copertina fin dal 1821, quando cominciò a uscire. Nel 1897 divenne un settimanale, mentre i primi racconti, anche di scrittori importanti come Francis Scott Fitzgerald, John Steinbeck e Agatha Christie, furono pubblicati negli anni Venti del secolo scorso. A rendere leggendaria la rivista sono state anche le copertine disegnate da Norman Rockwell – artista popolarissimo nel raccontare l’America quotidiana – che rappresentano ancora oggi un vero e proprio patrimonio per il giornale, dato che il gruppo ne possiede i diritti di riproduzione”.
Un articolo della Columbia Journalism Review questa settimana si è più lungamente dedicato alla storia della rivista e al ruolo di Norman Rockwell.
(non è vero, ci sono dei “Post” più antichi, tra i meno famosi 😉)
domenica 28 Novembre 2021
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta su un piccolo caso esemplare italiano a proposito del cosiddetto “diritto all’oblio“, sancendo che il dovere di deindicizzazione di un articolo (ovvero di non farlo comparire sui motori di ricerca, Google per primo) non sia solo dei motori stessi, ma anche del sito che lo ha pubblicato. Decisione intuitivamente discutibile (in sostanza impone che se un sito – in questo caso Google – ne cita e linka un altro, a intervenire per evitarlo debba essere il sito linkato; e conferma un tempo definito di “diritto all’oblio”), ma sul tema c’è ormai un longevo dibattito e molta letteratura. Il caso in questione era stato raccontato dal Post due anni fa.
“Nel marzo del 2008 PrimaDaNoi aveva pubblicato un breve articolo sull’alterco tra due fratelli settantenni nel loro ristorante: la discussione si era fatta violenta e uno dei due aveva ferito l’altro con un coltello da pesce. Erano intervenute le forze dell’ordine, che avevano arrestato i due fratelli (che avevano ricevuto ferite non gravi) e alcuni altri membri della famiglia.
Nel 2010 uno dei due fratelli fece causa a PrimaDaNoi, sostenendo che in base al diritto all’oblio l’articolo su quel fatto di cronaca avvenuto appena due anni prima dovesse essere rimosso. Biancardi rifiutò, ritenendo di avere riportato accuratamente la notizia citando i rapporti di polizia. Il fratello contestatore sostenne comunque che l’articolo violasse la sua privacy, perché era facilmente reperibile online tramite i motori di ricerca. Inoltre, se si cercavano informazioni sul suo ristorante, tra i primi risultati offerti da Google c’erano notizie sulla violenta rissa con il fratello, cosa che avrebbe danneggiato gli affari della sua attività”.
domenica 28 Novembre 2021
Le storie sul fondo di investimenti accusato di acquistare giornali americani in difficoltà per svenderne i resti e sbriciolarli sembrano non finire mai (ne parliamo su Charlie da un anno, le aveva riassunte il Post due settimane fa, Internazionale le ha messe in copertina nel penultimo numero). Adesso il fondo Alden è intenzionato a comprare un’altra grande società di quotidiani locali, Lee Enterprises, che ha sede nello Iowa e pubblica quasi 90 testate tra cui il St. Louis Post-Dispatch, l’Arizona Daily Star e il Buffalo News. Il consiglio di amministrazione di Lee Enterprises ha deciso mercoledì di bloccare l’offerta ostile di Alden per un anno, dandosi questo tempo per prenderla in considerazione.
domenica 28 Novembre 2021
L’uso o meno degli articoli nell’indicare i nomi dei giornali internazionali è una vecchia sregolata questione dell’informazione italiana quando deve citarli: ovvero, non esistono regole del tutto universali ma piuttosto consuetudini, e non sempre condivise (va detto che c’è qualche ambiguità anche con gli articoli nei nomi dei giornali italiani: ci sono lettori che dicono di avere letto un articolo “sulla Repubblica di oggi” e altri per cui è “su Repubblica di oggi”).
Un po’ di esempi di come si citano nelle redazioni alcune testate: “Time” è la rivista americana mentre “il Times” è il quotidiano londinese (come nei nomi originali Time e the Times); l’articolo “the” si rimuove e si traduce sempre al maschile quando è presente nella testata, e quindi “il New York Times” e “il Guardian”; anche i periodici di solito mantengono la presenza dell’articolo o no rispettando la denominazione originale, “il New Yorker”, “Newsweek”, “l’Economist”, “l’Atlantic”, “Wired”, mentre c’è libertà sull’uso dell’articolo o no davanti a “National Geographic”.
Con i giornali tedeschi si mantiene il genere originale della testata, e quindi è “la Zeit” e “lo Spiegel” (un settimanale), ma anche “la Bild” e “la Frankfurter Allgemeine” (o “la FAZ”, sigla di quest’ultima) malgrado non abbiano l’articolo, perché la parola per quotidiano (Tageszeitung) in tedesco è femminile.
Invece con le testate francesi di solito non si traduce l’articolo, e si dice “ho letto su le Monde e su le Figaro”, ma qualche isolato dissidente dice “sul Monde” o “sul Figaro”: invece c’è consenso su “Libération” senza articolo. Una cosa simile avviene con le testate spagnole, per cui diciamo “El Pais” e “El Mundo”, ma “ABC”, anche qui rispettando la presenza o meno dell’articolo nell’originale e non traducendolo (“El Pais ha pubblicato…”), però invece adattandolo all’italiano quando usiamo preposizioni articolate (“un articolo del Pais…”), al contrario di quanto capita con le testate francesi (“un articolo di Le Monde…).
Ma, ripetiamo, sono soprattutto consuetudini, non regole tassative: come ogni cosa della lingua, certo.
domenica 28 Novembre 2021
Le Figaro è il più antico quotidiano francese, e il secondo per diffusione: si è conteso il primo posto per anni con Le Monde, ma quest’ultimo ha avuto una grande crescita nei due anni della pandemia e ha guadagnato un grosso vantaggio. I due giornali si spartiscono anche il grosso dei due maggiori orientamenti politici: Le Figaro è lo storico quotidiano di centrodestra. Nel 2004 è stato acquistato dal potente e ricco gruppo Dassault, che ha molte attività ma la principale è la produzione di aerei, ed è posseduto dalla famiglia fondatrice che ha in questi decenni partecipato molto attivamente alle scelte del giornale: i cui conflitti di interessi economici e politici sono molto frequenti.
Adesso il giornale, che è stato protagonista di precoci e lungimiranti investimenti sul digitale e sul video, interessa secondo Le Monde a due possibili acquirenti altrettanto importanti. Uno è Vincent Bolloré con la sua multinazionale delle comunicazioni Vivendi (quella di cui in Italia si parla soprattutto per la sua partecipazione in Mediaset e in TIM), che negli ultimi tempi ha aggiunto alle sue proprietà diverse acquisizioni nell’informazione. L’altro è Bernard Arnault, proprietario di LVMH, il gruppo che possiede tantissimi grandi brand di moda ma anche molte altre attività “del lusso”. Malgrado si sia parlato di trattative, Laurent Dassault ha pubblicamente dichiarato di non voler vendere: ma le ipotesi sono più credibili dopo che la primavera scorsa era morto in un incidente di elicottero Olivier Dassault, che tra i fratelli eredi delle società paterne era quello più interessato ai giornali.
domenica 28 Novembre 2021
È diventata ufficiale la vendita della Nuova Sardegna, quotidiano sassarese noto ai suoi lettori e dipendenti come “la Nuova”. Apparteneva al gruppo GEDI, come si chiama da quattro anni quello che fu il gruppo Espresso, che nel tempo aveva aggregato – insieme alle sue testate maggiori, Repubblica ed Espresso – una estesa rete di quotidiani locali. Negli ultimi anni, insieme all’acquisizione della Stampa e al passaggio di proprietà dalla famiglia De Benedetti alla famiglia Agnelli-Elkann, GEDI ha deciso di ridimensionare le attività sulla stampa locale, concentrandole sulle testate del Nord Italia, e ha venduto i giornali di Pescara, Salerno, Livorno, Reggio Emilia, Ferrara e Modena, e adesso di Sassari. Gli acquirenti sono gli stessi della precedente cessione, il gruppo che si chiama SAE (negli ultimi cinque anni la Nuova Sardegna era stata affidata in gestione da GEDI a un altro editore).
Qui ci sono i comunicati delle aziende coinvolte e quelli del Comitato di redazione e della Federazione della stampa, questi ultimi coi consueti toni che cercano di mostrarsi un po’ minacciosi e preoccupati senza presentarsi come pregiudizialmente ostili: ma ancora di più in anni di difficoltà economiche, gli investimenti dei giornali li decideranno gli editori.
Nel frattempo, le associazioni di giornalisti delle regioni coinvolte si sono dette preoccupate, con un comunicato, delle ipotesi che SAE possa acquistare anche le edizioni toscane del quotidiano Corriere dell’Umbria, che si chiamano Corriere di Arezzo e Corriere di Siena: e che oggi sono di proprietà della famiglia Angelucci, che possiede anche i quotidiani Libero e il Tempo.
domenica 28 Novembre 2021
La rete televisiva americana CNN ha avuto nell’ultimo decennio rilevanti evoluzioni e trasformazioni nei suoi approcci all’informazione e nella sua immagine pubblica, benché da noi sia tuttora ricordata e citata come un’autorevole e distaccata testata giornalistica dedicata ai fatti, come nella sua identità iniziale (CNN nacque nel 1980).
Questa settimana ha ricevuto critiche sia sulle sue derive “tabloid” (da parte della Columbia Journalism Review) evidenziate dall’attenzione morbosa verso alcune storie di cronaca e dallo scarso rispetto delle persone coinvolte, sia sulla sua elusiva e insoddisfacente reazione alle rivelazioni sulle falsità del “dossier Steele”, che CNN aveva a suo tempo concorso a promuovere (qui le critiche vengono dal Washington Post, che ha invece ammesso e corretto i suoi più limitati errori sulla stessa storia).
domenica 28 Novembre 2021
L’editore Mondadori ha confermato questa settimana la vendita delle riviste Donna Moderna e Casa Facile al gruppo editoriale creato da Maurizio Belpietro intorno al suo quotidiano la Verità, che già aveva acquisito da Mondadori il settimanale Panorama e altri periodici. La notizia del progetto era nota già dall’inizio dell’autunno, ne avevamo scritto:
“L’operazione va nel senso che Mondadori ha comunicato spesso negli ultimi anni, di voler investire soprattutto nel suo business dei libri e nelle attività digitali dismettendo progressivamente l’impegno sui giornali: se si concludesse questa cessione le sue riviste rimarrebbero Chi (che è ritenuto un asset di relazioni e interessi che va oltre il suo valore commerciale), Sorrisi e Canzoni (che continua a essere il settimanale più venduto in Italia con gran distacco, e una diffusione di oltre 400mila copie) e Grazia e Interni, su cui da tempo circolano ipotesi di cessioni ad altri editori.
Donna Moderna ha tuttora una diffusione di 165mila copie, Casa Facile di 123mila. Le testate acquisite finora dal gruppo La Verità hanno dei bilanci generalmente soddisfacenti, grazie alle drastiche ma efficaci riduzioni dei costi, soprattutto del personale: il lavoro fatto in quel gruppo sembra voler essere più in quella direzione che in progetti di ideazione o rinnovo di opportunità che non siano quelle dei ricavi pubblicitari su carta”.
L’accordo ora prevede il passaggio al nuovo editore di 36 giornalisti e giornaliste. Hanno protestato il Comitato di redazione di Mondadori e la redazione di Donna Moderna – che ancora una decina d’anni fa era uno dei maggiori successi commerciali tra i periodici italiani – in una lettera all’editrice Marina Berlusconi.
“Vorremmo qui riaffermare con orgoglio che il nostro giornale non può essere solo un conto in rosso e che l’anima di una testata storica, unica, mai di fatto copiabile, è fatta sì dai giornalisti – che la creano – e dai lettori – che la comprano – ma soprattutto da un proprietario forte che la sostiene e che ha l’autorevolezza e l’orgoglio di editarlo, di difenderne qualità, voce e indipendenza. Editore che proprio di recente ha riaffermato la forza e la vitalità della sua azienda, dimostrando con nuove acquisizioni la volontà di continua espansione, e la fiducia nella ripresa del Paese. Scindere Donna Moderna dalla sua casa editrice storica, la Mondadori, rischia di snaturare l’essenza stessa della testata, che è e rimane un patrimonio di tutti. Una garanzia e una tutela per migliaia di donne, lavoratrici, madri, figlie, ragazze, studentesse che ancora hanno bisogno di informarsi e affidarsi a un giornale femminile che parla con onestà il linguaggio delle donne”.
domenica 28 Novembre 2021
E a questo proposito: da quando, negli ultimi cinque anni, quasi tutti i giornali e siti di news del mondo hanno allargato le loro fonti di sostenibilità economica verso gli abbonamenti e i lettori paganti (in conseguenza del declino dei ricavi pubblicitari anche online, e di un piccolo ma prezioso ritorno di disponibilità da parte dei lettori), i numeri degli abbonati sono diventati un pezzo importante anche della comunicazione autopromozionale dei giornali suddetti. Non solo suggeriscono un’eventuale prosperità e forza del brand, ma attirano maggiori investimenti pubblicitari da partner convinti da quei numeri. È la ragione per cui vedete, nelle narrazioni e nei titoli sugli andamenti dei giornali, molte cifre e traguardi esibiti con poco contesto intorno a spiegare e descrivere meglio quelle cifre e le dinamiche del loro raggiungimento.
Il tema riguarda le testate italiane, ma anche quelle del resto del mondo, e questa settimana ha provato a chiedere maggiore chiarezza un articolo del sito NiemanLab, che si occupa di analisi e divulgazione per conto della Nieman Foundation per il giornalismo. Il punto principale, spiega l’articolo, è distinguere quelli che sono “abbonati paganti” a un giornale da quelli che sono “indirizzi mail nel database di un giornale”: del secondo insieme – che spesso è quello utilizzato per raccontare i propri numeri di “abbonati” o “iscritti” – fanno parte anche gli abbonati gratuiti o quelli il cui abbonamento è scaduto, ma anche gli iscritti alle newsletter gratis del giornale. Ovvero tutti coloro che si sono iscritti a qualche offerta del giornale.
C’è poi la questione degli abbonati a prezzi scontatissimi, che vengono inclusi dalle testate negli stessi conteggi promozionali annunciati: il servizio di rilevazione ADS della diffusione dei giornali in Italia, per esempio, ha scelto invece di isolare nei suoi dati le copie digitali e cartacee vendute a prezzi inferiori rispettivamente al 30% e al 10% di quello ufficiale.
domenica 21 Novembre 2021
Tra gli strumenti che hanno i giornali che si occupano di attualità per coinvolgere i lettori e ottenere un maggior numero di abbonati paganti (ma anche un maggior numero di lettori da proporre agli inserzionisti) bisogna poi sempre ricordarsi anche dei contenuti stessi dei giornali, accanto alle molte iniziative e strategie commerciali o promozionali. Le posizioni politiche, il sostegno a un partito o a un fronte, l’attacco verso un altro, “la linea del giornale”, sono scelte che tengono conto della domanda da parte dei lettori: che in questi decenni di grandi polarizzazioni è quasi sempre una domanda di posizioni nette, di definizioni dei buoni e dei cattivi, e i lettori (ovvero tutti noi) sono attratti da conferme dei loro sentimenti e respinti dalle delusioni delle loro aspettative. La linea di un giornale è fatta anche da questo, e in Italia ci sono stati casi palesi negli anni scorsi di successi di consenso legati alle individuazioni di nemici (l’antiberlusconismo in particolare per il Fatto o per Repubblica; o “la sinistra” additatissima come fonte di ogni male nelle titolazioni dei giornali conservatori): mettersi “all’opposizione” o contro qualcuno ha sempre pagato di più per i giornali. Ma ci sono state anche intuizioni fortunate legate invece al sostegno di “amici”, quando quel campo viene lasciato libero (la Veritàcol governo Lega-M5S, il Fatto con Giuseppe Conte). Un altro esempio vistoso di queste settimane è l’impossessarsi da parte del Fatto e di Domani del risentimento diffuso contro Matteo Renzi per coltivarlo e alimentarlo – in maniera sproporzionata rispetto al suo rilievo politico – rispondendo a una domanda in quel senso da parte di molti lettori e potenziali lettori (sabato Domani aveva Renzi in prima pagina, in quattro articoli critici, più un quinto che parlava di calcio, e due pagine su tredici dedicate solo a lui; il Fatto gli dedica le prime pagine da settimane quasi ininterrottamente). Non è tanto (non solo) una questione di antipatie o dissintonie: è che in tempi di maggioranze di governo molto estese, la domanda di “nemici” da parte della clientela resta forte e alcuni giornali cercano di intercettarla e darle risposta. Sono i lettori, a dettare la linea.
domenica 21 Novembre 2021
I prossimi appuntamenti pubblici del Post sono:
– oggi domenica 21 alle 12 a Pescara con “Questioni di un certo genere”
– venerdì 26 novembre a Ivrea con “Questioni di un certo genere”
– sabato 4 dicembre a Roma con “Questioni di un certo genere”
– venerdì 10 dicembre a Peccioli con “Questioni di un certo genere”
– sabato 11 dicembre a Torino con “I giornali spiegati bene”
– domenica 12 dicembre a Peccioli con “I giornali spiegati bene”
domenica 21 Novembre 2021
Difficilmente i maggiori quotidiani polemizzano apertamente tra loro, per una sorta di solidarietà che precede le rivalità e anche perché sono consapevoli dei rischi di ritorsioni e abbassamento del livello dello scontro. Lo fanno invece sempre più spesso i quotidiani delle “seconde file” che sono più abituati a quell’abbassamento e che della polemica e del vittimismo fanno un elemento di consenso e compattamento dei loro lettori affezionati. Nei mesi passati ci è capitato di segnalare alcuni esempi della scelta di rendere pubblici presso i lettori questi tipi di litigi, perché indicativi di qualcosa di più interessante; più spesso li trascuriamo perché appunto fini a se stessi: nel primo caso mettiamo però l’irritato annuncio di “azioni giudiziarie” del Fatto contro il quotidiano il Riformista (rinato come testata due anni fa dopo un periodo di maggiori visibilità e rilevanza tra il 2002 e il 2012, quando venne chiuso) perché la polemica è in relazione con la recente decisione del Fatto di creare una “fondazione umanitaria”.
domenica 21 Novembre 2021
Ormai da qualche anno i due maggiori quotidiani italiani hanno introdotto un formato pubblicitario evidentemente proficuo (viene ospitato più volte ogni settimana) che hanno chiamato rispettivamente “Le guide” ed “Eventi”: sono doppie pagine – più raramente una – del tutto omogenee e mimetizzate con i contenuti giornalistici della testata, e che però sono dedicate a promuovere iniziative e progetti di un inserzionista protagonista dei diversi articoli. Gli articoli sono a volte interessanti, altre meno, anche in questo similmente agli altri del giornale: ma l’anomalia è la loro natura che, sia per rispetto dei lettori che per regole “deontologiche” stabilite, dovrebbe essere indicata, in modo da distinguere le scelte autonome della redazione da quelle dettate dagli investimenti pubblicitari.
Da qualche tempo il formato è stato fatto proprio anche dalla Stampa, che ha scelto di inserire invece un’indicazione di questa distinzione, anche se piuttosto oscura per i lettori: ovvero il titolo “Speciale…” (“sostenibilità”, nel caso delle pagine per McDonald’s di ieri). A orientare la minore o maggiore chiarezza ci sono da una parte le norme che la imporrebbero, e dall’altra le pretese degli inserzionisti che le loro promozioni siano proposte come scelte indipendenti del giornale piuttosto che come pubblicità a pagamento. E in tempi difficili per le aziende giornalistiche il loro potere contrattuale con gli inserzionisti è molto indebolito.
domenica 21 Novembre 2021
Il trimestrale RivistaStudio ha nominato un nuovo direttore, anzi tre. RivistaStudio – confidenzialmente Studio – è un progetto di magazine di qualità originale che ospita autori brillanti e più contemporanei rispetto alla media delle testate italiane, ed è apprezzato da un seguito fedele: dopo periodi di alti e bassi dei bilanci ha trovato da qualche anno buoni equilibri lavorando su progetti collaterali di collaborazioni con le aziende (nella casa editrice che pubblica Studio e il magazine sportivo Undici è entrata qualche anno fa News 3.0, la società del finanziere Matteo Arpe che possedeva anche le testate Lettera43 e e Pagina99, entrambe chiuse negli anni scorsi). Due mesi fa il direttore e cofondatore Federico Sarica era andato a dirigere il mensile GQ (pubblicato della grande multinazionale editoriale Condé Nast), e questa settimana Studio ha annunciato che il nuovo direttore della redazione sarà Cristiano De Majo – che già svolgeva di fatto gran parte del ruolo – con Silvia Schirinzi a dirigere “la moda e lo stile” e Tommaso Garner come “creative director”. Il direttore responsabile sarà Giuseppe De Bellis, direttore di Sky Tg24, che da diversi anni partecipa al progetto di Studio.
domenica 21 Novembre 2021
People è il settimanale più popolare degli Stati Uniti: è una rivista di argomenti molto “larghi”, soprattutto dedicata a celebrities, a personaggi dello spettacolo e a storie di “persone comuni”, e che si vende tantissimo nei supermercati. Nacque nel 1974 come una sorta di costola più accessibile del magazine Time ed ebbe immediatamente un grande successo.
Tre anni fa tutta la società di Time e People in crisi fu acquistata da una azienda editrice che si chiama Meredith, che a sua volta era in difficoltà e che aveva rapidamente ceduto Time: un mese fa Meredith è stata acquistata da un grande editore digitale, Dotdash, che possiede siti di informazione e di servizio che hanno ricchi ricavi pubblicitari sulla base dei loro numeri di traffico, e che era molto interessato ad alcune delle testate del gruppo Meredith (Better homes and gardens è la rivista più venduta degli Stati Uniti, dopo i due magazine dell’AARP, un’associazione dedicata agli interessi di quella che una volta si chiamava “terza età”): che producono contenuti coerenti con le attività di Dotdash (posseduta della grande società che ha tra le altre cose la piattaforma di “dating” Tinder). Mentre People, malgrado i suoi successi che ancora sopravvivono, secondo un articolo del New York Times di questa settimana non si capisce bene cosa c’entri.
domenica 21 Novembre 2021
Il sito Professione Reporter ha pubblicato una breve intervista con il nuovo direttore del Tirreno Luciano Tancredi, insediato con molta discrezione due settimane fa per sostituire Stefano Tamburini, i cui rapporti con la redazione e con l’azienda non erano felici da tempo. L’azienda si chiama SAE, ed è guidata dall’imprenditore abruzzese Alberto Leonardis, che si sta muovendo da qualche anno tra le proprietà dei quotidiani locali ceduti dal gruppo GEDI: cinque anni fa era tra i soci che avevano acquistato il Centro di Pescara (che poi ha lasciato), l’anno passato ha comprato con SAE il Tirreno e tre quotidiani emiliani (Gazzetta di Reggio, Gazzetta di Modena e Nuova Ferrara), e dovrebbe concludere presto anche l’acquisizione della Nuova Sardegna.
L’intervista di Professione Reporter rivela come nel curriculum del nuovo direttore Tancredi ci sia, oltre alle esperienze giornalistiche e una candidatura elettorale nel PD, una antica frequenza – dalle scuole elementari – con l’editore e il gruppo dirigente dell’azienda.
“Dopo quarant’anni, per la prima volta ci siamo ritrovati a lavorare tutti assieme. A parte Giovannetti che è un po’ più grande, c’è una foto di me, Alberto e Marco, a sedici anni che facciamo una spaghettata a mezzanotte. Eravamo insieme fin dalla primina”.
domenica 21 Novembre 2021
Axel Springer, la grande multinazionale tedesca dell’editoria, è ancora spaventata dalle conseguenze dello scandalo di molestie e relazioni inopportune che ha portato alle dimissioni del direttore del quotidiano Bild, dopo che la storia era stata nascosta sotto un primo tappeto all’inizio dell’anno, e poi ne erano stati pubblicati maggiori e gravi elementi sul New York Times il mese scorso. Secondo un articolo del Financial Times l’editore vuole proteggersi maggiormente da accuse e scandali simili che dovessero complicare le sue attività negli Stati Uniti, dove ha grossi interessi di espansione, chiedendo ai suoi dirigenti di dichiarare all’azienda ogni eventuale relazione sessuale con i dipendenti: ma la richiesta avrebbe resistenze in Germania per ragioni di privacy e di minore ipersensibilità rispetto al contesto americano.
domenica 21 Novembre 2021
Nel terzo numero dell’Essenziale – il nuovo settimanale dedicato alle notizie italiane pubblicato da Internazionale – il direttore ha spiegato le complicazioni del raggiungere le edicole del Sud da parte del giornale.
domenica 21 Novembre 2021
Un articolo del Washington Post ha raccontato la rinnovata centralità degli “obituaries”, ovvero degli articoli di necrologio dedicati alla morte di persone famose o con storie rilevanti, che nel gergo delle redazioni italiane vengono chiamati “coccodrilli”, e che sono spesso preparati con mesi o anni di anticipo. Le dinamiche di condivisione individuale e collettiva incentivate dai social network hanno trasformato le notizie sulle morti in opportunità di partecipazione e coinvolgimento personale da parte dei lettori, creando una sorta di cerimonia online fatta di like ed engagement intorno alla loro diffusione e un’occasione di traffico e visibilità per le testate più rapide a condividere i propri obituaries: il New York Times ne ha pronti circa 1850, per esempio, e il Washington Post 900. La “nostalgia dei baby boomer”, dice l’articolo, è uno dei fattori della aumentata attenzione verso le morti di personaggi noti (in Italia la settimana scorsa è circolata tantissimo la notizia di un personaggio del telefilm Happy Days malgrado quasi nessuno ricordasse fosse mai esistito, probabilmente anche tra gli accorati autori degli articoli). L’aumento del numero di celebrities note, conseguente all’aumento del traffico di informazioni, ha inoltre reso molto più frequenti notizie che ricadano in queste categorie.
domenica 21 Novembre 2021
Ancora per la sezione “sviluppi di storie“, e non buoni sviluppi, il Corriere di Como – l’edizione locale del Corriere della Sera – ha chiuso martedì. Il sito e l’archivio sono stati messi offline, per giunta.
domenica 21 Novembre 2021
Sui maggiori quotidiani americani la storia di giornalismo di questa settimana è stata una storia imbarazzante: ne avevamo intuito l’arrivo due settimane fa, ma la falsità di un famigerato dossier di accuse contro Donald Trump diffuso nel 2017 ha avuto maggiori conferme e ammissioni, e i giornali che gli avevano dato credito sono stati costretti a interventi autocensori e riflessioni molto impietose su come una cosa che era “verosimile” non fosse per questo vera, e su come le vittime di quel dossier – Trump per primo – non siano state credute nelle loro smentite solo perché avevano una meritata fama di poco credibili. La storia del dossier era qui, raccontata sul Post allora con molte cautele, attribuzioni e diffidenze.
domenica 21 Novembre 2021
Il Daily Mail è forse il quotidiano a maggior diffusione nel Regno Unito: il “forse” si deve al fatto che alcuni quotidiani – tra cui il Sun, il suo maggior concorrente – hanno smesso di comunicare i propri dati dall’anno scorso (il maggior primato del Mail è sul web, dove ha costruito uno dei siti di news in lingua inglese più visitati del mondo). Entrambi i giornali appartengono al formato dei “tabloid”, definizione che da tempo si riferisce più all’approccio sensazionalistico e scandalistico che alle misure dei giornali. Nel Regno Unito questi quotidiani sono sia molto screditati rispetto alla loro accuratezza e qualità etica, sia capaci di scoop e prese di posizione importantissime nella costruzione dell’opinione pubblica e quindi anche in quella dei consensi politici (un importante ex direttore del Mail è stato in ballo per dirigere l’ente regolatorio governativo sui media fino a ieri). Ne avevamo riassunto una breve guida qui.
Il Daily Mail è tuttora controllato dagli eredi dei suoi fondatori, la potente e aristocratica famiglia Rothermere (il Sun invece è del grande e famigerato editore Rupert Murdoch). Questa settimana l’editore ha molto sbrigativamente e sorprendentemente licenziato il direttore Geordie Greig, che era in carica dal 2018, rimpiazzandolo con quello che finora era l’editore dell’edizione domenicale del giornale, Ted Verity (quasi tutti i quotidiani britannici hanno un’edizione della domenica con un’identità e un’autonomia proprie: nel caso del Mail addirittura in conflitto). Altri interventi in ruoli dirigenziali dell’azienda hanno suggerito ipotesi che la sostituzione abbia a che fare con il progetto di toglierla dalla quotazione in borsa, ma anche che serva ad attenuare le tensioni che c’erano state ultimamente con il governo di Boris Johnson.
domenica 21 Novembre 2021
Ogni tanto qualcuno prova a dare definizioni universali di cosa debba essere “il giornalismo”, o cosa sia “una notizia”, con risultati abbastanza fallimentari, perché le definizioni sono suscettibili di molte interpretazioni ed è lecito che chi progetta, dirige o produce giornali e articoli abbia valutazioni sue e soggettive su quello che vuole fare, e sul modo di intendere i propri obiettivi. Però è interessante mettere a confronto e considerare quali confini si diano singoli giornalisti o singole testate (c’era questa di Jeff Jarvis, esperto studioso delle trasformazioni dell’informazione), e il sito di news americano Vox ha individuato i propri “sei tipi di storie”, riconoscendo già con questo l’assenza di un criterio unico:
“quelle che fanno chiarezza nel caos; quelle che scompongono politiche o idee complesse; quelle che collegano qualcosa a questioni più estese; quelle che indagano soluzioni o idee nuove per risolvere problemi; quelle che aiutano i lettori a prendere decisioni; quelle che fanno emergere qualcosa di nascosto sotto la superficie”.
domenica 14 Novembre 2021
L’Essenziale, il nuovo settimanale creato dalla redazione di Internazionale, ha pubblicato sabato nel suo secondo numero la risposta del direttore Giovanni De Mauro a un lettore a proposito della scelta di non firmare la gran parte degli articoli. Le ragioni di De Mauro non sono diverse da quelle che il Post espose un po’ di anni fa, e che linkiamo qui per chi abbia simili curiosità.
domenica 14 Novembre 2021
Se ricordate o conoscete la genealogia dei maggiori quotidiani di destra italiani, e le successioni di direttori che si sono scambiati, avrete maggiori elementi per valutare l’ultimo sviluppo della “vivace” e non nuova polemica tra Maurizio Belpietro, direttore della Verità, e Vittorio Feltri di Libero.
“Se la Verità, testata francamente troppo ambiziosa, mi dà del pirla perché ascolto le prediche del professor Locatelli, abbozzo, ma ciò mi autorizza a ricambiare il complimento”.