Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 16 Gennaio 2022
L’uso di articoli dalla stampa straniera sui giornali italiani è un tema con sfumature e complessità, diventato molto visibile nei tempi dell’informazione online: un po’ perché l’accesso a contenuti interessanti e preziosi è diventato facile e continuo, un po’ perché i lettori hanno molte occasioni di verifica e svelamento delle fonti originali. Le sfumature e complessità si devono al fatto che da una parte ciò che racconta la stampa straniera è materiale da notizie e articoli, importante da essere raccontato ai lettori italiani, e in questo non c’è niente di male; dall’altra, correttezza e completezza richiedono che ciò che racconta la stampa straniera sia presentato in quanto tale. Quando un giornalista di una testata italiana usa un articolo straniero come idea per scrivere di un tema, e usa ciò che quell’articolo scrive come fonte quasi unica e prevalente del proprio (anche semplicemente perché non ce ne sono altre), l’approccio corretto sarebbe di dirlo esplicitamente: “un articolo sul Wall Street Journal di martedì ha raccontato che”, eccetera. E il lavoro del giornalista italiano dovrebbe essere di confezionare il racconto arricchendolo di contesti, indicazioni, spiegazioni utili al lettore italiano, riassumendo il contenuto dell’articolo originale.
Questo non avviene sempre e le mancanze maggiori riguardano appunto la citazione della fonte e l’eccessiva fedeltà non solo al contenuto originale ma alla stessa scrittura dell’articolo a cui si attinge. I casi sono tra l’altro facilmente individuabili e individuati, data la confidenza attuale dei lettori con molte fonti internazionali: uno è stato citato il mese scorso su Twitter e riguarda il Corriere della Sera e il New York Times.
domenica 16 Gennaio 2022
HuffPost, che non si può più chiamare “edizione italiana” del noto sito di news americano da che è diventato una testata autonoma di proprietà intera del gruppo GEDI, ha annunciato cambiamenti a partire da mercoledì prossimo sia per l’organizzazione del sito che per il suo modello di business. Quest’ultima cosa, che anticipammo allora, è molto interessante perché HuffPost – che è diretto da Mattia Feltri – era rimasto uno dei pochissimi siti di news maggiori a non fare ricorso a un contributo dei lettori, nella forma di abbonamenti, paywall o simili. Condizione diventata insostenibile col declino drammatico dei ricavi pubblicitari da parte dei giornali digitali.
“Tutta questa qualità ha un valore. Ed è giusto e normale che questo valore in qualche modo venga riconosciuto. Per i contenuti originali infatti sarà necessario sottoscrivere un abbonamento. Ci saranno diversi articoli e blog che potranno continuare a essere letti gratuitamente ma la parte più pregiata della nostra produzione passerà a pagamento. Questa è una vera rivoluzione per un giornale che è sempre stato free ma è anche una scelta ineluttabile per come sta evolvendo il mercato editoriale”.
Contemporaneamente, anche HuffPost sarà indirizzato verso una maggiore attrattiva per gli inserzionisti pubblicitari attraverso la costruzione di sezioni “verticali”, come GEDI sta facendo da alcuni mesi con le redazioni di Stampa e Repubblica, in grande collaborazione con la propria concessionaria di pubblicità nel lavoro sui cosiddetti “hub”.
“Continueremo poi con l’idea – fortunata e apprezzata dai lettori – di “verticalizzare” l’informazione e cioè mettere in piedi sezioni del sito che trattano un particolare argomento in profondità e in tutti i suoi aspetti”.
domenica 16 Gennaio 2022
La multinazionale tedesca dell’editoria Axel Springer ha scelto una nuova amministratrice delegata per Politico, l’importante sito americano di politica (che a suo tempo generò una versione europea) che Axel Springer ha acquisito l’anno scorso, tra polemiche e preoccupazioni. A capo di Politico ci sarà Goli Sheikholeslami, che negli ultimi due anni ha guidato WNYC, la radio pubblica di New York.
domenica 16 Gennaio 2022
C’è stato un incidente con le parole crociate del New York Times, esemplare di quanto i giochi stiano diventando una sezione di straordinaria attrattiva per l’interesse dei lettori e per la loro disponibilità a pagare abbonamenti: il New York Times è quello che ci ha investito di più (questa settimana ha annunciato una specie di stage destinato a categorie meno rappresentate nella produzione dei cruciverba), ma molte altre testate internazionali si stanno muovendo a partire dal suo esempio.
L’incidente in realtà sta dentro a una questione di “correttezza ambientale”: il giornale ha pubblicato una correzione alla definizione di un suo cruciverba – definizione che era stata decisa dal responsabile dei giochi in contrasto con il parere della creatrice del cruciverba – dopo le proteste online di alcuni lettori. La definizione chiedeva una fonte di energia “più verde” e la risposta era “carbone pulito”: il dibattito sul “carbone pulito” negli Stati Uniti è stato vivacissimo negli anni passati, con polemiche e strumentalizzazioni, e la definizione del cruciverba ha irritato molti solutori. L’autrice 75enne ha poi spiegato che la sua definizione originale diceva “un discutibile termine per una fonte di energia più verde” e che il giornale l’aveva tagliata, in un lavoro di editing che non è inconsueto, resistendo alle sue obiezioni.
domenica 16 Gennaio 2022
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a novembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo perdite diverse rispetto al mese precedente da parte di quasi tutti i quotidiani nazionali, con miglioramenti solo per il Sole 24 Ore e la Verità (entrambi per il secondo mese di seguito) e in misura minore per Nazione e Resto del Carlino: e i cali maggiori a Repubblica, Messaggero, e di nuovo ad Avvenire. Le perdite di Repubblica e Stampa, i quotidiani maggiori del gruppo GEDI, li portano di nuovo ai loro minimi storici su questi dati: il primo molto vicino a scendere sotto le 150mila copie e il secondo vicino a scendere sotto le 100mila.
Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti, di nuovo con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 19% in un anno (staccando ormai di molto il suo rivale Libero e raggiungendo il Giornale) e quella più modesta del Messaggero, che guadagna il quasi il 2%. A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 23% delle copie il Giornale. Tutte tendenze uguali a quelle del mese passato.
Anche questo mese c’è un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi”, per avere un dato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Con questo risultato, e perdite maggiori per Corriere e Repubblica, rispetto a ottobre:
Corriere della Sera 183.486
Repubblica 134.944
Stampa 88.745
Sole 24 Ore 67.751
Resto del Carlino 66.065
Messaggero 56.936
Fatto 47.760
Nazione 44.533
Gazzettino 39.670
Giornale 33.602
Altri giornali nazionali:
Verità 30.369
Libero 20.175
Avvenire 17.090
Manifesto 12.787
ItaliaOggi 10.215
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che spiegano le discrepanze tra i due conti – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70%: 43mila e 34mila, dietro di loro c’è Repubblica con 10mila.
– il numero di copie cartacee vendute dal Fatto è per il terzo mese inferiore a quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 62mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, quasi 22mila (4mila più di ottobre, 8mila più di settembre), in gran parte digitali.
– delle 23mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora Avvenire, Messaggero, S
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” sono Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
(Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 16 Gennaio 2022
Negli Stati Uniti, intanto, sono stati resi pubblici alcuni documenti di un’indagine iniziata un anno fa che sostiene che Google abbia imbrogliato per anni siti ed editori sul valore delle inserzioni all’interno del suo network di gestione della pubblicità online, il più importante e potente del mondo, da cui dipende una rilevante quota di entrate per i giornali digitali. L’ipotesi, negata da Google, è che l’azienda abbia influenzato arbitrariamente il sistema di “aste” con cui vengono vendute e comprate in tempo reale le inserzioni, aumentandone i costi o privilegiando risultati a proprio favore, e danneggiando i siti destinatari delle inserzioni.
L’inchiesta pone una questione che sta dentro il tema generale e difficilissimo da superare per cui Google è diventato sia la piattaforma quasi monopolistica di una serie di attività pubbliche ed economiche, che uno dei concorrenti nell’uso commerciale di quella piattaforma.
domenica 16 Gennaio 2022
L’autorità federale tedesca che si occupa di concorrenza ha avviato un’indagine per chiarire se l’accordo di Google con molti giornali online che si chiama Google Showcase violi appunto la concorrenza nell’offrire promozione maggiore alle testate coinvolte, e nei termini sul compenso del copyright. Showcase è quel progetto con cui Google compensa moltissimi gruppi editoriali e giornali in tutto il mondo, ottenendo in cambio che questi accantonino le proprie richieste di risarcimenti maggiori per l’uso dei propri contenuti da parte di Google: che si traduce, come evidenza superficiale, in uno spazio di promozione all’interno di Google News.
Questa settimana l’autorità ha comunicato che Google ha acconsentito ad alcuni interventi sul progetto Showcase per venire incontro alle richieste, e che le indagini e consultazioni proseguiranno (per Google è indolore modificare i modi con cui gli spazi di Showcase vengono presentati, da che la sua priorità sono gli accordi economici e contrattuali con le testate che scongiurino altre pretese).
domenica 16 Gennaio 2022
La complicata discussione sulla necessità di finanziare con soldi dello stato il servizio pubblico svolto dai mezzi di informazione, ha come principale argomento a favore l’incapacità – negli ultimi due decenni – dei mezzi di informazione privati di sostenersi economicamente e continuare a svolgere questo servizio (il principale argomento contro è che non è possibile vincolare i finanziamenti a una qualità condivisa e assoluta del servizio). Ma c’è un altro argomento, che questa settimana è stato di nuovo ricordato negli Stati Uniti, dopo che Ben Smith e Justin Smith hanno annunciato il loro progetto di un giornale online come destinato a élite culturali e sociali. Ne parlammo in una delle prime newsletter di Charlie:
“C’è un articolo interessante e inquietante sul bimestrale americano Current Affairs che spiega come a peggiorare il problema della diffusione di informazioni false, di propaganda, non verificate, si aggiunga quella che in realtà è negli ultimi anni diventata la prospettiva più preziosa per la sopravvivenza dell’informazione di qualità: ovvero tornare a fare pagare i lettori.
Il risultato indesiderato dello spostamento verso le formule di abbonamento è che oggi la gran parte dei giornali più autorevoli e affidabili si possono leggere solo, o in gran parte, pagando: mentre intorno rimane gratis a disposizione di tutti un’enorme quantità di informazioni mediocri, false, pericolose.
L’articolo è intitolato “La verità è a pagamento, ma le bugie sono gratis””.
Dell’altro argomento ha scritto il sito Axios, raccogliendo pareri preoccupati sul fatto che l’informazione di qualità rischi di diventare un servizio per chi se la può permettere, lasciando le maggioranze con minori risorse economiche e minore istruzione a fonti di informazione mediocri: e che questo ancora di più la assimili a quei “servizi pubblici” (l’istruzione, i trasporti, la sanità) che lo stato è abituato ad assicurare ai suoi cittadini, finanziandoli. Resta il problema di come finanziare una “buona” informazione e distinguerla da quella che non lo è.
Un’alternativa non praticabile da tutti – i modelli sono molto diversi tra loro per natura e dimensione – è quella che segnalammo allora su Charlie.
“La terza via, ma di cui non è ovviamente garantito il successo per tutti (è legata a un investimento molto intenso e dedicato al rapporto di fiducia e complicità coi lettori) è quella adottata dal Guardian – e dal Post, incidentalmente – che ha costruito un sistema di “abbonamenti” senza paywall: in cui gli abbonati sostengono il giornale senza esservi costretti e senza che gli articoli – e la possibilità di essere meglio informati – siano preclusi agli altri lettori”.
domenica 16 Gennaio 2022
C’è stato un discreto dibattito in Francia intorno a un’intervista di domenica scorsa al cantante belga Stromae – che ha pubblicato un nuovo disco che sta già andando fortissimo in tutta Europa – al telegiornale del canale televisivo TF1. Stromae era ospite in studio e la giornalista gli ha fatto domande per due minuti, ma all’ultima di queste lui ha “risposto” cantando la sua canzone (che parla di depressione e suicidio) senza soluzione di continuità con l’intervista, in un’esibizione preparata che la giornalista ha salutato con gratitudine congedandolo dopo che l’aveva conclusa.
L’effetto è stato in effetti spiazzante e originale, e ha ottenuto il risultato desiderato di attenzione e promozione; ma tra i commentatori dei giornali ci sono state critiche e perplessità su un programma di news che ha abdicato al suo ruolo di responsabile dell’informazione, per dare spazio a un’autonoma pubblicità di un prodotto, in questo caso un disco in uscita. Le obiezioni, hanno detto altri, possono essere interessanti per discutere dei rischi di sbilanciamento del cosiddetto “infotainment”, ovvero l’equilibrio di priorità tra informazione e intrattenimento: ma è uno sbilanciamento che è già avvenuto da un pezzo, e se soltanto la giornalista avesse concluso l’intervista annunciando un’esibizione di Stromae che nel frattempo avesse raggiunto un pianoforte, nessuno si sarebbe meravigliato: succede ed è successo. L’intervista “cantata” ha spiazzato soprattutto per l’immagine poco familiare dell’ospite in giacca e cravatta alla scrivania che inaspettatamente inizia a cantare in risposta a una domanda. Non un’anomalia insignificante ma neanche così diversa da quello che accade in molti articoli e pagine di giornale in cui il “product placement” convive con la notizia.
TF1 ha rivendicato la bontà dell’idea e si è detta fiera di averla avuta.
domenica 16 Gennaio 2022
La competizione tra le maggiori testate giornalistiche internazionali sul digitale è diventata globale da un pezzo: le sue evidenze puntuali più vistose sono state il primato di traffico a livello mondiale del sito del tabloid britannico Daily Mail; l’allontanamento del quotidiano Guardian, anch’esso londinese, dal semplice radicamento britannico; le recenti ambizioni del Washington Post di estendere la sua copertura e il suo “lettorato” internazionale; solo per fare alcuni esempi. I giornali online vantano molto le loro quote di lettori residenti in paesi diversi dal proprio, e la principale direzione per chi vuole superare i rischi di saturazione dei propri mercati è il resto del mondo. Però.
Però parliamo di mercati anglofoni e testate anglofone.
I giornali online italiani sono tagliati fuori da questa opportunità di crescita e competizione (ancora di più di quelli in lingua spagnola, o anche francese). Ne sono anche protetti, perché il mercato più ristretto crea minore competizione, certo. Ma c’è un modo per avere ambizioni maggiori e non rassegnarsi a questo tetto? Difficile: anni fa alcune testate italiane provarono online esperimenti di pagine e articoli in inglese, sperando di beneficiare del proprio primato sugli argomenti italiani (lo fece in una manciata di occasioni anche il Post) ma con risultati insignificanti proprio perché l’impegno era inadeguato. Alcuni cercano di estendere il rapporto con gli italiani e gli italofoni all’estero, ma è un mercato assai limitato comunque. Sapendo che la società Exor controlla sia l’Economist che Repubblica, per fare un altro esempio, è facile immaginare la sproporzione di priorità che voglia dare a un prodotto competitivo a livello mondiale con uno che può essere letto solo dagli italiani. Probabilmente è una questione insuperabile, ma è utile averla presente quando si riflette sulle prospettive dell’informazione italiana in relazione a quello che succede nel resto del mondo.
domenica 9 Gennaio 2022
Come dicemmo pochi mesi fa, il “giornalismo d’inchiesta” in Italia esiste e la notizia della sua pretesa morte è esagerata. Quello che però si può dire è che il giornalismo d’inchiesta italiano ha quasi sempre due tratti che non fanno bene ai suoi risultati e alla sua affidabilità: uno è il formulare la tesi (non l’ipotesi) a monte, ed essere inevitabilmente influenzato dalla ricerca della sua conferma; l’altro è concentrarsi sulla ricerca e sull’indicazione di cattivi, responsabili, bersagli dell’indignazione del lettore. Queste due priorità (dimostrare la tesi, indicare il colpevole) prevalgono spesso sulla più preziosa descrizione dei fatti e sull’analisi delle loro complesse ragioni, e sulla capacità di adattare il racconto alle scoperte e alla realtà. Il termine “inchiesta” fa associare questo tipo di giornalismo a quello di un pubblico ministero, ma dovrebbe essere una cosa decisamente diversa: l’intenzione di raccontare storie e dinamiche sconosciute, a prescindere da accuse e condanne; e ce ne sono tante, di storie e dinamiche sconosciute e impreviste. Conoscerle e capire perché avvengono – e spiegarlo – è più utile che indignarsi e prenderne le distanze.
domenica 9 Gennaio 2022
Venerdì prossimo Luca Sofri, peraltro direttore del Post, parlerà a Rovereto del secondo numero della rivista Cose spiegate bene e del suo ruolo nel progetto di informazione del Post.
domenica 9 Gennaio 2022
Il Post ha pubblicato la sua annuale galleria/antologia che racconta – su scale diverse – l’anno passato come è stato mostrato sulle prime pagine dei quotidiani italiani.
domenica 9 Gennaio 2022
Il sito di news Linkiesta ha pubblicato un’anticipazione del suo bilancio del 2021 per annunciare che sarà in “piccolo attivo”, per la prima volta nei suoi undici anni di vita: il risultato inedito si deve a una serie di nuovi modelli di ricavo aggiunti negli ultimi tre anni a quello iniziale che era basato interamente sulla pubblicità online, e che non era mai stato sufficiente a coprire i costi: tra i nuovi ricavi decisivi ci sono gli eventi pubblici sponsorizzati e la pubblicità raccolta per le diverse pubblicazioni cartacee; e in misura minore la vendita delle suddette pubblicazioni e le iscrizioni al “club dei lettori” del giornale.
domenica 9 Gennaio 2022
I quotidiani Repubblica e Stampa hanno pubblicato in prima pagina, giovedì, esaltanti interviste con l’amministratore delegato della società automobilistica Stellantis: il cui azionista di maggioranza è la holding Exor, che possiede Giano Holding che a sua volta possiede GEDI, ovvero l’editore delle stesse Repubblica e Stampa (la notizia di una partnership tra Stellantis e Amazon, oggetto delle interviste, era più brevemente nelle pagine di economia anche di altri quotidiani).
Mercoledì Repubblica ha pubblicato un articolo sull’arresto in Spagna di un latitante “scovato dopo 20 anni grazie a Google Maps”, secondo il titolo e l’articolo: nei fatti il riconoscimento non è avvenuto “grazie a Google Maps” (non sarebbe stato possibile: è stato riconosciuto e “scovato” in una foto su Facebook dopo che le indagini erano già indirizzate, e successivamente un uomo irriconoscibile che potrebbe essere lui è stato individuato in un’immagine di Google Street View) e il titolo era una forzatura suggestiva: simili titoli sono stati usati poi da altri siti di news che hanno ripreso l’articolo di Repubblica.
L’indomani Repubblica ha ospitato una pubblicità di Google Maps (nell’ambito di una campagna che nei giorni scorsi è stata promossa anche sulle radio dello stesso gruppo editoriale, e su altri media).
domenica 9 Gennaio 2022
Due quotidiani – la Verità e il Fatto – hanno raccontato con più articoli questa settimana una inchiesta giudiziaria contro le società editrici di Repubblica e Corriere della Sera rispetto a un’accusa di truffa nei confronti dell’ente previdenziale INPS: secondo quello che viene descritto negli articoli, le rispettive aziende avrebbero usufruito, senza averne diritto, di agevolazioni per dichiarare stati di crisi e favorire prepensionamenti e riduzioni dell’organico. I magistrati che indagano su GEDI – l’editore di Repubblica e Stampa – hanno chiesto il sequestro di 30 milioni di euro. L’ex presidente di INPS, Tito Boeri, ha confermato di avere a suo tempo avviato un’indagine interna, rispondendo polemicamente al Fatto sulle accuse nei suoi confronti evocate dagli stessi articoli.
domenica 9 Gennaio 2022
Negli ultimi due anni del New York Times sono stati descritti i successi in termini di crescita, qualità e numero di abbonamenti, ma anche i problemi e i conflitti all’interno della redazione e dell’azienda su alcune scelte del giornale. Una parte della storia è la distanza di approcci tra una “vecchia guardia” e una nuova generazione di non solo giornalisti che è entrata al giornale; e tra “i panni sporchi si lavano in famiglia” (o anche “parliamone in pochi”) e le abitudini contemporanee di confronto esteso e pubblico su tutto, allargato a tutti.
Questa settimana il sito Off the record ha raccontato di come la direzione abbia deciso di intervenire sull’uso della piattaforma di comunicazioni interne Slack (usata da molte aziende in tutto il mondo, compreso il Post) chiudendo alcuni canali di espressione e critica fuori dal controllo dell’azienda e sostituendoli con altri più “gestiti”.
Intanto, contro il New York Times è in corso un’indagine per le accuse che siano stati violati dei diritti sindacali da parte dell’azienda, che avrebbe cercato di disincentivare dei dipendenti da attività a favore del sindacato.
domenica 9 Gennaio 2022
Il quotidiano Domani ha pubblicato un articolo sul tema dei “micropagamenti” per i giornali, ovvero l’opportunità per i lettori di acquistare copie singole o addirittura singoli articoli, che è spesso evocata dai lettori interessati, ma che le aziende editoriali valutano non conveniente (ne avevamo scritto qui e qui).
“Insomma, la sensazione è che non siano i micropagamenti a compromettere la sostenibilità di queste piattaforme: sono proprio gli utenti a non essere interessati agli “Spotify delle news”. Per quale ragione? Probabilmente, perché il successo di Spotify o di Netflix è legato al fatto che gli utenti sono abituati a cercare attivamente la musica o le serie tv che gli interessano.
Il percorso è invece inverso per quanto riguarda l’informazione online, da cui i lettori (occasionali) vengono spesso raggiunti quasi casualmente: sui social, su WhatsApp, in seguito a una ricerca su Google e altro ancora.
Gli articoli, a differenza di musica e serie tv, sono qualcosa in cui la maggior parte dei lettori incappa accidentalmente, mentre i lettori più assidui preferiscono abbonarsi alla singola rivista da cui si sentono più rappresentati. È probabilmente per questo che piattaforme come Blendle o Apple News+ non riescono a sfondare”.
domenica 9 Gennaio 2022
Nel giro di pochi giorni due importanti quotidiani europei hanno annunciato pubblicamente di avere raggiunto la soddisfacente quota di 500mila abbonati, o clienti. Il 21 dicembre lo ha fatto il quotidiano Le Monde – che ha avuto una grande crescita durante la pandemia grazie all’aumentata domanda per un’informazione accurata e affidabile – con un articolo dettagliato, ricco di dati e sviluppi: 414mila sono gli abbonati digitali, 87mila quelli al quotidiano di carta, a cui si aggiungono appena 30mila copie cartacee vendute ogni giorno (anche se il rapporto dei ricavi è 25%, 20% e 23%, a dimostrare che gli abbonamenti digitali sono venduti a prezzi molto inferiori rispetto a quelli cartacei, e a quelli in edicola). Il risultato del 2021 è meno esaltante di quanto sperato alla fine del 2020, quando c’era stata la vera crescita eccezionale e gli abbonati erano diventati 450mila, ma l’obiettivo di un milione di abbonati per la fine del 2025 è stato confermato. Il giornale dichiara comunque già un risultato molto raro tra i grandi quotidiani internazionali, ovvero l’abbondante prevalenza dei ricavi da abbonamenti e vendite (68%) rispetto a quelli della pubblicità (23%).
La settimana successiva la stessa quota è stata dichiarata raggiunta anche dal Corriere della Sera, seppure con informazioni e dettagli meno approfonditi: ma nel caso del Corriere la cifra comprende anche un assai maggiore numero di copie di carta vendute mediamente ogni giorno, con un numero di abbonati che arriva quindi a 380 mila.
“Nel corso del 2021, sul digitale, il Corriere della Sera ha aumentato del 23% il numero dei suoi abbonati digitali, passando da 308 mila a 380 mila. Un dato notevole, specie se paragonato a quello di 24 mesi fa, quando gli abbonamenti digitali erano 170mila.
Se si tiene in conto che, sempre nel 2021, e sempre in media, ogni giorno sono state vendute 173mila copie cartacee (dato Ads che include le copie consegnate porta a porta, che hanno diritto anche alla versione digitale), il totale di lettori che giornalmente hanno deciso di dare fiducia – con un acquisto in edicola o un abbonamento digitale — al Corriere supera quota 550mila”.
Ricordiamo che nel caso del Corriere e dei quotidiani italiani – a differenza di quanto avviene con le edizioni cartacee e digitali – non esiste una certificazione terza e ufficiale degli abbonamenti al sito, né un’indicazione affidabile delle quote di abbonamenti omaggio o fortemente scontati: i dati sono quindi comunicati dagli interessati e non mostrano il valore di questi abbonamenti in termini di ricavi reali.
domenica 9 Gennaio 2022
Il quotidiano Repubblica ha comunicato un aumento del prezzo del giornale da 2,50 a 3 euro nei giorni di sabato e domenica, quando è in vendita con una varietà di supplementi. Secondo il sito Professione Reporter ci sarebbero state proteste da parte dei lettori sufficienti a suggerire al direttore del giornale un’autocritica rispetto all’inadeguata spiegazione della scelta.
“«Forse avremmo dovuto avvertire i lettori e spiegare perché». Parole del direttore de la Repubblica Maurizio Molinari nel corso della riunione di redazione del 3 gennaio 2022″.
domenica 9 Gennaio 2022
Il Post ha spiegato come funziona il flusso della pubblicità “programmatic” sui siti web e come mai a volte gli utenti si trovano davanti dei banner che ritengono disdicevoli.
“Per metterla ancora in un altro modo, il banner che vedete su una pagina del Post, se è “programmatic” (ovvero non è nella quota minore di inserzioni venduta invece dalla concessionaria pubblicitaria del Post) non appartiene a quella pagina del Post: compare lì per ciascuno di noi nel momento in cui apriamo quella pagina, in base a quello che il browser sa di ciascuno di noi in base a quello che abbiamo fatto online, e probabilmente la troveremo anche in altri siti che visiteremo. Per il Post è solo uno spazio vuoto”.
domenica 9 Gennaio 2022
Ormai lo conoscete tutti, è stato spesso citato in questa newsletter. È uno dei giornalisti americani più famosi tra quelli emersi in questo secolo nella nuova informazione digitale: ha 45 anni, è stato a Politico (sito di politica innovativo e di gran successo), ha fatto il direttore di Buzzfeed (sito di enorme successo e che ha molto influenzato le scelte dell’informazione online) e da due anni era al New York Times, dove è diventato probabilmente il più importante tra i giornalisti che si occupano di media e giornalismo, creando scoop e risultati con le sue analisi e rivelazioni.
Ma questa settimana il Wall Street Journal ha anticipato la notizia – poi ripresa e confermata dallo stesso New York Times – che Smith cambierà di nuovo lavoro per creare da capo un altro progetto giornalistico insieme al suo cognonimo Justin Smith, finora capo del gruppo editoriale Bloomberg, annunciandolo con toni molto ambiziosi come destinato a lettori “di educazione universitaria e di lingua inglese”: indicazione che ha generato molti commenti e critiche, ma ha anche posto pubblicamente la questione generale del ruolo dell’informazione nell’animare le scelte e il dibattito tra i ceti più istruiti, consapevoli, poliglotti e curiosi, o piuttosto nel dedicarsi alla formazione e istruzione dei lettori meno informati.
domenica 9 Gennaio 2022
E al Manifesto, ad Avvenire, a ItaliaOggi e agli altri quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti: ne avevamo scritto qui, questa settimana un articolo di Domani ha approfondito l’argomento.
“In pratica i 22 milioni circa di italiani che ogni anno pagano i novanta euro del canone Rai finanziano a loro insaputa con cinque euro a testa anche televisioni locali private che non vedranno mai, radio di cui ignorano l’esistenza e giornali nei confronti dei quali nutrono come minimo indifferenza”.
domenica 9 Gennaio 2022
Wired è un’illustre testata dedicata a tecnologia e innovazione, che fu una specie di “bibbia” su questi temi nei decenni delle rivoluzioni digitali a cavallo del millennio: la sua edizione originale, pubblicata dall’editore Condé Nast, è americana, ma ce ne sono declinazioni in altri paesi (in Italia esce dal 2009, oggi è una rivista trimestrale, un sito web e un progetto di eventi pubblici). Anche Wired, come tutte le riviste, e avendo perduto la sua avanguardia sugli argomenti suddetti, è in difficoltà e in cerca di nuovo senso da alcuni anni: e lunedì, all’interno di un progetto di integrazione tra le sue varie edizioni iniziato dieci mesi fa con la nomina di un nuovo direttore, ha annunciato l’unificazione dei suoi due siti in lingua inglese, quello britannico e quello americano.
domenica 9 Gennaio 2022
NewsGuard è un progetto americano di verifica dell’accuratezza e della trasparenza dei siti di informazione, che negli anni scorsi ha iniziato a coprire molti altri paesi del mondo con un suo sistema di “pagelle” basato su diversi criteri di giudizio: i risultati sono discontinui, per la fragilità di alcuni di questi criteri, e spesso le sue certificazioni si limitano ad aggiungersi alle altre che le testate tradizionali usano per attribuirsi patenti di credibilità non sempre fondate. Più convincenti sono i report meno schematici e più argomentati, come quelli sugli inserzionisti che sostengono i siti di disinformazione, o come la lista dei più influenti siti di disinformazione in Italia pubblicata a fine anno.
“1.Ilprimatonazionale.it, il sito del Primato Nazionale, una rivista mensile collegata al movimento neofascista CasaPound che pubblica frequentemente contenuti falsi e fuorvianti.
2.Byoblu.com, il video blog di Claudio Messora, che ha pubblicato informazioni false e non comprovate su temi legati alla salute, inclusa la pandemia di coronavirus del 2020.
3.Databaseitalia.it, un sito di notizie che ha pubblicato contenuti falsi sulla pandemia di coronavirus del 2020 e su altri argomenti. Il sito pubblica anche teorie del complotto di QAnon.
4.Lantidiplomatico.it, un sito di estrema sinistra che si occupa di notizie internazionali e spesso pubblica contenuti falsi.
5.Scenarieconomici.it, un sito con un orientamento di destra che ha pubblicato notizie false e fuorvianti e che non rivela la sua proprietà da parte di un membro del Parlamento europeo”.
domenica 9 Gennaio 2022
Oggi ci sarà molto New York Times, in questa newsletter. La prima notizia, pubblicata molto anche sui giornali italiani perché sostanziale e associata alla sonante cifra di “550 milioni”, è che il New York Times ha comprato il sito di informazione sportiva The Athletic, concludendo una trattativa che era in corso da tempo tra progressi e rinunce. The Athletic esiste dal 2016 e nacque subito con intenzioni ambiziose, coinvolgendo centinaia di giornalisti nella copertura locale degli sport maggiori su tutto il territorio degli Stati Uniti (poi si dedicò anche al calcio europeo e al Regno Unito). L’acquisto da parte del New York Times è stato molto commentato perché con la cifra è stata comprata un’azienda che è tuttora in perdita, ma che ha 1,2 milioni di abbonati (tutti i contenuti sono a pagamento), mostrando quanto stiano diventando importanti gli investimenti – per chi può permetterseli – su promettenti capitali di abbonati paganti. Altri commenti hanno riguardato la nemesi per cui un giornale tradizionale avrebbe “conquistato” un nuovo progetto digitale piuttosto che il contrario, ma sono commenti che dimenticano sempre che il New York Times non è “un giornale tradizionale”: è il New York Times, una testata unica per qualità e potere (che si alimentano l’un l’altra), senza paragoni, prima per distacco da sempre, e usarlo come modello di cose che avverranno anche altrove è quasi sempre ingenuo.
domenica 19 Dicembre 2021
Condé Nast è il grande editore internazionale di magazine che in Italia ha una grossa presenza con le edizioni locali di Vogue, Vanity Fair, Wired, GQ, AD, Traveller e con la Cucina italiana. Tutti i brand soffrono da tempo della generale crisi dei periodici: alcuni hanno trovato sostenibilità accessorie (eventi, formazione) che hanno tolto centralità alle riviste di carta; ma soprattutto le maggiori, che furono potenze commerciali eccezionali, sono in grosse crisi e l’editore sta intervenendo con drastiche revisioni in tutta Europa e anche in Italia. Questa settimana i giornalisti del gruppo hanno protestato contro la prospettiva di licenziamento di altre due loro colleghe.
domenica 19 Dicembre 2021
Secondo un articolo del Wall Street Journal, il Washington Post sarebbe – insieme al sito Politico – la testata più preoccupata tra le molte americane che stanno vivendo un declino di attenzioni e abbonati da quando Donald Trump non è più presidente degli Stati Uniti. Gli abbonati al Washington Post – i cui successi e ritorni a ruolo di protagonista nell’informazione americana sono stati molto celebrati in questi anni – sarebbero scesi da tre milioni a gennaio a 2,7 milioni a ottobre. La necessità ora è diversificare gli argomenti attraenti, emancipandosi dalla dipendenza dalla politica: cercando anche in questo caso di imitare il New York Times che deve il grosso dei suoi nuovi abbonati nel 2021 alle sezioni dedicate ai giochi e alla gastronomia.
domenica 19 Dicembre 2021
Ha meno fama, ma anche la scelta annuale dell’Economist del “paese dell’anno” rientra tra i rituali di marketing di un giornale come “la persona dell’anno” di Time, la classifica dei miliardari di Forbes, eccetera. Quest’anno il rito ha avuto maggiori attenzioni da noi perché l’Economist ha scelto l’Italia, avendo il giornale immaginabili sintonie con la guida del governo da parte di Mario Draghi.
L’Economist è un settimanale londinese di lunga storia e grande autorevolezza (fu fondato nel 1843), noto per il suo lavoro divulgativo sull’attualità internazionale e le sue posizioni di liberismo economico che uniscono una fiducia nel sistema capitalistico di libero mercato a indirizzi progressisti su molti temi politici. Pubblica quasi soltanto articoli non firmati e omogenei nella scrittura e nell’impostazione; ha un grande pubblico di lettori abbonati in tutto il mondo di età media piuttosto alta e finora non ha investito molto in una sua identità e ruolo online; e dal 2015 il suo maggiore azionista è Exor, la società della famiglia Agnelli-Elkann che possiede anche il gruppo GEDI, l’editore di Repubblica e Stampa in Italia. La direttrice dell’Economist dal 2015 è Zanny Minton Beddoes, 54 anni, giornalista esperta di economia che è al giornale da 27 anni.
domenica 19 Dicembre 2021
Due chiari esempi alternativi e opposti, dai quotidiani di questa settimana, di pagine pubblicitarie costituite da contenuti di testo mimetizzate graficamente con quelli del giornale: una acquistata da Banca Mediolanum sul Foglio con indicazione evidente che si tratta di “pubblicità” e “informazione pubblicitaria”, l’altra (che sono due) acquistata da Sky sul Corriere della Sera senza nessuna indicazione della sua natura per chi legge.
domenica 19 Dicembre 2021
Al gruppo GEDI c’è soddisfazione per i risultati pubblicitari degli “hub”, ovvero gli spazi tematici creati trasversalmente tra Repubblica e Stampa, e tra carta e digitale, che riguardano tecnologia, moda, sostenibilità, gastronomia e salute: gli inserzionisti pubblicitari chiedono spazi in cui raggiungere un pubblico più “profilato” e interessato agli argomenti relativi, e che possano ospitare anche contenuti redazionali legati alle aspettative degli inserzionisti stessi in maniera più mimetica. La scelta pare funzionare, stando ai ricavi di questi primi mesi, proprio perché buona parte di questi progetti è governata dalle proposte della concessionaria pubblicitaria.
Nel frattempo venerdì il quotidiano Domani ha pubblicato un inserto occasionale sulla moda, evidentemente con la stessa prospettiva (le aziende di moda in particolare sono abituate a contesti e contenuti dedicati) di raccolta pubblicitaria: l’inserto godeva di due pagine pubblicitarie del marchio Moncler. Il progetto di Domani somiglia però più a quello che ha già provato a fare il Foglio (con la moda, ma anche con le auto e con la salute), ovvero creare dei contenuti di maggiore originalità e indipendenza sui temi in questione, sperando di intercettare inserzionisti di minori pretese sul contenuto (che non è facile per niente, soprattutto nel viziato business della moda, abituato a grandi condiscendenze giornalistiche).
domenica 19 Dicembre 2021
Ne avevamo scritto nelle scorse settimane: la famiglia Rothermere ha riacquistato tutte le quote del tabloid britannico Daily Mail di cui è da sempre maggiore azionista (un visconte Rothermere ne fu cofondatore nel 1896) e ha così estratto la società editrice dalla quotazione in borsa.
domenica 19 Dicembre 2021
Il Trentino Alto Adige ha una condizione unica e speciale dal punto di vista dell’informazione locale: tutte le sue maggiori testate in entrambe le lingue sono di proprietà dello stesso editore, la società Athesia posseduta da una ricca e potente famiglia altoatesina. Un anno fa l’editore ha chiuso uno dei suoi quotidiani, il Trentino: le organizzazioni dei giornalisti stanno da allora contestando quella scelta. Qualche mese fa hanno avuto una piccola vittoria giudiziaria; adesso stanno contestando il regime monopolistico della regione, e protestando contro le priorità dell’editore che ha appena acquistato un importante e lussuoso albergo sul lago di Garda.
domenica 19 Dicembre 2021
Il gruppo Athesis, che è l’editore dei quotidiani locali Giornale di Vicenza, BresciaOggi e Arena
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito Professione Reporter riferisce che nel “patto per l’innovazione” concordato tra l’editore GEDI e la redazione di Repubblica sono definiti esattamente alcuni premi di fine anno per i giornalisti, legati ai risultati sugli abbonamenti ottenuti dal giornale.
“Infine, i “premi di risultato”. Se la media degli abbonati paganti al sito e alla versione digitale del quotidiano a dicembre 2022 sarà superiore del 30,3 per cento rispetto alla media degli abbonati paganti di novembre 2021, i giornalisti otterranno trecento euro (243 netti). Se risulterà superiore del 43 per cento, 600 euro (486 netti), se superiore del 62,9 per cento, 1000 euro (810 netti). A dicembre 2023, trecento euro se gli abbonati sono superiori dell’82,4 per cento rispetto a novembre 2021, seicento euro se risultano superiori del 95,4 per cento, mille euro se risultano superiori del 115 per cento”.
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito NiemanLab, dedicato ai cambiamenti dell’informazione, ha pubblicato la sua raccolta di previsioni di fine anno sulle tendenze future immaginate da diversi addetti ai lavori: tra le molte interessanti, ce n’è una dedicata alla questione delle contiguità rischiose tra inserzioni pubblicitarie e temi delicati sui siti di news. È una questione diventata da diversi anni molto frequente, a causa della prevalenza dei banner “programmatic” sui siti di news, ovvero delle inserzioni pubblicitarie non gestite dal sito ma da una rete esterna (Google Ads per prima) che colloca le pubblicità nelle pagine con meccanismi automatici (ma il problema non riguarda solo il digitale: vedi l’incidente su Repubblica di questa settimana). Per attenuare guai e accostamenti indesiderati, molti algoritmi di pubblicazione dei banner prevedono una blacklist di parole chiave “delicate” a cui gli inserzionisti non vogliono essere associati. Ma sono criteri poco duttili e finiscono per escludere pagine e articolo di qualità dagli investimenti pubblicitari, mentre nel frattempo gli stessi investimenti spesso raggiungono siti di disinformazione e contenuti pericolosi. L’auspicio del capo di NewsGuard – una società che si occupa di verificare la credibilità dei siti di news – è che gli inserzionisti sostengano la buona informazione badando più alla qualità delle testate che sostengono che non agli argomenti dei singoli articoli.
domenica 19 Dicembre 2021
Malgrado le formule sulla “indipendenza dal potere” o sul “controllo del potere” dei giornali siano di solito retorica promozionale (il potere è sempre quello degli altri: i giornali sono in realtà un potere enorme a loro volta, spesso superiore a quelli più ufficiali), questa è una piccola vicenda di letterale e concreta “indipendenza da un potere”, oppure all’opposto di mancato rispetto delle esigenze di rettifica. La Corte Costituzionale ha diffuso un comunicato per smentire un articolo del quotidiano Libero, lamentandosi che Libero non ospitasse la sua richiesta di correzione.
“È quanto fa sapere l’Ufficio stampa della Corte costituzionale, anche per rettificare l’errata informazione pubblicata al riguardo dal quotidiano Libero, con un articolo di Antonio Mastrapasqua del 3 dicembre, dal titolo “Gli uffici dello Stato ostaggio degli emeriti”. Rettifica chiesta al Direttore responsabile di Libero il 3, il 7 e il 13 dicembre, senza mai aver avuto risposte di alcun tipo”.
domenica 19 Dicembre 2021
Dopo lo svelamento delle pratiche di corruzione di alcuni “influencer” da parte del regime dell’Arabia Saudita per ottenere promozione delle proprie iniziative, questa settimana un articolo del New York Times ha raccontato simili pratiche adottate dalla Cina. Non fidatevi dei video promozionali su come si viva bene in Cina e su come le accuse al regime comunista siano infondate, insomma.
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito britannico sul business giornalistico PressGazette ha indagato sui tentativi di Google di introdurre il suo progetto “Showcase” anche negli Stati Uniti, e sulle difficoltà che sta incontrando. Showcase è il sistema inventato da Google per offrire dei compensi alle aziende giornalistiche purché queste non avanzino maggiori pretese sull’uso da parte di Google dei loro contenuti sui suoi motori di ricerca: nella pratica è uno spazio piuttosto insignificante all’interno di Google News in cui gli articoli dei siti coinvolti godono di una visibilità ulteriore; ma il suo senso è quello di far decidere a Google i termini di un accordo che altrimenti potrebbe essere più oneroso se i giornali proseguissero il lavoro di lobbying presso governi e parlamenti per stabilire regole sull’uso dei loro articoli. Il progetto finora ha funzionato in molti paesi (Italia compresa) in cui Google ha concluso accordi triennali di varie entità con i diversi editori di giornali: ma a quanto spiega PressGazette le testate americane (negli Stati Uniti Showcase dovrebbe essere introdotto l’anno prossimo, dopo un primo rinvio) non si stanno facendo convincere per niente, contestando la misura delle offerte economiche di Google, ritenendo di poter ottenere regolamentazioni più vantaggiose in futuro, e percependo l’irrilevanza di Showcase come strumento di promozione dei loro contenuti.
domenica 19 Dicembre 2021
I titoli degli articoli, o i loro equivalenti contemporanei, le “anteprime” sui social network (spesso coincidono), sono più che mai il principale formato di informazione delle persone sulle cose del mondo: ancora di più in questi anni di “bombardamento di informazioni” in cui è dimostrato che sempre più spesso leggiamo solo i titoli degli articoli (e spesso li commentiamo persino, senza leggere gli articoli, come ha notato Twitter), e anche che spesso le informazioni contenute nei titoli prevalgono su quelle contenute negli articoli, quando c’è una discrepanza.
La scrittura dei titoli, nelle redazioni, è affidata a giornalisti che si occupano della “macchina” del giornale, non a chi abbia scritto l’articolo: questo perché ci vuole una capacità speciale nel condensare in poco spazio due funzioni maggiori dei titoli, ovvero sintetizzare fedelmente la notizia o il tema maggiore dell’articolo, e farlo in maniera attraente perché il lettore sia motivato a leggerlo. Le esigenze dell’informazione digitale, e del passaggio dall’anteprima (sulle homepage, o sui social network, o su Google) alla pagina dell’articolo per ottenere ricavi pubblicitari, hanno sbilanciato le priorità verso la seconda: portare il lettore sull’articolo, anche sacrificando la fedeltà alla notizia (alle estreme conseguenze: il cosiddetto clickbait).
Alcune testate in tutto il mondo si fregiano di mantenere un rigore nella costruzione dei propri titoli, in modo che mantengano fedeltà e chiarezza, anche a scapito dell’originalità e dell’attrattiva (è una critica che ricevono alcuni titoli del Post, a volte didascalici fino al rischio della noia): questa settimana ne ha scritto la giornalista che svolge la funzione di “public editor” esterno di NPR, il sito della radio pubblica statunitense, citando alcuni esempi criticati dai lettori (è interessante per esempio il conflitto di scelte in un articolo intitolato “Negli Stati Uniti la democrazia è in declino, ma non ci sono solo cattive notizie, dice una ricerca”: privilegiare l’allarme sul declino di partecipazione democratica senza attenuarlo con la seconda frase, oppure offrire anche un dato meno pessimista aggiungendo la frase stessa?).
“Se siete dei consumatori di news su un apparecchio digitale, è probabile che siate stati attratti da un titolo ingannevole. Alcune testate giornalistiche ne hanno fatto un’arte. Tutte quante, a un certo punto, inciampano nel desiderio di attrarre attenzioni e producono un titolo bugiardo o due.
NPR, governata dalla sua missione di creare un pubblico più informato, è tra le redazioni meno suscettibili di impiegare queste pratiche truffaldine. E malgrado questo, non passa una settimana senza che riceviamo qualche tipo di lamentela su un titolo.
Immaginiamo che almeno una parte di coloro che scelgono di informarsi su NPR lo faccia perché ha delle aspettative alte. Alcune di queste aspettative possono essere incentivate dal fastidio che abbiamo vissuto tutti dopo aver dedicato il nostro tempo a un articolo su qualche altra testata che ci ha deluso”.
domenica 19 Dicembre 2021
Era stato il tema del “prologo” della prima edizione di Charlie, un anno e mezzo fa. Carla Craba, una studentessa del corso di Economia dei media all’Università di Bologna tenuto dal professor Lucio Picci che ha spesso usato questa newsletter durante le lezioni, ha usato le scorse 12 edizioni della newsletter stessa (che quindi non è esente, come variabile del risultato) per calcolare “il numero di uomini e di donne menzionati (tra i professionisti del settore coinvolti a vario titolo – giornalisti, editori, eccetera – ed escludendo gli altri – per esempio i politici talvolta citati, o gli industriali, se non anche editori)”. Tra gli stranieri il rapporto è di 21 uomini contro 13 donne; tra gli italiani è di 58 contro 5.
domenica 12 Dicembre 2021
Charlie andrà in vacanza per le feste e non arriverà domenica 26 dicembre e domenica 2 gennaio, ricordiamo.
domenica 12 Dicembre 2021
Venerdì è stato consegnato a Oslo il premio Nobel per la Pace a due giornalisti – una filippina e uno russo – per i loro impegni nell’informazione contro i governi autoritari dei loro rispettivi paesi: il settimanale americano New Yorker la settimana precedente aveva pubblicato un approfondito articolo che racconta il giornale del giornalista russo premiato, Novaya Gazeta (che era stato il giornale di Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006).
domenica 12 Dicembre 2021
La società editrice americana Lee Enterprises – che pubblica molti quotidiani – ha deciso di respingere definendola del tutto inadeguata l’offerta di acquisto da parte del fondo Alden: l’offerta era diventata una notizia nel mondo dell’informazione americana perché il fondo Alden è diventato quest’anno il nemico pubblico numero uno dei giornali già in difficoltà, adottando pratiche di acquisizione e smembramento che hanno già fatto chiudere o ridimensionare molte testate di altri gruppi acquistati.
Il Washington Post ha comunque ricordato come la stessa Lee Enterprises sia stata responsabile di estesi tagli nelle testate di sua proprietà negli scorsi anni.
domenica 12 Dicembre 2021
E parlando ancora di screditati tabloid britannici, il quotidiano Sun – il maggior concorrente del Daily Mail, di proprietà di una società di Rupert Murdoch – risarcirà l’attrice Sienna Miller dopo una vicenda giudiziaria collegata al grande scandalo che portò persino alla chiusura del più senza scrupoli dei tabloid, News of the World, che ebbe al centro soprattutto sorveglianze telefoniche illecite di personaggi celebri e vittime di casi di cronaca da parte del giornale. Ma la stessa Sienna Miller – di cui il Sun raccontò vicende private legate alla sua gravidanza, ottenendo a suo dire informazioni riservate in modi illegali – ha detto fuori dal tribunale di essere stata costretta ad accettare il risarcimento e rinunciare a un processo contro l’editore del Sun, cosa che avrebbe preferito:
“Non ho scelto io di essere qui oggi: io volevo andare a processo. Volevo denunciare l’essenza criminale di questa azienda, dimostrata chiaramente e irrevocabilmente dalle prove che ho visto. Volevo rivelare i segreti del News Group come loro hanno rivelato i miei.
Purtroppo, questa strada giudiziaria non è accessibile per me o per chiunque non abbia milioni di sterline da spendere per ottenere giustizia. Funziona così. Finché qualcuno non potrà opporsi ai Murdoch con i loro stessi infiniti mezzi, ho solo queste parole. E sono la verità”.
domenica 12 Dicembre 2021
Circa quindici anni fa, in una fase iniziale dello sviluppo sul web dei giornali italiani, qualcuno creò l’espressione “boxino morboso” (con la variante “colonnino morboso”) per definire quello spazio che i siti dei suddetti giornali introdussero per ospitare contenuti di bassa qualità capaci di attrarre curiosità e click da parte degli utenti di passaggio sulle loro homepage: gossip, notizie a sfondo sessuale, goffaggini sportive, video di gattini, eccetera. Più tardi quel genere di contenuto traboccò in altre parti delle homepage – influenzando criteri e scelte delle redazioni – e il boxino morboso divenne meno un’eccezione definita.
Per curiosi e filologi anche nel Regno Unito quello spazio ha un nome: “la colonna della vergogna”, ed è associato espressamente al sito del Daily Mail.
domenica 12 Dicembre 2021
Non fossero bastate le altre vicissitudini del Daily Mail che avevano attratto le curiosità dei media britannici nelle scorse settimane (qui il riassunto), questa settimana si è dimesso Martin Clarke, responsabile da tredici anni del sito del giornale (MailOnline), ovvero di uno dei più grandi successi commerciali nell’informazione digitale mondiale: il sito del Daily Mail, con la sua ricchissima offerta di notizie di alterne qualità, di gossip sulle celebrities e sulla famiglia reale, di contenuti frivoli, scandalismo e caos grafico, ha trasformato la testata da un prodotto britannico a un leader internazionale in termini di traffico (“He took a small site that republished content from the Daily Mail and Mail on Sunday print newspapers and turned it into an aggressive global tabloid with an enormous audience attracted by tales of celebrity and scandal”, sintetizza il Guardian).
Le dimissioni di Clarke non hanno avuto finora una spiegazione chiara (le ipotesi maggiori sono che voglia capitalizzare meglio in proprio le sue competenze e i suoi successi), ma a quanto pare sono state in questo caso una sua scelta autonoma, a differenza dei cambiamenti che le avevano precedute. Il Daily Mail è tuttora controllato dagli eredi dei suoi fondatori, la potente e aristocratica famiglia Rothermere.
domenica 12 Dicembre 2021
In questi ultimi anni le difficoltà economiche dei giornali e il declino dei ricavi pubblicitari hanno reso i giornali molto più deboli nella loro autonomia ed è cresciuto così molto lo spazio dedicato alle “marchette”: le aziende desiderano comprensibilmente essere promosse sul giornale in modo credibile, e chiedono che la natura “promozionale” degli articoli non sia indicata, ottenendolo molto spesso. Ne ha parlato il direttore di Domani Stefano Feltri in un’intervista al sito Professione Reporter ricordando come l’Ordine dei Giornalisti proibisca teoricamente queste attività:
“Poi l’Ordine dovrebbe stigmatizzare le degenerazioni che sviliscono la professione per tutti. Per esempio, se l’Ordine dicesse: le pagine redazionali dei giornali che sono solo ignobili ‘marchette’ non le può firmare un iscritto all’Ordine dei giornalisti, ma lo fa un’altra figura, un responsabile del marketing, dell’azienda o altro. Secondo me andrebbe detto che questa cosa non sta bene, che un giornalista non fa certe cose, non firma la pubblicità. E se lo fa viene sospeso o gli viene fatto un richiamo. Non è proprio possibile che l’Ordine si occupi soltanto di Vittorio Feltri quando dice le parolacce, è una visione un po’ riduttiva”.