Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 13 Febbraio 2022
La grande società di media, editoria digitale ed entertainment che si chiama IAC (posseduta da Barry Diller, uno dei più ricchi e noti imprenditori ed editori americani, che ha 79 anni), che aveva comprato l’azienda editoriale Meredith e le sue testate quattro mesi fa, ha deciso che dismetterà la stampa su carta di alcuni noti periodici statunitensi: tra questi la rivista di moda InStyle e il settimanale (da tre anni divenuto mensile) Entertainment Weekly, quest’ultimo uno dei più importanti periodici dedicati allo spettacolo (una specie di Sorrisi e Canzoni americano, fatte le dovute proporzioni tra l’offerta di spettacolo, musica e cultura pop americana e quella italiana). 200 posti di lavoro saranno eliminati.
domenica 13 Febbraio 2022
Le “accoppiate” di inserzioni pubblicitarie trasparenti e contenuti giornalistici dedicati all’inserzionista sono ormai legittimate estesamente sui quotidiani maggiori: come diciamo spesso, sono violazioni di etiche e di regole scritte che si spiegano con la vulnerabilità economica dei giornali e col crescente potere che le concessionarie di pubblicità hanno nelle scelte redazionali (l’esempio più palese è la assoluta mancanza di indicazioni della natura promozionale delle sezioni che Repubblica e Corriere della Sera chiamano “Le Guide” o “Eventi”). Questa settimana tra i casi più vistosi ci sono state le interviste di sabato all’amministratore delegato della banca Illimity a poche pagine di distanza dalle inserzioni pubblicitarie della stessa banca su Corriere della Sera e Sole 24 Ore (il gruppo GEDI ha scelto di intervistarlo sulla Stampa pubblicando le inserzioni su Repubblica): inserzioni e interviste dedicate allo stesso prodotto. Giovedì il Corriere della Sera aveva celebrato nelle pagine dell’Economia i risultati della banca Fineco, assiduo inserzionista negli stessi giorni.
domenica 13 Febbraio 2022
Il direttore di Libero ha pubblicato in prima pagina le ragioni di una scelta piuttosto inconsueta nei quotidiani italiani, che invece abbiamo visto molto nella stampa anglosassone negli ultimi anni, come risultato di una maggiore attenzione e severità verso i comportamenti e le dichiarazioni dei propri giornalisti sui social network e fuori dai rispettivi giornali. Ovvero la decisione di interrompere un rapporto di collaborazione e di annunciarlo ai lettori.
La ragione, per Libero, è stato un messaggio su Twitter di un suo giornalista che alludeva alle note immagini delle “bare di Bergamo” all’inizio della pandemia, nel 2020, come se si fosse trattato di un’invenzione.
“È vero che i contenuti dei social personali dei giornalisti non ricadono sotto il controllo del direttore, ci mancherebbe altro. Ma è anche vero che il giornalista, con la sua faccia e la sua firma, è un pezzo dell’immagine del giornale su cui scrive, della sua autorevolezza e della sua credibilità. Per cui non posso permettere che neppure per un secondo e neppure per sbaglio e nemmeno per un fraintendimento tra social privati e aziendali un nostro lettore o chiunque altro possa essere sfiorato dal dubbio che qui a Libero si pensi che quel convoglio di camion sia stata una cinica messa in scena […] Per questo ho chiesto all’azienda la sua immediata sospensione, saranno gli avvocati a decidere il resto ma nessuna carta bollata potrà assemblare i cocci”.
domenica 13 Febbraio 2022
Un’altra storia delicata che sta circolando molto nel mondo dei media americani riguarda ancora degli errori compiuti diversi anni fa e oggi arrivati al pettine: in questo caso non in un tribunale, ma nel podcast di una giornalista, Vicky Ward, che ha raccontato che una sua precoce traccia (era il 2003) sugli abusi criminali di Jeffrey Epstein fu accantonata dall’allora direttore di Vanity Fair Graydon Carter, che scelse di non pubblicare le prime accuse di molestie sessuali contro Epstein raccolte allora da Ward. Secondo Ward una combinazione di complicità maschile tra uomini potenti e timore delle conseguenze spinse Carter (un’istituzione nella storia di Vanity Fair e della mondanità statunitense, direttore dal 1992 al 2017) a non dare seguito alle ipotesi di Ward, che aveva parlato con due vittime di Epstein.
Dopo la ricostruzione di Ward nel suo podcast, il New Yorker (settimanale che appartiene allo stesso gruppo editoriale di Vanity Fair, Condé Nast) ha dedicato un articolo a indagare e verificare le accuse di Ward contro Carter, presentandole come confuse e contraddittorie e di fatto assolvendo l’ex direttore e indicando Ward come una giornalista sulla cui affidabilità c’erano molti dubbi all’interno del giornale. Ward ha risposto nella sua newsletter con un lungo testo indignato (che allude ancora a complicità maschili, ma anche a complicità aziendali) che ha riportato molte delle conversazioni avute tra lei, Carter ed Epstein intorno alle accuse poi taciute nel suo articolo del 2003. E una nuova newsletter, venerdì, che sostiene che la ricostruzione del New Yorker finisca in realtà per darle ragione.
A margine della sostanza del contendere, sono interessanti le riflessioni di Ward sulla difficoltà di ricostruire con certezza ed esattezza i dettagli di cose avvenute quasi vent’anni fa, e di come gli umanissimi dubbi della memoria possano essere usati contro chi li confessa.
domenica 13 Febbraio 2022
È in corso un interessante processo contro il New York Times per una denuncia presentata da Sarah Palin, ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti per il partito Repubblicano. Nel merito c’è accordo tra querelante e querelato: in un editoriale del 2017 il New York Times accusò Palin di avere contribuito a incentivare azioni terroristiche violente contro i membri del parlamento (compreso l’attentato del 2011 contro Gabrielle Giffords), attraverso sue campagne e messaggi descritti in modo errato nell’articolo. Dopo le proteste il giornale corresse l’editoriale, segnalando l’errore in coda, ma Palin presentò lo stesso una denuncia per diffamazione. Durante le udienze di questi giorni stanno emergendo molte questioni significative sul funzionamento dei giornali: la principale è la contraddizione quotidiana tra i tempi immediati di pubblicazione e la necessità di verifiche attente. In quel caso l’editoriale seguiva un nuovo attentato e il giornale ritenne che non potesse essere rimandato, e il difetto di memoria del suo autore non ebbe il tempo di essere verificato e corretto.
domenica 13 Febbraio 2022
La newsletter Ellissi di Valerio Bassan ha ripreso una questione accennata nell’intervista della settimana precedente col direttore del Post e ha approfondito le considerazioni su fragilità e ingannevolezza dei numeri degli abbonamenti digitali ai giornali (citando un’altrettanto utile e chiara analisi della newsletter di Lelio Simi, altro esperto di media e innovazione).
“Per misurare il successo di un’azienda subscription-based
Il numero di subscriber attivi totali;
Il ricavo medio per utente pagante o per abbonato (ARPPU/ARPS), di cui ti ho parlato sopra;
Il customer lifetime value (CLTV), ovvero il valore generato dall’utente nel corso della sua lifetime, del suo ciclo di vita come cliente dell’azienda.
Di solito quando un giornale o una piattaforma annunciano il proprio numero di subscriber, quasi mai rivelano la propria ARPPU, il che rende pressoché impossibile capire il reale valore di ciascun abbonato – pardon, abbonamento – attivo.
Questo rende arduo capire anche chi tra Netflix, Amazon, Disney e compagnia stia vincendo la sanguinosa ‘guerra dello streaming’.
Il numero totale dei subscriber, dunque, è ancora un indicatore dello stato di salute di una media company o di una piattaforma video?
Sì, ma omette un pezzo fondamentale della storia, visto che un +25% di abbonati non corrisponde mai a un +25% di profitti.
Se il numero dei subscriber attivi è il termometro posto all’ingresso del supermercato, l’ARPPU è il saturimetro: ci dice quanto ossigeno c’è in un dato momento nel sangue di una azienda.
Per questa ragione è di gran lunga il dato più importante: non solo perché ci aiuta nella diagnosi, ma anche perché ci permette di prevedere meglio cosa succederà in futuro”.
domenica 13 Febbraio 2022
La nuova direttrice del Washington Post Sally Buzbee ha annunciato con una lettera interna ma resa pubblica che nel 2022 il giornale assumerà 70 persone nella redazione più altri dipendenti per ruoli nel marketing. Nella lettera indica esplicitamente alcune aree su cui il giornale vorrà investire di più, ovvero “salute e benessere”, ambiente e clima, tecnologia; e anche maggiori risorse e attenzioni fuori da Washington, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.
Il Washington Post è in un’ambiziosa fase di crescita da alcuni anni, grazie agli investimenti del suo editore Jeff Bezos (che lo ha acquistato nel 2013) e a una lungimirante attenzione sugli sviluppi e l’innovazione nell’informazione e nei suoi modelli di business.
domenica 13 Febbraio 2022
I fronti di contesa maggiori in tutto il mondo sono due, ricordiamo: uno è quello che riguarda l’uso dei contenuti dei siti di news da parte di Google sui suoi motori di ricerca e servizi; l’altro è quello dell’essersi Google impadronito (al pari di Facebook) di una quota prevalente degli investimenti pubblicitari, sottraendoli così alle aziende giornalistiche e alle loro concessionarie di pubblicità. E controllandone funzionamenti e meccanismi a proprio favore.
Sulla prima questione il combattimento è stato per ora risolto grazie alla scelta di Google di pagare i maggiori gruppi editoriali mondiali (ma anche molti minori) per la loro rinuncia a pretese maggiori: soprattutto attraverso il progetto Showcase.
La seconda questione ha a sua volta due fronti aperti: uno è quello generale del potere sproporzionato di Google nel convogliare verso di sé investimenti e ricavi, su cui gli editori in molti paesi stanno aprendo confronti legali in nome soprattutto di violazioni della concorrenza; l’altro è il coltello dalla parte del manico che Google ha nel controllo dei dati degli utenti attraverso il potere e la diffusione del suo browser Chrome, e delle tecnologie relative ai cookie che raccolgono quei dati. Su queste tecnologie Chrome sta introducendo limitazioni che spaventano molto i business online basati sulla pubblicità e anche molte aziende giornalistiche.
Nei giorni scorsi sono successe due cose nuove, aggregate insieme in questo articolo del sito PressGazette: un consorzio di editori di giornali europei ha annunciato di voler denunciare Google alla Commissione Europea per pratiche contro la libera concorrenza, e Google ha acconsentito a sottoporre all’approvazione dell’autorità britannica sulla concorrenza le novità che introdurrà sui cookie.
domenica 13 Febbraio 2022
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a dicembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo mese piccoli inconsueti recuperi rispetto al mese precedente da parte di alcuni quotidiani nazionali (su cui possono influire anche variabili occasionali, come il numero maggiore di giorni festivi): ma si fa notare solo il calo maggiore del Sole 24 Ore.
Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti salvo un piccolo guadagno per il Messaggero (che però era andato molto male a dicembre 2020), e di nuovo con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 18% in un anno (staccando ormai di molto il suo rivale Libero e superando il Giornale, ma il dato è ancora discutibile, come diciamo sotto). A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche Avvenire e il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 27% delle copie il Giornale. Anche il Fatto ha iniziato a ridimensionare i successi del 2020. Tutte tendenze simili a quelle del mese passato.
Come sempre vale la pena considerare un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi”, per avere un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Ottenendo questi numeri, e il risultato migliore per il Corriere della Sera, rispetto a novembre:
Corriere della Sera 186.512
Repubblica 136.121
Stampa 88.568
Resto del Carlino 66.287
Sole 24 Ore 66.177
Messaggero 56.790
Fatto 47.583
Nazione 44.447
Gazzettino 39.361
Giornale 33.317
Notevoli sono il “sorpasso” del Resto del Carlino sul Sole 24 Ore, e il distacco mantenuto dal Giornale sulla Verità, che nel suo totale dichiara una quota assai maggiore di copie digitali scontatissime.
Altri giornali nazionali:
Verità 30.625
Libero 20.402
Avvenire 16.634
Manifesto 12.836
ItaliaOggi 9.743
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che spiegano le discrepanze tra i due conti – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70% del prezzo: 45mila e 35mila, dietro di loro c’è Repubblica con 10mila.
– il numero di copie cartacee dichiarate dal Fatto è ormai stabilmente inferiore a quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 62mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, 21mila, in gran parte digitali.
– delle 22mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora Avvenire, Messaggero, S
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” (ovvero duplicati nel conteggio totale) sono Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
– la Stampa indica un numero molto rotondo di “copie digitali individuali” a prezzo superiore al 30% (10.000) frutto probabilmente di un’approssimazione occasionale.
Ricordiamo che per tutte le testate sono considerate copie digitali vendute anche tutte quelle che vengono vendute a un prezzo scontato fino al 70%.
(Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 13 Febbraio 2022
È arrivata anche sui quotidiani italiani una storia di truffe americane che ha un riflesso anche su dei meccanismi contemporanei e discussi di alcuni siti di news. La storia è l’arresto con l’accusa di avere progettato una truffa legata ai bitcoin di una donna con eclettiche attività, tra cui quella di “collaboratrice” del sito di Forbes, la rivista finanziaria di grande fama internazionale. Fama che ormai è molto immeritata, come ha spiegato un articolo sul sito NiemanLab, perché Forbes ha perso grande parte del suo credito diventando il contenitore di molte cose di bassa qualità e poche garanzie di affidabilità, soprattutto per avere scelto anni fa di offrire spazi gratuiti online a migliaia di autori diversi, non retribuiti e con nessun controllo su ciò che pubblicano. Questa opportunità, che Forbes usa per ragioni di numeri e traffico, ha creato un grande mercato di articoli promozionali che gli autori vendono a chi desideri poter dire o scrivere di essere stato “citato da Forbes” per la propria azienda, il proprio nome o il proprio prodotto. La persona arrestata era uno di questi autori.
L’articolo di NiemanLab ricorda come questo meccanismo sia stato sfruttato per primo e con grande dispiego di “blogger” soprattutto dallo Huffington Post, che però ha eliminato quattro anni fa tutti i blog non retribuiti. Lo HuffPost italiano oggi ne ospita un centinaio, ma sono quasi tutti assegnati ad autori in qualche modo qualificati o noti (il Post adottò nei suoi primi anni una scelta simile per un numero molto più esiguo di autori scelti e verificati, che oggi sono quasi tutti retribuiti).
domenica 6 Febbraio 2022
Su Charlie ci ripetiamo spesso a proposito dell’inefficacia dei contributi pubblici diretti ai giornali: che si definiscono destinati al “pluralismo” e in questo senso aumentano certamente la pluralità di testate esistenti, ma inevitabilmente non possono valutare la qualità del servizio informativo di quelle testate, che è ciò che sarebbe nell’interesse della comunità e dello Stato. Il pluralismo senza una qualità di informazione serve quindi a poco: e quei soldi finiscono per sovvenzionare una buona informazione solo casualmente e parzialmente, e altrettanto casualmente ne sovvenzionano di cattiva.
Ma c’è un altro aspetto “distorsivo” nell’erogazione dei contributi diretti a cui abbiamo accennato, e che in queste settimane ha un esempio palese e comprensibile. Dal momento che i criteri per accedere ai contributi possono essere in buona parte soddisfatti attraverso la creazione di strutture formali (cooperative, soprattutto) che non cambiano la natura societaria delle aziende giornalistiche, la differenza di condizione tra alcune testate che vengono finanziate e altre che invece no è inesistente, e questo crea una discriminazione di fatto alla libera concorrenza. Prendete la vivace competizione che si sta sviluppando tra i quotidiani italiani di destra, con Libero che cerca di rincorrere i recenti successi della Verità, e un gran lavoro di entrambi nel convincere gli inserzionisti a preferire l’uno o l’altro: bene, in questa competizione lo Stato – e le persone che pagano le tasse, e il canone Rai – dà a Libero cinque milioni e mezzo di euro che la Verità non riceve. E lo stesso si può dire degli altri giornali che si possono permettere grazie ai contributi pubblici investimenti sui contenuti o sulla promozione, sottraendo lettori a chi quei contributi non li riceve (in Trentino-Alto Adige c’è un quasi monopolio dell’informazione, ricco e potente: ed è ampiamente sovvenzionato dallo Stato). Se è vero, come è vero, che tra le testate beneficiarie ce ne sono che rispondono correttamente ai criteri richiesti, o che producono informazione utile alla comunità, e se è vero, come è vero, che è purtroppo illusorio pensare di azzerare il groviglio di interessi e spartizioni politiche e clientelari che è alla base della attuale distribuzione, bisognerebbe almeno ridurre il peso – assai maggiore – dei suoi effetti negativi: stabilendo per esempio un limite, tra l’1 e il 2% del totale, alle contribuzioni per ciascuna testata beneficiata.
Fine di questo prologo.
domenica 6 Febbraio 2022
Con un lapsus così freudiano dall’aver fatto sospettare molti lettori di Charlie che ci fosse una intenzione deliberata di fare gli spiritosi (grazie, ci sopravvalutate), la settimana scorsa questa newsletter ha titolato la sua ultima notizia “Gli errori capitano” e ha poi riferito di un incidente al “Giornale di Vincenza”. Un involontario eccesso di solidarietà coi colleghi vicentini di cui ci scusiamo col resto della penisola.
domenica 6 Febbraio 2022
La newsletter Ellissi, dedicata “all’intersezione tra media, business, marketing e strategia digitale”, ha intervistato il direttore del Post Luca Sofri, su bilanci degli ultimi anni e sviluppi dei prossimi.
“è la qualità del contenuto a fare la differenza, non il formato. Morning è un successo più per la bravura di Francesco [Costa, ndr] che per il fatto di essere un podcast in sé. La strategia sarà replicabile, quindi, solo se avremo delle buone idee su cui lavorare. La scelta del formato – newsletter? Podcast? Qualcos’altro? – per noi avviene a valle e non a monte”.
domenica 6 Febbraio 2022
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato un rapporto sui “bilanci dell’editoria quotidiana e periodica” per gli anni 2016-2020. È un documento interessante che si può leggere qui, e che indica tra le altre cose che:
– “l’andamento aggregato dei ricavi delle principali imprese operanti nel settore dell’editoria quotidiana e periodica, registra una riduzione complessiva del 27,2% passando 4,51 a 3,28 mld. di €, con una contrazione media annua del 7,6%. I ricavi domestici mostrano una flessione del 14,0% riducendosi, corrispondentemente da 3,43 a 2,95 mld. di €.”
– “i proventi editoriali rappresentano il 40,1%, seguiti dai ricavi pubblicitari per il 29,2% e da quelli attribuibili all’editoria libraria che pesano per il 14,4%. Nel quinquennio considerato, gli introiti pubblicitari sono quelli che hanno sofferto maggiormente della crisi (-30,1% nel periodo), mentre l’andamento dei proventi da editoria libraria sono risultati maggiormente stabili, con una flessione limitata al 6%. Va tuttavia sottolineato che i tre comparti principali (ricavi editoriali, ricavi pubblicitari e ricavi da editoria libraria) registrano nell’ultimo anno una perdita complessiva pari al 13,1%”.
– “Nel periodo considerato, gli addetti delle principali imprese del settore si sono ridotti complessivamente di oltre 2.000 unità (-11,4%), passando da un totale di 13.000 addetti nel 2016 a 11.000 nel 2020. Nel 2020, la flessione su base annua, circa 400 unità, è attribuibile principalmente alle riorganizzazioni aziendali poste in essere dai gruppi GEDI e Mondadori”.
domenica 6 Febbraio 2022
Per quello che valgono – in termini di notizia – queste continue esibizioni di numeri di abbonati da parte delle stesse testate, il New York Times ha annunciato di avere raggiunto il numero di dieci milioni, aiutato dall’acquisizione del sito The Athletic.
domenica 6 Febbraio 2022
Ai vari errori e incidenti ordinari che capitano nel lavoro di una redazione, internet ne ha aggiunto uno, frutto delle disintermediazioni e della peraltro preziosa autonomia dei giornalisti: la pubblicazione-per-sbaglio. Basta un clic e articoli non ancora pronti o non controllati finiscono online e anche nei pochi secondi prima che si possa rimediare vengono letti da migliaia di persone. Oppure sono articoli preparati per un’eventualità possibile (primi tra tutti i necrologi di persone famose e malate o anziane), che diventano come un’arma a cui è tolta la sicura. A volte sono cose indolori, altre volte il risultato genera maggiori imbarazzi e maggiori agitazioni tra gli interessati, come con il sito di Bloomberg che sabato ha pubblicato queste scuse:
“Prepariamo titoli per molti scenari e il titolo “La Russia invade l’Ucraina” è stato pubblicato inavvertitamente intorno alle 16 di oggi sul nostro sito. Ci dispiace profondamente dell’errore. Il titolo è stato rimosso e ne stiamo indagando la causa”.
domenica 6 Febbraio 2022
Valigia Blu ha raggiunto ancora, anche quest’anno, l’obiettivo che si era data di raccolta di contributi da parte dei suoi lettori. Valigia Blu è un sito di news nato come emanazione del Festival del Giornalismo di Perugia ma che da anni si è preso uno spazio e una visibilità online raccogliendo apprezzamenti legati soprattutto al lavoro di verifica e “debunking” delle notizie false, alle riflessioni sull’informazione e al “giornalismo esplicativo”. Si sostiene con i contributi dei lettori, promuovendo ogni anno campagne puntuali di contributo.
domenica 6 Febbraio 2022
Proseguendo l’investimento sui giochi che ha dato straordinari risultati nel coinvolgimento di nuovi abbonati, il New York Times ha comprato Wordle, il gioco online con le parole che aveva avuto un grande successo “virale” nelle passate settimane.
domenica 6 Febbraio 2022
Enrico Mentana, che ha creato il giornale online Open tre anni fa, tenendo una posizione di “fondatore” sul giornale che non ha un direttore da quasi un anno, ha comunicato sui social network che Open – da cui erano andati via alcuni giornalisti – ne assumerà quattro nuovi, invitando a mandare curriculum fino al venerdì passato. Intanto il mese scorso David Puente è diventato vicedirettore.
domenica 6 Febbraio 2022
Dopo i già delicati e mal digeriti aumenti del prezzo nel weekend, Repubblica ha comunicato che il giornale costerà di più anche nei giorni feriali: da 1,50 a 1,70 euro.
domenica 6 Febbraio 2022
Negli Stati Uniti continua il dibattito sulla necessità di sostenere i giornali “locali” (che ricordiamo negli Stati Uniti essere quasi tutti) con degli interventi pubblici e sui rischi connessi. Tra gli sviluppi più recenti c’è l’intervenuto timore che le sovvenzioni sia pubbliche che di grandi fondazioni private si indirizzino in maniera conservatrice (“salvare” i giornali esistenti piuttosto che incentivarne nuovi) verso città e aree con comunità abituate a essere più servite dall’informazione, piuttosto che verso quelle già tradizionalmente poco informate. Differenza che si tradurrebbe in informazione di maggior qualità garantita alle città con un elettorato più progressista e Democratico, e di cui resterebbero private le zone a elettorato più di destra o trumpiano, abituate a essere informate solo dai network televisivi e da Fox in particolare.
Un’altra notizia interessante è una proposta di legge californiana per contributi che siano basati su un esame di progetti di informazione di servizio pubblico, e che uno dei criteri principali sia che i giornali sovvenzionati garantiscano accessibilità a tutti, senza limiti o paywall, e anche che i progetti giornalistici sovvenzionati siano liberi da diritti in modo che possano essere condivisi e diffusi il più possibile. Scelta che attenuerebbe il rischio, di cui si è parlato molto, che i beneficiari dell’informazione di qualità siano solo coloro che sono in grado di pagarla.
domenica 6 Febbraio 2022
C’è una contesa info-diplomatica tra Russia e Germania. L’ente tedesco che assegna le concessioni alle frequenze televisive ha deciso la chiusura della versione tedesca di Russia Today, l’ambiziosa e famigerata rete televisiva russa che funziona in gran parte come strumento di propaganda del regime russo e di diffusione di notizie false. Secondo l’ente tedesco le trasmissioni – iniziate a dicembre – non hanno le autorizzazioni di legge. Russia Today era stata accusata nelle settimane passate di disinformazione sul coronavirus.
Per ritorsione il governo russo ha annunciato che chiuderà gli uffici della tv pubblica tedesca Deutsche Welle.
domenica 6 Febbraio 2022
A seguito di altre minori perdite di controllo e di trasparenza sui contenuti pubblicitari online, c’è stata una contestazione interna a Repubblica, riferisce il sito Professione Reporter. Ma la protesta che viene citata sembra segnalare più una contesa tra la redazione e chi si occupa del sito e dei social network, piuttosto che notare un problema deontologico che riguarda più visibilmente le stesse pagine del giornale.
“Cari colleghi – scrivono i redattori degli Interni al Cdr – in allegato troverete dei post e articoli pubblicati sui nostri social e sul nostro sito. Sono contenuti che confondono i lettori, con poco giornalismo e molta pubblicità, e che dequalificano il nome, il marchio “Repubblica”. Li riteniamo deontologicamente scorretti e oltretutto, temiamo, anche passibili di provvedimenti esterni proprio per la confusione e commistione che generano. Stiamo assistendo da tempo a un decadimento qualitativo e informativo dei contenuti che vengono pubblicati sui social (e anche sul sito), ma qui siamo di fronte a réclame vere e proprie”.
domenica 6 Febbraio 2022
Le citiamo meno spesso su Charlie, ma le sovrapposizioni e confusioni tra articoli giornalistici e articoli promozionali sui quotidiani continuano a essere molto frequenti, e a mostrare la perdita di autonomia delle redazioni e l’occupazione sempre maggiore di spazi decisionali da parte delle concessionarie di pubblicità nella confezione dei giornali. Per non perdere di vista questo aspetto – fondamentale nella comprensione delle scelte dei giornali – segnaliamo in queste due ultime settimane una manciata di esempi più vistosi solo sui quotidiani maggiori: gli articoli celebrativi e aziendalisti sull’anniversario di Pirelli nei giorni delle numerose pagine pubblicitarie comprate da Pirelli, gli annunci sui successi della società A2A nei giorni di estese campagne pubblicitarie di A2A, lo spazio dato alle acquisizioni di Arvedi nei giorni di pagine pubblicitarie di Arvedi, le interviste ai dirigenti di MSC vicine alle pagine pubblicitarie di MSC, gli articoli sulle (benemerite, certo) iniziative di AIRC durante le campagne pubblicitarie pagate da AIRC, le celebrazioni in prima pagina dei Baci Perugina nei giorni delle campagne per l’anniversario dei Baci Perugina.
domenica 6 Febbraio 2022
La redazione del Giornale di Brescia è stata informata che dal 21 febbraio assumerà il ruolo di vicedirettrice Anna Masera, giornalista tra le più precoci in Italia a occuparsi di innovazione digitale e di internet dagli anni Novanta, prima a Panorama e poi alla Stampa, dove negli ultimi anni era stata “public editor” (e come tale è stata spesso citata in questa newsletter).
Ma la prima di queste newsletter, invece, ad agosto del 2020 fece i conti sulla minima presenza di donne nei ruoli direttivi dei quotidiani, sintetizzata dal dato per cui nei trenta quotidiani a maggiore diffusione in Italia le direttrici fossero soltanto due. Il dato è rimasto lo stesso (anzi, vale anche per le prime quaranta testate), ma uno dei due quotidiani che è diretto da una donna è appunto il Giornale di Brescia (l’altro è la Nazione), che ora è l’unico ad avere una direttrice e una vicedirettrice.
domenica 6 Febbraio 2022
James Fallows è un illustre giornalista americano di 72 anni, che è stato a lungo uno degli autori più importanti del magazine Atlantic (oggi uno dei siti di approfondimento e news più importanti e riusciti), ha scritto per molte altre testate e per due anni ha fatto anche lo speechwriter del presidente Jimmy Carter. Da qualche mese ha una newsletter su Substack, in cui questa settimana ha descritto alcuni meccanismi con cui fatti e notizie non falsi o infondati vengono messi in contesti che ne forzano l’interpretazione (“framing the news”), ingannando i lettori. Uno di questi, riconoscibile anche in molta produzione giornalistica e saggistica italiana, è “stanno cercando di fregarvi” o “di prendersi ciò che è vostro”. Traducendo i suoi esempi nelle consuetudini giornalistiche italiane, può essere “la casta”, “il gender”, “i clandestini”, “l’Europa”, ma anche “la sinistra”.
«Può riferirsi a chiunque e a qualunque cosa. Ma sono loro. Imbrogliano e complottano contro di voi. E contro la gente come noi. È una triste ma fondata verità della vita che più le persone invecchiano e più sono predisposte a una lettura del mondo “qualcuno vuole fregarmi”».
Fallows spiega che “un pubblico spaventato è un pubblico fedele”, e questo tipo di narrazione dei fatti – che li confeziona suggerendo pericoli diretti esplicitamente verso il lettore, o spettatore – è un successo in termini commerciali, ma tossico per la convivenza civile, e attecchisce di più presso i pubblici più anziani. Da noi, è facile vederlo dispiegato nelle titolazioni che privilegiano l’indicazione di nemici, responsabili e capri espiatori rispetto alla descrizione degli eventi e fatti in questione.
domenica 6 Febbraio 2022
Questa volta non si tratta della consueta circolazione dei direttori, né delle polemiche e competizioni delle scorse settimane tra i direttori stessi: ma di possibili cambiamenti più radicali, con Antonio Angelucci – deputato di Forza Italia di fortune economiche legate alle cliniche private – che già possiede il Tempo e Libero (malgrado quest’ultimo si avvalga dei contributi pubblici diretti presentandosi formalmente come cooperativa) e che sta trattando per acquistare il Giornale, la cui maggioranza è posseduta da Paolo Berlusconi, mentre una quota minore è di Mondadori (editore a sua volta di proprietà della famiglia Berlusconi).
Della trattativa hanno parlato alcuni giornali nei giorni scorsi: avrebbe l’interesse di Mondadori, che da tempo si sta liberando di molte proprietà tra i giornali concentrandosi sui libri. Sarebbe una cessione con molte implicazioni politiche e simboliche: da una “scissione” del Giornale era nato Libero, ma ultimamente entrambe le testate stanno venendo superate in diffusione dalla Verità, nata da un’ulteriore distacco da Libero. Il Giornale è di fatto l’organo di Forza Italia, mentre Libero ha sostenuto molto di più la Lega e Matteo Salvini. Dice la Stampa:
“orizzonte di questa acquisizione, è evidente, è la creazione di un polo editoriale della destra italiana. Lo schema della fusione prevede una sinergia tra testate. Una delle ipotesi che circola è di agganciare Il Tempo e Libero come cronache cittadine, rispettivamente di Roma e di Milano, a Il Giornale che invece offrirebbe la parte nazionale”.
domenica 6 Febbraio 2022
L’avvenimento della settimana tra i grandi media americani sono state le dimissioni di Jeff Zucker, presidente di CNN, responsabile delle grandi trasformazioni e dei successi – anche discussi – della rete in questi anni. Come scrivevamo su Charlie l’anno passato, CNN non è più infatti la rete delle news e dei fatti “distaccati” di cui il mondo si era fatto un’idea dalla sua nascita, ma una testata tra quelle divenute più vivacemente partigiane soprattutto durante l’amministrazione Trump – contro Trump – e dove Zucker (che era in carica dal 2013, e che prima di farlo attaccare da CNN aveva costruito il successo televisivo di Trump quando era capo di NBC) aveva spinto in generale verso una forte personalizzazione ed emotività da parte dei conduttori e giornalisti, ritenendo questo indirizzo più adeguato ai tempi e ai gusti del pubblico, che gli ha dato ragione. Ma negli ultimi mesi CNN era stata penalizzata anche più delle altre organizzazioni giornalistiche dal calo di interesse sulla politica dopo l’elezione di Joe Biden.
Giovedì Zucker si è dimesso con una dichiarazione che attribuisce la decisione alla sua responsabilità nel non dichiarare all’azienda una sua relazione con una dirigente della rete, relazione che si è trovato a dover confessare durante le indagini interne su Chris Cuomo, il giornalista sospeso dopo le accuse di aver inopportunamente aiutato la difesa di suo fratello Andrew, governatore di New York accusato di diversi casi di molestie sessuali.
La spiegazione delle dimissioni però ha convinto pochi degli osservatori del mondo dell’informazione: Zucker e la sua partner sono entrambi divorziati, e la relazione non era così segreta, e quindi ci sono molti commenti e ipotesi su eventuali ragioni di scala maggiore, che abbiano a che fare con ritorsioni di Chris Cuomo o dello stesso Trump, o con scelte e questioni di scala ancora maggiore. Warner Media, la società che possiede CNN, sta concludendo una grossissima fusione con la rete Discovery.
domenica 6 Febbraio 2022
La grande società di consulenza internazionale Ebiquity ha diffuso dei numeri impressionanti sul potere delle tre maggiori società digitali sul mercato pubblicitario: Amazon, Alphabet (ovvero Google) e Meta (ovvero Facebook) avrebbero raccolto nel 2021 il 74% degli investimenti pubblicitari digitali nel mondo, equivalente al 47% di tutti gli investimenti pubblicitari. Immaginando che questa piega prosegua (le quote erano 67% e 39% nel 2020), nel 2022 queste tre società avrebbero la maggioranza di tutto il mercato pubblicitario mondiale. Per quanto pertiene ai temi di questa newsletter, una sensibile quota di questi soldi è tolta ai tradizionali percorsi di ricavo pubblicitario dei giornali
domenica 30 Gennaio 2022
La cosa che fa la differenza è quanto ci si sta attenti; una seconda cosa che fa una differenza è con quale severità o indulgenza si fa autocritica. Il Giornale di Vicenza ha avuto un incidente imbarazzante e l’ha trattato con apprezzabile imbarazzo.
domenica 30 Gennaio 2022
Un tempo erano la cosa più vista e visibile dei siti di news, e anche il loro modo principale di mostrarsi e di promuovere se stessi e i propri contenuti. Da quando l’uso di internet si è spostato in grandissima prevalenza sugli smartphone (dove oggi quasi tutti i giornali online registrano tra il 65% e l’85% delle visite), le opportunità di disporre i contenuti in modi più vari e attraenti si sono molto ridotte: lo schermo è piccolo, l’abitudine d’uso è governata quasi soltanto dallo “scroll”. Il risultato è che alle home page su desktop si sono sostituite quelle su mobile, come spazio più frequentato e familiare, che nella quasi totalità aderiscono con variazioni limitate al formato della “timeline”: una serie di “post” disposti in successione verticale, più o meno identici tra loro oppure con poche alternative formali.
Nel tentativo di diversificare e darsi identità più originali e riconoscibili, senza rischiare di diminuire l’attrattiva dei contenuti o la loro quantità, i diversi giornali fanno piccoli esperimenti con la visualizzazione delle loro pagine web su mobile, o delle loro pagine sulle app. Al New York Times hanno raccontato una disposizione dei contenuti che è stata introdotta da alcuni mesi: sfrutta uno “scroll” orizzontale, alternato a quello consueto, e lo hanno chiamato Bursts.
domenica 30 Gennaio 2022
Il presidente degli Stati Uniti ha dato dello “stupido figlio di puttana” a un giornalista della tv Fox News che gli aveva fatto una domanda, pensando – Biden – di non essere ascoltato. L’irritazione di Biden si doveva al fatto che la domanda era una di quelle che non prevedono possibili alternative e servono solo a mettere in difficoltà l’interrogato e a ottenere una reazione: “pensa che l’inflazione potrà nuocervi, alle elezioni di midterm?”. Lo stesso giornalista aveva ricevuto una risposta più efficace da John McCain cinque anni fa, di fronte a una simile provocazione: McCain gli aveva spiegato che era una domanda cretina.
Capita spesso però che le persone siano impressionate dalla povertà delle domande dei giornalisti che vengono mostrate in video o alla tv (ma a volte anche da quelle che i giornalisti riportano nelle interviste scritte): molte sembrano proprio stupide, e un’occasione in cui il pubblico lo ha notato spesso in questi due anni sono state le conferenze stampa delle istituzioni sulla pandemia trasmesse in diretta. E se è vero che molte di queste sono stupide e basta, e diventano un’occasione sprecata di farsi dire qualcosa di interessante per il pubblico, altre volte sono appunto un tentativo – non sempre riuscito, non sempre apprezzabile – di ottenere dall’interrogato una risposta o una reazione qualunque che diventi una notizia su un tema delicato o potenzialmente interessante (nel caso di Biden ha funzionato, anche se in modo imprevisto). Bisogna avere presente che per raccogliere informazioni utili ci sono molti altri canali meno diretti e pubblici, per i giornalisti: quando intervistano il personaggio pubblico – o anche il politico per strada – per i giornalisti conterà che una cosa sia stata detta da quel personaggio, non che sia utile al pubblico o a spiegare qualcosa.
domenica 30 Gennaio 2022
La settimana scorsa Charlie ha pubblicato una raccolta di informazioni sui compensi attribuiti da alcuni giornali e siti di news ai collaboratori esterni, indicando come quelle tariffe fossero una base abituale e frequente ma anche soggette a molte variabili. I dati hanno ricevuto molte conferme tra i giornalisti che hanno scritto a Charlie e tra chi ha commentato sui social network. Tra questi, il sito del Fatto ha voluto definire con maggiore completezza le cifre, attraverso due tweet (e grazie per essersi fatti vivi con Charlie, che raccoglie sempre volentieri informazioni dirette).
“i compensi del fattoquotidiano.it non sono corretti: oltre alla fascia da 30 euro, c’è anche quella da 60 euro, per i pezzi collocati negli spazi più alti dell’homepage, indipendentemente dalla lunghezza.
E poi 110 euro come base per i contenuti video. Ma soprattutto, negli anni, abbiamo ridotto i borderò e raddoppiato i contratti ai nostri collaboratori. Dobbiamo migliorare, ma cerchiamo di prestare attenzione ai compensi e ai percorsi dei colleghi”.
domenica 30 Gennaio 2022
Una storia invece italiana che possiamo associare alla precedente, ma che ha avuto molti meno sviluppi, è quella del presunto incontro tra Matteo Salvini e il giurista Sabino Cassese nei giorni delle trattative per la scelta di un candidato alla presidenza della Repubblica. Mercoledì scorso il Foglio ha pubblicato online un breve articolo che rivelava la visita di Salvini a casa di Cassese, e in quel momento di stallo e misteri sulle trattative è stata una notizia e un suggerimento di un’ipotesi – quella di una candidatura Cassese, che però il Foglio non ha mai direttamente evocato – piuttosto rilevante. Ma immediatamente “fonti della Lega” hanno smentito l’incontro, e poco dopo lo ha fatto direttamente lo stesso Salvini in diretta tv, rispondendo ai giornalisti che lo avevano raggiunto per strada. Nelle ore successive – mentre il nome di Cassese entrava nel dibattito sulle candidature su tutti i mezzi di informazione – il Foglio (di cui Cassese è un frequente collaboratore) ha invece confermato la sua versione, e lo ha fatto pubblicamente anche il suo direttore Claudio Cerasa.
Nessuno ha ulteriormente dato seguito per definire coi fatti chi abbia detto la verità e chi mentito.
domenica 30 Gennaio 2022
Questa settimana negli Stati Uniti c’è stata una polemica giornalistica di quelle che capitano solo tra i rigori serissimi che riguardano il giornalismo di quel paese, e sono certamente impensabili da noi, per esempio. Una nota giornalista che è l’esperta della radio pubblica NPR sulla Corte Suprema, Nina Totenberg (avevamo parlato di lei già qui), ha scritto che uno dei giudici della Corte, il presidente Roberts, avrebbe chiesto “in qualche modo” ai suoi colleghi di indossare la mascherina durante le sedute: la questione ha delle implicazioni, perché uno dei giudici non l’ha indossata e un’altra ha scelto di collegarsi da remoto, e questo potrebbe confermare tensioni e dissensi anche su cose apparentemente accessorie.
Solo che Roberts ha smentito di avere fatto qualunque richiesta del genere, e i critici di Totenberg e NPR ne hanno approfittato per attaccare entrambi. Totenberg ha allora confermato la sua versione, ma invece la “public editor” di NPR (interna ma indipendente) ha pubblicato un articolo in cui invitava la radio a maggior chiarezza e spiegazioni sulla sua versione. Secondo la public editor l’espressione “ha chiesto in qualche modo” è vaga ed elusiva (“ha usato il verbo sbagliato”), secondo Totenberg le sue fonti non le hanno dato maggiori informazioni di così. NPR non ha voluto intervenire oltre, ma in una successiva versione Totenberg ha usato invece il verbo “suggerito”.
domenica 30 Gennaio 2022
Qualche mese fa si è capito che la crisi delle forniture di materie prime che ha riguardato molti settori produttivi dopo la pandemia stava diventando un problema anche per l’editoria: aveva cominciato a mancare la carta per i libri. Ma la carenza riguarda anche i giornali, e questa settimana ne ha scritto il quotidiano Domani, che ha anche annunciato – con un articolo del suo direttore – di avere cambiato tipo di carta su cui è stampato il giornale, in conseguenza di questo.
«Qualche settimana fa ci arriva la comunicazione dello stampatore: la carta da 52 grammi è finita. Non è questione di prezzo, non esiste più.
Resta una sola alternativa, passare a quella più leggera, da 42, che però nel frattempo è diventata incredibilmente costosa (l’ultima riserva di 52 grammi la conserviamo per qualche DopoDomani speciale) […] Almeno per ora noi eviteremo di alzare il prezzo della singola copia, però questa è la pressione che si riversa su tutto il settore (e sappiamo che i prezzi dei prodotti al consumo, quando aumentano difficilmente poi si riducono).
Insomma, quando sentirete tra le mani una copia di Domani più sottile e vi chiederete cos’è successo, sappiate che quello che stringete tra le mani è la sintesi dei grandi cambiamenti nell’economia mondiale post-Covid. Le mutazioni del capitalismo in dieci grammi di carta mancanti».
domenica 30 Gennaio 2022
La novità è che dopo mesi di critiche al nuovo approccio che aveva proposto, Google ha deciso di accantonarlo. E di sostituire il progetto “FLoC” con un nuovo progetto “Topics“: che non è stato molto chiarito ancora, ma il riassunto è che Topics individuerebbe per ogni utente del browser Chrome cinque “argomenti” di interesse ogni settimana (tra 300 definiti), e permetterebbe di indirizzare le inserzioni pubblicitarie sulla base di tre di quelli, scelti casualmente dalle ultime tre settimane. Dalle prime sommarie analisi il sistema sembrerebbe venire incontro ai dubbi che riguardavano la tutela della privacy della navigazione, ma ridurrebbe ulteriormente la disponibilità di dati per gli inserzionisti e per le piattaforme e i servizi che gestiscono la pubblicità, riducendo molto l’efficacia della profilazione. E ci sono quindi già molte perplessità. Le aziende giornalistiche che ricevono ricavi pubblicitari da concessionarie e intermediari devono probabilmente ancora capire ed elaborare, ma non saranno soddisfatte neanche loro.
domenica 30 Gennaio 2022
La questione delle scelte di Google rispetto ai “cookie di terze parti” era stata l’agitazione principale di editori e siti che si sostengono attraverso la pubblicità, un anno fa, e poi era stata sospesa in attesa che venisse digerita e che ci si inventassero delle alternative.
“Il sistema dei cookie di terze parti implica delle ingerenze nella privacy evidenti – malgrado noi le consentiamo quando accettiamo sbrigativamente quelle condizioni che troviamo sui siti alle nostre prime visite – e il dibattito sul limitarle dura da molto, ma la questione ha subito un’enorme accelerazione quando si è mossa Google, come sempre. Che all’inizio dell’anno passato ha annunciato che avrebbe inibito l’uso dei cookie di terze parti sui propri browser Chrome, adducendo appunto ragioni di maggior rispetto della privacy. Che sono da una parte fondate senza essere disinteressate: Google percepisce la domanda da parte dei propri utenti e cerca di rispondere. D’altra parte Google ha interesse ad aumentare ancora di più il proprio potere sul mercato dei dati e della pubblicità proponendo soluzioni sempre più adeguate a questo. E la proposta che ha fatto è una soluzione tecnologica dal buffo nome (sembra una puntata del Trono di Spade): Federated Learning of Cohorts, abbreviato in FLoC. Vuol dire, grossomodo, “apprendimento collaborativo delle coorti”. Per farla davvero molto breve, l’idea è la creazione di un sistema di categorie di utenti (moltissime, le coorti) che riconosca a quale di queste appartenga ciascuno di noi quando visita un sito, senza identificarci singolarmente. La proposta ha inizialmente spiazzato i moltissimi coinvolti (ovvero chiunque usi internet, nei fatti), presentandosi come un servizio di rispetto della privacy. Ma presto se ne sono comprese anche le implicazioni in termini di maggiore potere affidato a Google, e di possibili violazioni diverse della privacy stessa. Oltre che di sovversione del mercato pubblicitario pericolosa per molte aziende e business. Quindi in questi mesi in cui Google sta avviando la sperimentazione del sistema ci sono molte diffidenze e cautele, anche nelle aziende giornalistiche in cui si cerca di capire se e come adeguarsi, se ci siano più rischi o più opportunità, se collaborare con Google o provare a mettersi di traverso”.
Trovate una più estesa spiegazione delle puntate precedenti qui.
domenica 23 Gennaio 2022
Sabato prossimo al Circolo dei lettori di Torino riprendono le rassegne stampa del Post con Luca Sofri e Francesco Costa, alle 11.
domenica 23 Gennaio 2022
Il direttore del Post ha pubblicato una breve considerazione su Twitter a proposito di un tratto dei quotidiani italiani del tutto peculiare e unico rispetto agli altri paesi, l’inclinazione ormai diffusa su quasi tutte le testate a preferire sulle loro prime pagine dei titoli maggiori fatti di giochi di parole, o di formulazioni “cinematografiche” ed enfatiche, piuttosto che descrittive della notizia: consuetudine un tempo più normale e radicata nella titolazione degli articoli delle riviste, e più in generale di quelli meno legati all’attualità immediata. Iniziò tanti anni fa il Manifesto, a farlo con frequenza quotidiana, poi si aggiunsero i quotidiani sportivi, oggi si è convinta della scelta la maggioranza dei giornali: ed è una cosa che all’estero avviene con questa assiduità solo sui giornali “tabloid” più scandalistici o screditati. Ma a giudicare dai commenti online una buona parte dei lettori sembra apprezzarli.
domenica 23 Gennaio 2022
Il sito britannico di informazione sui media PressGazette ha compilato una classifica delle testate giornalistiche anglofone con più follower su Instagram, e ha parlato coi responsabili della rete televisiva BBC del loro primato in questa classifica (20,3 milioni).
Il rapporto dei giornali con Instagram è complicato e oggetto di riflessioni da anni: considerate le limitazioni di Instagram nel portare traffico sui siti web, e quindi ricavi pubblicitari o abbonamenti, l’obiettivo della presenza su Instagram è stato convertito verso le opportunità di raggiungere comunque con i propri contenuti e la propria identità delle quote molto grandi di lettori, che in cospicua parte frequentano meno i siti web e in cospicua parte sono giovani. E trovare dei modi indiretti di portare questi lettori ad apprezzare le testate giornalistiche e la loro offerta, per avvicinarli a un potenziale coinvolgimento maggiore anche fuori da Instagram. Oppure, in alcuni casi, sfruttare il seguito su Instagram per produrre contenuti promozionali – per sé o per terzi – che si traducano in ricavi.
Il capo dei social di BBC, Jeremy Skeet – spiegando perché invece non ritiene TikTok un social network adatto per le ambizioni di BBC – ha detto a PressGazette che gli approcci più efficaci per ottenere il loro risultato su Instagram sono stati quattro:
– concentrarsi specificamente sul tipo di audience
– pubblicare con regolarità
– creare più contenuti esplicativi, soprattutto rispetto al Covid-19
– e usare contenuti di testo nello spazio delle immagini
Tra le testate italiane, invece, i numeri di follower su Instagram sono questi.
Fanpage 1,7 milioni
Repubblica 1,6 milioni
Corriere della Sera 1,2 milioni
Tgcom24 1 milione
Sky tg24 894mila
Gazzetta dello sport 851mila
Ansa 837mila
Sole 24 Ore 668mila
Il Post 533mila
Tuttosport 516mila
Stampa 466mila
Fatto 359mila
HuffPost 274mila
Open 198mila
Messaggero 194mila
TPI 167mila
RaiNews 151mila
Manifesto 85mila
Verità 75mila
Domani 72mila
Libero 70mila
Foglio 63mila
domenica 23 Gennaio 2022
La possibilità di obiettare o di smentire un articolo di un giornale, da parte di un “interessato”, è ciclicamente oggetto di curiosità e discussioni da parte dei lettori, e a volte di richieste di regole più insistenti: nella pratica, però, nessuna opportunità di “replica” è mai sufficiente a compensare i danni causati da eventuali informazioni sbagliate, sia alle persone coinvolte, sia più in generale alla corretta informazione dei lettori. È una delle ragioni per cui raramente gli “interessati” si dedicano a scrivere ai giornali le loro correzioni o smentite, che – se vengono pubblicate – finiscono in spazi poco visibili e spesso creano presso i lettori estranei l’effetto di capricci risibili e sproporzionati. Un’altra ragione è che le ragioni di chi obietta e corregge sono spesso demolite da laconiche e supponenti risposte del giornale stesso: una specie di “ultima parola” che spesso non entra nel merito ma suona semplicemente “tanto fa lo stesso”.
È un esempio di maggior correttezza lo spazio assai frequente che il quotidiano Domani dedica a lettere di questo genere, intitolate “Diritto di replica”: e a cui il giornale risponde quasi sempre argomentando, o a volte non risponde, convenendo implicitamente che le correzioni ricevute siano fondate e accettate (addirittura ammetterlo esplicitamente non è praticamente mai capitato nella storia dei quotidiani di carta, salvo quando viene presentato come una correzione autonoma del giornale).
domenica 23 Gennaio 2022
Dopo il piano di incentivi all’uscita attivato alla fine dell’anno scorso, l’azienda del Sole 24 Ore ha concordato con la redazione del giornale 29 pensionamenti anticipati nei prossimi due anni per i giornalisti di oltre 62 anni.
domenica 23 Gennaio 2022
Carlo Verdelli, il giornalista italiano con la più ricca e varia quota di direzioni importanti nel curriculum, diventerà da febbraio direttore del settimanale Oggi, che appartiene al gruppo RCS, l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, gruppo con cui Verdelli ha avuto il più prolungato rapporto della sua carriera: negli ultimi due anni, dopo essere stato licenziato dalla direzione di Repubblica in seguito all’acquisizione del gruppo editoriale GEDI da una nuova proprietà, Verdelli era tornato al Corriere della Sera come commentatore.
Oggi ha dichiarato per il mese di novembre 158mila copie settimanali pagate contro le 176mila del suo concorrente, Gente (pubblicato dall’editore Hearst).
Verdelli prenderà il posto di Umberto Brindani, che dirigeva Oggi dal 2010 e prima era stato condirettore di Panorama e direttore di Gente, Chi e Sorrisi e canzoni: le modalità della sostituzione sono state misteriosamente sbrigative e brusche, e la stessa redazione di Oggi ha protestato con l’editore.
domenica 23 Gennaio 2022
Chicago è la terza città più popolosa degli Stati Uniti, con quasi tre milioni di abitanti: i suoi quotidiani sono ritenuti “giornali locali”, come abbiamo detto altre volte, ma servono una quota di lettori molto grande. Il principale, il Chicago Tribune, ha una diffusione di 200mila copie e ha avuto ultimamente preoccupanti traversie di proprietà; il secondo, il Chicago Sun-Times (100mila copie di diffusione), ha concluso questa settimana le operazioni di cessione a una più rassicurante non profit che già possiede una radio, che avevamo anticipato qualche mese fa.
domenica 23 Gennaio 2022
Nelle settimane scorse sui giornali si è parlato di una tensione tra la piattaforma di video DAZN, le reti televisive, le associazioni di pubblicitari, intorno ai sistemi di rilevazione degli abbonati e degli spettatori: che è un tema delicatissimo, perché l’omogeneità dei dati è quello su cui si basa la concorrenza nell’ottenere investimenti pubblicitari. Venerdì l’Autorità garante per le comunicazioni ha detto la sua, indirizzando appunto tutti i coinvolti verso scelte che definiscano più esattamente la raccolta degli “indici di ascolto”. La decisione, secondo il Sole 24 Ore, potrebbe avere delle ricadute anche sull’arenato piano di rendere più coerenti tra loro i dati delle reti televisive, dei siti web e dei giornali, di cui parlammo un anno e mezzo fa, e che è diventato necessario da quando questi tre tipi di “contenitori di pubblicità” sconfinano ognuno nel campo degli altri (le tv sono sul web, i giornali anche, i siti web producono video, eccetera).
domenica 23 Gennaio 2022
Tra le conseguenze della crisi dei giornali c’è la sempre minore possibilità per le aziende editoriali di assumere giornalisti con contratti stabili – contratti nati in tempi molto migliori per i giornali e oggi molto costosi. Una conseguenza è una grande differenza tra le condizioni contrattuali e retributive di giornalisti che godono di contratti solidi e ben pagati ottenuti in tempi migliori, e quelle dei più giovani che a contratti equivalenti raramente possono accedere e che però continuano a investire in grandi numeri su progetti di carriere giornalistiche. Un’altra conseguenza è che per continuare a pubblicare un grande numero di articoli (anzi, con il web un numero maggiore) e per continuare a coprire molte aree di interesse, i giornali si avvalgono di numerosi collaboratori esterni, più o meno assidui, che vengono pagati “a pezzo”. Con quali tariffe è una questione citata spesso con indignazione, perché i giornalisti non dipendenti (o freelance), che in Italia sono oltre 44mila, sono i più precari della categoria: in molti casi sono costretti a inseguire molte collaborazioni incerte con diversi giornali per mettere insieme uno stipendio, e per scrivere certi articoli devono sostenere autonomamente spese che non sono giustificate dalla paga prevista. Questo stato di precarietà e necessità si riflette poi spesso sulla qualità del lavoro e di ciò che i giornali pubblicano.
Charlie ha condotto una piccola incompleta indagine su quali siano i compensi per i collaboratori dei principali quotidiani italiani. Nel leggere le informazioni, che sono basate su decine di testimonianze, bisogna comunque tenere in conto che solo alcuni giornali hanno delle quote fisse che applicano a tutti i collaboratori, mentre in altri casi gli accordi possono variare da persona a persona (ci sono poi limitati casi particolari di collaboratori di maggior fama e attrattiva, che non sempre hanno un contratto ma che fanno storia e compenso a sé). La retribuzione può cambiare in base all’ambito di competenza (sport, cultura, cronaca) o in base alla lunghezza dell’articolo, che si misura in battute: la “battuta” è ogni tipo di carattere digitato (spazi compresi). Gli articoli scritti per i quotidiani cartacei vengono pagati molto più di quelli sulle versioni online degli stessi giornali; i compensi per gli articoli sulle pagine locali sono minori rispetto a quelli per gli articoli sulle pagine nazionali. Molti collaboratori hanno un “tetto mensile” di pezzi che non possono superare, altri ne hanno uno minimo, in modo da garantirsi una specie di stipendio fisso su cui poter contare. E soprattutto, tutte queste cifre sono crollate drasticamente rispetto al periodo che si è esaurito nei primi anni di questo millennio, quando simili collaborazioni potevano contare su compensi da cento euro in su.
Compensi lordi per un articolo, secondo diverse testimonianze e informazioni raccolte:
Corriere della Sera: meno di 1.000 battute 10 euro; tra 1.000 e 2.500 battute 20 euro; tra 2.501 e 3.600 battute 35 euro; oltre 3.600 battute 50 euro. I compensi sono più alti per gli articoli pubblicati negli inserti (Corriere Economia, Corriere Salute, Corriere Motori, eccetera) e nella sezione di cultura, e più bassi nelle edizioni locali del giornale (circa la metà di quelli scritti sopra, nella maggior parte dei casi).
Corriere.it: 15 euro per un articolo di solo testo.
Repubblica: i compensi variano molto a seconda degli accordi presi con il singolo giornalista. Si va da 20 euro per i pezzi più brevi a 60/70 euro per quelli che superano le 3.600 battute. Come per il Corriere, i compensi possono essere più alti per pezzi pubblicati in alcune sezioni specifiche, come la cultura.
Repubblica.it: i compensi sono molto variabili. Due esempi più o meno agli estremi sono 10/20 euro per un articolo di sport, 50 euro per uno nella sezione salute.
La Stampa: per i collaboratori che scrivono di cronaca o sport, fino a 1.260 battute 15 euro, più di 1.260 battute 30 euro. Nella sezione cultura si arriva a 60 euro per una recensione e a 120 euro per un’intervista. Sul sito, a differenza di altri giornali, è applicato il criterio del compenso crescente sulla base della lunghezza.
Il Fatto Quotidiano: colonnini/brevi 30 euro; tagli bassi (cioè gli articoli nella parte bassa della pagina) 50 euro; articoli di apertura di una pagina 70 euro; articoli oltre le 5.000 battute 90 euro.
Ilfattoquotidiano.it: 30 euro.
Quotidiano nazionale (Il Resto del Carlino, Il Giorno e La Nazione): fino a 275 battute 50 centesimi; da 276 a 825 battute 2 euro; da 826 a 2.200 battute 6 euro; oltre 2.200 battute 9 euro. Se si scrivono più di 80 pezzi in un mese, dall’81esimo tutti i pezzi vengono pagati al massimo 2 euro. Una fotografia pubblicata nel pezzo viene pagata 2 euro, ma dalla 51esima fotografia pubblicata il compenso è 50 centesimi per ognuna.
Online: da 276 a 825 battute 2 euro; da 826 a 2.200 battute 3 euro; oltre 2.200 battute 4 euro. Dopo i 40 pezzi mensili, ogni pezzo viene pagato 1 euro. Una fotografia pubblicata viene pagata 1 euro e 50, 1 euro se inserita in una fotogallery, 50 centesimi dopo la 40esima foto pubblicata.
Il Messaggero: nella sezione di moda tra 13 e 26 euro; nella sezione di sport, per pezzi oltre le 3.500 battute 20 euro sulle pagine dell’edizione locale romana, 39 euro su quelle nazionali.
Ilmessaggero.it: 7 euro.
Il Foglio: meno di 6.000 battute 60 euro; più di 6.000 battute 90 euro.
Ilfoglio.it: 60 euro.
Il Giornale: per un articolo in cronaca di Milano o nazionale 50 euro (ma ci sono collaboratori che hanno accordi diversi, con compensi sia più alti che più bassi).
Libero: alcuni contratti prevedono per un articolo di apertura 56 euro, per un taglio basso 45 euro. Altri partono da 35 euro per le aperture e arrivano a 12 o 9 euro per notizie brevi sulla cronaca locale. Nella sezione sport si va da 17 a 28 euro.
Domani: meno di 3.500 battute 70 euro; tra 3.500 e 6.500 battute 90 euro; tra 6.500 e 13mila battute 150 euro; oltre 13.000 battute 250 euro.
La Gazzetta dello Sport: tra gli 8 e i 28 euro (ma ci sono collaboratori “storici” che hanno accordi migliori).
Gazzetta.it: 14 euro.
Tuttosport: meno di 1.200 battute 10 euro; più di 1.200 battute 20 euro.
domenica 23 Gennaio 2022
La responsabile della “audience research” dell’Atlantic ha pubblicato su Medium un lungo resoconto del lavoro che il giornale fa nel cercare di comprendere e soddisfare le principali richieste dei lettori: specificando che l’individuazione di queste richieste non esaurisce naturalmente il lavoro del giornale né la sua autonomia e responsabilità su ciò di cui si occupa, ma che capirle aiuta a stabilire delle priorità nella confezione del sito e nel modo in cui le storie vengono proposte.
L’Atlantic è un illustre e autorevole storico mensile statunitense (il nome originale completo è Atlantic Monthly) che ha saputo spostarsi precocemente sul web e che ha avuto grossissime crescite di abbonamenti negli ultimi due anni. Oggi è uno dei migliori contenitori di articoli di qualità americani, tra quelli che non coprono il ciclo di news delle 24 ore e che hanno maggiori similitudini con i contenuti e gli approfondimenti dei “magazine”. Qualche anno fa la sua maggioranza è stata comprata da una società di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs.
Nell’articolo su Medium vengono presentati cinque principali “bisogni” dei lettori rispetto ai contenuti dell’Atlantic.
Ovvero:
– datemi maggior chiarezza e contesto
– aiutatemi a scoprire idee nuove
– mettete in discussione le mie opinioni
– datemi delle distrazioni che abbiano un valore
– fatemi conoscere autori di talento
domenica 23 Gennaio 2022
Solo per chi abbia curiosità più da nerd, se no passate avanti: ADS certifica – su indicazioni dei singoli editori – la diffusione e la vendita delle copie dei giornali, cartacee e digitali. Non sono quindi compresi, e non sono conteggiati da nessun ente terzo, gli abbonamenti ai contenuti dei siti degli stessi giornali.
Prendiamo come esempio il Corriere della Sera, che dichiara ad ADS 183mila copie vendute individuali (non acquistate in blocchi da aziende o enti), sia cartacee che digitali, sia in singole copie che in abbonamento. Quelle indicate come copie digitali possono essere acquistate solo attraverso un abbonamento, e sono 78mila.
Per natura di quest’ultimo dato, quindi, è comprensibile che sia praticamente identico (lo scostamento di poche decine non sappiamo spiegarlo ma stiamo approfondendo) a quello delle copie digitali dei suoi supplementi, che si ottengono solo abbonandosi al quotidiano. 78mila per IoDonna e 78 mila per Sette: a cui si sommano altre 16-18mila copie comunicate come “copie digitali abbinate agli abbonamenti cartacei”.
Le 168mila copie cartacee dichiarate da IoDonna, invece, mostrano che il sabato il Corriere vende di più del giorno medio, di cui comunica 148mila copie: idem per il venerdì, che l’allegato Sette porta a 153mila copie.
Infine, il dato sugli abbonamenti alle copie digitali (78mila copie) indica per sottrazione dalla cifra di 380mila abbonati (questa però non soggetta a verifiche di garanzia, e annunciata autonomamente dal Corriere) che gli abbonamenti ai soli contenuti del sito web siano 300mila: le definizioni di questi abbonati poi sono ancora più articolate e misteriose, date le tantissime offerte, varietà e sconti degli abbonamenti digitali, e le poche informazioni fornite dall’editore su cosa conteggi come “abbonati”.
domenica 23 Gennaio 2022
I dati di diffusione certificati dall’ente ADS (che applica dei criteri di verifica sulle comunicazioni che arrivano dalle testate) che riguardano i periodici hanno qualche criterio di analisi diverso da quelli che usiamo di solito per i quotidiani. Per i settimanali, in particolare, tra le testate più diffuse ce ne sono diverse che sono supplementi dei quotidiani, e che quindi raggiungono i lettori a prezzi molto bassi e attraverso il canale preferenziale dell’abbinamento al quotidiano. Un’altra cosa che bisogna considerare è che alcune testate indicano un grande numero di copie omaggio e promozionali, diffuse gratuitamente, quindi i dati che riportiamo sono quelli delle copie “pagate”. Questi sono i settimanali che superano ancora le centomila copie, tra parentesi c’è la differenza rispetto al dato di un anno prima, novembre 2020.
Sorrisi e canzoni 386.643 (-4%) Mondadori
DiPiù 317.607 (-12%) Cairo
TeleSette 283.888 (-5%) Universo
IoDonna 250.404 (9%) RCS
Sette 236.294 (non indicato) RCS
Il Venerdì 215.955 (-2%) GEDI
Famiglia Cristiana 192.713 (-5%) San Paolo
Gente 176.039 (-15%) Hearst
Oggi 157.832 (-11%) RCS
DiPiù TV 156.732 (-11%) Cairo
D 154.471(-15%) GEDI
L’Espresso 152.203 (-32%) GEDI
Settimanale Nuovo 144.280 (-13%) Cairo
Intimità 118.187 (-7%) DB
Guida Tv Nuova 106.625 (-8%) Mondadori
Diva e donna 103.029 (-18%) Cairo
Alcune altre testate:
Donna moderna 95.960 (-22%) Mondadori
Chi 90.156 (-16%) Mondadori
F 82.157 (-18%) Cairo
Grazia 74.767 (-28%) Mondadori
Elle 63.835 (-23%) Hearst
Vanity fair 62.806 (-14%) Condé Nast
Panorama 43.125 (-24%) La Verità
Confidenze 33.163 (-16%) La Verità
In corsivo sono le riviste che escono allegate a un quotidiano: i loro numeri comprendono tra le 48mila e le 96mila copie digitali che sono incluse negli abbonamenti digitali sottoscritti alle testate di riferimento, e che spiegano in buona parte la loro maggior “tenuta” rispetto a un anno fa (IoDonna comunica 94mila copie digitali, per esempio).
Come si vede, quasi tutte hanno dei forti declini, assai superiori a quelli dei quotidiani: il settore dei periodici è quello nella crisi maggiore da quasi vent’anni, e ci sono state chiusure (soprattutto nei mensili) e ridimensionamenti e revisioni. Qui avevamo indicato i cali di diffusione rispetto al 2015, per esempio.
Altre cose: Panorama ha 31mila abbonamenti, e vende in edicola solo 10mila copie; Famiglia Cristiana ha ben 94mila abbonamenti; Vanity Fair distribuisce ben 90mila copie promozionali e omaggio, Elle 69mila.