Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 6 Marzo 2022

Un milione

Il Financial Times è un quotidiano britannico di lunga e autorevole storia (fu fondato nel 1888) che è il secondo quotidiano dedicato a economia e finanza più importante del mondo, insieme al newyorkese Wall Street Journal. Da sette anni è di proprietà della grande società di informazione economica giapponese Nikkei e ha sofferto meno – come altre testate del suo settore, capaci di mantenere ruoli competitivi e lettori e inserzionisti con potere di spesa – la crisi mondiale del business dell’informazione: oggi dichiara circa 110mila copie di diffusione (ma con una quota cospicua di copie gratuite). Da due anni la sua direttrice è Roula Khalaf, che lavora al giornale dal 1995. Questa settimana il Financial Times ha annunciato di avere raggiunto il milione di abbonamenti alle sue edizioni digitali, di cui oltre la metà fuori dal Regno Unito.


domenica 6 Marzo 2022

Big in Japan

Le notizie e le analisi che citiamo qui intorno alle crisi delle economie giornalistiche si riferiscono naturalmente all’Italia, per prioritario interesse di noi che leggiamo in questa lingua, e molto ai paesi “dell’Occidente” a cui – per similitudini storiche, culturali, economiche – solitamente associamo e paragoniamo l’Italia: quello che succede in quei paesi è più interessante visto da qui, perché i contesti si somigliano. E ancora più in particolare sono interessanti il contesto americano e anche quello britannico in cui le sperimentazioni e i cambiamenti sono di solito più precoci.
Ma anche in paesi più “diversi” accadono cose peculiari notevoli e illuminanti, sia quando sono simili che quando sono diverse a quelle che vediamo qui. E in Giappone, ha raccontato un articolo del Post, ci sono sia quelle molto diverse che quelle molto simili.

“Con diversi anni di ritardo rispetto al resto del mondo, la crisi del business dei giornali è diventata attuale anche in Giappone, paese che continua ad avere i quotidiani con la più alta tiratura al mondo e un tasso di fedeltà dei lettori all’edizione cartacea molto alto. Yomiuri Shimbun e Asahi Shimbun restano i due quotidiani con maggiore diffusione al mondo con ampio distacco e nel 2021 le copie dei quotidiani vendute giornalmente erano oltre 33 milioni. I numeri e le proporzioni (319 copie ogni 1000 persone) sono ancora invidiabili: in Italia, che ha quasi la metà degli abitanti del Giappone, le vendite dei quotidiani certificate nel 2021 non arrivavano a 1 milione e 400 mila (circa 23 copie ogni 1000 persone).”


domenica 6 Marzo 2022

Chi si prende l’Espresso

Da diverse settimane circolano ipotesi sulla possibile vendita del settimanale L’Espresso da parte del suo editore GEDI: ipotesi confermate da fonti interne, e rese credibili e realistiche dal fatto che l’azienda ha mostrato – da quando è cambiata la sua proprietà – di volersi liberare di molte delle sue testate meno rilevanti o più laterali. E l’Espresso è da molti anni tra le vittime della crisi dei settimanali, per quanto la sua attuale diffusione come allegato a Repubblica gli abbia restituito dei numeri non insignificanti. Ma al tempo stesso si tratta dell’Espresso, ovvero della testata che è stata così rilevante nella storia di quel gruppo da avergli dato persino il nome: si chiamava “gruppo Espresso” prima di diventare GEDI. E un brand ancora forte (meno screditato e indebolito di quello che un tempo fu il suo concorrente, Panorama, ceduto da Mondadori al gruppo della Verità), su cui ci sono interessi e curiosità: attenuati in parte dai suoi debiti e costi, compresa la quindicina di dipendenti.

Venerdì è diventata più esplicita l’ipotesi che riguarda la società BFC Media, che pubblica la versione italiana di Forbes e alcune altre piccole testate: e il Comitato di redazione dell’Espresso ha protestato e annunciato una serie di giorni di sciopero.
“Siamo preoccupati per il destino del nostro settimanale e di tutte le testate giornalistiche di un editore che non si è fatto scrupolo a definire “non coerente con le strategie del gruppo” il primo newsmagazine di inchiesta italiano”.

Poche ore dopo, con toni ancora più severi, il direttore Marco Damilano ha annunciato le sue dimissioni.
“Gedi è nel cuore di questa crisi. In un gruppo che aveva sempre fatto della solidità, della stabilità e della continuità aziendale e editoriale il suo modo di essere, soltanto durante la mia direzione si sono alternati due gruppi proprietari, due presidenti, tre amministratori delegati, tre direttori di Repubblica. E ora si vuole far pagare al solo Espresso l’assenza di strategia complessiva.
Ho appreso della decisione di vendere L’Espresso da un tweet di un giornalista, due giorni fa, mercoledì pomeriggio. Ho chiesto immediati chiarimenti all’amministratore delegato Maurizio Scanavino, come ho sempre fatto in questi mesi.
Mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata.
Non mi sono mai nascosto le difficoltà. Ho più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia.
La cessione dell’Espresso, in questo modo e in questo momento, rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano.
È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo.
[…]
Mi è stata offerta la possibilità di restare, ringrazio, ma non posso accettare per elementari ragioni di dignità personale e professionale. Non è una questione privata, spero che tutto questo serva almeno a garantire all’Espresso un futuro e ad aprire un dibattito serio sul ruolo dell’informazione nel nostro Paese.
Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona”.

GEDI ha immediatamente assegnato al vicedirettore Lirio Abbate il ruolo di direttore: scelta e tempi che sembrano coerenti con un approccio non particolarmente costruttivo e progettuale da parte dell’azienda, e priorità di cessione per quanto riguarda l’Espresso.


domenica 6 Marzo 2022

In diretta

Dopo essere stati il formato più innovativo e diffuso della nuova informazione digitale tra la fine del secolo scorso e il primo decennio di questo, i blog sono stati soppiantati dai social network, che ne hanno di fatto elaborato e arricchito la costruzione e l’uso. Ma la loro eredità sopravvive anche nell’uso del termine “liveblog” per definire il tipo di articoli, frequenti e tuttora centrali nella produzione dei siti di news internazionali, che viene aggiornato in diretta con successivi sviluppi pubblicati in ordine cronologico che seguono eventi importanti e in evoluzione. E questo formato ha ormai tutta una sua scienza sia per quanto riguarda le opportunità formali e tecnologiche, sia per la scelta dei contenuti. Il Reuters Institute ne ha parlato in un’interessante intervista con il capo dell’innovazione editoriale del Guardian.


domenica 6 Marzo 2022

Di guerra

Il lavoro dei giornalisti all’estero e “sul campo” ha perso molte risorse e rilievo, negli anni passati, per due ragioni principali. Una è quella che riguarda molti impegni tradizionali delle aziende giornalistiche, ovvero la riduzione dei ricavi e il taglio di molti investimenti: corrispondenti e inviati costano – anche avendo ridotto molte delle condizioni privilegiate che i grandi giornali potevano offrire loro un tempo – e oggi si ricorre con maggiore frequenza a rapporti con freelance o a soluzioni temporanee. L’altra ragione è che internet ha offerto l’accesso con grande facilità a un’enorme quantità di informazioni che prima era molto più difficile ottenere senza fonti dirette, e ha creato un sistema di condivisione delle notizie che non si era mai visto (per quanto con rilevanti rischi in termini di controllo o verifica).

La ragione per cui in queste drammatiche settimane stiamo assistendo a un ritorno di centralità degli inviati è una evidente eccezione a queste due condizioni: la guerra in Europa. Che crea un enorme interesse da parte dei lettori, per cui i giornali si dispongono a investimenti eccezionali (con gli inviati in guerra ci sono anche dei cospicui costi di assicurazioni), e che determina una necessità altrettanto eccezionale di informazioni dirette – la propaganda agisce da tutte le parti – e di “raffigurazione” per i lettori delle cose che succedono sul posto: racconto che non esaurisce la comprensione delle vicende e degli sviluppi (“sul posto” sfuggono altrettanti elementi e fattori preziosi più generali) ma la arricchisce di una parte importante.

Lo stiamo vedendo sulle maggiori testate italiane, che stanno impegnando diverse persone a fare un gran lavoro – pur con scelte di narrazione diverse, che vanno dal rigoroso all’enfatico – e lo stanno notando anche in altri paesi: CNN, di cui avevamo appena finito di raccontare le traversie e il calo del credito, riceve in questi giorni grandi apprezzamenti per la sua imbattibilità nell’esserci in forze in situazioni di questo genere. Il giornalismo migliore oggi è fatto sia di cose nuove che di cose che già c’erano.

Fine di questo prologo.


domenica 27 Febbraio 2022

Sacrifici difficili

Un problema imprevisto per i siti di news dei giornali, una ventina d’anni fa, fu il realizzare che l’accostamento tra i loro articoli e i banner e le inserzioni pubblicitarie era assai meno controllabile che sulla carta, e che poteva generare effetti controproducenti, prossimità comiche, e contraddizioni in particolare tra il tono drammatico di certe notizie e la leggerezza di alcune pubblicità. Malgrado l’applicazione di alcuni filtri e regole – efficaci fino a un certo punto – le cose sono si sono poi ulteriormente complicate con la pubblicità “programmatic“, che si adegua più alla navigazione del singolo utente che alla pagina che la ospita, e quindi il suo rapporto con quest’ultima è incontrollabile.
Ma ancora nei giorni scorsi anche sui siti italiani si sono notate incongruenze o eccessive congruenze, con la gravità delle notizie ucraine.
E più in generale, il problema stavolta ha riguardato molto alcuni quotidiani di carta: l’attacco russo all’Ucraina è arrivato sui giornali nei giorni delle sfilate di moda milanesi, quelli in cui uno dei settori più importanti di investimento pubblicitario sui giornali acquista più spazi e offre loro preziosi ricavi per i loro bilanci in difficoltà. Sarebbe stato molto difficile e costoso rifiutarli (se ci pensate, c’è qualche similitudine con la questione delle sanzioni: cosa sacrificare del proprio benessere economico rispetto a un bene più largo ma meno prioritario per il proprio interesse): ma la scelta si è fatta notare qui, qui, qui, qui e qui, per esempio.


domenica 27 Febbraio 2022

Un assaggio di Morning

Le puntate della settimana passata del podcast Morning, la rassegna stampa quotidiana di Francesco Costa destinata agli abbonati del Post, sono aperte all’ascolto per tutti: sia per offrire la possibilità a chi non lo conosce di farsene un’idea e verificare se vale l’abbonamento al Post, sia per la ricchezza di informazioni di contesto dedicate alla guerra in Ucraina, utili per tutti. Le puntate si possono ascoltare scaricando l’app del Post, senza bisogno di registrazione, o sul sito.


domenica 27 Febbraio 2022

I numeri di Cose

Presto il Post aggiornerà in maggiore dettaglio, come ogni anno, sui suoi conti relativi all’anno passato: ma intanto può condividere alcuni numeri su una delle iniziative accessorie di maggior successo (di gradimento ma anche in ricadute economiche) sperimentate nel 2021 e già consolidate: la rivista/libro Cose spiegate bene ha venduto finora rispettivamente – secondo i dati ufficiali delle vendite online e in libreria, sommati a quelli delle vendite attraverso il sito del Post – circa 19mila copie del primo numero e circa 15mila del secondo, con ulteriori aumenti che procedono tuttora per entrambe.


domenica 27 Febbraio 2022

Il famigerato Sputnik

La guerra in Ucraina ha riportato grandi attenzioni sull’imponente opera di propaganda del governo russo in tutto il mondo. Nel campo dei giornali online uno dei suoi principali strumenti è il sito Sputnik, fondato nel 2014 (dopo l’annessione della Crimea) e erede della Rossiya Segodnya, principale agenzia di stampa del governo di Mosca. Sputnik ha versioni in 30 diverse lingue, compreso l’italiano: ha una sede centrale a Mosca, ma collaboratori sul territorio. Sputnik Italia ha un sito aggiornato quotidianamente e con un gran numero di articoli, non solo traduzioni di edizioni internazionali. La produzione originale di giornalisti con sede a Roma segue cronaca, politica e attualità in genere. Non è possibile risalire alla dimensione del suo pubblico e gli oltre 420 mila follower sui social vanno considerati in un contesto che vede la Russia come nota “creatrice” di profili falsi. In questi giorni Sputnik Italia presenta la guerra seguendo la narrazione ufficiale del Governo russo e riproponendo anche le sue “fake news”, come la richiesta di tregua dell’Ucraina e poi l’abbandono delle trattative degli stessi. Nei giorni precedenti all’invasione, definita sul sito “operazione speciale”, raccoglieva le smentite di Mosca e ospitava anche vignette che ridicolizzavano “l’ossessione americana”. In una intitolata “Aspetta e spera” un disperato Biden di fronte al calendario si chiedeva “Perché non hanno ancora attaccato?”.


domenica 27 Febbraio 2022

Stracci

Sempre su Domani, la polemica tra i giornalisti Attilio Bolzoni e Lirio Abbate (vicedirettore dell’Espresso) che era nata proprio dopo un articolo della stessa serie sull’informazione in Sicilia, ha avuto un altro litigioso sviluppo.


domenica 27 Febbraio 2022

Non indipendentissimi

Il quotidiano Domani ha pubblicato una nuova puntata della sua serie di inchieste sulle proprietà dei media locali in Italia, stavolta dedicata alla regione Lazio.

“Il gruppo editoriale Giornalisti indipendenti controlla tre diverse testate: Latina Oggi, Ciociaria Oggi e Qui magazine, per un totale di 35 dipendenti secondo i documenti depositati presso la Camera di commercio. Il gruppo, che diffonde circa ventimila copie giornaliere e registra centomila visitatori unici sul web, riceve generosi finanziamenti dal dipartimento per l’editoria: solo nel 2020 ha incassato 1.629.932 euro, mentre sono circa 747mila euro quelli ottenuti nel 2019.

A dispetto del nome, però, l’editore è stato recentemente criticato da cittadini e colleghi per aver trattato in maniera superficiale uno scandalo sui rifiuti che coinvolge la regione Lazio e Valter Lozza, un imprenditore che si occupa di rifiuti. Lozza è anche azionista di Iniziative editoriali, la concessionaria esclusiva delle pubblicità per le testate di Giornalisti indipendenti.
Nel marzo del 2021 il tribunale di Roma ha disposto i domiciliari, poi revocati, per Lozza e la dirigente della regione Lazio Flaminia Tosini, accusati di corruzione e turbata libertà di procedimento di scelta del contraente in merito ad alcuni provvedimenti adottati dalla regione nella gestione dei rifiuti.”


domenica 27 Febbraio 2022

Giornalisti, eccezionali e normali

Due video di giornalisti televisivi in onda hanno circolato molto sui social network la settimana scorsa. Uno l’avrete probabilmente visto, è stato citato un po’ ovunque con ammirazione, ed è quello del giornalista di Associated Press capace di riferire da Kiev in sei lingue diverse, e con eccezionali sicurezza e preparazione.
L’altro invece racconta una cosa che molti lettori spesso sembrano non considerare (soprattutto nelle loro aspettative), ovvero che gli stessi giornalisti sono anche persone normali come tutte, e può capitare loro di trovarsi in imbarazzo perché la loro mamma vuole salutarli mentre lavorano.


domenica 27 Febbraio 2022

Piano coi rientri

Il sito Professione Reporter ha riferito di discussioni all’interno della redazione del Corriere della Sera rispetto alla richiesta della direzione che i giornalisti tornino a lavorare a tempo pieno nella sede di via Solferino (al momento vige ancora una forma poco regolamentata di “smart working”).
“Al Corriere della Sera si è avviato un dibattito serrato. Il Comitato di redazione ha promosso un sondaggio e il risultato è stato sorprendente: stragrande maggioranza a favore della continuazione del lavoro da casa. Il Cdr ha chiesto un incontro al direttore sul tema e Luciano Fontana ha risposto: “Credo che la priorità in questo momento sia seguire l’andamento della pandemia e prepararci al rientro di tutti i colleghi in presenza, dopo la fine dello stato di emergenza sanitaria. Organizzato in sicurezza il ritorno, potremo discutere dell’utilità organizzativa dello smart working nella, speriamo riconquistata al più presto, situazione di normalità””.


domenica 27 Febbraio 2022

Promozioni

Due importanti e diversi periodici statunitensi hanno fatto due nomine altrettanto importanti. People è il settimanale più popolare degli Stati Uniti: è una rivista di argomenti molto “larghi”, soprattutto dedicata a celebrities, a personaggi dello spettacolo e a storie di “persone comuni”, e che si vende tantissimo nei supermercati (ha una diffusione di oltre tre milioni di copie). Nacque nel 1974 come una sorta di costola più accessibile del magazine Time ed ebbe immediatamente un grande successo. L’editore che ha rilevato People pochi mesi fa (e che la settimana scorsa aveva annunciato la chiusura delle edizioni cartacee di altre testate famose) ha scelto come nuova direttrice Liz Vaccariello, che era finora direttrice di Real Simple, un mensile dello stesso editore dedicato a consigli domestici, di grande diffusione.

The Nation è pure un settimanale, ma ha un secolo di più (è il più antico degli Stati Uniti) e si occupa invece soprattutto di politica, con posizioni di sinistra (sostenne Bernie Sanders alle ultime due primarie democratiche) e un ruolo tuttora non estinto nel dibattito e nell’informazione americani, malgrado il cospicuo calo di copie (oggi ha una diffusione di poco sotto le 100mila copie). The Nation ha nominato un nuovo presidente, Bhaskar Sunkara, che è stato fondatore ed era finora direttore della rivista molto di sinistra Jacobinprotagonista di un discreto successo editoriale negli scorsi anni (anche con un’edizione italiana).


domenica 27 Febbraio 2022

Via dalla carta va bene

Il quotidiano britannico The Independent ha annunciato questa settimana di aver chiuso il 2021 con il bilancio in attivo per il quinto anno consecutivo: ovvero da quando nel marzo 2016 ha interrotto le pubblicazioni della sua edizione cartacea, passando completamente al digitale. I profitti dell’ultimo anno fiscale (chiuso a ottobre 2021) sono stati i più alti di sempre: 5,5 milioni di sterline (6,54 milioni di euro), in crescita del 103 per cento rispetto a un anno fa e ricavi aumentati del 36%: 41,2 milioni di sterline. L’Independent basa il suo modello di business sulla pubblicità, su un paywall solo parziale, con contenuti riservati agli utenti “premium”, sugli abbonamenti digitali alla “Daily Edition” (il giornale nella versione che veniva stampata) in vendita a un costo annuale di 150 sterline (178 euro) e su forti investimenti sui mercati esteri. Più del 50 per cento degli utenti del sito arrivano ormai da paesi diversi da quello britannico. Il giornale era stato fondato nel 1986 da tre ex giornalisti del Daily Telegraph e oggi è di proprietà dell’imprenditore russo Alexander Lebedev, uno dei cosiddetti “oligarchi”, ex ufficiale del KGB, che possiede anche il tabloid gratuito Evening Standard: negli ultimi anni ha lanciato edizioni asiatiche, in spagnolo, arabo, urdu e persiano, le ultime tre frutto di una ricca collaborazione con un’azienda saudita. Nel comunicare i dati l’Independent ha indicato di volersi espandere nel mercato statunitense, di lavorare per una maggiore profilazione dei propri utenti, anche per prepararsi al cambio delle normative sul tracciamento dei dati, raccogliendoli autonomamente. Il presidente della società ha detto a Bloomberg di progetti di acquisizioni o fusioni prossime.


domenica 27 Febbraio 2022

Agli altri briciole

Sempre sul peso delle aziende di moda negli investimenti pubblicitari sui quotidiani – soprattutto quelle italiane: il mercato italiano interessa poco agli stranieri in termini di promozione – bisogna anche osservare che ormai si concentra in grandissima parte sui due a maggiore diffusione, e ne beneficiano in quote assai più ridotte pochi altri. Venerdì, uno dei giorni più importanti della settimana delle sfilate a Milano, queste erano le inserzioni di aziende di moda sulle principali testate.
Corriere della Sera 7 pagine intere, 4 parziali
Repubblica 7 pagine intere, 8 parziali
Stampa 3 pagine intere
Sole 24 Ore 4 pagine parziali
Giornale 2 pagine intere
Verità 1 pagina intera
Fatto niente
Libero niente
Messaggero 1 pagina intera


domenica 27 Febbraio 2022

Top four

Il sito britannico PressGazette ha messo in ordine le testate settimanali di quel paese che dichiarano i maggiori numeri di abbonamenti digitali: primo di gran lunga è l’unico periodico che ha una vera diffusione mondiale, competitiva con gli americani, l’Economist. Seguono: l’edizione europea dell’americano Time che è pubblicata a Londra; Hello!, che è un “rotocalco” di notizie sui reali e su celebrities di proprietà di un editore spagnolo che lo introdusse nel 1988 sul modello dello spagnolo ¡Hola!; e lo Spectator, “il settimanale più antico del mondo”, il cui editore è lo stesso del quotidiano Daily Telegraph, e che si occupa di politica e attualità con posizioni vicine a quelle del partito Conservatore (Boris Johnson è stato un suo direttore).


domenica 27 Febbraio 2022

All’innovazione di prodotto

Per capire i risultati economici delle aziende giornalistiche può essere utile leggere le informazioni che diffondono sui loro risultati suddetti: ma queste informazioni sono un formato quasi “letterario” per il raffinato lavoro di addolcimento e appiattimento di ogni dettaglio vagamente negativo e insoddisfacente, e dunque bisogna imparare un po’ a leggerli tra le righe e a comprendere certe formulazioni generiche dedicate ad avvolgere tutto in una specie di nebbia il cui senso deve essere “non c’è da preoccuparsi, siamo fiduciosi per il futuro”. C’è una sapienza di scrittura. Questo per esempio è il trafiletto pubblicato sabato sul Sole 24 Ore a proposito dei risultati del gruppo.

“La complessiva revisione al ribasso dei ricavi del Gruppo, combinata ad un aumento dei costi per l’acquisto delle materie prime e dei costi operativi a supporto dello sviluppo dei ricavi, determina una riduzione della marginalità, ma il Piano 2022-2025 conferma comunque un progressivo miglioramento anno su anno degli indicatori economici e finanziari, trainati dalla crescita dei ricavi consolidati e dalla riduzione dei costi del personale attraverso gli interventi strutturali di riduzione di costo per tutte le categorie professionali già avviati nel corso del 2021. Nel dettaglio, la crescita della redditività nel tempo in tutte le aree di business è legata – si legge ancora nella nota – all’innovazione di prodotto, al rafforzamento dell’attuale offerta in ambito finanziario, allo sviluppo di partnership finalizzate alla valorizzazione del brand Il Sole 24 Ore, al potenziamento e specializzazione per competenze delle reti di vendita”.


domenica 27 Febbraio 2022

Meno AMP per tutti

Secondo un articolo del Wall Street Journal diversi giornali online americani starebbero abbandonando il formato che viene detto “AMP” per i loro articoli (ne aveva scritto già il sito PressGazette): che è in sostanza una versione semplificata e più “leggera” delle pagine dei suddetti siti introdotta e richiesta da Google per renderne il caricamento e la lettura più semplici sugli apparecchi mobili, e promuovere quelle pagine rispetto a quelle tradizionali. Formato che è stato adottato dal 2005 da molti siti di news, cedendo anche in questo caso una parte di sovranità sul proprio contenuto a Google, e accettando alcune limitazioni nell’uso degli spazi pubblicitari su quelle pagine. Proprio per questo, diversi siti starebbero scegliendo di tornare a una gestione autonoma di pagine e spazi pubblicitari: il Washington Post lo ha già fatto.


domenica 27 Febbraio 2022

I voucher per i soldi pubblici ai giornali

Il ricco dibattito internazionale sui contributi pubblici ai giornali – sulle loro necessità e sui loro limiti che si annullano a vicenda – può arricchirsi di una proposta particolare pubblicata sulla rivista progressista di Chicago che si chiama In these times: l’autore Mark Histed prende a modello un progetto già eseguito a Seattle dove il finanziamento pubblico alle campagne elettorali viene sostenuto dall’amministrazione cittadina con dei voucher che i cittadini ricevono e che possono scegliere a quale candidato destinare, indirizzando verso quel candidato un contributo economico distribuito dall’amministrazione. Una cosa simile, dice Histed, si potrebbe fare con i giornali: dando così alle persone la scelta di quali giornali (non uno soltanto, per evitare concentrazioni verso le testate più note; e con un tetto massimo per ogni testata) far sostenere con i soldi pubblici.
Il piano ha anch’esso dei limiti, come tutti gli altri: le garanzie che il denaro non sia indirizzato verso testate di bassa qualità o disinformazione sono limitate, per quanto si possano mettere dei paletti. Ma è utile che si facciano girare delle idee inventive che possano essere alternative ai sistemi fallimentari in vigore finora (soprattutto in Italia).


domenica 20 Febbraio 2022

Non per dire “l’avevamo detto”, è che l’avevamo detto

È passato un anno e mezzo dalla nascita di questa newsletter: ovvero una successione di quasi mille piccole notizie e spiegazioni che – come notate – ritornano spesso su temi e storie maggiori, si aggiornano, hanno sviluppi o si legano ad altre. Ci perdonerete quindi se – come notate – siamo costretti spesso a usare formule noiose del tipo “come avevamo scritto” e a inserire link all’archivio, per non ripeterci troppo: sappiate, soprattutto i lettori più recenti, che a quei link ci sono spesso le informazioni che magari mancano ai resoconti settimanali, i pezzi precedenti delle storie.


domenica 20 Febbraio 2022

Gli articoli non firmati

Capita da molti anni che nuovi lettori si incuriosiscano della scelta del Post di non firmare la quasi totalità dei propri articoli, perché non è una consuetudine nei giornali italiani, mentre avviene in misure diverse nelle testate internazionali (spesso negli editoriali, come invece in Italia fa il Foglio; o in quasi tutto il giornale, come fa l’Economist). Il Post spiegò le ragioni in questo articolo tuttora valido: ma una ragione nuova l’ha aggiunta Domenico Quirico, esperto e ammirato inviato della Stampa, in un libro-intervista da parte di Tiziana Bonomo pubblicato alla fine dell’anno passato:
«ho sempre detto che l’unico modo per cancellare il narcisismo dei giornalisti è non firmare i pezzi. Ed ero disposto ad accettarlo. Secondo me il giornale perfetto è quello in cui non ci sono le firme perché a quel punto lì il narcisismo lo devi buttare via. Continui a scrivere come sei capace perché questo è il tuo mestiere. È l’etica del tuo mestiere. Però non ci sei più. Il narcisismo è risolto. Ma prova a dirlo ai miei colleghi».

(Nello stesso libro, a onor dei dissensi tra i consensi, Quirico è assai critico sulla scrittura giornalistica asciutta e limitata ai fatti e alla loro esposizione).


domenica 20 Febbraio 2022

Permeabilità

La redazione di Repubblica continua quindi a dedicarsi criticamente alle attività di chi gestisce i social network e all’invadenza della concessionaria di pubblicità in quegli spazi, invece è stata finora più indulgente con i casi simili che si manifestano sulle pagine del giornale. Sabato Armani ha comprato due pagine di pubblicità per il suo nuovo negozio milanese e poche pagine dopo Repubblica ha pubblicato un articolo sul nuovo negozio milanese di Armani.
(Stessa cosa ha fatto il Corriere della Sera, lasciando però passare un giorno tra la doppia pagina di pubblicità e un’intervista a Giorgio Armani sullo stesso tema).

Sempre per rimanere solo a sabato, ancora sul Corriere della Sera: una pubblicità del padiglione Italia all’expo di Dubai, e una celebrazione del padiglione Italia all’expo di Dubai nelle pagine dell’economia. Interessante tra l’altro la trasparenza del circolo virtuoso (dal punto di vista degli interessati): il padiglione Italia celebra il dato e lo diffonde con un comunicato stampa, i media riprendono il comunicato stampa e il dato, il padiglione Italia celebra la copertura dei media.


domenica 20 Febbraio 2022

I capponi di Renzo

Il sito che si occupa di giornali Professione Reporter, e che divulga spesso dibattiti e comunicazioni all’interno dei maggiori quotidiani del gruppo GEDI, ha riferito di una nuova insofferenza della redazione di Repubblica per le ingerenze dei contenuti pubblicitari sugli account social del giornale.
L’episodio del 14 febbraio è questo: l’account Twitter di una delle cronache locali di Repubblica ha cominciato a pubblicare “articoli” promozionali senza alcun avviso per il lettore che si trattasse di materiale commerciale. “In generale – dicono le 4 redazioni – stiamo assistendo ad un aumento preoccupante di ‘articoli’ ad opera di Manzoni (la concessionaria di pubblicità) che vengono pubblicati sul nostro sito e partendo direttamente dal nostro sistema editoriale, i quali per un occhio distratto sono indistinguibili da quelli di cronaca, avendo gli stessi caratteri e la stessa formattazione”.


domenica 20 Febbraio 2022

Without implementing a paywall

Il sito britannico dedicato ai media e all’informazione PressGazette ha raccontato i risultati del Post e i successi del programma di abbonamenti senza paywall, intervistando il direttore Luca Sofri: Il Post: How a new type of news brand for Italy attracted 50,000 paying members”.


domenica 20 Febbraio 2022

I contratti ibridi

Sempre martedì Domani ha associato alla sua inchiesta anche un articolo su un tema di cui i lettori conoscono poco o niente, e che ha una sua complessità e rilevanza: il sistema dei contratti dei giornalisti, e l’eccezione sfruttata da alcune testate online (CityNewsOpenFanpage) per ridurre il costo del lavoro attraverso contratti alternativi a quelli ufficiali. Scelta che le testate in questione sostengono necessaria per le economie attuali dell’informazione e per gli alti costi aziendali dei contratti giornalistici stabiliti con la Federazione degli editori, mentre i critici la accusano di essere un metodo per limitare i compensi dei giornalisti e i loro diritti. L’articolo di Domani è un prezioso aggiornamento a quello che raccontammo qui e alle complicazioni successive.

«Citynews, che dallo scontro è uscita anche con una condanna per comportamento antisindacale, ha deciso di andare per la sua strada, applicando un nuovo contratto sottoscritto dalla stampa periodica con la confederazione dei lavoratori autonomi, creando un unicum nel panorama delle aziende editoriali di grossa dimensione.

Per Open e Fanpage, invece, all’orizzonte c’è un accordo per approdare al nuovo contratto che sulla carta è sempre per le testate di interesse locale: Open si adeguerà gradualmente entro il 2023. Fanpage, che in base ai dati Ads è il secondo sito italiano più visitato, sta trattando una intesa simile per 35 giornalisti assunti con la federazione regionale campana, secondo quanto riferisce la Fnsi».


domenica 20 Febbraio 2022

Informare sull’informazione

Il quotidiano Domani ha ammirevolmente dato una risposta a una proposta espressa mesi fa su Charlie, che il giornalismo italiano si occupi con meno omertà corporativa di raccontare cosa succede ai giornali italiani e ai loro business, come si fa negli altri paesi. Domani ha annunciato lunedì una serie di articoli sulle peculiari condizioni dei gruppi editoriali locali, iniziando martedì con quella super peculiare del quasi monopolio dell’informazione in Trentino-Alto Adige (anche di quella avevate letto qualcosa qui l’anno passato): due giorni dopo il gruppo Athesia ha contestato la ricostruzione di Domani, con una lettera piuttosto disordinata e vaga a cui il giornale ha ulteriormente risposto.

(è interessante notare come su Charlie avessimo indicato che il problema nel fare informazione sui media in Italia sia l’intolleranza corporativa all’interno della categoria: e la lettera indignata del gruppo Athesia espone esplicitamente “un’amarezza estrema per un gesto che mai ci saremmo aspettati da un quotidiano nazionale, che condivide le nostre stesse difficoltà”)

Ha avuto strascichi polemici anche un altro articolo che Domani aveva dedicato invece ai rapporti tra alcuni giornalisti e l’ex vicepresidente di Confindustria in Sicilia condannato per mafia, Antonello Montante: articolo firmato da Attilio Bolzoni, giornalista di lungo corso sulle questioni di mafia quando era a Repubblica e passato a collaborare con Domani l’anno scorso. L’articolo di Bolzoni è stato contestato via avvocato da Lirio Abbate, vicedirettore dell’Espresso, e in ulteriore risposta Bolzoni ha sostanziato con maggiori particolari e dati le sue accuse sui favori che sarebbero stati distribuiti da Montante.
“Avrei veramente preferito non entrare in questi dettagli ma, trascinato nella vicenda e senza l’intento di diffamare nessuno, ritengo che sia opportuno riportare i fatti per come sono stati registrati dagli inquirenti. Naturalmente sono tutti atti pubblici”.

Un nuovo articolo di Bolzoni, stavolta sulle aziende giornalistiche calabresi, è uscito su Domani di oggi, domenica.


domenica 20 Febbraio 2022

Uno che ne ha viste

Il New Yorker ha intervistato uno dei maggiori testimoni delle trasformazioni nell’industria editoriale e nel giornalismo di questi decenni, il direttore del New York Times Dean Baquet, che – benché lui non confermi – ci si aspetta lasci il ruolo quest’anno. L’intervista – piuttosto schiva e diplomatica, ma lunga – racconta cose della biografia di Baquet (nato a New Orleans, famiglia afroamericana che si è dovuta conquistare tutto), del suo far convivere i due lavori diversi del giornalismo (reporting e “macchina” redazionale), delle sue resistenze generazionali a molti cambiamenti contemporanei (malgrado finga aperture e indulgenze) e accenna di passaggio alle sue tensioni con la precedente direttrice Jill Abramson (che ne ha scritto assai in un libro pubblicato in Italia l’anno scorso da Sellerio).


domenica 20 Febbraio 2022

Non coi soldi degli svizzeri

Il complesso dibattito internazionale sulle necessità di sostegno economico pubblico per i mezzi di informazione è stato risolto in Svizzera drasticamente con un referendum: nel quale, domenica, gli elettori hanno deciso di rifiutare una legge approvata dal parlamento che avrebbe finanziato molti editori di news con 145 milioni di euro l’anno (più che raddoppiando un contributo già esistente). I promotori del referendum contestavano la legge sulla base della necessità di mantenere i giornali indipendenti dal potere pubblico, e della distorsione della concorrenza che avrebbe creato a favore dei gruppi editoriali maggiori: ma nelle scelte degli elettori hanno pesato molto le insofferenze crescenti per i giornali che riguardano molti paesi del mondo, i rapporti di potere tra i media di lingua francese e tedesca, le polarizzazioni tra destra (contraria) e sinistra (favorevole).


domenica 20 Febbraio 2022

Qualcosa ricomincia a funzionare in Condé Nast

Il Wall Street Journal ha raccolto informazioni ufficiali e non per raccontare che il grande gruppo editoriale internazionale Condé Nast (che pubblica tra gli altri VogueVanity FairWired e il New Yorker, e le edizioni italiane dei primi tre) ha chiuso il 2021 in attivo per la prima volta dopo molti anni: a migliorare i conti sarebbero stati i due principali interventi decisi negli scorsi due anni su scala globale, di taglio dei costi e riduzioni dei dipendenti, e di accorpamento delle edizioni internazionali delle varie testate sotto singole direzioni editoriali.


domenica 20 Febbraio 2022

Altre manovre a destra

Il Tempo è un quotidiano locale particolare: pur essendo “locale” la sua località è Roma, con tutto quello che ne consegue di rilevanza sul piano nazionale. Ed è stato quindi un quotidiano importante a lungo, dalla sua fondazione nel 1944, sia per centralità nell’informazione (la sua sede è tuttora davanti a Palazzo Chigi) che per diffusione. Da diversi anni però sono molto declinate entrambe le cose: oggi dichiara 8mila copie di diffusione, ed erano 40mila solo dieci anni fa, e il doppio dieci anni prima. La concorrenza col Messaggero (che comunica 73mila copie) non esiste più. Passaggi proprietari e diverse direzioni lo hanno consolidato come quotidiano di destra, e da sei anni appartiene al gruppo della famiglia Angelucci, insieme a Libero e al Corriere dell’Umbria. Questa settimana si è saputo che il suo direttore Franco Bechis (lo era dal 2018 ma lo era già stato quindici anni prima) lascerà, e che il suo successore sarà Davide Vecchi, giornalista che era finora al Corriere dell’Umbria e che ha lavorato per otto anni al Fatto.
Bechis, ma niente è ancora ufficiale, dovrebbe dirigere un nuovo quotidiano economico del gruppo concorrente della Verità.
La settimana precedente si era anche parlato di un’ipotesi di acquisto da parte del gruppo Angelucci nientemeno che del Giornale (il quotidiano della famiglia Berlusconi dalle cui esperienze sono nati sia Libero che la Verità, ultimamente in grandi competizioni), ma senza sviluppi o conferme per ora.


domenica 20 Febbraio 2022

La rete all news

Solo un breve aggiornamento sulla crisi in CNN traboccata dagli argini con le dimissioni del presidente Jeff Zucker: gli addetti ai lavori e i media americani continuano a esserne molto appassionati perché contiene aspetti assai significativi sul settore ma anche perché contiene storie e vicende personali e stracci che volano. Il New York Times ha pubblicato un articolo che ha messo più in ordine le ipotesi su cosa sia successo davvero, indicando che la relazione di Zucker con una dirigente della rete sia stata solo un pretesto per le sue dimissioni, e che la sostanza sarebbe che le “coperture” per l’ex governatore dello stato di New York Andrew Cuomo non si siano limitate a suo fratello Chris (ora ex giornalista di CNN) ma abbiano appunto coinvolto anche Zucker e la sua compagna, e adesso è un tutti contro tutti.


domenica 20 Febbraio 2022

Du passé

Nei dibattiti giornalistici francesi questa settimana si è parlato di una storia che invece forse spiega poco del futuro dei giornali ma molto del loro passato. Un articolo del settimanale L’Obs (quello che si chiamava Nouvel Observateur fino al 2014, uno dei più illustri magazine francesi oggi di proprietà dello stesso gruppo del quotidiano Le Monde) ha rivelato che Jean Clémentin, un giornalista e scrittore oggi 97enne che fu a lungo autore e ispiratore del celebre giornale satirico Canard Enchaîné, lavorò a lungo – tra il 1957 e il 1969 – per i servizi segreti cecoslovacchi, pubblicando sul giornale informazioni agli ordini di questi ultimi e trasmettendo loro oltre “trecento note”.


domenica 20 Febbraio 2022

Più che l’editore poté la Gazzetta

La Gazzetta del Mezzogiorno, che era il più radicato quotidiano della Puglia e della Basilicata, è tornato ieri in edicola, dopo un’assenza di quasi sette mesi. Aveva smesso di essere pubblicata a inizio agosto 2021 dopo 133 anni, gli ultimi tre passati in una profonda crisi, fra i fallimenti delle società editrici, mancate cessioni e dispute legali. A ottobre il Tribunale di Bari aveva omologato la proposta di concordato (con assunzione dei debiti e progetto di rilancio) della Ecologica Spa, un’azienda con sede a Taranto che si occupa principalmente di smaltimento rifiuti.
Da oggi, secondo giorno in edicola, la Gazzetta del Mezzogiorno uscirà in abbinamento con la Gazzetta dello Sport, al prezzo di 1,50 euro per i due giornali. L’iniziativa di lancio in collaborazione – che viene chiamata in gergo “panino” – col quotidiano sportivo del gruppo RCS dovrebbe durare per qualche mese e ha molti precedenti nell’editoria locale e non solo. La scelta ha però causato proteste e comunicati sindacali da parte del Corriere del Mezzogiorno, la testata che dal 1997 raccoglie le cinque sezioni locali del Corriere della Sera nelle regioni meridionali, e che è a sua volta del gruppo RCS. La collaborazione fra le due “Gazzette”, dice il comunicato sindacale, può “nuocere gravemente al Corriere della Sera e al Corriere del Mezzogiorno che vi è contenuto all’interno, in una logica perversa di cannibalismo aziendale interno al medesimo Gruppo editoriale”. L’editore ha risposto minimizzando i rischi e confermando l’iniziativa. Corriere e Gazzetta del Mezzogiorno (quest’ultima prima della chiusura dichiarava 8 mila copie vendute) si trovano in un mercato ad alta concorrenza, dove operano anche la Repubblica di Bari, il Quotidiano del Sud, il Nuovo Quotidiano di Puglia e l’Edicola del Sud.


domenica 20 Febbraio 2022

50 anni senza perdere una causa per diffamazione

Il giudice ha rigettato la richiesta di danni per diffamazione di Sarah Palin nei confronti del New York Times, la storia che avevamo riassunto domenica scorsa e che abbiamo raccontato con maggior completezza sul Post.

“Per avere successo la denuncia di Palin – che ha ritenuto insufficiente la correzione rispetto al danno comunque subito – avrebbe dovuto dimostrare che l’errore non fosse stato compiuto per disattenzione, come sostenuto dal quotidiano, ma fosse frutto di “effettiva malafede” (“actual malice”).
È una discriminante prevista dalla legislazione americana, una delle più garantiste al mondo riguardo alla libertà di stampa, introdotta da una sentenza della Corte Suprema del 1964, in un caso relativo sempre al 
New York Times (New York Times v. Sullivan). L’accusa doveva dimostrare che il giornale aveva pubblicato informazioni pur essendo pienamente cosciente della loro falsità, o con un totale disinteresse riguardo alla loro veridicità: in questo dedicando parte dei suoi argomenti all’inclinazione politica del giornale e a presunti pregiudizi contro Palin. Per questo gli avvocati di Palin hanno cercato di dimostrare che Bennet fosse “prevenuto” nei suoi confronti e hanno chiesto di ricostruire tutti i passaggi che avevano portato alla pubblicazione dell’editoriale. Lo stesso giudice Rakoff, nel rifiutare gli argomenti contro il giornale, ha sottolineato la gravità dell’errore e ha detto di non essersi stupito della scelta di Palin di fare causa”.

Successivamente la stessa giuria ha convenuto con la decisione del giudice: che si era pronunciato in modo anomalo mentre la giuria era ancora ritirata per deliberare. Alcuni dei giurati erano quindi stati informati della sua decisione. Secondo alcuni commenti questo potrebbe essere un appiglio solido per un ricorso di Palin contro la sentenza, e il dibattito sul fatto che la questione non si chiuderà facilmente è molto vivace.


domenica 20 Febbraio 2022

We don’t talk anymore

Una importante sentenza della Corte Suprema britannica sulla libertà d’espressione e sulla privacy permette di spiegare come la consuetudine italiana di “sbattere il mostro in prima pagina” (era il titolo di questo precoce film di Marco Bellocchio) non sia una condizione scontata. Nel Regno Unito, infatti, è vietato divulgare i nomi delle persone sottoposte a indagine prima che vengano formalmente incriminate o arrestate: o meglio, si considera che nella stragrande maggioranza dei casi, il diritto alla privacy di chi sia soltanto indagato prevalga sul diritto all’informazione da parte dei media, per via dell’indiscutibile e irrimediabile “danno alla reputazione” che questo genere di notizie comporta per le persone coinvolte.

L’attenzione dei tribunali a queste tutele è ulteriormente cresciuta nell’ultimo decennio, dopo lo scandalo che ha rivelato le pratiche spregevoli e illegali di alcuni tabloid per ottenere informazioni private su celebrities e privati cittadini. E il caso più famoso di questa severità è quello del cantante Cliff Richard, il cui nome fu diffuso da BBC dopo una perquisizione a casa sua (trasmessa in tv) nell’ambito di un’inchiesta per cui non fu poi mai perseguito, e da cui venne ritenuto estraneo ai fatti: Richard ottenne le scuse di BBC e della polizia per la diffusione della notizia, e diverse centinaia di migliaia di sterline di risarcimento (a BBC costò oltre due milioni comprese le spese legali).

Mercoledì la Corte Suprema ha rigettato un ricorso dell’agenzia di stampa Bloomberg che era stata condannata per aver citato il nome di un dirigente di una società americana coinvolto in un’inchiesta per corruzione, che non fu poi incriminato: il ricorso sosteneva che si trattasse di un caso in cui l’informazione sull’indagine avesse una pubblica utilità maggiore della tutela della privacy dell’interessato. Le critiche alla sentenza hanno aggiunto che ci sono casi in cui le notizie pubblicate su un indagato possono suggerire a persone con maggiori informazioni di condividerle con le indagini. La sentenza ha però confermato che il “danno alla reputazione” di una persona su cui non ci siano elementi per la formalizzazione di un’accusa non possa essere accettato.
Secondo il Guardian in seguito alle critiche alla sentenza il governo starebbe considerando una revisione delle norme in senso meno restrittivo per il diritto di cronaca.


domenica 20 Febbraio 2022

La qualità paga fino a un certo punto

Un ringraziamento lo dobbiamo da un pezzo ai molti che scrivono al Post manifestando gentili complimenti e apprezzamenti per Charlie, e a chi ci aiuta con informazioni e suggerimenti, e lo mettiamo qui come prologo al prologo: la newsletter è riuscita in un anno e mezzo a diventare interessante sia per chi si occupa di giornalismo e informazione, sia per semplici lettori e utenti che trovano utile capirne meglio i meccanismi.

Il prologo vero ne approfitta per rispondere anche ad alcune segnalazioni che riceviamo e che riguardano singolari contenuti dei giornali, a volte interessanti o a volte discutibili: ma – salvo occasionali eccezioni peculiari – Charlie è una newsletter interessata a capire perché le cose succedono più che a dedicarsi alle singole cose che succedono. Per questo parliamo spesso di questioni apparentemente meno divertenti come modelli di business, esperimenti, strategie commerciali, tendenze e conflitti di interessi. E soldi. Perché sono le questioni che spiegano come mai leggiamo le cose che leggiamo, e perché orientano scelte, fortune e sfortune dei prodotti giornalistici assai di più dei loro “progetti editoriali”. Come ha scritto Matt Yglesias (ex giornalista di AtlanticSlate e Vox) nella sua newsletter, parlando dei problemi odierni di Slate, che fu un rivoluzionario e precoce giornale online di gran qualità: “odio quando i critici sostengono che i problemi economici di un sito non sono che le conseguenze dei loro limiti editoriali, quindi lo dico chiaramente: gli affari di un sacco di siti che io ritengo spazzatura sembrano andare benissimo, e penso che progetti della dimensione di Slate avrebbero difficoltà a prescindere dalla qualità del prodotto”.
Fare “un buon giornale” in termini di contenuti c’entra solo in parte, e a volte per niente, con la sostenibilità e il successo di quel giornale.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Febbraio 2022

Insegnare a distinguere

La questione della scarsa trasparenza di molti giornali rispetto a quali dei propri articoli siano una scelta della redazione e quali siano incentivati da ragioni di ricavo pubblicitario o di interesse di altro genere per il giornale è spesso trattata su Charlie: è piuttosto decisiva, capirete, nel conservare la fiducia dei lettori necessaria – non bastassero le ragioni etiche – a ottenerne i ricavi indispensabili a sostenere i giornali stessi. Il compromesso creato in questi anni per mantenere parte dei ricavi pubblicitari senza ingannare i lettori è quello dei formati – soprattutto digitali – che sono stati chiamati di “native advertising”, “branded content”, “articoli sponsorizzati” o con altri nomi: ovvero articoli e contenuti giornalistici indicati con chiarezza nella loro natura pagata dall’esterno.
Il problema, che è stato notato già da tempo, è che pure le più vistose e benintenzionate indicazioni di questo genere spesso non sono sufficienti a far percepire a gran parte dei lettori la natura degli articoli. La conseguenza non è soltanto che quindi si mantiene il problema che chi legge attribuisce all’autorevole autonomia del giornale l’articolo che legge e la scelta di pubblicarlo, ma anche un’altra, come ha raccontato un articolo di pochi giorni fa sul sito The conversation: ovvero che laddove i lettori percepiscono la bassa qualità o il tono promozionale dei suddetti articoli, li attribuiscono al giornale stesso, e alla sua redazione, e questo contribuisce alla loro perdita di fiducia nella sua stessa qualità e autorevolezza. Ragione di più per distinguere chiaramente i contenuti promozionali da quelli giornalistici indipendenti, e per farlo con tripla evidenza.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Febbraio 2022

Piccole cose buffe ma illuminanti

Avevamo scritto un mese fa dei timidi tentativi di alcuni siti di news italiani di raggiungere pubblici maggiori pubblicando articoli anche in inglese: i risultati fino a oggi sono stati poco soddisfacenti e i costi relativi insostenibili, quindi chi lo fa ancora si affida spesso a meccanismi di traduzione automatica, con frequenti incidenti. Quello che è capitato mercoledì al sito dell’Unione Sarda ne è un esempio, con effetto comico moltiplicato dalla famigerata tendenza dei titolisti italiani di usare l’espressione “è giallo”.
Yellow on the fate of the French virologist Luc Montagnier, Nobel Prize in medicine in 2008 who became a guru of no vax at the time of the Covid pandemic”.


domenica 13 Febbraio 2022

Titolismi

Anche Jovanotti si è lamentato su Instagram della pratica dei maggiori quotidiani italiani di usare nei titoli dei virgolettati inventati e non corrispondenti né alle parole né al senso delle cose effettivamente dette: a proposito di una sua intervista alla Stampa.
(ricordiamo che i titoli degli articoli vengono composti in redazione da chi lavora alla “cucina” del giornale – ovvero la sua progettazione, confezione, revisione, impaginazione – e non da chi scrive gli articoli)


domenica 13 Febbraio 2022

Oggi è già domani

È uscito il primo numero del settimanale Oggi diretto da Carlo Verdelli, giornalista col più ricco e vario curriculum di direzioni e vicedirezioni in Italia (SetteCorriere della SeraVanity FairGazzetta dello Sport, informazione Rai, Repubblica) che un anno fa era stato licenziato in modi molto criticati dalla nuova proprietà del gruppo GEDI.
Oggi è un settimanale di lunga tradizione (nacque nel 1939) pubblicato da sempre dall’editore Rizzoli (oggi RCS, l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport) e con un’inclinazione “popolare” ma arricchita da temi e autori qualificati e importanti (a novembre aveva una diffusione di 157mila copie). Approccio in grande sintonia con quello di Verdelli, che ha sempre introdotto qualità giornalistica nei prodotti popolari che ha diretto, e attenzioni “larghe” nei progetti giornalistici: già molti anni fa raccontava che una sua ambizione fosse dirigere un Paris Match italiano, riferendosi all’illustre rotocalco popolare francese. I tempi sono cambiati completamente, ma già dal primo numero Verdelli sembra voler riprodurre l’impostazione che fece le fortune di Vanity Fair italiano, che sotto la sua direzione all’inizio del millennio divenne un ibrido tra un “femminile” e un newsmagazine. Tra gli autori ospiti ci sono Ferruccio De Bortoli, Liliana Segre, Stefano Bartezzaghi, Nino Cartabellotta, Fabio Fazio, Francesca Mannocchi, e tra gli autori degli articoli diversi giornalisti del Corriere della Sera.


domenica 13 Febbraio 2022

Quanto vendono i quotidiani di carta americani

Sempre il sito britannico PressGazette ha messo in ordine i numeri della diffusione delle edizioni cartacee dei quotidiani americani: mostrando che il più venduto rimane il Wall Street Journal, seguito dal New York Times e da USA Today, che ha ridotto a molto poco il suo vantaggio sul Washington Post. Sono i quattro quotidiani considerati “nazionali”: seguono i primi dei “locali”, New York PostLos Angeles Times e Minneapolis StarTribune. I dati sono significativi nel mostrare il declino complessivo per tutte le testate (-30% in due anni, solo il New York Post ha recuperato qualcosa rispetto al disastroso 2020).


domenica 13 Febbraio 2022

Uno e settanta

Da lunedì anche la Stampa replicherà gli aumenti del prezzo in edicola introdotti la settimana scorsa dall’editore GEDI per il suo altro quotidiano maggiore, Repubblica.


domenica 13 Febbraio 2022

Meno entertainment

La grande società di media, editoria digitale ed entertainment che si chiama IAC (posseduta da Barry Diller, uno dei più ricchi e noti imprenditori ed editori americani, che ha 79 anni), che aveva comprato l’azienda editoriale Meredith e le sue testate quattro mesi fa, ha deciso che dismetterà la stampa su carta di alcuni noti periodici statunitensi: tra questi la rivista di moda InStyle e il settimanale (da tre anni divenuto mensile) Entertainment Weekly, quest’ultimo uno dei più importanti periodici dedicati allo spettacolo (una specie di Sorrisi e Canzoni americano, fatte le dovute proporzioni tra l’offerta di spettacolo, musica e cultura pop americana e quella italiana). 200 posti di lavoro saranno eliminati.


domenica 13 Febbraio 2022

La consueta manciata di esempi

Le “accoppiate” di inserzioni pubblicitarie trasparenti e contenuti giornalistici dedicati all’inserzionista sono ormai legittimate estesamente sui quotidiani maggiori: come diciamo spesso, sono violazioni di etiche e di regole scritte che si spiegano con la vulnerabilità economica dei giornali e col crescente potere che le concessionarie di pubblicità hanno nelle scelte redazionali (l’esempio più palese è la assoluta mancanza di indicazioni della natura promozionale delle sezioni che Repubblica e Corriere della Sera chiamano “Le Guide” o “Eventi”). Questa settimana tra i casi più vistosi ci sono state le interviste di sabato all’amministratore delegato della banca Illimity a poche pagine di distanza dalle inserzioni pubblicitarie della stessa banca su Corriere della Sera e Sole 24 Ore (il gruppo GEDI ha scelto di intervistarlo sulla Stampa pubblicando le inserzioni su Repubblica): inserzioni e interviste dedicate allo stesso prodotto. Giovedì il Corriere della Sera aveva celebrato nelle pagine dell’Economia i risultati della banca Fineco, assiduo inserzionista negli stessi giorni.


domenica 13 Febbraio 2022

I limiti di Libero

Il direttore di Libero ha pubblicato in prima pagina le ragioni di una scelta piuttosto inconsueta nei quotidiani italiani, che invece abbiamo visto molto nella stampa anglosassone negli ultimi anni, come risultato di una maggiore attenzione e severità verso i comportamenti e le dichiarazioni dei propri giornalisti sui social network e fuori dai rispettivi giornali. Ovvero la decisione di interrompere un rapporto di collaborazione e di annunciarlo ai lettori.
La ragione, per Libero, è stato un messaggio su Twitter di un suo giornalista che alludeva alle note immagini delle “bare di Bergamo” all’inizio della pandemia, nel 2020, come se si fosse trattato di un’invenzione.
È vero che i contenuti dei social personali dei giornalisti non ricadono sotto il controllo del direttore, ci mancherebbe altro. Ma è anche vero che il giornalista, con la sua faccia e la sua firma, è un pezzo dell’immagine del giornale su cui scrive, della sua autorevolezza e della sua credibilità. Per cui non posso permettere che neppure per un secondo e neppure per sbaglio e nemmeno per un fraintendimento tra social privati e aziendali un nostro lettore o chiunque altro possa essere sfiorato dal dubbio che qui a Libero si pensi che quel convoglio di camion sia stata una cinica messa in scena […] Per questo ho chiesto all’azienda la sua immediata sospensione, saranno gli avvocati a decidere il resto ma nessuna carta bollata potrà assemblare i cocci”.


domenica 13 Febbraio 2022

Sbagli che tornano nel giornalismo americano 2

Un’altra storia delicata che sta circolando molto nel mondo dei media americani riguarda ancora degli errori compiuti diversi anni fa e oggi arrivati al pettine: in questo caso non in un tribunale, ma nel podcast di una giornalista, Vicky Ward, che ha raccontato che una sua precoce traccia (era il 2003) sugli abusi criminali di Jeffrey Epstein fu accantonata dall’allora direttore di Vanity Fair Graydon Carter, che scelse di non pubblicare le prime accuse di molestie sessuali contro Epstein raccolte allora da Ward. Secondo Ward una combinazione di complicità maschile tra uomini potenti e timore delle conseguenze spinse Carter (un’istituzione nella storia di Vanity Fair e della mondanità statunitense, direttore dal 1992 al 2017) a non dare seguito alle ipotesi di Ward, che aveva parlato con due vittime di Epstein.
Dopo la ricostruzione di Ward nel suo podcast, il New Yorker (settimanale che appartiene allo stesso gruppo editoriale di Vanity Fair, Condé Nast) ha dedicato un articolo a indagare e verificare le accuse di Ward contro Carter, presentandole come confuse e contraddittorie e di fatto assolvendo l’ex direttore e indicando Ward come una giornalista sulla cui affidabilità c’erano molti dubbi all’interno del giornale. Ward ha risposto nella sua newsletter con un lungo testo indignato (che allude ancora a complicità maschili, ma anche a complicità aziendali) che ha riportato molte delle conversazioni avute tra lei, Carter ed Epstein intorno alle accuse poi taciute nel suo articolo del 2003. E una nuova newsletter, venerdì, che sostiene che la ricostruzione del New Yorker finisca in realtà per darle ragione.
A margine della sostanza del contendere, sono interessanti le riflessioni di Ward sulla difficoltà di ricostruire con certezza ed esattezza i dettagli di cose avvenute quasi vent’anni fa, e di come gli umanissimi dubbi della memoria possano essere usati contro chi li confessa.


domenica 13 Febbraio 2022

Sbagli che tornano nel giornalismo americano 1

È in corso un interessante processo contro il New York Times per una denuncia presentata da Sarah Palin, ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti per il partito Repubblicano. Nel merito c’è accordo tra querelante e querelato: in un editoriale del 2017 il New York Times accusò Palin di avere contribuito a incentivare azioni terroristiche violente contro i membri del parlamento (compreso l’attentato del 2011 contro Gabrielle Giffords), attraverso sue campagne e messaggi descritti in modo errato nell’articolo. Dopo le proteste il giornale corresse l’editoriale, segnalando l’errore in coda, ma Palin presentò lo stesso una denuncia per diffamazione. Durante le udienze di questi giorni stanno emergendo molte questioni significative sul funzionamento dei giornali: la principale è la contraddizione quotidiana tra i tempi immediati di pubblicazione e la necessità di verifiche attente. In quel caso l’editoriale seguiva un nuovo attentato e il giornale ritenne che non potesse essere rimandato, e il difetto di memoria del suo autore non ebbe il tempo di essere verificato e corretto.


domenica 13 Febbraio 2022

Contare gli abbonati ma anche quanto pagano

La newsletter Ellissi di Valerio Bassan ha ripreso una questione accennata nell’intervista della settimana precedente col direttore del Post e ha approfondito le considerazioni su fragilità e ingannevolezza dei numeri degli abbonamenti digitali ai giornali (citando un’altrettanto utile e chiara analisi della newsletter di Lelio Simi, altro esperto di media e innovazione).

“Per misurare il successo di un’azienda subscription-based ci sono tre dati centrali. 

Il numero di subscriber attivi totali; 
Il ricavo medio per utente pagante o per abbonato (ARPPU/ARPS), di cui ti ho parlato sopra; 
Il customer lifetime value (CLTV), ovvero il valore generato dall’utente nel corso della sua lifetime, del suo ciclo di vita come cliente dell’azienda.

Di solito quando un giornale o una piattaforma annunciano il proprio numero di subscriber, quasi mai rivelano la propria ARPPU, il che rende pressoché impossibile capire il reale valore di ciascun abbonato – pardon, abbonamento – attivo.
Questo rende arduo capire anche chi tra Netflix, Amazon, Disney e compagnia stia vincendo la sanguinosa ‘guerra dello streaming’.
Il numero totale dei subscriber, dunque, è ancora un indicatore dello stato di salute di una media company o di una piattaforma video?
Sì, ma omette un pezzo fondamentale della storia, visto che un +25% di abbonati non corrisponde mai a un +25% di profitti.
Se il numero dei subscriber attivi è il termometro posto all’ingresso del supermercato, l’ARPPU è il saturimetro: ci dice quanto ossigeno c’è in un dato momento nel sangue di una azienda.
Per questa ragione è di gran lunga il dato più importante: non solo perché ci aiuta nella diagnosi, ma anche perché ci permette di prevedere meglio cosa succederà in futuro”.


domenica 13 Febbraio 2022

Il Washington Post continua ad allargarsi

La nuova direttrice del Washington Post Sally Buzbee ha annunciato con una lettera interna ma resa pubblica che nel 2022 il giornale assumerà 70 persone nella redazione più altri dipendenti per ruoli nel marketing. Nella lettera indica esplicitamente alcune aree su cui il giornale vorrà investire di più, ovvero “salute e benessere”, ambiente e clima, tecnologia; e anche maggiori risorse e attenzioni fuori da Washington, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.
Il Washington Post è in un’ambiziosa fase di crescita da alcuni anni, grazie agli investimenti del suo editore Jeff Bezos (che lo ha acquistato nel 2013) e a una lungimirante attenzione sugli sviluppi e l’innovazione nell’informazione e nei suoi modelli di business.