Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 26 Giugno 2022
Una pagina di un grande quotidiano italiano questa settimana era dedicata a un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani, ma lo spazio maggiore e la titolazione riguardavano le risposte che gli intervistati avevano dato a una serie di richieste di previsioni politiche: “lei crede che l’uscita di Di Maio rappresenterà per il Movimento 5 Stelle… [il colpo di grazia, un incidente di percorso, una scossa]?”, “secondo lei quali conseguenze avrà questa scissione del Movimento 5 Stelle per il futuro del governo Draghi?”.
Se ci fermiamo a considerarle, queste sono le domande che di norma si fanno i lettori, e di cui cercano risposte sui giornali. È interessante e sintomatico che siano i giornali a chiedere le risposte ai lettori e che accolgano le loro opinioni (non su quello che i lettori sanno – il loro voto – ma su quello che possono immaginare senza particolari elementi) e ne facciano una notizia: tutto rischia di somigliare ancora a questa barzelletta . Ma soprattutto è sintomatico della sempre maggiore attitudine di molti giornali non solo a “dare ai lettori ciò che vogliono” – rinunciando alla propria responsabilità, già limitata dalla necessità di dare agli inserzionisti ciò che vogliono – ma anche a rendere sempre di più le persone ispiratrici e creatrici del dibattito: cosa che avviene per esempio con l’attingere sempre più frequente ai contenuti pubblicati sui social network, o col rendere significative esperienze normalissime (il mese scorso un quotidiano ha intervistato una persona nata il giorno in cui venne ucciso Giovanni Falcone: “Io, venuto al mondo mentre Falcone moriva”). Un po’ come è avvenuto con la moda, che ha appaltato alle “persone qualsiasi” la creatività e l’ha chiamata streetwear , abdicando al proprio ruolo di guida e sapienza, l’informazione ospita sempre di più un circolo per cui le esperienze, emozioni e opinioni “normali” diventano protagoniste e tornano sotto forma di news ai loro ispiratori, che ne vengono informati, formati e a loro volta ispirati, in un doppio specchio che rischia di vedere diminuire molto le scelte diverse e le innovazioni culturali in genere. Il che non significa che non ci siano ancora momenti di leadership e innovazione culturale sui media, ma teniamo d’occhio quanto vengano rosicchiati.
Fine di questo prologo.
domenica 19 Giugno 2022
Dopo una serie di ridimensionamenti delle sue ambizioni (con cui aveva vinto un premio Pulitzer), di insoddisfacenti risultati finanziari e di partenze di giornalisti importanti, il giornale online americano Buzzfeed News ha nominato una nuova direttrice, Karolina Waclawiak, che era già alla cultura del sito.
domenica 19 Giugno 2022
Linkiesta è un sito di news nato nel 2010 col sostegno di una estesa compagine di soci milanesi, che in dodici anni ha avuto periodi diversi e momenti di difficoltà economiche, ma che negli ultimi tre ha rimesso in ordine i suoi conti grazie a una serie di progetti collaterali che hanno completato i ricavi pubblicitari, di cui si era dimostrata l’inadeguatezza a sostenere il progetto da soli: il bilancio 2021 appena approvato è il primo in attivo della storia del sito. Il direttore Christian Rocca, forte soprattutto dell’esperienza precedente come direttore del magazine IL del Sole 24 Ore , ha introdotto – oltre a una formula di abbonamenti per ora marginale nelle economie del sito – un’attività di eventi pubblici e di pubblicazioni cartacee su cui ha saputo coinvolgere partner e aziende importanti, e due anni fa su Charlie avevamo raccontato i primi esperimenti sulle seconde. Gli esperimenti si sono susseguiti , e Linkiesta ha creato anche una propria casa editrice di libri, e dal prossimo venerdì pubblicherà una nuova rivista quadrimestrale di cultura e “lifestyle” intitolata Eccetera e diretta da Valentina Ardia, che al primo numero – al prezzo di 20 euro – ha già una quota promettente di inserzionisti pubblicitari.
domenica 19 Giugno 2022
Il Secolo XIX è lo storico quotidiano di Genova, che in effetti nacque nel diciannovesimo secolo (però il giornale si chiama “Secolo decimonono”) e che nell’ultimo decennio è stato acquistato dal gruppo che possiede anche la Stampa ed è quindi poi confluito nella nuova società GEDI, insieme a Repubblica , a molte altre testate locali e altre proprietà editoriali. Negli ultimi dati di aprile ha dichiarato 26mila copie di diffusione con un calo del 14% rispetto a un anno fa, ed è il quarto quotidiano del gruppo, dopo Repubblica , Stampa e Messaggero Veneto (il quotidiano di Udine), e il nono tra tutti i quotidiani locali.
Dalla fusione in un’unica azienda con Repubblica e Stampa , il Secolo XIX ha sofferto l’apparente mancanza di progetto lungimirante e unitario quanto le due testate maggiori ( sono tre degli otto quotidiani ad avere perso più copie in un anno, tra i primi venti per diffusione). E la redazione contesta da tempo una pretesa mancanza di visione e di risorse: lunedì ha pubblicato un comunicato rivolto ai lettori in cui dice che:
“i giornalisti del Secolo XIX sono in stato di agitazione dal 25 maggio scorso e hanno affidato al Comitato di redazione – con voto unanime da parte dell’assemblea – un pacchetto di due giorni di sciopero. Il motivo? I giornalisti, attraverso il Cdr, chiedono la sostituzione di colleghi usciti dall’azienda e non ancora sostituiti. Chiedono, inoltre, l’aumento dei compensi per corrispondenti e collaboratori i cui articoli sul web talora vengono pagati non più di 3 euro lordi ciascuno.
I giornalisti del Secolo XIX pretendono poi il rispetto del contratto e dell’orario di lavoro che viene quotidianamente e sistematicamente violato”.
domenica 19 Giugno 2022
Un anno fa Substack, la piattaforma di maggior successo per creare e commercializzare newsletter attraverso un abbonamento, annunciò i vincitori di “Substack Local”, un progetto di finanziamento da un milione di dollari per newsletter di informazione locale. I dodici vincitori rappresentavano contesti molto diversi e molto lontani: la metà dei nuovi progetti erano statunitensi, ma Substack ha finanziato anche giornalisti da Nigeria, Taiwan o Brasile. Iașul Nostru , di Alexandru Enășescu, è stato l’unico progetto europeo scelto: ha recentemente raccontato al sito britannico The Fix il bilancio di questo primo anno. Iașul Nostru è una newsletter di informazione locale sulla città di Iași (la seconda più grande della Romania) che si proponeva come strumento di servizio per i cittadini, evitando di dedicarsi eccessivamente a politica e cronaca nera. Ha ricevuto 100 mila euro per il primo anno, raccogliendo 1400 iscritti, di cui solo 80 paganti. Enășescu spiega che sarebbero necessari almeno un altro paio d’anni e una base di 5000 iscritti per rendere il tutto sostenibile, nonostante spese e dimensioni della redazione siano limitate. Alla chiusura del primo anno dovrà abbandonare il modello senza pubblicità (obbligato nel primo anno dalle regole del bando di Substack Local) per cercare sponsorizzazioni da imprese locali. Un bacino di potenziali utenti tutto sommato limitato e la barriera linguistica costituita dai menù della piattaforma in inglese (un problema per il pubblico over 50) sono alcuni degli ostacoli incontrati nello sviluppo del progetto. Altrove, a conferma che i modelli di business non sono immediatamente replicabili in realtà e contesti differenti, il finanziamento di un anno ha creato basi più solide di successo, come nel caso del Charlotte Ledger , newsletter statunitense locale di taglio economico arrivata a 2100 utenti paganti e ricavi per 226mila dollari.
domenica 19 Giugno 2022
Abbiamo qualche arretrato particolare di convivenza disinvolta di contenuti pubblicitari e giornalistici sul Corriere della Sera , sempre per non dimenticarsi dei fattori che regolano le scelte di informazione dei maggiori quotidiani in tempi di grossa debolezza nei confronti degli inserzionisti: lo scorso 31 maggio il Corriere ospitava – accade spesso – una pagina pubblicitaria di ENI e nello stesso numero una pagina intera di intervista all’amministratore delegato di ENI (e una nuova inserzione di ENI il giorno dopo, dedicata a un evento a cui il Corriere ha dedicato di nuovo anche un ricco impegno redazionale).
Sempre lo stesso 31 maggio sul Corriere si succedevano a poca distanza un’intervista allo scrittore Paolo Cognetti con citazione del film tratto da un suo libro, e la pubblicità del film tratto dal suo libro.
domenica 19 Giugno 2022
USA Today , il quotidiano americano che abbiamo citato spesso perché resta tra i più venduti ed è tra i pochi diffusi su scala nazionale, ha dovuto cancellare ben 23 articoli di una propria giornalista e ammettere che dopo un’indagine interna quegli articoli erano risultati citare fonti inventate o plagiate da altri articoli. La giornalista si è dimessa. L’indagine era iniziata dopo una segnalazione arrivata al giornale, di un’organizzazione che aveva negato di conoscere un suo presunto appartenente citato in un articolo.
Le questioni di plagio e invenzione hanno una storia ricca e drammatica nel giornalismo americano, assai più che da noi, per diverse ragioni. Una è che c’è un rigore molto maggiore e pochissima tolleranza, laddove in Italia in particolare quello che gli americani chiamerebbero “plagio” è praticato con grande frequenza, raccogliendo e usando con grande frequenza contenuti di altre testate o contenitori (alcuni giornali americani sono soliti citare anche la fonte delle notizie di agenzia, cosa che in Italia non avviene quasi mai). L’altra è che c’è un lavoro di reporting e indagine giornalistica originale, negli Stati Uniti, molto più frequente e impegnativo che qui: e quindi a quel lavoro si attribuisce un valore molto alto sia per la qualità dell’articolo sia per la necessità che venga citato quando è usato da altri articoli. Perciò ci sono diversi casi a questo proposito che sono nella storia del giornalismo americano, che sono stati raccontati, e che sono rimasti sulla coscienza delle testate coinvolte, laddove da noi circolano al massimo delle isolate accuse online senza seguito oppure delle chiacchiere interne tra le redazioni su episodi famigerati e taciuti di invenzione, o su discutibili abitudini di alcuni. Come sempre, è un problema più di cultura giornalistica, che di responsabilità dei singoli: nessuna testata italiana ha mai comunicato di avere scoperto casi di plagio o invenzione da parte di propri giornalisti.
Comunque, a proposito del caso di USA Today (che aveva già avuto un incidente simile con le parole crociate sei anni fa ), ha pubblicato delle interessanti riflessioni Kelly McBride, che si occupa di etica del giornalismo al Poynter Institute. La prima è che spesso una rivelazione di invenzioni (nella quasi totalità di casi si tratta di virgolettati e persone citate mai esistiti, o creati per adattarsi a citazioni prese da altri articoli) non è mai isolata, e che un giornalista che lo abbia fatto una volta lo avrà fatto anche altre. McBride ha poi elencato le procedure da mettere in atto da parte di una redazione in caso di segnalazioni e dubbi di questo genere:
– chiedere al giornalista se ha spiegazioni
– chiedere al giornalista “se studio e verifico i tuoi articoli posso trovare qualcosa che non va?”
– dedicarsi a controllare gli articoli del giornalista facendo ricerche su passaggi che possano apparire in altri articoli, o su fonti citate che non risultino esistere.
Un consiglio prezioso è quello di non trascurare il lavoro di “editing” degli articoli, e di non cedere alla consuetudine di questi tempi di pubblicare (soprattutto online) senza nessuna revisione o confronto con l’autore da parte di chi coordina il suo lavoro: non solo perché si perde un’occasione di verifica o controllo su un articolo, ma anche perché l’assenza di quel confronto piuttosto che responsabilizzare l’autore può abituarlo all’idea di una minor rilevanza del suo lavoro e della sua accuratezza.
domenica 19 Giugno 2022
Il Fatto sta promuovendo un questionario presso i lettori per conoscere soprattutto le loro abitudini e disponibilità di acquisto del quotidiano in edicola, e ottenere informazioni utili a gestire il periodo molto “fluido” sulle vendite dei quotidiani di carta: i costi sono molto aumentati, le vendite sono diminuite e il Fatto in particolare dichiara da diversi mesi diffusioni digitali maggiori di quelle cartacee.
La questione è assai discussa in molte testate da qualche anno, da quando la sproporzione tra costi di stampa e distribuzione e ricavi dalle vendite ha iniziato a spingere diverse testate nazionali a non far arrivare più le copie in diverse regioni d’Italia: causando però così un’ulteriore diminuzione della propria capacità di promozione e presenza in quelle regioni, e anche della ricchezza dell’offerta di informazione.
Nell’ambito della stessa ricerca e sperimentazione il Fatto sta promuovendo una serie di abbonamenti scontati alle copie cartacee da ritirare in edicola, che prova a replicare quello che negli ultimi anni i quotidiani hanno fatto sul digitale: affidarsi alle garanzie di un rapporto di abbonamento piuttosto che alla incerta vendita di copie singole. L’esperimento del Fatto prevede tre “carnet” da 30, 60, e 90 copie, con un costo per copia rispettivamente di 1,20, 1,17 e 1,11 euro. Oggi il prezzo della copia cartacea singola è di 1,80 euro.
domenica 19 Giugno 2022
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani ad aprile, li avevamo citati domenica scorsa e qui oggi facciamo le consuete considerazioni più approfondite e aggiornate. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese scorso, dei piccoli cali per tutte le testate maggiori con l’eccezione di Repubblica , per cui un esiguo guadagno di copie segnalate permette di tornare a dichiararne poche più del Sole 24 Ore , che invece ne ha perse. L’altra “storia” da segnalare, tra quelle che avevamo seguito di più, è il secondo mese di calo anche per la Verità , il giornale che è stato nell’ultimo anno il maggiore successo commerciale tra i quotidiani approfittando soprattutto delle sue posizioni critiche sui vaccini e sulle limitazioni per difendersi dalla pandemia: opportunità che dall’inizio dell’anno si sta comprensibilmente riducendo. Se guardiamo i più indicativi confronti con l’anno precedente, si notano il calo del 16% delle copie di Repubblica , quello del 10% della Stampa , quello del 12% del Fatto , quello del 18% del Giornale . A fronte di una rara crescita dell’1% del Corriere della Sera , che rimane di gran lunga al primo posto.
(trascuriamo le analisi sugli andamenti degli sportivi, che sono stati su un ottovolante in questi due anni, per via delle incertezze legate allo svolgimento delle competizioni, e da cui fin qui sembra riprendersi solo la Gazzetta dello Sport )
Come facciamo ogni mese, vale la pena considerare un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi”, per avere così un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Ottenendo quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa):
Corriere della Sera 185.370 (-6%)
Repubblica 116.995 (-23%)
Stampa 83.608 (-10%)
Resto del Carlino 64.844 (-10%)
Sole 24 Ore 61.563 (-16%)
Messaggero 51.834 (-8%)
Fatto 44.458 (-17%)
Nazione 41.946 (-13%)
Gazzettino 37.586 (-9%)
Giornale 31.295 (-20%)
Verità 31.041 (+21%)
Rispetto al mese passato perdono più di tutti Corriere della Sera (3.800 copie), Stampa (1.300) e Verità (1.400).
Altri giornali nazionali:
Libero 19.184 (-15%)
Avvenire 17.144 (-6%)
Manifesto 13.108 (-10%)
ItaliaOggi 9.457 (-16%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che spiegano le discrepanze tra i due conti – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70% del prezzo: 47mila e 35mila, dietro di loro c’è Repubblica che ne ha 15mila.
– per il terzo mese Repubblica e Fatto hanno dichiarato un calo anche delle copie digitali rispetto al precedente (nel caso di Repubblica con il prezioso travaso di una quota di abbonamenti scontatissimi verso quelli a sconti minori).
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport ), pur essendo 39mo nel totale, e si avvicina al settimo posto del Messaggero .
– Avvenire comunica ben 60mila copie “multiple pagate da terzi”, ma ne conta 5mila in meno – cartacee – rispetto al mese scorso.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, 22mila, perdendone 4mila rispetto a marzo.
– delle 17mila copie dichiarate da ItaliaOggi , 4mila sono copie “promozionali e omaggio”, ovvero quasi un quarto, ma la quota si è ridotta negli ultimi due mesi.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono Avvenire (più di 20mila), Messaggero e Gazzettino .
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” (ovvero duplicate nel conteggio totale) sono Corriere della Sera (15.800), Sole 24 Ore (14.200) , Stampa e Avvenire .
( Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 19 Giugno 2022
L’analisi del Reuters Institute è interessante anche per quel che non riguarda l’Italia, naturalmente. Per esempio indica quale sia la credibilità attribuita dai lettori britannici ai tabloid del loro paese, che spesso i maggiori quotidiani italiani utilizzano come fonti affidabili e senza nessuna verifica. Il Daily Mail , il più famoso e il più citato (che persino Wikipedia ha deciso qualche anno fa di dichiarare non utilizzabile come fonte) è ritenuto credibile da meno di una persona su quattro tra quelle intervistate. Il Sun da appena il 12%.
domenica 19 Giugno 2022
Il Reuters Institute – che è un autorevole istituto di ricerca legato all’università di Oxford e sovvenzionato dal gruppo editoriale internazionale Thomson Reuters – ha pubblicato un suo ricco report annuale sullo stato del giornalismo digitale. Lo trovate qui e raccoglie molti dati e sondaggi sul tema e sulla percezione dei lettori (una piccola ma buona sintesi in italiano è stata fatta sulla newsletter Ellissi ). Tra le varie rilevazioni pubblicate negli spazi dedicati ai singoli paesi ( qui un riassunto delle cose italiane, con gentili parole per i risultati del Post ) ci sono le percentuali della fiducia dei lettori nei confronti di alcune delle testate di ciascun paese, scelte dall’istituto: accompagnate da una nota che spiega come “solo le testate qui sopra sono state incluse nell’indagine, che quindi non va considerata come una classifica di quelle ritenute più affidabili”, nota che alcune testate citate non hanno preso molto in considerazione.
Questa invece è la frequenza di uso di alcune testate dichiarata dagli intervistati.
domenica 19 Giugno 2022
Sui temi di cui sopra e su alcuni loro aspetti, è efficace tradurre un passaggio della lunga ricostruzione che ne ha fatto Joshua Benton su NiemanLab , il sito della Nieman Foundation che si occupa di innovazione nell’informazione.
“A onor del vero, Google e Facebook hanno fatto grossi assegni agli editori per anni. La Google News Initiative e il Facebook Journalism Project (i rispettivi fondi per sostenere progetti giornalistici, ndr) hanno pagato agli editori di tutto il mondo centinaia di milioni di dollari. Ma decidevano Google e Facebook a chi darli, per cosa, e quanti. Lo hanno fatto per bontà d’animo? No, per PR, un tentativo di far desistere gli editori e i loro governi da scelte più severe.
Ma poi l’Australia le ha fatte, le scelte più severe. I leader del paese hanno approvato una legge che, di fatto, chiede a Google e Facebook di distribuire mazzette agli editori australiani. La dimensione di quelle mazzette deve rimanere un segreto, ma devono essere grosse abbastanza da far contenti gli editori.
Potete pensare che sia una descrizione ingenerosa della legge australiana: e ok, l’Australia dice che si limita a chiedere a Google e Facebook di impegnarsi in “trattative” con i maggiori editori del paese per determinare il giusto compenso per… permettere ai loro articoli di raggiungere più persone? Il risultato è che Google e Facebook sono stati costretti a sedersi a un tavolo con gli editori e dire loro “20 milioni e smettete di lagnarvi? 30 milioni? Ok, facciamo 50 milioni?”.
Sono trattative senza senso, che non hanno nessuna relazione con un’idea di valore o di beneficio, legate a un prodotto laterale e minore (le brevi anteprime degli articoli, ndr) che nessuno usa se non la ricerca di Google e il News Feed di Facebook.
Ho scritto più volte perché ritengo – malgrado il mio desiderio che gli editori ricevano dei soldi – che il modello australiano sia una pessima idea. Potete essere d’accordo o no.
Ma in ogni caso per i giornali ha funzionato. News Corp, l’azienda di Rupert Murdoch, riceverà bonifici mensili da Google e Facebook per un valore di 50 milioni di dollari ogni anno, solo per le sue testate australiane. È la cifra che le due società hanno ritenuto adeguata a interrompere le decennali lamentele di Murdoch. La minaccia di interventi del governo – compreso il sequestro del 10% dei ricavi delle piattaforme in Australia – è bastata a mettere in moto questa macchina”.
“Google invece ha bisogno delle news. Non quanto gli editori pensano, per carità, ma è un bisogno comprensibile. Ha bisogno di news aggiornate nei risultati delle ricerche, se vuole “organizzare l’informazione del mondo”. Google ne ottiene valore: non tanto valore economico in dollari, ma in qualità delle ricerche, soddisfazione degli utenti, e altro. Ora, Google potrebbe sostenere (e io sarei d’accordo) che quel valore lo ottiene attraverso il diritto al “fair use” e senza violare nessuno dei diritti degli editori o degli altri produttori di contenuti. Google ottiene valore da ogni sito internet, e non c’è nessuna buona ragione per cui gli editori debbano avere un compenso speciale che nessun altro riceve. Ma è un valore sufficiente a suggerire a Google di distribuire un po’ di soldi in giro.
Ma Facebook? Facebook ha cercato di sbarazzarsi delle news per anni. Perché finanziare con centinaia di milioni di dollari editori di contenuti che sta cercando di rimuovere dai suoi feed? Gli editori a volte pensano a Google e Facebook come a due cose intercambiabili e come a un’unica montagna di soldi. Ma hanno interessi diversi. Google ha protestato contro la legge australiana, ma quello che ha minacciato di staccare la spina alle news è stato Facebook. Quindi non deve sorprenderci che Facebook metta in conto di smettere di pagare. Deve tagliare i costi. Ha distribuito centinaia di milioni di dollari per mettere a tacere gli editori, e ora editori di altri paesi hanno trovato il modo di chiedergliene molti di più. Se i bonifici non hanno funzionato, perché continuare a farli? E se pensi di smettere, perché non rimuovere anche il pretesto e ridurre al minimo le news sulla tua piattaforma?”
domenica 19 Giugno 2022
Le notizie per cui Facebook starebbe ritirando i suoi accordi che con varie scuse offrono grossi contributi economici ad alcune grosse aziende giornalistiche internazionali sono state molto discusse in queste settimane. Ne avete letto spesso qui, della questione, ma ci perdonerete se per chiarezza e per i nuovi arrivati facciamo un po’ un riassunto spiccio.
Da alcuni anni Facebook e Google propongono agli editori di giornali (soprattutto grandi, ma Google in misure più piccole anche a certi più piccoli) accordi che si risolvono sempre in “vi diamo dei soldi senza che voi dobbiate fare niente, o quasi niente”: la ragione è che si tratta di una scelta considerata – a seconda di chi ne parla – una via di mezzo tra “una manovra di pubbliche relazioni” e “una corruzione”. Google e Facebook hanno da un certo punto in poi temuto la capacità dei media di diffondere una narrazione (in parte fondata e in parte pretestuosa) per cui le piattaforme starebbero distruggendo la sostenibilità economica del giornalismo e la sua qualità: narrazione che è preoccupante sia per i suoi effetti sull’immagine delle piattaforme – indebolita da molte altre accuse in questi anni – sia per la capacità dei media di trasmetterla alle istituzioni legislative dei diversi paesi e ottenerne interventi contro le piattaforme stesse. Da qui la soluzione di andare dagli editori più grandi e potenti e offrire loro dei compensi che Google e Facebook potessero decidere e controllare, indebolendo così le campagne contro di loro.
La cosa ha funzionato solo in parte: è vero che gli editori più grandi sembrano avere attenuato le loro campagne sulla pretesa violazione del diritto d’autore, ma soltanto attenuato. E in diversi stati si sta diffondendo lo stesso la possibilità che nuove leggi costringano Google e Facebook a obbedire a nuove regole di compensazione economica per i giornali: è già successo in Australia, sta succedendo in Canada e Regno Unito, si fanno passi e se ne discute in altri paesi.
Intanto Facebook ha fatto alcune valutazioni da cui risulta che le news di fatto non gli servano: da una parte le risorse e l’attenzione si stanno spostando tutte verso il metaverso e verso la competizione con TikTok su contenuti di quel genere. Dall’altra i dati dicono che agli utenti di Facebook le news interessano molto meno. Il caso di Google è diverso perché i contenuti di informazione sono invece una parte più rilevante della sua offerta e del suo servizio. Così Facebook sta pensando di mollare i giornali, sia nella sua promozione dei loro contenuti attraverso i propri algoritmi, sia nei contributi economici.
domenica 19 Giugno 2022
Negli scorsi mesi in diversi spazi online anglofoni di discussione sul giornalismo si è parlato e discusso di ” framing ” delle notizie: ovvero del contesto in cui i giornalisti inseriscono le notizie che danno – come le “incorniciano” – trasformandole in occasioni per mostrare aspetti più estesi e rilevanti della notizia stessa. Un esempio fatto spesso è l’alternativa se descrivere l’ennesima strage da armi da fuoco come una storia terribile e particolare avvenuta in un determinato posto e compiuta da una tale persona, oppure incorniciarla nella questione della facilità di possesso delle armi, o di intolleranze razziali o bigotte, o di deriva della partigianeria politica, o altro. Il “framing” non è necessariamente una scelta che arricchisce una notizia: esistono notizie che in effetti non raccontano altro che se stesse, storie pazzesche o interessanti nella loro eccezionalità; altre volte metterle in un contesto può generare letture diverse a seconda di quale contesto si scelga. Spesso, nell’informazione italiana, si preferisce anzi dare spazio a letture e contesti che rendano la notizia più allarmante o coinvolgente – in cui i lettori trovino qualcosa che li riguardi – anche quando queste letture sono pretestuose o non sufficientemente argomentate. Non sempre una notizia ha ragioni per essere “framed” (un incidente molto singolare in un aeroporto inglese è una storia terribile e particolare, o concorre a descrivere il “caos negli aeroporti”?), a volte si esaurisce in se stessa. Ma per i lettori è utile saper distinguere il valore sia di una storia che di quello che suggerisce più estesamente, e saper giudicare i due aspetti anche separatamente.
Fine di questo prologo.
domenica 12 Giugno 2022
ABC, la rete televisiva pubblica australiana, ha comunicato ai suoi giornalisti che d’ora in poi il lavoro di ricerca e archivio sulle notizie e sulle storie di cui si occupano dovranno farselo da soli, e che 58 figure professionali di archivisti e ricercatori saranno abolite: rimarrà uno staff più ridotto, al servizio di trasmissioni di reporting e d’inchiesta più approfondite, ma non del lavoro sulle news quotidiane. Lo stesso varrà per la ricerca e la scelta dei contenuti musicali da usare nei servizi.
domenica 12 Giugno 2022
C’è un piccolo incidente che ha coinvolto molti giornali grandi e piccoli, e che è utile per mostrare la rimozione di qualunque forma di verifica e dubbio nella trasmissione delle notizie tra il loro finire sotto gli occhi di una redazione e il loro finire pubblicate. Un “sosia” di Bono, il cantante degli U2 (ovvero una persona che gli somiglia, e che esalta e sfrutta questa somiglianza), si è mostrato in giro per Bologna facendosi fotografare da chi veniva ingannato dalla somiglianza. L’inganno si è esteso abbastanza per fare arrivare le foto su tanti siti di news e giornali di carta, che evidentemente avevano visto le immagini sui social network, con la notizia che “Bono è a Bologna”.
(una volta svelato l’errore, molti degli stessi giornali hanno poi riportato l’ingenuità di altri, trascurando di analizzare la propria e quel che insegna sulla necessità di maggiori filtri e responsabilità di verifica, o di maggiori cautele nel pubblicare).
domenica 12 Giugno 2022
Sono scelte a cui il rapporto italiano tra quotidiani ed editori ci ha abituato, ma non per questo da considerare “normali” rispetto al ruolo, all’autonomia e al rapporto con i lettori, quindi continuiamo a citare e a considerare il significato degli esempi frequenti di “cessione di indipendenza” come questi: sabato Repubblica ha dedicato tutta la pagina di apertura della Cultura e metà della successiva alla ammirevole collezione della Pinacoteca Agnelli, “l’istituzione presieduta da Ginevra Elkann”, ovvero la sorella del proprietario di Repubblica John Elkann.
domenica 12 Giugno 2022
Il visibile successo dei podcast degli ultimi anni, e anche di quelli che riguardano l’informazione e le testate giornalistiche, ha ancora due grandi incognite. Una è la reale misura di questo successo: i numeri reali degli ascolti dei podcast continuano a essere abbastanza misteriosi e difficili da elaborare con esattezza, e ci sono molte impressioni che siano meno grandi di quello che suggerirebbero le attenzioni sul formato. La seconda incognita è quale possa essere un meccanismo stabile e affidabile per renderli sostenibili economicamente o farci dei soldi. Al momento le possibilità teoriche principali sono tre: una è metterci dentro della pubblicità, ma i numeri non consentono ancora di venderla a prezzi significativi, né di costruire sistemi di gestione automatizzata e universale delle inserzioni (come accade con la pubblicità sui siti web); una è trovare degli sponsor e delle aziende che vogliano associare il proprio brand ai podcast, ma questo implica quasi sempre cedere spazi di autonomia editoriale, ed è comunque un sistema non “scalabile”, da ricostruire con fatica e con poche garanzie ogni volta; l’ultima è quella finora più remunerativa nei limitati casi in cui si concretizza, ovvero farsi pagare dalle grandi piattaforme che diffondono podcast e che sono sempre interessate a contenuti che attraggano ascoltatori e potenziali abbonati (un po’ quello che da anni sta succedendo con Netflix, Prime, eccetera, che sono diventate produttrici e acquirenti di film, serie tv, documentari). Ma quest’ultima opportunità riguarda appunto solo i podcast che diano garanzie di grossi numeri alle piattaforme.
Un quarto modello di ricavo, meno frequentato ma che citiamo perché è quello che riguarda il Post , è quello indiretto di produrre podcast per incentivare gli ascoltatori a partecipare al sistema di abbonamenti: sia nel caso in cui i podcast siano ascoltabili solo dagli abbonati, sia nel caso in cui siano accessibili a tutti e permettano di raggiungere nuovi potenziali abbonati futuri.
Questo contesto ancora tutto da consolidare (c’è chi ha parlato persino di una ” bolla “, che può essere una definizione accettabile se con essa si intende una parziale sopravvalutazione: l’interesse nei podcast in una sua misura esiste eccome) è stato confermato dai conti rivelati questa settimana da Spotify a proposito dei podcast.
“Nel 2021 il business dei podcast su Spotify ha generato circa 200 milioni di ricavi, con un aumento del 300% sull’anno precedente, ma con un bilancio in perdita del 57% e un’attesa di perdite ancora maggiori nel 2022. Nel primo trimestre del 2022 Spotify ha ottenuto ricavi solo dal 14% dei podcast sulla propria piattaforma”. Spotify ritiene comunque che i guadagni dai podcast possano superare quelli dalla musica nel giro di cinque anni.
domenica 12 Giugno 2022
Il più grande editore di giornali degli Stati Uniti si chiama Gannett, ne abbiamo parlato altre volte, e pubblica insieme a moltissime testate locali il quotidiano a diffusione nazionale USA Today . Durante una presentazione interna che ha coinvolto responsabili editoriali di molte delle testate di Gannett, questa settimana, è stata annunciata la proposta di ridurre lo spazio dedicato alle opinioni sui rispettivi giornali: “I lettori non vogliono che diciamo loro cosa devono pensare. Non ritengono che abbiamo competenze per spiegare a nessuno cosa pensare sulla maggior parte delle questioni. Ci percepiscono come portatori di pregiudizi partigiani” e le pagine delle opinioni e degli editoriali “sono le meno lette e di frequente sono la ragione della cancellazione degli abbonamenti”.
Il quotidiano Arizona Republic , per esempio, ha deciso che pubblicherà la sezione delle opinioni solo tre giorni alla settimana. Il tema della diffidenza dei lettori per gli articoli di opinione, e della loro difficoltà a separare questi articoli più personali dal lavoro della redazione, è stato molto discusso negli ultimi anni in cui il giudizio e le reazioni dei lettori si manifestano con grande insistenza sui social network.
domenica 12 Giugno 2022
La storia è quella della vendita della storica sede del Corriere della Sera in via Solferino a Milano, che trovate riassunta qui sul Post. Mercoledì la Corte d’appello di Milano ha respinto i ricorsi di RCS, l’editore del Corriere della Sera che vendette la sede e poi ci ripensò, contro due decisioni già avvenute a favore dell’acquirente Blackstone, condannando RCS anche al pagamento di 258mila euro di spese processuali. La situazione quindi resta la stessa, situazione nella quale si attende il giudizio americano sul risarcimento chiesto da Blackstone per la perdita di guadagni seguita alla causa intentata da RCS.
La questione era anche stata più volte raccontata da Charlie:
” RCS vendette nel 2013 al fondo americano Blackstone, mantenendo in una parte degli immobili la redazione del Corriere della Sera , in affitto (la Gazzetta dello Sport fu invece spostata nella sede principale di RCS, nella periferia nordest di Milano). La vendita aiutò le casse di RCS in un momento di grosse difficoltà, ma fu molto contestata dai giornalisti del gruppo.
Quando pochi anni dopo Urbano Cairo divenne azionista di maggioranza e sostanzialmente “editore” del gruppo, decise di contestare quella vendita (era il 2018) sostenendo che fosse stata fatta a condizioni svantaggiose a cui RCS sarebbe stata costretta dalle sue difficoltà (RCS avrà presto pagato in canone di affitto più di quanto ricavò dalla vendita). Il procedimento legale avviato da Cairo (una richiesta di “arbitrato”) interruppe così una nuova trattativa di vendita dell’immobile alla società Allianz da parte di Blackstone (che ne avrebbe ottenuto un ricavo doppio, generando i risentimenti di Cairo): e Blackstone quindi presentò a sua volta negli Stati Uniti una denuncia contro Cairo con una enorme richiesta di danni”.
domenica 12 Giugno 2022
Rolling Stone ha pubblicato un articolo sulla questione della esigua quota di donne nei ruoli direttivi dei giornali italiani, di cui Charlie si è occupato spesso, ascoltando i pareri di tre giornaliste.
Di azioni pratiche parla anche Francesca Milano: «La soluzione è semplice: gli editori dovrebbero nominare più donne direttrici e i direttori dovrebbero nominare più donne vicedirettrici e caporedattrici. Non è difficile, basta farlo. Chi lo ha fatto dice che la cosa funziona, fidatevi. Penso a Stefania Aloia, vicedirettrice di Repubblica, Fiorenza Sarzanini, vicedirettrice del Corriere: sono per me due grandi ‘best practice’ da imitare».
domenica 12 Giugno 2022
Citynews è il network di decine di siti di news locali (riconoscibili perché in una cospicua parte si chiamano col nome della città seguito da “Today”) che è stato in questi anni uno dei maggiori successi commerciali dell’informazione digitale: nelle classifiche a cui partecipa risulta sempre nelle prime posizioni superando tutte le più note testate giornalistiche nazionali.
La sua sostenibilità economica si deve a un lavoro accorto ed esperto sulla raccolta pubblicitaria e sullo sfruttamento dei suoi meccanismi online, e i siti di Citynews sono rimasti finora estranei al modello di business che è sembrato più promettente in questi anni, quello legato agli abbonamenti e a forme di pagamento da parte dei lettori.
Per creare una prospettiva in questa direzione Citynews sta lavorando da alcuni mesi alla costruzione di una nuova redazione dedicata a contenuti giornalistici di maggiore qualità e maggiore respiro, progetto che ha annunciato questa settimana, dandogli il nome di “Dossier”.
“Il progetto vede coinvolti 11 giornalisti investigativi che affiancheranno le attuali redazioni di Roma e Milano e che si dedicheranno interamente a Dossier, abbracciando un nuovo modo di fare informazione, maggiormente incisivo e basato sui dati – dichiara Luca Lani, CEO Citynews –. Ovviamente, lavorando a progetti investigativi dedicati ai problemi delle due città più importanti del Paese, le nostre inchieste assumeranno, molto spesso, interesse di carattere nazionale […] Questo nuovo canale – conclude Lani – entrerà a far parte di un servizio più ampio che Citynews ha pensato per i propri lettori. Un’offerta che si concretizzerà nelle prossime settimane in un pacchetto abbonamento indirizzato agli utenti più affezionati e che sveleremo presto in tutti i suoi dettagli”.
domenica 12 Giugno 2022
Rimandiamo le consuete maggiori analisi sui risultati mensili dei quotidiani a Charlie di domenica prossima: per ora ci limitiamo alle sintesi pubblicate dal sito specializzato Prima Comunicazione. Che mostrano, rispetto al mese scorso, dei piccoli cali per tutte le testate maggiori con l’eccezione di Repubblica, per cui un esiguo guadagno di copie segnalate permette di tornare a dichiararne poche più del Sole 24 Ore, che invece ne ha perse. L’altra “storia” da segnalare, tra quelle che avevamo seguito di più, è il secondo mese di calo anche per la Verità , che è stato nell’ultimo anno il maggiore successo commerciale tra i quotidiani approfittando soprattutto delle sue posizioni critiche sui vaccini e sulle limitazioni per difendersi dalla pandemia: opportunità che dall’inizio dell’anno si sta comprensibilmente riducendo.
Se guardiamo i più indicativi confronti con l’anno precedente, si notano il calo del 16% delle copie di Repubblica , quello del 10% della Stampa , quello del 12% del Fatto, quello del 18% del Giornale. A fronte di una rara crescita dell’1% del Corriere della Sera, che rimane di gran lunga al primo posto.
domenica 12 Giugno 2022
La questione della difficoltà delle grandi testate giornalistiche nel gestire gli spazi di autonomia e visibilità dei propri giornalisti sui social network, e le recenti insofferenze dei direttori rispetto a queste autonomie negli Stati Uniti, hanno avuto nell’ultima settimana uno sviluppo spettacolare e abbastanza catastrofico sotto gli occhi di tutti al Washington Post : proprio nei giorni in cui il giornale si preparava a diffondere e ricevere celebrazioni di se stesso relative ai cinquant’anni dall’inizio dello scandalo Watergate, il momento più illustre e riverito della sua storia.
È successo che un noto giornalista del Washington Post , Dave Weigel, abbia retwittato una battuta stupida e sessista e che la sua collega Felicia Sonmez lo abbia criticato per questo con un altro tweet che più esplicitamente criticava il loro stesso giornale: “Fantastico lavorare in un giornale in cui sono permessi retweet come questo!”. Weigel è stato allora molto attaccato e ha cancellato il retweet, scusandosi e scrivendo che lo aveva trovato buffo ma poi si era reso conto che no, non lo era. A quel punto un terzo giornalista del Washington Post era intervenuto per dire a Sonmez, con toni molto diplomatici e criticando il tweet di Weigel, che il suo intervento contro Weigel – che stava venendo travolto da critiche e insulti – non fosse però il modo migliore per affrontare la questione e che si fosse trasformato nell’aizzamento di bullismo e molestie personali. Sonmez aveva attaccato anche lui, la polemica era proseguita, si erano aggiunti altri giornalisti, e nel frattempo si era sviluppata con ancora maggiore intensità anche sui canali Slack interni della redazione (Slack è quel software di chat interne usato da molte aziende in tutto il mondo), con prese di posizione a sostegno di Weigel o di Sonmez o con ulteriori articolazioni.
Ma la cosa imbarazzante per il giornale era diventata la pubblica rivelazione di tensioni e insofferenze interne, in tempi in cui le testate più autorevoli ci tengono molto a rivendicare la fedeltà e la compattezza “aziendalista” dei propri giornalisti, come un ulteriore punto di orgoglio: tensioni e insofferenze interne a proposito del tema dei temi, in questi anni, quello del sessismo e del rispetto per le donne. A inizio settimana molti altri giornali e moltissimi siti di news stavano seguendo e riferendo gli sviluppi della lite. Era dovuta intervenire la direttrice Sally Buzbee per ricordare in una comunicazione interna la necessità di rispetto, di atteggiamento “collegiale” e che non fossero accettabili attacchi personali contro i colleghi. Il giornale ha quindi deciso di sospendere per un mese Weigel; e di fronte al suo insistere in critiche e attacchi su come tutto quanto stesse venendo gestito, di licenziare Sonmez. All’intrico di fattori si somma che Sonmez aveva denunciato l’anno scorso il giornale per la scelta della dirigenza di non affidarle articoli su questioni di violenza sessuale, con la motivazione che lei ne fosse stata in precedenza vittima e ne avesse parlato pubblicamente, e che il suo coinvolgimento personale la rendesse inadeguata a giudicare: scelta che il Washington Post aveva poi annullato .
Da due giorni non ci sono sviluppi ulteriori, ma è sia una storia che non andrà via né al Washington Post né intorno al Washington Post, sia una storia che non esaurirà i problemi relativi alla permeabilità tra il lavoro interno delle redazioni e le comunicazioni e notorietà dei giornalisti all’esterno.
domenica 12 Giugno 2022
Secondo un articolo uscito giovedì sul Wall Street Journal , Facebook starebbe rivedendo la sua strategia di ricchi compensi a diverse grosse testate internazionali: gli accordi, fatti per incentivare i giornali a produrre più contenuti che possano essere sfruttati anche nell’uso di Facebook senza limitazioni o paywall, saranno probabilmente rivisti o cancellati (gli esempi che cita l’articolo, di certo i più ricchi, sono rispettivamente una media di 20, 15 e 10 milioni di dollari offerti ogni anno a New York Times , Washington Post e Wall Street Journal).
Facebook starebbe infatti pensando di spostare le sue priorità di investimento dalle news verso i contenuti di “creators”, influencer e altri più efficaci nella competizione con piattaforme come TikTok: oltre che verso il “metaverso”. Secondo il Wall Street Journal alla decisione di disinvestire sulle news concorrerebbe anche l’insistenza degli editori per ottenere maggiori compensi attraverso pressioni che portino a leggi o interventi pubblici in questa direzione: se la ricostruzione fosse fondata, si tratterebbe di uno spettacolare fallimento – almeno per gli editori finora beneficiati – di quelle insistenze (e non è escluso che la minaccia di disinvestire possa servire come strumento di pressione sugli editori stessi).
domenica 12 Giugno 2022
Check my Ads è un’organizzazione americana che si occupa di indagare e verificare i casi in cui inserzionisti pubblicitari investono in siti e testate giornalistiche che producono informazioni false o pubblicano incitamenti alla violenza, all’odio, alla discriminazione razziale e sessista: investimenti che da una parte finanziano questo genere di informazione e le sue conseguenze, e dall’altra associano gli inserzionisti a questo tipo di contenuti, con pessimi risultati per l’immagine dei loro brand e prodotti. Questa settimana negli Stati Uniti si è parlato di Check my Ads perché ha deciso di accusare in questo senso la potente e seguita rete televisiva Fox News, e di chiedere alle aziende che la sostengono con la loro pubblicità di prendersi la responsabilità della loro scelta di finanziare una tv che “cerca di rovesciare il governo” e che ha appoggiato l’insurrezione del 6 gennaio 2021.
In anni in cui l’etica e la responsabilità morale e civile delle aziende nel buon funzionamento delle nostre società è finita molto sotto osservazione, è un’ottima idea che non le si assolva per la loro indifferenza alla disinformazione che spesso appoggiano. Anche in Italia ci sono siti di notizie, ma anche giornali di carta, che quotidianamente sobillano e aizzano divisioni e contrapposizioni pericolose, per ragioni ideologiche o di interesse commerciale, diffondendo falsificazioni della realtà: e lo fanno grazie ai soldi di inserzionisti pubblicitari che fanno come se questo non li riguardasse. Ma la “responsabilità sociale delle imprese” non si limita alle attualissime questioni ambientali o a quelle del lavoro dei propri dipendenti: riguarda anche la scelta di sovvenzionare o no gli avvelenatori di pozzi , anche nel nostro paese in cui l’avvelenamento è esteso (basti pensare ai criticati talk show televisivi: cominciamo a segnarci di chi è la pubblicità che ospitano). In mezzo a tanto greenwashing, anche un po’ di newswashing non farebbe male.
Fine di questo prologo.
domenica 5 Giugno 2022
Proseguendo il progetto di coinvolgimento più intenso e non solo online di abbonati e lettori, praticato da molte testate in tutto il mondo, il Post ha annunciato la quinta edizione del suo “festival itinerante” per discutere di quello che succede e incontrare i suoi lettori: la seconda che si tiene a Pesaro che si aggiunge alle tre svolte a Faenza. Tra gli ospiti, accanto agli appuntamenti del Post , Daniele Raineri, Francesco Bianconi, Vera Gheno, Maurizio de Giovanni, Chiara Albanese, Licia Troisi, Maccio Capatonda, Filippo Ceccarelli.
domenica 5 Giugno 2022
Con un articolo in prima pagina del suo direttore Marco Travaglio, molto polemico e incompleto di spiegazioni e dettagli (oltre che naturalmente molto interessato) il Fatto ha riferito domenica il risultato di una causa per diffamazione contro il giornale da parte della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati: secondo l’articolo il Fatto ha ottenuto che la sentenza stabilisse che “non si vede quale sia il contenuto diffamatorio” di molti degli articoli contestati da Casellati e che negasse l’esistenza di una “campagna mediatica” contro di lei, ma ha condannato il Fatto per aver definito “bestemmia” l’espressione “perdìo” da parte di Casellati e avere usato i termini “marchette” e “minacce” riferendosi ad alcune sue iniziative, e ha ordinato un risarcimento di 25mila euro.
domenica 5 Giugno 2022
Il secondo quotidiano di Chicago, il Chicago Sun-Times (il primo è il Chicago Tribune ) aveva concluso a gennaio il suo passaggio di proprietà a una non profit, e questa settimana ha annunciato la sua nuova executive editor , la prima donna in quel ruolo nella storia del giornale (che nacque nel 1948): si chiama Jennifer Kho ed era stata managing editor allo HuffPost e al Guardian statunitense.
(sui nomi delle cariche dirigenziali nei giornali americani, avevamo scritto qui)
domenica 5 Giugno 2022
Il direttore del quotidiano la Verità Maurizio Belpietro ha raccontato martedì in prima pagina le ragioni – che i lettori di Charlie conoscono – degli aumenti dei costi per la carta dei giornali, per spiegare la decisione di aumentare il prezzo del giornale a un euro e 50 centesimi, 20 centesimi in più.
domenica 5 Giugno 2022
Sul quotidiano la Stampa di venerdì all’interno di un articolo su un uomo che a Torino, armato di coltello, minacciava i passanti, era usata questa frase: «Ufficialmente non si può dire che è stato arrestato, perché le restrizioni imposte dalla procura sulla diffusione delle informazioni non consentono alla polizia di confermare le notizie. Bisognerebbe affidarsi a un comunicato stampa, ma il 2 giugno è festa anche per i magistrati».
La frase si riferisce al decreto legislativo entrato in vigore il 14 dicembre scorso e che regola i rapporti di forze dell’ordine e magistrati con i giornalisti. C’è il divieto, per le autorità pubbliche, di dare informazioni sui procedimenti penali. Viene consentito solo «per ragioni di interesse pubblico» ed «esclusivamente tramite comunicati ufficiali o conferenze stampa». A decidere se la notizia sia di interesse pubblico è il procuratore della Repubblica o un magistrato «espressamente designato». In pratica, se un giornalista chiama in questura per sapere se una persona sia stata arrestata, il funzionario di turno risponde che non è possibile dare nessuna informazione e che le informazioni ritenute utili saranno diffuse in un comunicato ufficiale o in una conferenza stampa, se ci sarà. Il che non significa che il giornalista non possa dare la notizia laddove riesca a verificarla ma non ne riceverà conferme ufficiali.
Il decreto legislativo, che è il recepimento di una direttiva dell’Unione Europea sui diritti di indagati e imputati, stabilisce anche che sia vietato per le autorità pubbliche indicare come colpevole una persona indagata o imputata fino a che la colpevolezza non sia accertata con una sentenza definitiva.
domenica 5 Giugno 2022
Taylor Lorenz è una nota giornalista del Washington Post che si occupa soprattutto di fenomeni e cambiamenti che riguardano i social network e le tendenze e i comportamenti online: si era fatta notare come una delle prime a trattare questi temi sulle grandi testate americane al New York Times , dove lavorava fino a pochi mesi fa. Giovedì ha scritto un articolo che ha avuto molte reazioni online a proposito del processo Depp-Heard (che ha sviluppato eccezionali reazioni online in genere). Secondo Lorenz il processo è stato il maggiore caso – non il solo, negli ultimi anni – in cui influencer o “content creator” (come negli Stati Uniti vengono spesso chiamati quelli che da noi più genericamente vengono definiti influencer, ovvero chi costruisce grossi seguiti e visibilità personali online non essendo giornalista o altre figure pubbliche) hanno scoperto e sfruttato il valore dell’aggiornare i propri lettori e follower sulle news, occupando uno spazio proprio del giornalismo, e facendolo con approcci e linguaggi molto diversi da quelli dell’informazione. Lorenz insiste anche sui guadagni che i creator hanno ottenuto dal loro presidiare le notizie sul processo, ma questo è un discorso – quanto paghi economicamente la copertura di notizie che attraggono grosse attenzioni e curiosità – che può valere anche per i giornali. Il tema forse più interessante è quello della nascita di canali e toni molto estranei ai criteri del giornalismo con cui le informazioni raggiungono un grande numero di persone, le cui opinioni si formano non attraverso informazioni sui fatti (o non solo) ma soprattutto attraverso opinioni di “informatori” senza maggiori competenze delle loro sui fatti in questione e sulla loro esposizione.
(a margine, il Washington Post ha indicato alcune correzioni di errori rispetto alla prima versione dell’articolo)
domenica 5 Giugno 2022
L’ex direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano è stato condannato in primo grado a due anni e sei mesi di carcere per le sue responsabilità nella storia delle “copie gonfiate” al Sole 24 Ore , che abbiamo spesso ricordato su Charlie. Napoletano, che oggi dirige il Quotidiano del Sud , si è detto innocente.
“Napoletano è stato condannato per i reati di “false comunicazioni sociali” e “manipolazione informativa del mercato”: di fatto, per aver contribuito a diffondere dati falsi sulle vendite e sulla diffusione del Sole 24 Ore, per veicolare un messaggio positivo sull’andamento economico del quotidiano in modo da influenzare il prezzo di vendita degli spazi pubblicitari. Lo scambio delle “copie gonfiate” si svolse tra il 2014 e il 2016, e portò alla sospensione di Napoletano e poi alla risoluzione del rapporto col giornale nel 2017.”.
domenica 5 Giugno 2022
CNN è stata in mezzo a tempeste , ultimamente : il suo nuovo amministratore delegato Chris Licht sta predicando un ritorno all’informazione meno battagliera e meno spettacolarizzata. Non si può dire ancora se la predicazione sia credibile o se riuscirà a mettersi in pratica, ma intanto – lo riferisce il sito Axios – Licht ha promesso un piccolo esemplare intervento, ovvero ridurre l’uso della formula “Breaking news” per indicare qualunque tipo di notizia, sia sulle sue trasmissioni televisive che digitali. L’etichetta è ormai abusata da tutte le televisioni e da molti siti di news, ed è diventata quasi irrilevante nell’attirare l’attenzione del pubblico, causando invece irritazione per la sproporzione con la misura di alcune notizie per cui viene utilizzata. Più in generale, la scelta di Licht potrebbe essere applicata a molto altro – anche in Italia – per ritarare l’enfasi e l’allarme eccessivo con cui vengono proposte e confezionate molte notizie, e che a sua volta ha generato una specie di assuefazione.
domenica 5 Giugno 2022
La distribuzione degli investimenti pubblicitari sui diversi quotidiani italiani da parte dei diversi inserzionisti è legata a fattori e valutazioni diverse: la principale, naturalmente, sono i numeri di lettori che ciascuna testata può vantare e che quindi l’inserzione può raggiungere; ma i giornali con più lettori ne fanno tesoro, e chiedono agli inserzionisti prezzi maggiori, quindi il costo degli spazi è un altro fattore; poi c’è la “profilazione” dei destinatari della pubblicità, che sui quotidiani è molto più generica rispetto a internet, ma lo stesso può avere un valore (per esempio per i quotidiani locali, oppure con identità e lettori più definiti, come per i quotidiani finanziari, o sportivi); infine ci possono essere ragioni di sintonia, relazioni, interessi, di un’azienda o di un’istituzione con una determinata testata, che superano le valutazioni precedenti.
Il primo fattore continua comunque a essere determinante, soprattutto in tempi in cui alcune grandi testate stanno praticando sconti eccezionali e offerte agli inserzionisti (e questo spiega come mai possa capitare di vedere con grande frequenza negli ultimi due anni brand sconosciuti, aziende molto piccole o persino commerci locali, capaci di acquistare pagine intere su grandi quotidiani). E genera una sproporzione tra i due quotidiani maggiori e tutti gli altri quotidiani: ogni giorno Repubblica e Corriere della Sera hanno spazi pubblicitari su oltre metà delle loro pagine, e quelle che sono interamente occupate da un inserzionista vanno tra le sei e le dieci (anche se a volte vengono occupate con autopromozioni delle stesse testate), compresa l’ultima che lo è sempre in quasi tutti i quotidiani, perché più visibile, ambita e costosa. Se prendiamo anche soltanto la Stampa , venerdì ne aveva quattro, martedì appena due. Il Sole 24 Ore ne aveva sei venerdì, quattro martedì e due giovedì.
domenica 5 Giugno 2022
Lo scorso 14 maggio dieci persone sono state uccise in un supermercato di Buffalo: il responsabile presunto con buona certezza è un diciottenne “suprematista bianco” che sarebbe stato motivato da razzismo e deliri cospiratori e che è stato arrestato fuori dal supermercato. Nella prima udienza in tribunale si è dichiarato “non colpevole” e secondo la legge comune agli stati di diritto sarà un processo a decidere la sua colpevolezza e a sancire la sua responsabilità. I più seri e rigorosi giornali angloamericani continuano perciò a definirlo “suspect” nei loro titoli e articoli , a vistosa differenza per esempio dai giornali italiani o dai tabloid britannici.
domenica 5 Giugno 2022
Gli sviluppi degli ultimi tre anni che hanno portato in alcuni paesi occidentali nuove leggi che obbligano Google e Facebook a compensare i siti di news per la citazione dei loro contenuti, o gli accordi presi autonomamente da Google e Facebook per scongiurare le leggi, sono stati guardati da subito con timore dai più esperti studiosi delle trasformazioni nell’informazione: la sensazione è stata ed è che a beneficiarne siano state soprattutto le aziende giornalistiche capaci di un potere di influenza maggiore nei confronti della politica e dei poteri economici. Questo timore è stato esplicitato chiaramente questa settimana da un’associazione che riunisce un gran numero di testate piccole, locali, indipendenti o digitali, in Canada: che ha diffuso un articolo per spiegare come il progetto di legge canadese che vuole replicare quello già approvato in Australia abbia molti limiti e trascuri la qualità dell’informazione che dice di volere difendere, obbedendo piuttosto alle pressioni dei grandi gruppi editoriali e alle loro richieste. E ignorando le necessità delle startup e dei nuovi progetti di informazione, oggi prioritari nelle trasformazioni del settore, a favore dei media tradizionali e delle loro necessità di conservazione di strutture spesso meno innovative.
domenica 5 Giugno 2022
Simon Owens è un giornalista americano e consulente sul business dei media che ha una newsletter dedicata ai temi dell’informazione in cui questa settimana ha sostenuto che si veda già una piccola inversione di tendenza nei siti di news verso i ricavi pubblicitari a scapito di quelli che derivano dai lettori paganti: inversione che invertirebbe la precedente inversione, risalente – con sviluppi progressivi – a circa sei, sette anni fa.
La tesi di Owens è da prendere con prudenza, ma ha alcuni indizi da osservare: secondo lui tra i siti americani si starebbe notando un allentamento delle rigidità dei paywall, e questo si dovrebbe alla percezione del momento di “stanca” nella vendita di abbonamenti e alla sensazione che ci siano ancora opportunità importanti nella raccolta della pubblicità (su cui la concorrenza di Facebook e Google non deve essere data per imbattibile, dice Owens), per cui è utile non limitare i numeri di lettori con i paywall.
Quello che è di certo vero è che molti siti stanno provando a coinvolgere i lettori in programmi di registrazione senza necessariamente farli pagare, per poter sfruttare in diversi modi proficui la comunicazione diretta con i registrati: e che esistono casi interessanti di ibridi tra i due modelli, come quello del Guardian o dello stesso Post (che lavorano sul coinvolgimento motivato di “abbonati” senza chiudere i loro articoli e con una limitata offerta di contenuti e servizi “premium”), o dell’ Independent che ha appena annunciato la sua nuova app con offerte distinte per abbonati e non.
domenica 5 Giugno 2022
Un prologo breve, questa settimana, con il quale spieghiamo la scelta di Charlie di limitare, nei mesi scorsi e nei prossimi, i resoconti sui bilanci e sui risultati delle aziende giornalistiche: quello che le aziende comunicano è infatti – anche depurato dai toni sempre positivi e propagandistici che privilegiano solo le letture promettenti dei dati – riferito sempre a confronti con il tumultuoso anno passato, in cui la pandemia aveva ancora condizionato non solo il settore dei giornali, ma tutta una serie di altri fattori che lo influenzano e che gli sono collegati, oltre che i comportamenti stessi delle persone, utenti dell’informazione. Ricadute di quelle condizioni eccezionali, e di quelle generate dalla guerra, continueranno a esserci e siamo in un periodo nuovo difficilmente paragonabile anche con gli anni precedenti alla pandemia, ma ci avviciniamo a situazioni più stabili e leggibili in cui sarà più interessante e utile valutare i bilanci nel contesto adeguato.
Fine di questo prologo.
domenica 29 Maggio 2022
James Breiner, docente e studioso dell’innovazione nei media, ha dedicato la sua ultima newsletter ai risultati del Post, aggiornando rispetto a una precedente intervista col suo peraltro direttore Luca Sofri.
” Il Post illustrates a reality of media business models today. Each one has to be unique to the particular market conditions, the competition, consumption habits, and the talents of the staff, among other variables.
Il Post seems to have found its niche. In a media ecosystem flooded with inane, trivial, misleading, or false information, its value proposition is to produce trustworthy information relevant to people’s daily lives.
This value proposition is what it has in common with publications like Mediapart in France (investigative journalism behind a paywall) and elDiario.es in Spain (independent news with a freemium model of membership)”.
domenica 29 Maggio 2022
Abbiamo parlato spesso su Charlie del sempre maggiore spazio guadagnato dalle esigenze della pubblicità e dell’autopromozione sui maggiori quotidiani, e di come questo sia particolarmente visibile – e anche discusso nello stesso giornale – sul Corriere della Sera . Il cui numero di mercoledì mostrava una successione incessante di undici pagine di contenuti di questo genere.
Pagina 24: la pubblicità della riapertura di un hotel milanese.
Pagina 25: un articolo su un libro pubblicato dalla casa editrice del Corriere della Sera e un articolo di presentazione del magazine 7 del Corriere della Sera .
Pagina 26: la pubblicità di un prodotto per il benessere intestinale.
Pagina 27: un articolo su un nuovo “campus” di Esselunga.
Pagina 28: un articolo su un altro libro pubblicato dalla casa editrice del Corriere della Sera .
Pagina 29: la pubblicità dell’edizione sponsorizzata del Corriere della Sera del prossimo 5 giugno.
Pagina 30: un’intervista a Gianluca Vacchi in occasione del documentario a lui dedicato appena pubblicato su Prime Video “in 240 Paesi e territori del mondo” (ripetuto anche nella didascalia).
Pagina 31: la pubblicità di una collana di libri in vendita assieme al Corriere della Sera .
Pagina 32: “Le iniziative del «Corriere»”, una pagina su un “food festival” del Corriere della Sera a Milano.
Pagine 33 e 34: le due pagine quotidiane di promozione del Giro d’Italia, organizzato dall’editore del Corriere della Sera , e di cui la Gazzetta dello Sport è il maggiore partner, con box di promozione dello sponsor PwC.
Poi fino a pagina 49 qualche interruzione (le due pagine dei commenti, quelle dell’Economia) ma ancora la presentazione di un evento Sorgenia “in diretta su Corriere.it “, quella di “una serie di incontri organizzati dal Corriere in collaborazione con Amazon e Accenture”, una pagina di ricordo di un illustre economista collaboratore del Corriere della Sera (la giornata in suo onore si è tenuta all’Università Bocconi, inserzionista tre pagine prima), la pubblicità di un terzo libro pubblicato dall’editore del Corriere della Sera , una pagina di pubblicità dei corsi della “RCS Academy”, la recensione del libro di Sergio Romano, autorevole collaboratore del Corriere della Ser a, la segnalazione di un festival diretto da una giornalista del gruppo RCS, oltre a un altro paio di pagine di pubblicità a pagamento.
domenica 29 Maggio 2022
Tra i commentatori del business dei media americani è girato molto un articolo pubblicato sul sito del Poynter Institute – un istituto dedicato allo studio e alla promozione del giornalismo – e firmato da Rick Edmonds, studioso a sua volta delle trasformazioni nel settore. Edmonds ha scritto per ammettere di essersi sbagliato quando tre anni fa aveva previsto la chiusura dell’edizione cartacea di USA Today entro due anni. USA Today è il terzo più diffuso quotidiano statunitense e appartiene all’editore Gannett, il più grande del paese, che ultimamente sta chiudendo le edizioni cartacee di diverse delle sue oltre duecento testate locali. I numeri di diffusione dell’edizione cartacea di USA Today sono straordinariamente calati negli ultimi anni, e così anche i suoi ricavi, ma Edmonds ha intervistato la presidente di Gannett che ha spiegato come malgrado questo il giornale di carta sia tuttora in attivo e sia un veicolo prezioso di comunicazione del brand. Un dato interessante riguarda la diffusione negli alberghi: USA Today è dalla sua nascita la testata più “nazionale” del paese e ha sempre usato le copie gratuite offerte dagli alberghi (nelle aree comuni, o appese alla maniglia delle camere la mattina) sia come strumento di promozione che come fonte di business. Ma l’interesse dei lettori e degli alberghi è crollato, e se le copie acquistate dagli alberghi erano 342mila nel 2019, dopo la pandemia sono scese a 35mila.
Edmonds mette in fila queste e altre informazioni (Gannett sta spostando attenzioni e priorità sugli abbonamenti digitali e sulla diffusione della versione digitale del giornale, e contemporaneamente riducendo i costi) per confermare che USA Today di carta a un certo punto diventerà un’attività in perdita, ma in tempi più lunghi di quelli che aveva immaginato, e non è detto che siano perdite così rilevanti – rispetto ai fatturati del gruppo – da suggerirne la chiusura.
domenica 29 Maggio 2022
Marco Damilano, che si era dimesso da direttore del settimanale L’Espresso contestando la scelta dell’editore GEDI di venderle il giornale e i suoi modi, e che mantiene la sua visibilità e notorietà televisiva attraverso il programma Propaganda Live su La7, ha iniziato una collaborazione col quotidiano il Foglio , scrivendo dell’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, morto giovedì.
domenica 29 Maggio 2022
A proposito della capacità di autonomia e di indipendenza dei giornalisti nei confronti degli intervistati, c’è una esemplare storia americana dei giorni scorsi: un ex giocatore di baseball dei New York Yankees, Paul O’Neill, avrebbe dovuto essere intervistato per presentare il suo nuovo libro nel programma di una popolare radio newyorkese che si occupa soprattutto di sport. L’intervistatore Brandon Tierney, che era in onda prima dell’intervista programmata, aveva appena parlato di una polemica relativa a un recente litigio con accuse di razzismo tra due giocatori durante una partita di baseball, ed è stato avvisato che O’Neill non avrebbe accettato domande sulla polemica in questione. Allora ha annullato l’intervista: «Non posso avere Paul in trasmissione dopo che ne abbiamo parlato per un’ora e 35 e non chiedergli niente. È una schifezza. Detto con rispetto per Paul. Lo adoro. Davvero, è il mio secondo Yankee preferito di sempre. Ma abbiamo una responsabilità verso il programma».
domenica 29 Maggio 2022
Il Secolo XIX , storico quotidiano genovese appartenente al gruppo GEDI, ha dichiarato uno stato di agitazione protestando contro l’editore per una montagna di cose.
” Mancato rispetto del contratto nazionale, eccessivi carichi di lavoro e la mancata risposta, al momento, alla richiesta di due nuove assunzioni per ripristinare l’organico redazionale alla fine degli ammortizzatori sociali sono tra i principali motivi che hanno portato allo stato di agitazione dei giornalisti che ormai dal 2013 devono fare i conti con pesanti decurtazioni dello stipendio dovute, principalmente, a contratti di solidarietà e cassa integrazione.
Per i giornalisti de Il Secolo XIX, per i quali il quotidiano – sia in forma cartacea che digitale – continua ad essere un’opera dell’ingegno collettivo, tutto questo è inaccettabile. Gli ultimi rifiuti da parte dell’Azienda rappresentano l’ennesimo colpo all’autonomia e alla qualità del giornale che con sacrifici, negli anni, giornalisti e poligrafici hanno difeso con forza sino ad oggi. Quanto descritto – con corrispondenti e collaboratori pagati la miseria di 3 euro per un articolo pubblicato sul web – non si verifica in realtà editoriali semisconosciute ma accade oggi nel principale gruppo editoriale italiano: Gedi.
I giornalisti del Secolo XIX chiedono rispetto per tutti i lavoratori di questo quotidiano che fornisce all’intero gruppo contenuti e contributi di qualità ed è la voce di Genova e della Liguria da oltre 130 anni. La redazione del Secolo XIX, che ha dato pieno mandato al Cdr il quale resta disponibile a sedersi nuovamente al tavolo con l’Azienda, chiede rispetto anche per i propri lettori e per un territorio che ha subito eventi drammatici e crisi occupazionali e non vuole vedere affievolire la luce del suo giornale”.
domenica 29 Maggio 2022
La nuova direttrice dei tre quotidiani del gruppo editoriale Monrif (Resto del Carlino, Nazione, Giorno) e della loro testata nazionale comune Quotidiano Nazionale sarà Agnese Pini, fino a oggi direttrice della Nazione che assume anche le cariche appena lasciate da Michele Brambilla. Pini resta così una delle sole due direttrici dei primi 30 quotidiani per diffusione, insieme a Nunzia Vallini del Giornale di Brescia.
domenica 29 Maggio 2022
Roger Lynch, l’amministratore delegato di Condé Nast – la grande multinazionale editoriale che pubblica tra gli altri Vogue , Vanity Fair , Wired , il New Yorker – ha spiegato in un podcast in cui è stato intervistato che la sua “non è più un’azienda di riviste”, e che il suo business è altrove anche se le riviste di carta rimangono preziose per la promozione di questo business: «Abbiamo circa 70 milioni di persone che leggono i nostri magazine, ma ce ne sono 300 milioni che interagiscono con i nostri siti web e 450 milioni con cui abbiamo a che fare sui social network. Il nostro pubblico ci sta già dicendo che [i giornali] non sono il luogo in cui si relazionano con noi. Questo è ormai chiaro da un pezzo, direi».
Nel 2021 Condé Nast è tornata in attivo, e Lynch dice che un quarto dei ricavi oggi arriva da attività digitali: l’obiettivo è portarli a essere un terzo nei prossimi quattro anni, compensando le perdite della pubblicità su carta.
domenica 29 Maggio 2022
Invece la stessa raccolta di dati ADS descriveva anche la distribuzione nelle diverse province e regioni di settimanali e mensili, e anche qui ci sono alcune cose interessanti da selezionare, ricordandoci che sono dati che riguardano l’anno 2021 (alcuni abbinamenti gratuiti e in offerta non sono più gli stessi, e si tratta delle maggiori variabili nelle quote di diffusione).
Dei due settimanali a maggiore diffusione , sia DiPiù – che ha un prezzo di copertina di appena un euro – che Sorrisi e Canzoni (1,50) coprono piuttosto omogeneamente tutte le regioni, anche se il secondo ha primati anomali in Liguria grazie all’offerta insieme al quotidiano Secolo XIX .
Il settimanale Chi del gruppo milanese Mondadori è un buon esempio del valore delle scelte e delle opportunità della distribuzione: la sua maggiore diffusione – dopo Milano, Roma e Torino – avviene in tre province lombarde, mentre in tutta la Sicilia segnala meno copie che nella sola provincia di Varese. Ed è un dato che riguarda molti altri periodici (ci sono importanti centri di stampa tra le province di Brescia e di Verona).
Gente, che resta – nei declini di tutti – uno dei settimanali a maggior diffusione in Italia, porta a Verona, Treviso e Genova più copie che in ogni altra città (24mila, 23mila e 20mila copie, contro le 8mila a Milano) grazie agli abbinamenti con i quotidiani locali. La regione in cui invece nel 2021 aveva maggiore diffusione Oggi , settimanale del gruppo RCS, era la Sardegna, e soprattutto la provincia di Sassari (14mila copie, più che a Milano), grazie all’abbinamento al quotidiano Nuova Sardegna .
Le due città in cui circolano più copie di Grazia , dopo Roma e Milano, sono La Spezia (3339) e Pistoia (2960), grazie agli abbinamenti con la Nazione .
Sono interessanti i dati dei due settimanali Intimità e Confidenze , storicamente concorrenti nella loro offerta tradizionale e poco innovativa (anche se da molto tempo la competizione è stravinta dal primo): contrariamente all’idea che i loro lettori e lettrici prevalgano nelle regioni del Sud dove le trasformazioni di interessi e sensibilità arriverebbero con maggiore ritardo, Confidenze ha i numeri più alti in Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna (in tutta la Puglia ha meno copie che a Bergamo). E delle 116mila copie totali di Intimità quasi la metà resta in Lombardia, Piemonte e Veneto: in tutta la Calabria ne circolano le stesse copie che a Modena (1600 circa).
Un settimanale come Diva e Donna , per fare un altro esempio della sproporzione tra Nord e Sud anche su questo tipo di letture (e di distribuzione), indica meno di 3mila copie in Sicilia o in Puglia, e più di 11mila in Toscana o in Piemonte. Donna Moderna , che Mondadori ha da poco ceduto al gruppo della Verità di Maurizio Belpietro, ha quasi un terzo delle copie in Lombardia.
Anche il settimanale Milano Finanza beneficia molto dell’offerta in omaggio con il Secolo XIX , come il quotidiano ItaliaOggi dello stesso gruppo: metà delle 35mila copie che dichiara vanno in Liguria.
domenica 29 Maggio 2022
Una settimana fa avevamo presentato una prima selezione di dati “territoriali” sulla diffusione dei quotidiani nelle varie regioni e province d’Italia secondo ADS, l’ente che li certifica (affidandosi molto alle dichiarazioni delle singole testate). Un lavoro successivo di aggregazione e approfondimento su quei dati è stato fatto da alcuni studiosi del settore o appassionati di dati, e quindi vi rimandiamo direttamente a loro: un articolo sul sito DataMediaHub , o la grafica creata da un lettore di Charlie (ricordiamo che si tratta di dati di diffusione comunicati dalle testate – quante copie sono distribuite, gratuite comprese – non di quotidiani effettivamente “venduti” o “letti”).
Un’altra cosa da aggiungere, che non avevamo avuto il tempo di indagare la settimana scorsa, è che alcuni degli anomali dati di vendita locali di alcune testate nazionali si devono a campagne di promozione in cui la loro vendita avviene allegata a quella di un quotidiano locale (gli altissimi numeri di diffusione di ItaliaOggi in Liguria si dovevano per esempio all’offerta in omaggio col quotidiano Secolo XIX ).
domenica 29 Maggio 2022
Nell’informazione britannica c’è stato un altro caso esemplare di rispetto – imposto in forza di norme e legge – della privacy degli indagati, sia interessante che inconcepibile visto da qui. I giornali hanno dato notizia dell’arresto di un membro del parlamento accusato di violenza sessuale: non una notizia da poco. Ma non hanno citato il nome dell’accusato, in conseguenza di una serie di interventi e discussioni avvenute negli scorsi anni, e di cui avevamo già raccontato qui :
” Nel Regno Unito, infatti, è vietato divulgare i nomi delle persone sottoposte a indagine prima che vengano formalmente incriminate o arrestate: o meglio, si considera che nella stragrande maggioranza dei casi, il diritto alla privacy di chi sia soltanto indagato prevalga sul diritto all’informazione da parte dei media, per via dell’indiscutibile e irrimediabile “danno alla reputazione” che questo genere di notizie comporta per le persone coinvolte.
L’attenzione dei tribunali a queste tutele è ulteriormente cresciuta nell’ultimo decennio, dopo lo scandalo che ha rivelato le pratiche spregevoli e illegali di alcuni tabloid per ottenere informazioni private su celebrities e privati cittadini. E il caso più famoso di questa severità è quello del cantante Cliff Richard, il cui nome fu diffuso da BBC dopo una perquisizione a casa sua (trasmessa in tv) nell’ambito di un’inchiesta per cui non fu poi mai perseguito, e da cui venne ritenuto estraneo ai fatti: Richard ottenne le scuse di BBC e della polizia per la diffusione della notizia, e diverse centinaia di migliaia di sterline di risarcimento (a BBC costò oltre due milioni comprese le spese legali)”.
I critici di questa scelta di rispetto fino a che l’accusato non sia formalmente incriminato (i media britannici usano l’espressione “arrested on suspicion”, ovvero “arrestato perché sospettato di”, formula assai più prudente di quelle consuete da noi) dicono che pubblicare il nome dell’accusato può incentivare altre presunte vittime a farsi avanti e testimoniare, ma dall’altro lato c’è chi spiega che invece ne potrebbe seguire più facilmente l’identificazione di chi abbia denunciato, la cui privacy ha un diritto di protezione molto tutelato dalla legge britannica per impedire che il timore di conseguenze trattenga le vittime dal denunciare.