Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 6 Ottobre 2024
L’annosa questione della “monetizzazione” dei podcast (ovvero di come ottenerne dei ricavi che coprano i costi) continua a essere una questione per molti siti di news: nella maggior parte dei casi sono prodotti in perdita, generando dei ricavi indiretti in termini di promozione delle testate e della loro attività. Alcuni nascono in collaborazione con sponsor o inserzionisti. Altri – come il podcast quotidiano Morning, sul Post – fanno parte dell’offerta per gli abbonati, e quindi concorrono a generare dei ricavi dagli abbonamenti.
Quest’ultima possibilità è finora quella più concreta – per chi riesce a sfruttarla con prodotti che funzionino – e adesso il New York Times si sta muovendo ulteriormente in quella direzione, limitando i propri popolari podcast all’ascolto per i soli abbonati e promuovendo uno specifico abbonamento dedicato ai soli podcast. Un’app e un abbonamento dedicato esistevano già, ma il giornale ora estenderà queste limitazioni anche ai propri podcast sulle piattaforme di Spotify e di Apple. Rimarranno disponibili a tutti le due o tre puntate più recenti dei podcast periodici, quotidiani o settimanali, o le prime dei podcast in forma di serie finita, che però gli abbonati potranno ascoltare in anticipo.
domenica 6 Ottobre 2024
Martedì la giornalista del Washington Post Taylor Lorenz ha annunciato sui suoi canali social di aver dato le dimissioni dal giornale e di aver creato una sua newsletter: User Mag. Lorenz, che prima aveva lavorato per il New York Times e l’ Atlantic, negli anni è diventata molto nota per il suo lavoro giornalistico dedicato soprattutto agli argomenti della cultura digitale: nel 2019 aveva reso popolare l’espressione “Ok, boomer” e nel 2022 aveva smascherato la persona dietro l’account Twitter Libs of TikTok, account che si prendeva gioco dei liberal americani inimicandosi diversi giornalisti conservatori.
Le cause delle sue dimissioni sono però recenti. Il 14 agosto mentre partecipava al convegno “Creator Economy Conference”, organizzato dalla Casa Bianca su temi relativi alla comunicazione digitale, aveva caricato sul suo profilo Instagram, in una storia visibile solo agli amici stretti, un selfie nel quale compariva sullo sfondo il presidente Joe Biden accompagnato dalla didascalia “War criminal :(“. La fotografia era stata quindi caricata su Twitter da un giornalista del New York Post (che è un tabloid conservatore di proprietà della famiglia Murdoch) e aveva generato una polemica per la forte accusa nei confronti dell’amministrazione Biden e l’allusione al suo sostegno militare a Israele. La polemica era stata poi alimentata dalle successive dichiarazioni poco chiare di Lorenz che in un primo momento era sembrata negare di aver scritto lei quella didascalia, e in seguito aveva affermato che fosse una citazione di un meme, e che quindi non andasse presa seriamente. Il Washington Post aveva aperto una propria indagine sull’accaduto, e da allora Lorenz non aveva più scritto sul giornale.
Sei settimane dopo il caso, il primo ottobre, Lorenz ha comunicato pubblicamente la sua intenzione di abbandonare il Washington Post. Nell’ introduzione di User Magazine spiega che la decisione è dovuta a quella che definisce l’incapacità dei “media tradizionali” di adattarsi ad un contesto dell’informazione non tradizionale caratterizzato da ritmi molto sostenuti e linguaggi spesso incomprensibili per coloro che osservano dall’esterno. Ed esprime il suo disagio nel trattare questi temi in un contesto che secondo lei non riesce a comprendere e valorizzare il suo lavoro, a metà tra quello di content creator (oltre a scrivere sul Washington Post, Lorenz ha un canale YouTube e un podcast) e giornalista.
domenica 6 Ottobre 2024
In due pagine dedicate a pubblicare e raccontare ulteriori intercettazioni telefoniche relative al “caso Boccia Sangiuliano” il Fatto ha mostrato delle conversazioni che confermerebbero la pratica di acquisto da parte di alcune testate “scandalistiche” di servizi fotografici per non pubblicarli, usando la decisione come merce di scambio di favori con i protagonisti dei servizi in questione: in questo caso l’ex ministro Sangiuliano. Pratica di cui avevamo scritto un mese fa su Charlie.
“«Carissimo Gennaro, eccomi qui». Inizia così la mail che Signorini, contattato dal Fatto, conferma di aver mandato a Sangiuliano: l’allora ministro la inoltra integralmente alla donna. “Volevo avvisarti – scrive il direttore di Chi – che da un paio di settimane mi arrivano al giornale servizi fotografici tuoi in compagnia della tua assistente (al ristorante, per strada…). Niente di compromettente. L’unica cosa è che una di queste agenzie insieme alle foto vendeva la notizia che ti sei separato da tua moglie, che hai tolto la fede e che hai con la tua assistente una relazione. Io ho acquistato il servizio perché non andasse in giro. Al di là della fondatezza della notizia (che a me non interessa ma a certa stampa “amica” sì) ci tenevo che tu lo sapessi, perché molto probabilmente non molleranno il colpo e ti controlleranno durante l’estate. Un caro saluto!!!!!!”.
Il dialogo tra Sangiuliano e Boccia prosegue: “Vuole dei soldi da te?”, domanda Boccia. “No!!! Per fortuna gli ho fatto un grande favore”. “E comunque come chiarisce anche lui non sono foto compromettenti”. “Ti posso mandare la risposta che ho mandato”, chiede lui. “Certo”, risponde lei. Sangiuliano a quel punto le inoltra il WhatsApp inviato a Signorini: “Grazie di cuore ho letto. Sei un amico. Ovviamente è tutto infondato. Si tratta di una persona che ha un fidanzato e collabora con me. Io sono con mia moglie a fare un weekend e staremo insieme tutta l’estate. Un abbraccio grande”. “Va bene come ho risposto?”, domanda in cerca di approvazione l’allora ministro. E Boccia di nuovo lo rassicura: “Certo”. “Comunque abbiamo molte invidie addosso. Anche la nostra amicizia attira gelosie”, chiosa lui.
[…] Signorini oggi spiega che, quando il 4 agosto contatta l’allora ministro, era convinto di acquistare il servizio di Fiumara&Scarfone: “Ma quando ho saputo che dovevamo spendere 12mila euro per delle foto che non volevano dire niente, con una signora che per me era una sconosciuta, non l’ho più comprato”. Stando a quanto riferisce il direttore editoriale di Chi, quindi, non ci sarebbe nessun servizio “ritirato” o non pubblicato, nonostante lui stesso ne avesse fatto parola con l’ex ministro”
domenica 6 Ottobre 2024
Reuters, una delle più grandi agenzie stampa internazionali, inizierà a fare pagare un dollaro a settimana la lettura di notizie sul suo sito. L’introduzione di un paywall è stata annunciata il 1° ottobre anche da CNN – era stato anticipato la settimana precedente – e conferma il progressivo spostamento da parte dei siti di news internazionali verso abbonamenti e servizi a pagamento a fronte del declino dei ricavi pubblicitari.
L’annuncio fatto simultaneamente dalle due aziende mostra anche un’altra delle conseguenze che la digitalizzazione dei servizi di informazione ha avuto su diverse aziende del settore giornalistico, e cioè la tendenza a sviluppare siti di news in diretta concorrenza tra loro con offerte e modelli di business molto simili: anche per testate il cui ruolo originario era un altro (un canale televisivo, CNN; un’agenzia di stampa che offre servizi alle redazioni, Reuters). Secondo il Wall Street Journal un mercato di abbonamenti a news e contenuti di intrattenimento sempre più affollato potrebbe mettere in difficoltà gli ultimi arrivati, questo in particolare per un’agenzia di stampa come Reuters, molto meno conosciuta di CNN da un pubblico di non addetti ai lavori, che si ritrova a dover scegliere a quale sito abbonarsi per leggere le notizie.
Per quanto riguarda CNN , l’introduzione di un paywall fa parte di un grosso piano di riprogettazione di costi e ricavi annunciato pochi mesi fa dal nuovo amministratore delegato Mark Thompson. Thompson era stato scelto dall’azienda un anno fa per provare a fermare una crisi causata dal grosso calo di ascolti e di profitti.
domenica 6 Ottobre 2024
Le pagine di articoli giornalistici vendute ad aziende ed enti dai due maggiori quotidiani italiani, senza segnalarle come tali ai lettori, sono state in questi anni una novità preziosa per i ricavi pubblicitari dei quotidiani stessi, e la loro frequenza è andata aumentando: c’è evidentemente e comprensibilmente un interesse degli inserzionisti per questo formato di promozione che dà l’impressione di essere una scelta autonoma della redazione. Il Corriere della Sera in particolare sta riuscendo a venderne molte, creando una serie sempre più estesa e varia di denominazioni dedicate volte a presentare gli articoli come sezioni del giornale: questa settimana con due o tre pagine ogni giorno chiamate, oltre all’abituale “Eventi”, anche “Orizzonti“, “Eventi Le arti e le idee” e le doppie pagine “Eventi Orizzonti” ed “Eventi Percorsi“.
(è interessante notare come questi formati di articoli venduti, che sono sfruttati in minor misura anche da Repubblica (solitamente con la denominazione “Le Guide”), non siano niente di diverso dai contenuti per i quali Repubblica stessa aveva scioperato la settimana scorsa: la differenza, sensibile all’interno delle redazioni, era stata che la richiesta in quel caso provenisse da fuori del gruppo editoriale GEDI e non dalla concessionaria pubblicitaria interna).
domenica 6 Ottobre 2024
Martedì 1° ottobre si è concluso l’acquisto del settimanale francese Paris Match, finora di proprietà del gruppo editoriale Arnaud Lagardère, da parte della grande multinazionale del lusso LVMH. L’operazione, per 120 milioni di euro, era stata preannunciata a febbraio. Riassumendo la situazione all’interno di Paris Match degli ultimi anni, il quotidiano Libération ha riportato l’opinione di un giornalista della redazione secondo cui il cambio di proprietà sarebbe “una liberazione” per i giornalisti che da tempo protestavano contro la direzione conservatrice che l’imprenditore Vincent Bolloré aveva dato al giornale dal suo ingresso nella società Lagardère News. Bolloré era diventato il maggiore azionista del gruppo Lagardère nel 2020 per poi diventarne il proprietario a tutti gli effetti: da quel momento in poi diverse scelte editoriali avevano provocato insoddisfazioni all’interno della redazione: la presenza sempre maggiore all’interno della sezione “people” del giornale di politici e religiosi ultraconservatori, un grande spazio ad articoli sulla religione cattolica, e la scelta di giornalisti conservatori e ritenuti poco esperti.
Con il passaggio alla nuova proprietà, Paris Match rimarrà distinto dal gruppo Les Echos-Le Parisien, che possiede gli altri due giornali del gruppo LVMH, costituendo una società autonoma. L’intenzione annunciata è di rinnovare il settimanale attraverso la valorizzazione della sezione fotografica, un ampliamento della copertura di cronaca e geopolitica, l’assunzione di nuovi giornalisti per compensare i licenziamenti degli ultimi anni e un aumento della presenza su Instagram e TikTok, con l’obiettivo di raddoppiare gli attuali 25mila abbonamenti nel futuro prossimo.
L’acquisizione di un settimanale da parte di una grande società come LVMH non è una novità per il mondo editoriale francese, dove molte maggiori testate sono di proprietà di aziende che si occupano solo in parte di giornali. Trattando il caso di Paris Match, il quotidiano Le Monde ha messo in guardia contro il rischio che il giornale si trasformi in uno strumento pubblicitario a favore dei marchi di proprietà di LVMH, nonostante le rassicurazioni di Antoine Arnault, direttore del gruppo, che ha garantito che all’interno di Paris Match non si parlerà “né più, né meno di prima, di LVMH”.
Il primo numero di Paris Match sotto la nuova proprietà uscirà il 10 ottobre.
domenica 6 Ottobre 2024
Mercoledì sera BBC ha rinunciato a un’intervista all’ex premier britannico Boris Johnson, prevista per giovedì in prima serata, dopo che Laura Kuenssberg, un’importante giornalista di BBC che doveva svolgere l’intervista, ha comunicato in un tweet di aver inviato per sbaglio i suoi “appunti” per l’intervista allo stesso Johnson anziché ai suoi collaboratori, e di ritenere quindi che non fosse opportuno procedere.
Il giorno dopo Kuenssberg ha spiegato i motivi etici della sua scelta nella sua newsletter, scrivendo che se gli intervistati potessero sempre prepararsi in anticipo le risposte, l’intervista sarebbe solo un “esercizio artificiale” . Parlando in particolare dell’intervista a Boris Johnson, ha aggiunto che non avrebbe avuto senso nemmeno cambiare le domande: “Se non avessimo fatto domande su Brexit, sul Covid, sul Partygate, sulle sue dimissioni o sul suo rapporto con la verità, semplicemente non avremmo fatto il nostro lavoro”. L’intervista era stata largamente pubblicizzata da BBC nelle due settimane precedenti, perché sarebbe stata la prima di un lungo tour promozionale per il nuovo libro di Boris Johnson, che uscirà il 10 ottobre ma di cui Johnson ha già fatto pubblicare degli estratti sul tabloid britannico Daily Mail, ottenendo una grande visibilità attraverso dichiarazioni sensazionalistiche in cui dice, per esempio, di conoscere la vera causa della morte della regina Elisabetta II o che c’era un piano per invadere i Paesi Bassi per ottenere dei vaccini.
L’intervista era attesa e pubblicizzata anche perché a svolgerla era appunto Laura Kuenssberg, che è stata redattrice politica di BBC dal 2016 al 2022 e che oggi presenta un talk show politico, sempre per BBC. Come redattrice politica, Kuenssberg aveva seguito molto da vicino Boris Johnson nei suoi anni da primo ministro, dal 2019 al 2022, intervistandolo sugli errori del suo governo nel gestire i primi momenti della pandemia e realizzando su di lui alcuni documentari, tra cui un’inchiesta sul cosiddetto Partygate che portò alla fine del governo di Johnson. La cancellazione dell’intervista da parte di Kuenssberg è stata presentata da BBC come una decisione presa di comune accordo con lo staff di Boris Johnson – che non ha fatto commenti ufficiali – perché ormai la situazione era “insostenibile”.
Johnson sarà intanto intervistato in un programma radiofonico di BBC da un altro giornalista.
domenica 6 Ottobre 2024
Che la notizia maggiore di questa settimana per i giornali italiani avrebbe riguardato Repubblica ce lo sentivamo arrivare dalla precedente, di settimana. C’è un nuovo direttore, Mario Orfeo, che rimpiazza da domani Maurizio Molinari, e che sarà il sesto direttore della storia del giornale: col dato assai rivelatore – di epoche finite – che i primi due sono durati vent’anni ciascuno, e poi in meno di nove anni questo è il quarto.
La decisione vuole affrontare le relazioni molto deteriorate tra la redazione da una parte e la direzione e la proprietà – il gruppo GEDI, posseduto dalla società Exor – dall’altra: con una soluzione apparentemente sensata per quanto non molto inventiva né proiettata verso l’innovazione e il digitale su cui l’azienda insiste a parole con grande frequenza (e poca applicazione: che una grande azienda giornalistica stia tuttora insistendo sulla “transizione digitale”, nel 2024, è indice di un ritardo sensibile, seppur condiviso da molti giornali tradizionali italiani). Sensata perché Orfeo – che è napoletano e ha 58 anni – è stato a Repubblica vent’anni (vent’anni fa) e dovrebbe riuscire a costruire un rapporto con la redazione migliore di quanto abbia fatto Molinari, a riavvicinare un po’ Repubblica a quello che era Repubblica (se lo vorrà), e al tempo stesso è stato per i venti successivi – in Rai e nel gruppo Caltagirone che pubblica il quotidiano romano Messaggero – in ruoli vicini ai maggiori poteri giornalistici e politici romani, e dovrebbe essere capace di collaborare con quelli economici della famiglia Elkann che possiede Repubblica (assieme all’azienda automobilistica Stellantis e a molte altre cose) e governare i tanti relativi conflitti di interessi dell’azienda.
Nel frattempo GEDI ha anche comunicato che il presidente dell’azienda non sarà più lo stesso Elkann, che probabilmente preferisce distanziare il più possibile se stesso dalle faticose vicende delle aziende giornalistiche che pure possiede. La presidenza sarà di Maurizio Scanavino, che era finora amministratore delegato, e in quest’ultimo ruolo è stato nominato Gabriele Comuzzo: che finora era vicedirettore generale ed è direttore generale di Manzoni, ovvero la concessionaria pubblicitaria del gruppo.
domenica 6 Ottobre 2024
Due grandi testate giornalistiche internazionali, come diciamo sotto, hanno deciso di introdurre – tra le ultime – dei paywall sui loro siti. Ovvero di limitare l’accesso gratuito alle notizie e al loro lavoro giornalistico. Sono CNN e Reuters, e per ora queste limitazioni sono assai parziali. E non dicono niente di nuovo: CNN e Reuters hanno deciso appunto di fare quello che negli ultimi dieci anni circa hanno deciso di fare quasi tutti. Ovvero di tornare a investire – con diverse lungimiranze, con diversi approcci, con diversi risultati – sui lettori paganti, per attenuare il declino dei ricavi dalla pubblicità.
Niente che non sia già successo: i giornali sono stati a pagamento – con occasionali e minoritarie eccezioni – per tutti i secoli della loro storia prima che arrivasse internet. Ma quando è arrivata internet è sembrato che qualcosa cambiasse – tra altri robusti cambiamenti – nella possibilità di accesso all’informazione delle testate autorevoli: che potesse raggiungere potenzialmente chiunque e non solo chi era mosso e motivato – una minoranza – dal desiderio di d’informarsi.
“Sono ormai lontani i giorni in cui l’informazione affidabile era disponibile online gratis”, ha scritto Oliver Darcy nella sua newsletter sui media che si chiama Status. Cosa inevitabile, se i giornali vogliono sopravvivere (con rare e fortunate eccezioni, come nel suo piccolo quella del Post), ma la cui ricaduta è una minore disponibilità di informazione di qualità proprio per le persone che la frequentano poco, e che hanno minore consapevolezza delle conseguenze che questo comporta.
Fine di questo prologo.
domenica 29 Settembre 2024
Uno dei progetti collaterali del Post di giornalismo sostenibile continua a dare buoni risultati: anche l’undicesimo numero della rivista Cose spiegate bene è entrato nelle classifiche dei dieci libri più venduti del genere “saggistica”, come era avvenuto a tutti i primi numeri; e nelle vendite online sul sito del Post (che non sono conteggiate nella compilazione delle classifiche) è stato finora il secondo più venduto nei quattro anni di pubblicazione della rivista.
domenica 29 Settembre 2024
Un’ultima cosa collegata all’evento Exor da cui è nato lo sciopero di Repubblica, ma una cosa diversa. Nel corso di quell’evento è stato annunciato un accordo tra il gruppo GEDI e OpenAI, la società che produce il software di “intelligenza artificiale” ChatGPT. Nei comunicati e negli articoli piuttosto trionfalistici c’è molta retorica sulla “qualità dell’informazione” ma poca chiarezza sulla sostanza pratica dell’accordo (OpenAI si è limitata a riprodurre il comunicato GEDI specificandolo come tale): che di fatto dovrebbe riguardare l’accesso di OpenAI ai contenuti delle testate GEDI (che le “intelligenze artificiali” usano per produrre le proprie risposte agli utenti) in cambio di una promozione delle loro fonti originali sul nuovo servizio di ricerca online SearchGPT e di un probabile compenso economico finora non menzionato (che, come avvenne con simili trattative tra i giornali e Google, servirebbe a compensare la rinuncia di GEDI a cause giudiziarie per l’uso dei suoi contenuti).
In passato le testate GEDI avevano raccontato dubbi e preoccupazioni, e richieste di “paletti”, a proposito dell’introduzione di questo genere di tecnologie.
Il Garante per la privacy ha diffuso una nota di “attenzione”, assai generica e laconica, sull’accordo.
domenica 29 Settembre 2024
Il gruppo Monrif, che pubblica i quotidiani Nazione, Resto del Carlino e Giorno , e la testata nazionale QN, è una società quotata in borsa, e la cui maggioranza è posseduta dalla famiglia Monti Riffeser, storica proprietaria del gruppo. Adesso il presidente Andrea Monti Riffeser ha deciso il “delisting” della società (ovvero di toglierla dalla quotazione) acquisendo le azioni degli altri proprietari, con un’OPA, come si chiamano queste operazioni. Operazione costosa – ma la società ha capitali da altre attività – volta ad avere maggiori libertà di intervento e di eventuali cambiamenti in un settore in difficoltà come quello dell’editoria giornalistica.
“Monti Riffeser ha spiegato di ritenere che «il delisting sia un presupposto essenziale per una riorganizzazione ed efficientamento dell’emittente, finalizzati all’ulteriore rafforzamento dello stesso e del gruppo ad esso facente capo, operazione più facilmente perseguibile nello status di non quotata, grazie alla maggiore flessibilità operativa e organizzativa dell’emittente»”.
domenica 29 Settembre 2024
I due giorni di sciopero di Repubblica non hanno solamente tolto due giorni di promozione dell’evento torinese di Exor e delle pagine pubblicitarie e non vendute agli sponsor dell’evento: ma si sono svolti anche nei giorni delle sfilate a Parigi che, seguite a quelle di Milano, sono sempre una ricca occasione di raccolta di inserzioni comprate dai brand di moda e lusso. Sabato, quando il giornale è tornato a essere pubblicato, era – come il Corriere della Sera: sono le due testate che ottengono la grande maggioranza degli investimenti pubblicitari – molto ricco di inserzioni di quel settore, e di contenuti “giornalistici” dedicati agli inserzionisti: tra gli altri, un format che finora era stato usato soprattutto dal Corriere, ovvero l’articolo dedicato alla campagna pubblicitaria stessa del brand di moda, in questo caso Gucci.
Un altro genere di articoli sulle testate maggiori rivelatore della speciale indulgenza nei confronti di quella preziosa fonte di ricavo si è visto a proposito di una notizia che in qualunque altro contesto sarebbe stata raccontata come un’allarmante svendita del meglio della creatività imprenditoriale italiana all’estero, o un saccheggio segno di crisi: l’ingresso – in forme diverse – della grande multinazionale francese del lusso LVMH in due importanti brand italiani (Moncler e Tod’s, uno dei quali negli stessi giorni aveva comprato molte pagine di pubblicità sugli stessi quotidiani), celebrato invece come un’operazione di gran prestigio per tutti i coinvolti.
Sul Foglio , per esempio, le sfumature e implicazioni sono state descritte con più realismo:
“questa nuova mossa di Arnault è la riprova della sua intenzione di acquisire, controllare, o anche e come in questo caso sostenere, ma con una discreta capacità di manovra garantita da due consiglieri, quanto di meglio è rimasto nella moda italiana indipendente. Il momento è, purtroppo, di crisi profonda per le piccole e medie imprese manifatturiere nazionali, che subiscono un calo di ordini anche o superiore alla metà rispetto agli scorsi due anni, e al ministero del Made in Italy iniziano a moltiplicarsi i tavoli di discussione di misure straordinarie”.
Ma anche su Libero:
“Il tema su cui soffermarsi riguarda però la perdita costante di gruppi industriali a capitale italiano di ogni settore , a cominciare dal fashion, che finiscono in mani francesi o di fondi di investimento, cosa che non succede mai ai transalpini e da quel momento, per ora, moda a parte, inizia il travaglio dell’operatività sul suolo Italico, produzione diretta e indotto”.
domenica 29 Settembre 2024
Se vi siete appassionati – come tutti nelle redazioni americane – alla storia della “relazione digitale” tra Olivia Nuzzi del New York Magazine e Robert Kennedy jr., Vanity Fair ha pubblicato un tentativo di ricostruzione di come si è arrivati al suo disvelamento: tentativo poco riuscito, ma con un po’ di dettagli in più.
domenica 29 Settembre 2024
Anche CNN, uno dei più grandi e visitati siti di news internazionali, introdurrà a ottobre un paywall e un servizio a pagamento, cercando di sfruttare una fonte di ricavo – il pagamento da parte degli utenti – a cui ormai pochissimi siti hanno rinunciato, reso ineludibile dal manifesto declino dei ricavi pubblicitari.
domenica 29 Settembre 2024
Il “diritto di cronaca”, come tutti i diritti e tutte le libertà, conosce molte limitazioni legate alle situazioni in cui entra in conflitto con altri diritti. È una cosa che viene spesso dimenticata quando lo si usa come slogan universale e assoluto, che debba prevalere su tutto. E che è utile conoscere per valutare e soppesare cosa sia più giusto – a norma di legge o di etica personale – in molti dei dibattiti sull’informazione.
Uno dei diritti con cui quello di cronaca entra quotidianamente in conflitto è il diritto d’autore: che spesso le aziende giornalistiche evocano rispetto ai propri contenuti utilizzati da altri (le piattaforme digitali, per esempio, o molti siti web) ma che al tempo stesso è frequentemente violato dai giornali stessi nell’utilizzo di immagini, video o testi prodotti da altri, proprio accampando ragioni di diritto di cronaca.
Le cose si sono complicate molto da internet in poi, naturalmente, e l’ambito in cui le priorità sono state più drasticamente definite è probabilmente quello delle immagini in video degli eventi sportivi, sulle quali si scontrano le pretese di esclusiva di chi ne acquista – a caro prezzo – i diritti di trasmissione, e le esigenze di informazione delle testate giornalistiche e del pubblico. I maggiori eventi sportivi sono sicuramente una notizia, negli stadi avvengono cose rilevanti e su cui ci sono molte attenzioni, ma a differenza di altri avvenimenti non possono essere mostrate dalle tv e dai siti che non hanno pagato, nemmeno nei loro telegiornali.
(la materia è straordinariamente complessa, come è stato complesso il dibattito sulla definizione dei diversi diritti in questione negli anni passati)
Le contraddizioni di questa supremazia del diritto d’autore (che malgrado il nome non riguarda quasi mai gli autori, ma chi ha comprato i diritti dagli autori: o dai soggetti equiparati agli autori, come leghe sportive, reti televisive, eccetera) sul diritto di cronaca si sono mostrate questa settimana quando l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha “avviato un’istruttoria” sulla mancata trasmissione televisiva delle immagini di una contestazione dei tifosi romanisti durante la partita di calcio Roma-Udinese: ” L’istruttoria mira a garantire che i diritti di cronaca siano rispettati e che le immagini degli eventi di interesse pubblico siano accessibili ai media” .
Il sindacato dei giornalisti Rai, Usigrai, ha commentato:
“ L’istruttoria avviata da AgCom sul rispetto del diritto di cronaca nella vicenda delle proteste nell’incontro di calcio Roma Udinese di cui non si sono potute vedere le immagini, conferma quanto denunciato in più occasioni dall’Usigrai. Da quando è in vigore la legge Melandri che disciplina la titolarità e la commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi si è di fatto limitato il diritto di cronaca che trova fondamento nell’articolo 21 della Costituzione .
Nonostante il regolamento AgCom sull’accesso alle immagini degli eventi sportivi da parte degli operatori dell’Informazione, avviene regolarmente che fatti di interesse pubblico che accadono nell’ambito di manifestazioni coperte da diritti non possano essere ripresi dalle telecamere dei giornalisti. A pagare il prezzo di queste norme sono i cittadini che vedono leso il loro diritto ad essere informati. L’Usigrai chiede ancora una volta che si rompa questo muro che impedisce ai cittadini di sapere cosa accade all’interno degli impianti sportivi durante manifestazioni che sono di interesse pubblico e che invece sono finite sotto il dominio di una ‘Regia Unica’ che oscura ogni evento che non sia funzionale agli interessi di chi ha comprato i ‘diritti’. Con buona pace della Costituzione e del diritto dell’informazione ”.
domenica 29 Settembre 2024
Anche al Washington Post, qualcuno ricorderà, c’è una crisi: rientrata negli ultimi mesi rispetto alle sue manifestazioni più drammatiche, ma che rimane nelle sue ragioni, ovvero un declino negli abbonamenti e nei ricavi dell’azienda. La proprietà, ovvero Jeff Bezos, aveva nominato un nuovo amministratore delegato – Will Lewis – che era intervenuto in modi un po’ spicci nelle sue prime decisioni, aveva fatto dimettere la direttrice e irritato la redazione. E aveva annunciato un nuovo direttore proveniente da Londra, il quale però di fronte alla ribellione dei giornalisti aveva rinunciato. Nel frattempo su Lewis, inglese a sua volta, si erano accaniti molti articoli dello stesso Washington Post e di altre testate americane, rivelando le accuse nei suoi confronti quando era stato coinvolto in un famoso scandalo giornalistico-giudiziario britannico.
Nei tre mesi successivi Lewis e Bezos hanno evidentemente deciso di lasciarla sbollire, sospendendo ogni nuova iniziativa e prendendo toni più concilianti. C’è stata una comunicazione prudente sulla ricerca del nuovo direttore con procedure meno autoritarie, e nel frattempo il direttore temporaneo è Matt Murray, che era stato preso dal Wall Street Journal per dirigere una specifica sezione del giornale.
Questo riassunto delle puntate precedenti serve a mettere nel contesto la notizia di questa settimana di ben 54 licenziamenti al progetto “Arc XP” del Washington Post : l’azienda, su incentivo di Bezos e delle sue sensibilità tecnologiche, aveva creato nel 2015 un proprio software di pubblicazione digitale che aveva poi venduto ad altre aziende giornalistiche e non solo, raggiungendo circa 2500 clienti. Il progetto era stato celebrato come un’originale fonte di ricavo accessoria che sfruttasse il know how esistente dell’azienda. Ma benché i suoi ricavi annui abbiano raggiunto i 50 milioni di dollari, i suoi costi (di sviluppo e consulenza, soprattutto: i dipendenti sono circa trecento) sono molto alti e l’attività è ancora in perdita. L’azienda sta quindi cercando di ridurli affidando a ulteriori software o “intelligenze artificiali” parti del lavoro.
domenica 29 Settembre 2024
I nuovi editori dello storico settimanale britannico Spectator hanno già scelto il nuovo direttore, ed è un nuovo direttore noto, Michael Gove. Lo Spectator era stato messo in vendita assieme al quotidiano Daily Telegraph in seguito alle vicissitudini finanziarie della proprietà: per il Telegraph è ancora in corso un’asta, mentre lo Spectator è stato acquistato due settimane fa da Paul Marshall, proprietario della rete televisiva di destra GB News.
Michael Gove, 57 anni, ex giornalista, è stato uno dei più importanti politici conservatori britannici nello scorso decennio, ministro in quattro governi e grande sostenitore di Brexit. La sua vivacità polemica gli ha dato popolarità e nemici (quasi tutti i suoi primi ministri lo sono diventati), e sono stati molto alterni i suoi rapporti con lo stesso ex primo ministro Boris Johnson, che a sua volta era stato direttore dello Spectator tra il 1999 e il 2005.
domenica 29 Settembre 2024
La crisi di Repubblica si può a questo punto chiamare crisi, sia per il suo declino di copie vendute e la sua perdita di centralità, ma soprattutto per le relazioni disfunzionali tra proprietà, direzione, redazione e concessionaria di pubblicità. Tra queste parti ci sono state tensioni e contrasti frequenti in questi anni, lo scontro di questa settimana è stato il più sostanzioso e significativo, e ricco di implicazioni e dettagli.
In questo weekend si sta tenendo a Torino un ambizioso evento organizzato che si chiama “Italian Tech Week”: si svolge da tre anni, organizzato da GEDI – l’editore di Repubblica e Stampa – ed è stato pensato per dare un ruolo alle testate nella divulgazione di quello che succede nel mondo delle aziende tecnologiche, ma soprattutto per raccogliere ricavi da inserzionisti e sponsor e per promuovere gli interessi delle aziende appartenenti alla stessa società di GEDI, che si chiama Exor, è posseduta dalla famiglia Agnelli-Elkann e di cui fa parte tra le altre la grande azienda automobilistica Stellantis.
E questi due obiettivi rappresentano oggi i soli interessi di Exor a possedere dei giornali: renderli un po’ più remunerativi attraverso la pubblicità e usarli per sostenere le attività invece remunerative delle altre società. Quindi “Italian Tech Week” è un’occasione esemplare e prioritaria.
Per queste ragioni da quest’anno l’evento è stato sottratto alla direzione di un giornalista interno alla redazione – Riccardo Luna, responsabile della sezione Italian Tech di Repubblica e Stampa – e affidato piuttosto a Vento, la società di Exor che si occupa di investimenti nelle startup tecnologiche. Scelta che però non è stata comunicata alla redazione, e scelta che ha immaginato di poter contare ancora sugli spazi promozionali dei quotidiani GEDI. E così, nelle scorse due settimane, ai giornalisti di Repubblica sono iniziate ad arrivare richieste molto dettagliate da parte di Exor sulle interviste da fare e i contenuti da produrre per promuovere “Italian Tech Week” e i suoi sponsor sul giornale e sul suo allegato speciale dedicato.
A questo punto, alcuni lettori di Charlie potranno dire: ma non accade regolarmente che nei maggiori quotidiani – soprattutto nelle pagine dell’Economia ma non solo – una quota di articoli sia dedicata agli inserzionisti pubblicitari e alle loro richieste, senza che questo sia reso chiaro ai lettori? La risposta è sì, ma questo avviene dentro una consuetudine tollerata (pur con un’asticella spostata più in basso ogni mese che passa) di lavoro dei giornali e delle redazioni: la pubblicità serve, la concessionaria insiste (ovvero la società del gruppo che vende la pubblicità), si discute e si fanno resistenze, ma anche molti compromessi considerati inevitabili.
Stavolta però i compromessi – enormi: l’inserto dedicato è solo una raccolta di celebrative interviste agli sponsor – sono stati di fatto degli ordini, e sono arrivati da un’azienda esterna al gruppo editoriale GEDI. E quando hanno cominciato a circolare dettagli ancora più concreti sulla “vendita” dei contenuti giornalistici, il Comitato di redazione ha consultato i giornalisti, che hanno deciso una vivace protesta e uno sciopero di due giorni, mercoledì e giovedì: «Questa redazione non ha mai venduto l’anima».
(in mezzo ci sono state le dimissioni del responsabile dell’Economia, respinte dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari)
Due giorni di sciopero contro l’editore sono già una cosa piuttosto grossa. Due giorni di sciopero che impediscono l’esecuzione degli obiettivi maggiori dell’editore – quelli citati sopra – annullando l’uscita in edicola e la pubblicazione online di tutti i contenuti (pubblicitari o presunti giornalistici) dedicati alla “Italian Tech Week”, sono una risposta drastica e bellicosa (questo è lo spazio dedicato all’evento giovedì dalla Stampa, che non ha scioperato). E infatti questa volta la proprietà – colpita nei propri interessi economici: a quelli del giornale si è finora mostrata assai indifferente – risulta piuttosto seccata, e sono circolate molte voci e allarmi persino di vendita di Repubblica o di GEDI, senza nessuna concretezza fin qui. Ma una piccola reazione è stata la decisione di trasmettere sul sito di Repubblica – che sarebbe stato in sciopero – la prevista diretta dell’evento di Torino, per conservarle una visibilità: con nuove proteste della redazione.
E a questo punto, alcuni lettori di Charlie potranno dire: ma questa collaborazione tra redazioni ed eventi sponsorizzati non avviene ormai in molte importanti testate tradizionali? E la risposta è sì, e avviene grazie a progetti condivisi e collaborativi tra le priorità giornalistiche e quelle di sostenibilità economica, progetti in cui si è lavorato molto sull’innovazione editoriale, sulla priorità del digitale, sulla credibilità dell’indipendenza giornalistica che garantisce credibilità alle attività sponsorizzate. L’impressione è che invece la proprietà del gruppo GEDI non sia stata capace finora di nessuna visione innovativa e lungimirante sui giornali che ha deciso di comprare cinque anni fa (li ha venduti quasi tutti, tenendo solo i due maggiori) e oggi pretenda solo di servirsene e limitare le perdite, sfruttando come può, e senza coinvolgerle, imprese che ritiene fallimentari e problematiche al servizio di quelle di maggior visione e floridità economica. E a un certo punto quelle prime imprese – i giornali – se ne sono accorte.
domenica 29 Settembre 2024
Una settimana fa il Guardian ha pubblicato un’intervista con la cantante Janet Jackson, una persona dalle condizioni di vita piuttosto privilegiate e con un accesso vantaggioso alla conoscenza del mondo. E a un certo punto dell’intervista Jackson ha balbettato che per quanto aveva sentito Kamala Harris non sarebbe “nera”, e che suo padre sarebbe bianco: «ho seguito poco le news di recente, ma mi hanno detto che sarebbe così».
Come voialtri sapete – voi che seguite le news più di Janet Jackson – non solo Harris è nera, non solo suo padre è giamaicano, ma le risposte di Jackson sono note falsità fatte circolare da Donald Trump e dai suoi sostenitori. E che ci siamo abituati a pensare siano trasmesse da a) fanatici squinternati, b) ingenui ignoranti o c) propagandisti in malafede.
Ma Janet Jackson?
Lo scorso agosto il New Yorker ha pubblicato un articolo su quelli che ha chiamato “low information voters”, elettori poco informati: una categoria di persone che non sono particolarmente impegnate e coinvolte nella propaganda partigiana e falsificatrice, e che non appartengono a classi sociali che non hanno accesso o abitudine all’informazione. Sono persone di classi medie, le cui vite sono in generale quelle della gran parte della popolazione e le cui opportunità di essere informate sono a portata di mano, ma che semplicemente non frequentano i mezzi di informazione, cartacei, televisivi o digitali. In molti casi non sanno le cose, sono ignare di temi e argomenti di attualità che per altre comunità più attente riempiono le conversazioni e le comunicazioni, e le notizie che arrivano loro vengono da fonti di quarta mano e altrettanto ignoranti (o in malafede), spesso dai social network.
Gli esempi non sono solo americani, ed è facile accorgersene. È presumibile che chi segue una newsletter sul mondo dei media viva in una bolla completamente diversa, e rischi di farsene influenzare: ma intorno a noi ci sono tantissime persone per cui la conoscenza delle notizie e dell’attualità occupa un tempo limitatissimo, una piccola accidentale parte della giornata. Per disinteresse, per altre priorità, per sfiducia, per preoccupazioni maggiori, ma anche per soddisfazioni maggiori: la famiglia, il proprio lavoro, le proprie passioni specifiche. Tantissime persone non sanno chi sia Giancarlo Giorgetti né cosa sia Hezbollah e meno che mai chi sia il direttore di Repubblica (o cosa sia il Post). Molte più di quelle che lo sanno, è facile ipotizzare anche senza sondaggi.
È sempre una cosa da tenere presente, emergendo dalla propria bolla, quando parliamo di giornali, o di funzionamento della democrazia.
Fine di questo prologo.
domenica 22 Settembre 2024
Il progetto cartaceo del Post, la rivista Cose spiegate bene , è arrivato al suo undicesimo numero e continua a confermarsi una proficua fonte di ricavo accessoria, oltre che un prodotto giornalistico molto apprezzato. Il nuovo numero sul Novecento è in libreria da pochi giorni dopo essere stato acquistato in anteprima dagli abbonati del Post, ed è già il terzo numero per vendite tra tutti quelli pubblicati sinora.
domenica 22 Settembre 2024
L’informazione giornalistica sulle cose che riguardano l’Unione Europea fa da sempre molta fatica, e i giornali e i giornalisti che provano a renderla attraente e comprensibile fanno un lavoro prezioso ed encomiabile. Tra le ignoranze all’interno delle stesse redazioni divenute quasi proverbiali c’è quella sulla distinzione tra i maggiori organi dell’Unione (assieme a quella tra le istituzioni di giustizia internazionali), che mercoledì si è manifestata – confondendo Commissione e Parlamento – persino nell’editoriale di prima pagina del direttore del Giornale.
domenica 22 Settembre 2024
Il Fatto ha pubblicato mercoledì una sorta di intervista col senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della squadra di calcio della Lazio: in realtà lo stesso autore dell’intervista la descrive come una conversazione improvvisata in una sala della Camera, durante la quale Lotito gli ha descritto il desiderio di comprare un quotidiano (nel senso: non all’edicola), esprimendo una sua preferenza per il Foglio , e in seconda istanza la Verità (ma il Foglio “vola più alto”).
domenica 22 Settembre 2024
La notizia dell’esonero dell’allenatore della Roma calcio, Daniele De Rossi, ha mostrato mercoledì più palesemente di altre la fragilità dell’informazione legata alle società calcistiche (fragilità che raggiunge solitamente i massimi a proposito delle notizie di “calciomercato”). Soltanto poche ore prima, infatti, molti giornali e siti di news che si erano occupati delle incertezze sulle vicende della squadra avevano titolato sulla confermata “fiducia a De Rossi” da parte della proprietà.
Smentite plateali come questa non avvengono raramente e si devono sia all’inattendibilità delle fonti all’interno del mondo del calcio che alle poche cautele dei giornali nel considerare queste inattendibilità.
domenica 22 Settembre 2024
Abbiamo spesso raccontato su Charlie gli investimenti ricchissimi che la società di energia e combustibili fossili ENI fa in pubblicità e sponsorizzazioni sui giornali italiani, e che sono da sempre usati – con successo – per garantirsi indulgenze e disponibilità dai giornali stessi: particolarmente preziose di questi tempi per un’azienda responsabile per sua natura di emissioni inquinanti e spesso accusata di pratiche discutibili. Le sole testate tra i quotidiani più noti a mostrarsi critiche nei confronti di queste pratiche e indipendenti da queste sovvenzioni – e quindi a riceverne molte meno – sono il Fatto , Domani e il Manifesto: questa settimana solo Domani ha pubblicato i risultati di una ricerca che accusa molti festival nazionali di complicità con ENI nel suo progetto di “greenwashing”.
domenica 22 Settembre 2024
Venerdì la procura di Parma ha pubblicato un altro comunicato, in concomitanza con la disposizione degli arresti domiciliari per l’indagata nell’inchiesta: un lungo comunicato pieno di informazioni sull’inchiesta stessa, che dimostra quanto può essere utile questo procedimento rispetto alla diffusione parziale e clandestina di documenti giudiziari. Da prendere naturalmente con tutto lo scetticismo giornalistico dovuto alle fonti interessate come è una procura (per esempio, nel lungo comunicato non si motiva la richiesta di custodia cautelare di una persona presunta innocente fino a processo).
domenica 22 Settembre 2024
Giovedì sera è stato distribuito a Londra l’ultimo numero del quotidiano Evening Standard , che dopo 197 anni diventerà un settimanale col nome di London Standard: il giornale aveva già cambiato la sua frequenza a cinque giorni alla settimana nel 2009, quando era divenuto una free press, distribuito gratuitamente soprattutto nelle stazioni della metropolitana.
Il primo numero della nuova testata settimanale uscirà giovedì prossimo (sempre al pomeriggio), e il giornale – posseduto dall’imprenditore russo-britannico Evgeny Lebedev assieme al giornale Independent (a sua volta divenuto solo online dal 2016) – ha fatto un accordo con un’altra free press, City AM, per condividere i contenitori delle copie disseminati nelle stazioni. City AM, che si occupa soprattutto di temi economici ma ha pagine di argomenti più generali, è pubblicato dal lunedì al giovedì: da giovedì pomeriggio a tutto il weekend i contenitori ospiteranno lo Standard.
domenica 22 Settembre 2024
Due frequenti inadeguatezze dei quotidiani e dei siti di news italiani si sommano spesso quando in casi di cronaca – solitamente tragici – le redazioni si affrettano a cercare su Facebook informazioni e immagini da usare: la prima è una abitudine all’indiscrezione incosciente nei confronti delle persone coinvolte, che è un’evoluzione contemporanea del peggior giornalismo morboso, quello che secondo aneddoti leggendari rubava le fotografie delle vittime di crimini dalle cornici nel soggiorno delle case: l’altra è la generale trascuratezza nel verificare e controllare le informazioni e ciò che viene pubblicato.
A volte, appunto, le due cose capitano insieme: in una terribile storia avvenuta in provincia di Treviso, molte testate locali e nazionali ( Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Adnkronos, Ansa, Tgcom24, Fatto, Open, Fanpage) hanno pubblicato diverse foto di una donna che si era uccisa annegando insieme alla figlia di tre anni, foto tratte dal profilo di Facebook attribuito alla donna. La quale però non aveva un profilo Facebook, e quello individuato dalle redazioni era il profilo di una sua omonima originaria dello stesso paese. Le foto pubblicate a corredo degli articoli erano quindi di un’altra persona, viva, ed estranea alla storia.
Simili errori non sono una novità.
La Tribuna di Treviso si è scusata coi lettori e l’interessata sul quotidiano di lunedì (il Corriere della Sera di lunedì invece ha ancora pubblicato una foto della persona sbagliata, che tuttora si trova nell’archivio del giornale, come rimangono online le foto sbagliate in diversi articoli delle testate citate). La persona di cui sono state usate le immagini ha fatto presentare da un’avvocata una cospicua richiesta di danni a una decina di aziende editoriali.
domenica 22 Settembre 2024
È invece probabile che la notizia che questa settimana ha generato più attenzioni, meraviglia e chiacchiere nelle redazioni statunitensi, e non solo, sia stata quella diffusa dalla newsletter Status la mattina di venerdì e rapidamente ripresa da tantissimi siti di news americani: ovvero la rivelazione di una “relazione” fra Olivia Nuzzi e Robert Kennedy Jr.
Notizia che non è solo un pettegolezzo – la relazione sembra essere stata solo a distanza, probabilmente per messaggi e immagini – ma che ha posto una notevole questione di etica giornalistica. Nuzzi, 31 anni, è infatti una delle più note giornaliste politiche americane di questi anni, che solo due settimane fa aveva fatto notizia per un reportage su Donald Trump molto letto e condiviso sul suo giornale, il New York Magazine . Robert Kennedy Jr. è invece il membro della famiglia Kennedy che si era candidato alle elezioni presidenziali con posizioni molto estreme e criticate, e si è di recente ritirato per sostenere Trump.
Il New York Magazine ha sospeso Nuzzi considerando inappropriato il non aver rivelato la relazione mentre scriveva dello stesso Kennedy e poi della campagna elettorale. Altri dettagli sono nell’articolo del Post.
“Nuzzi si è scusata e ha concluso che «il rapporto non è mai stato fisico ma avrebbe dovuto essere reso noto [ai suoi datori di lavoro] per impedire la parvenza di un conflitto d’interessi». I media statunitensi hanno ricostruito che il rapporto sarebbe iniziato dopo che lo scorso novembre Nuzzi aveva realizzato un ritratto (cioè un articolo approfondito che racconta un personaggio) di Kennedy Jr.»”.
domenica 22 Settembre 2024
Un’operazione societaria si è invece conclusa in un’altra grande multinazionale giornalistica, il gruppo tedesco Axel Springer. In sintesi, la separazione delle attività media da quelle pubblicitarie e di annunci professionali, che saranno cedute al fondo KKR (finora socio di tutto il gruppo, valutato 13,5 miliardi di euro), significa che la proprietà dei giornali del gruppo (tra gli altri: il vendutissimo tabloid tedesco Bild, il quotidiano Welt, i siti americani Politico e Business Insider) diventerà quasi totalmente dell’erede della famiglia fondatrice Friede Springer e dell’amministratore delegato Mathias Döpfner, il cui ruolo avevamo raccontato sul Post, e che è capitato spesso di citare in questa newsletter.
domenica 22 Settembre 2024
Nel mondo della grande editoria giornalistica internazionale la notizia che ha avuto più attenzioni questa settimana è stata la trattativa di vendita dell’ Observer da parte dell’azienda che lo possiede, il Guardian Media Group, che si chiama così perché la sua proprietà maggiore è il quotidiano londinese Guardian, una delle testate più importanti del Regno Unito e del mondo. L’ Observer è invece un settimanale, che è di fatto l’edizione domenicale del Guardian: i maggiori quotidiani britannici non escono la domenica, pubblicando invece una “sister paper”, di articoli spesso più lunghi e meno legati all’attualità immediata. L’ Observer ha quasi 250 anni ed è stato comprato dal gruppo del Guardian nel 1993.
L’ipotesi di vendita è legata al momento di preoccupazione per i bilanci del Guardian, che sono stati comunicati questa settimana dopo alcune anticipazioni già uscite. I ricavi sono calati del 2,5% per “un rallentamento del mercato pubblicitario e maggiori costi strutturali di stampa”. I ricavi pubblicitari sono diminuiti del 13% rispetto all’anno precedente. L’ Observer non è una proprietà di grandi prospettive per le priorità digitali dell’azienda, e ha costi sensibili come ogni prodotto cartaceo.
L’acquirente interessato all’ Observer è il gruppo Tortoise Media, una startup ambiziosa che produce un sito di news, newsletter, podcast e altri prodotti giornalistici, e il cui più noto fondatore è James Harding, ex direttore di BBC News e del Times (l’altro è Matthew Barzun, imprenditore digitale ed ex ambasciatore statunitense nel Regno Unito). A proposito dell’eventuale acquisto, Tortoise Media ha ipotizzato un investimento di 25 milioni di sterline nei prossimi cinque anni del giornale.
Già nel 2009 il Guardian Media Group aveva ipotizzato e poi accantonato la chiusura dell’ Observer.
domenica 22 Settembre 2024
Due sabati fa, all’interno di un articolo del Corriere della Sera sulla riapertura di un’indagine per un omicidio di trent’anni fa, si diceva a un certo punto che due testimoni erano stati interrogati “ma le loro risposte sono sottoposte al segreto istruttorio rigoroso”. L’aggettivo “rigoroso” era illuminante: sembrava descrivere infatti l’esistenza di due diversi concetti giuridici, quello del “segreto istruttorio” che viene abitualmente divulgato presso i media e poi dai media stessi, e quello di un inusuale “segreto istruttorio rigoroso”, ovvero rispettato (il passaggio tradiva una evidente meraviglia del cronista per questa seconda bizzarra fattispecie).
Al di là della formulazione (specularmente alla mancata informazione in questione, l’articolo iniziava riferendo il contenuto di un’intercettazione ambientale e descrivendo gli intercettati “con le tute da lavoro chiazzate dal grasso”: informazione strabiliantemente individuata nell’intercettazione), la vera involontaria lezione che offriva quella informazione assente sul contenuto degli interrogatori era che per il felice funzionamento delle comunità, per la libertà di informazione, per la democrazia, per il bene del pubblico e per il bene dell’inchiesta, quell’assenza era evidentemente insignificante. Un articolo di cronaca è stato costretto a omettere un pezzo dell’inchiesta, per obbedienza alle regole, e niente e nessuno ne ha sofferto. A dimostrazione “plastica” che le limitazioni alla diffusione di documenti investigativi e giudiziari non solo hanno spesso dalla loro buone ragioni di correttezza e rispetto, ma non hanno ragioni contro.
La dimostrazione è stata ripetuta lunedì, e anche efficacemente descritta, nell’ammirevole comunicato con cui la procura di Parma ha spiegato le proprie attenzioni a tenere a lungo riservata una diversa indagine che è stata molto seguita dai giornali nei giorni scorsi. Consigliamo di leggerlo tutto, per la chiarezza e l’ovvietà delle argomentazioni (la chiarezza viene un po’ meno nel linguaggio, a tratti).
“Pur consapevole della aspettativa della popolazione (non solo quella locale) ad essere informata su ciò che è avvenuto, la Procura di Parma ha scelto la linea della massima riservatezza, fondata su due pilastri: la necessità di preservare il segreto di indagine e la necessità di garantire la presunzione di innocenza”.
E anche in questo caso, la riservatezza e la scelta di aderire alle regole negando informazioni ai mezzi di comunicazione non si è risolta in nessuna controindicazione, nessun danno per nessuno, se non per curiosità umane legittime ma imparagonabili ai “pilastri” del diritto citati dalla stessa procura. Il desiderio personale e sterile dei singoli contro il bene comune.
L’uso della parola “bavaglio” è stata una efficace operazione di marketing dei propri interessi – nel solco del vittimismo che occupa da tempo ogni propaganda – da parte di una quota di giornali e di interessi politici, anche se ormai consunta dall’uso ripetuto. Ma proprio il suo grande uso rivela che nella sostanza quello a cui si oppongono i suoi promotori è l’altrimenti inattaccabile rispetto delle regole a tutela di tutti e il più corretto ed efficace funzionamento della “giustizia” nei luoghi dove deve funzionare.
Fine di questo prologo.
domenica 15 Settembre 2024
Si sta tenendo questo weekend a Milano un “Festival dei magazine indipendenti” organizzato dal progetto Frab’s, che vende riviste online e in due negozi fisici a Forlì e Milano.
domenica 15 Settembre 2024
Le difficoltà dei quotidiani a riportare le notizie che avvengono la notte ci sono sempre state, ed è normale che per esempio il dibattito presidenziale statunitense – la maggiore notizia di mercoledì mattina – non fosse sui giornali di quella mattina. Ma da quando quasi tutte le testate “chiudono” più presto la sera per ragioni di costi, il rischio di non uscire aggiornate cresce: a volte viene affrontato ignorando per prudenza una notizia ancora incerta, altre volte dandola invece per prevedibilmente sicura. C’è una lunga storia di incidenti conseguenti, per esempio rispetto alle cronache di spettacoli o concerti andate in stampa prima che quegli eventi finissero con degli imprevisti, ma questa settimana il quotidiano Domani – che chiude molto presto la sera – è uscito raccontando un evento che non era accaduto: la presenza in un programma televisivo di un’ospite che aveva poi deciso di non partecipare all’ultimo momento. Gli altri quotidiani sono riusciti ad aggiornarsi, persino il Foglio – l’altro quotidiano nazionale che chiude molto presto – con qualche ritocco acrobatico all’articolo già in pagina dedicato al programma.
domenica 15 Settembre 2024
Il condirettore del Fatto, Peter Gomez, ha annunciato sul giornale che la rivista mensile Millennium di cui è responsabile cambierà frequenza, prezzo e distribuzione, in un ripensamento generale delle sue prospettive e della sua “ragione d’acquisto”.
“Domani, sabato 14 settembre, per l’ultima volta il vostro edicolante vi consegnerà Millennium in abbinata con il Fatto Quotidiano. Lo acquisterete sotto costo. Stampare e distribuire un mensile di qualità così alta, per molti versi simile a un libro d’arte, è molto caro.
Proprio per questo, invece che alzare per tutti il prezzo dell’abbinata, abbiamo deciso di percorrere una strada nuova e diversa. A partire da metà ottobre Millennium si troverà solo in 200 selezionate edicole e in alcune catene di librerie (troverete presto l’elenco sul nostro sito) e verrà messo in vendita su Amazon a 10 euro.
Sappiamo che è molto. Ma tutti coloro che s’abboneranno risparmieranno più del 50% del prezzo di copertina e riceveranno a casa una rivista in più rispetto a quanto accaduto finora (passiamo da 11 a 12 numeri l’anno). Chi si abbonerà potrà anche consultare l’edizione digitale e un sito rinnovato sul quale si trovano pure tutti gli articoli pubblicati nei nostri 7 anni di vita. Un abbonamento ancor più scontato (40 euro) è poi previsto per chi non vuole la carta, ma si accontenterà di leggerci su tablet, smartphone e pc”.
domenica 15 Settembre 2024
Il direttore del sito di news Linkiesta, Christian Rocca, ha elencato in un articolo una serie di risultati, crescite e progetti del giornale, tra cui la prossima apertura di una sede a Bruxelles.
“Linkiesta, insomma, continua il suo percorso di crescita che, da inizio 2020, ha ristrutturato l’offerta giornalistica e risanato l’impresa editoriale, con una crescita di fatturato anno su anno del quaranta per cento, a fronte di importanti investimenti sui giornalisti, sulle attività digital, print e live.
Con Valentina Ardia, head of content, e Marco Sala, Ceo dell’azienda, abbiamo lanciato nuovi prodotti, coinvolto nuovi giornalisti, strutturato il reparto eventi dal vivo: in questo modo abbiamo raggiunto più lettori (+ quindici per cento), abbiamo più iscrizioni alle newsletter (+ trentacinque per cento), più adesioni al Club (+ venti per cento), più partecipazione ai live (+ quaranta per cento).
Il bilancio 2023 si è chiuso con un Ebitda positivo di ventimila euro e con una perdita post imposte di duecentocinquantunomila euro per il volume degli investimenti e a causa di alcuni costi straordinari, ma con ricavi in crescita del 37,6 per cento rispetto all’anno precedente (totale fatturato 2,140 milioni di euro)”.
domenica 15 Settembre 2024
Secondo la Federazione delle concessionarie di pubblicità italiane gli investimenti in “pubblicità legale” nel primo semestre del 2024 sarebbero diminuiti del 44% rispetto a un anno prima (un primo dato simile era già stato annunciato prima dell’estate). La ragione è palesemente la cancellazione dell’obbligo da parte delle amministrazioni pubbliche di comprare spazi sui giornali per le comunicazioni delle proprie attività, cancellazione decisa dal parlamento all’inizio dell’anno.
Il dato, se corretto, confermerebbe che l’obbligo generava in effetti un prezioso contributo pubblico per i giornali (ma anche che quasi metà di quelle comunicazioni erano determinate dall’obbligo e non da una reale considerazione di necessità da parte delle amministrazioni pubbliche): per questa ragione gli editori dei maggiori quotidiani stanno facendo pressioni sulla maggioranza perché l’obbligo sia reintegrato attraverso la prossima legge di bilancio.
domenica 15 Settembre 2024
Da un paio d’anni le varie categorie di dipendenti del New York Times – il più importante e ammirato quotidiano del mondo – sono in trattative con l’azienda per rinnovare i contratti e ottenere condizioni economiche più vantaggiose, a fronte dei successi economici del giornale dell’ultimo lustro. Adesso, dopo la risoluzione delle questioni coi giornalisti, è il sindacato degli addetti alla tecnologia del giornale (a cui appartengono 622 persone) a non essere soddisfatto delle proposte ricevute, e ad aver deciso un giorno di sciopero (che nei giornali americani è una scelta piuttosto eccezionale e che quasi mai costringe alla non pubblicazione) nelle prossime settimane, ovvero in quelle delicatissime della fine della campagna elettorale.
domenica 15 Settembre 2024
Uno scambio nella rubrica delle lettere del Fatto di venerdì mostra quanto sia consapevole e rivendicata la consuetudine nei giornali italiani di attribuire parole mai pronunciate, ma invece presentate tra virgolette. Il presidente di Minerva Pictures Gianluca Curti si è infatti lamentato del titolo della sua intervista pubblicata il giorno prima: «Riconosco e confermo quanto trascritto nel corpo dell’articolo ma trovo assolutamente fuorviante, eccessivo e foriero di pessime strumentalizzazioni sia il titolo che l’occhiello, che strizzano l’occhio a idee e sottotesti che non sono frutto né del mio pensiero né del mio ragionamento». Il titolo dell’articolo era, tra virgolette, «”La riforma dei finanziamenti massacra il cinema italiano”», frase in effetti mai citata nell’intervista, come neanche un altro virgolettato nell’occhiello.
Alla lettera di precisazione – di “sorpresa e fastidio” – di Curti, il giornale ha risposto sostenendo che “titolo e occhiello riassumono quanto da lei dichiarato nell’intervista”.
domenica 15 Settembre 2024
Le copertine delle riviste sono naturalmente sempre state un elemento importantissimo di attrazione dei potenziali acquirenti, attraverso la capacità di informare sui contenuti delle riviste stesse e di attirare l’attenzione (le due funzioni che su una scala inferiore hanno anche i titoli degli articoli). Ma un’altra funzione delle copertine è di comunicazione promozionale più ampia: una copertina può fare notizia e può essere quindi mostrata in programmi televisivi, o citata su altre testate, o può circolare sui social network, eccetera.
Per questa ragione alcune testate solo digitali oppure con una lunga storia, e con una lunga storia di copertine attraenti, hanno scelto in questi anni di continuare a creare e condividere delle copertine “virtuali” pur avendo abbandonato i loro formati cartacei. Insomma, non stampano più vere copertine, o ne stampano meno, ma ne creano di digitali che poi fanno circolare online.
Il caso più illustre è forse quello del settimanale americano Time , le cui copertine hanno sempre avuto grandi attenzioni e importanze, che ha avuto un declino drammatico di autorevolezza e circolazione in questo secolo, per cui dal 2020 ha dimezzato le pubblicazioni (esce una settimana sì e una no). Ma lo stesso pubblica sui social network delle copertine legate agli eventi di attualità che spesso hanno grandi condivisioni sui social network. È successo ancora questa settimana con una copertina su Donald Trump dopo il dibattito presidenziale.
domenica 15 Settembre 2024
Attingendo agli stessi dati ADS, la newsletter di Lelio Simi che si chiama Mediastorm ha fatto un gran lavoro di sintesi e considerazioni su come siano andate le cose per i quotidiani negli ultimi quattro anni. Molti dei risultati e delle spiegazioni coincidono con quelli che leggete mensilmente su Charlie, a utile conferma delle rispettive correttezze dei conti: ma naturalmente i dati sui periodi più lunghi hanno un interesse ulteriore. Le informazioni sono molte (anche sugli andamenti delle singole testate maggiori), e quindi consigliamo di leggere tutto il testo di Simi, limitandoci qui a citare una riflessione che i lettori di Charlie conoscono e che emerge anche da quello che abbiamo scritto sopra sui dati ADS di luglio.
“L’incremento del peso delle copie (e quindi in generale degli abbonamenti) digitali che oggi valgono un quarto delle vendite totali, è dovuto in modo significativo al rapido declino della carta, più che per “merito” di queste che, anzi, complessivamente, per la prima volta dal 2021 ad oggi, subiscono una leggera flessione: appena l’1,3%, certo, ma questo potrebbe indicare che il continuo aumento delle vendite di copie digitali a prezzi super-economici non riesce più nemmeno a controbilanciare il declino di quelle vendute a prezzi maggiori. Decisamente non un bel segnale.
Ho scritto più volte che puntare tutto sull’incremento delle copie digitali più economiche — a scapito di quelle a prezzi maggiori — ha controindicazioni importanti, solo per dirne due: i margini di guadagno pressoché nulli e la riduzione del valore economico percepito dal lettore del “prodotto” giornalistico offerto.
Ma allora perché adottare queste strategie, e con questa “convinzione” e perseveranza?
Da una parte c’è, pragmaticamente, la presa d’atto che oggi non si ha la forza (o la volontà) per fare gli investimenti necessari affinché gli abbonamenti digitali a prezzi più alti riequilibrino, per una quota significativa, la costanti perdite economiche dal cartaceo.
Le copie (e abbonamenti) digitali a prezzi molto economici con i loro margini di guadagno vicini allo zero hanno però almeno un pregio che le copie vendute in edicola non possono offrire: i dati di prima parte (carte di credito incluse), molto preziosi oggi per gli editori, soprattutto se i volumi acquisiti sono significativi.
Più che a una logica subscription-first questo tipo di strategie sembrano guardare ai ricavi pubblicitari cercando, in questa fase, di:
domenica 15 Settembre 2024
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di luglio 2024. Come ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludendo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto.
Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 170.066 (-6%)
Repubblica 90.536 (-11%)
Stampa 61.660 (-15%)
Sole 24 Ore 52.126 (-7%)
Resto del Carlino 50.638 (-13%)
Messaggero 44.718 (-11%)
Nazione 33.744 (-11%)
Gazzettino 33.086 (-7%)
Fatto 27.221 (-37%)
Dolomiten 26.593 (-2%)
Giornale 26.509 (-6%)
Messaggero Veneto 23.703 (-10%)
Unione Sarda 22.774 (-6%)
Verità 21.079 (-15%)
Eco di Bergamo 19.897 (-11%)
Secolo XIX 19.496 (-15%)
Altri giornali nazionali:
Libero 18.969 (-16%)
Avvenire 14.267 (-5%)
Manifesto 13.664 (+7%)
ItaliaOggi 5.552 (-30%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Le tendenze somigliano a quelle dei mesi passati, con una perdita annuale media intorno al 10%, e i risultati da valutare rispetto a questa: quindi il Corriere della Sera va sempre un po’ meglio e i quotidiani GEDI sempre peggio. Ormai dall’inizio del 2023 il Corriere vende più copie di Repubblica e Stampa insieme. Continuano a perdere molto Libero e Verità, mentre il grosso calo percentuale del Fatto è sempre da attribuire – come spieghiamo dall’inizio dell’anno – a un aumento del prezzo del quotidiano in edicola, che ha automaticamente determinato un aumento del numero di abbonamenti digitali con uno sconto “maggiore del 70%” (oltre 24mila), classificati quindi al di fuori di questi numeri (ADS divide in tre categorie gli abbonamenti digitali: quelli di fatto gratuiti, venduti a meno del 10% del prezzo del giornale; quelli “scontatissimi”, tra il 10% e il 30%; quelli ritenuti più sostanzialmente “venduti”, a un prezzo superiore al 30%). I dati del Fatto torneranno a essere paragonabili all’inizio del 2025.
Nel loro piccolo, continua a cavarsela bene il Manifesto e continua a cavarsela male ItaliaOggi, pur recuperando qualcosa rispetto al mese scorso quando aveva comunicato il dato più basso di sempre.
Eco di Bergamo e Secolo XIX sono scesi sotto le 20mila copie, destino che è plausibile attenda altre testate nei prossimi due anni.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 44mila – avendone aggiunti più di 7mila negli ultimi due mesi -, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 25mila, come detto sopra, Repubblica più di 16mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 46.005 (-223)
Sole 24 Ore 22.184 (-108)
Repubblica 20.697 (-108)
Manifesto 7.702 (-420)
Fatto 6.479 (+64)
Stampa 6.287 (-142)
Gazzettino 5.899 (-132)
È insomma notevole che le maggiori testate stiano vedendo crescere gli abbonamenti a prezzi scontati a danno (diretto, o concomitante) di quelli a prezzo maggiore (il calo del Manifesto invece si deve probabilmente alla scadenza di alcuni abbonamenti attivati dopo una efficace campagna comunicativa, e segue una grossa crescita del mese precedente).
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora sempre del Tirreno (-18%).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui.
( Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
domenica 15 Settembre 2024
Sta tornando in ballo la mai risolta questione della vendita del Daily Telegraph, uno dei più importanti quotidiani britannici, messo all’asta per vicissitudini finanziarie ma oggetto di interesse soprattutto per la sua rappresentanza di una gran parte dell’elettorato conservatore che fa riferimento al partito Tory. La prossima scadenza per le offerte è il 27 settembre e i due partecipanti di cui si è parlato di più negli ultimi giorni sono Dovid Efune, editore inglese del New York Sun, e Paul Marshall, proprietario della discussa rete televisiva GB News, di recente creazione e risultati finora insoddisfacenti, e considerata una sorta di Fox News britannica. Quando si capirà chi prevarrà approfondiremo meglio le figure e le prospettive per il Telegraph . Intanto Marshall ha invece comprato lo Spectator, il settimanale della stessa proprietà che era stato a sua volta messo all’asta.
domenica 15 Settembre 2024
I dissensi tra la redazione di Repubblica da una parte, e dall’altra l’editore GEDI, il direttore Molinari e la concessionaria di pubblicità del gruppo, sono già ripresi pubblicamente dopo appena 13 giorni di settembre. Questa volta a irritare i giornalisti è stata la scelta di “vendere” a un inserzionista la testata stessa del giornale – nelle pagine del sito -, colorandola in maniera che richiamasse il prodotto promosso, un profumo del brand Dior. La pratica non è del tutto inedita (lo stesso Post , all’interno di un’iniziativa grafica più complessa di diversi anni fa, trasformò la propria testata; altre testate internazionali anche cartacee hanno variato a volte il colore in occasioni speciali) ma in questo caso il suo “valore simbolico” – forse anche perché applicata a un prodotto di connotazione particolarmente frivola e lussuosa come un profumo – ha spinto il Comitato di redazione a pubblicare una protesta sul quotidiano, l’indomani, con esplicite allusioni a insoddisfazioni assai più estese.
“Ieri, la testata di “Repubblica” online ha perso il suo abituale colore per far spazio a un giallo “griffato”, iniziativa collegata alla pubblicità di un marchio di moda. Non sfuggirà il valore simbolico: una testata giornalistica, che si definisce indipendente, pronta ad “affittare” il proprio nome su richiesta di un inserzionista (o su proposta della concessionaria della pubblicità). Scelte di questo tipo, che possono pure avere un senso economico nell’immediatezza, rappresentano invece una pesante ipoteca sulla reputazione del giornale. Ma occorre voler bene a “Repubblica” per capirlo. La gestione degli ultimi anni del gruppo Gedi, o per meglio dire ciò che ne rimane, conferma invece quel che ribadiamo da tempo: questo management non ha nessuna passione editoriale né rispetto per la missione che ci siamo dati, cioè il giornalismo. Vorremmo dire che non siamo in vendita e che non tutto può essere vincolato a interessi altri rispetto al giornalismo. Ma questa purtroppo rimane una enunciazione di principio, visto che ogni nostra sollecitazione e protesta è finora caduta nel vuoto. Per fortuna ci resta la libertà di parola e in questo caso di denuncia: tutto ciò non sta avvenendo in nostro nome”.
domenica 15 Settembre 2024
La settimana scorsa avevamo citato la contesa giudiziaria per la spartizione della futura eredità di Rupert Murdoch, ovvero un gruppo editoriale internazionale tra i più ricchi e potenti del mondo. Tre dei figli hanno contestato la pretesa del padre di assegnare la maggioranza delle quote, e del potere, al quarto dei figli, e a decidere sarà una corte del Nevada dove la causa è stata presentata in grande segretezza. Qualche settimana fa il New York Times l’aveva scoperto e ne aveva scritto, ma i documenti giudiziari non sono accessibili ai media: un consesso dei più importanti tra questi ha presentato una richiesta perché lo siano, ma questa settimana il giudice glielo ha negato. Nel frattempo il Wall Street Journal (che appartiene alla famiglia) è riuscito però a raccogliere maggiori informazioni sul conflitto familiare.
domenica 15 Settembre 2024
Questa settimana tra gli osservatori delle aziende giornalistiche britanniche si è parlato della crescente introduzione di pratiche – da parte dei siti di news – per ottenere il consenso dei lettori a ricevere “cookie” ed essere profilati a scopo pubblicitario. È una cosa che i lettori italiani, e di altri paesi europei, conoscono già: da due anni quasi tutti i maggiori siti di news mostrano – come prescritto – un messaggio che chiede se si vogliono accettare o no i cookie: e alcuni siti vincolano all’eventuale consenso la possibilità di leggere gli articoli, mentre altri costruiscono i messaggi in modi che disincentivano il rifiuto e sollecitano il consenso (il tasto “accetta” è sempre più visibile e più semplice da cliccare rispetto alle procedure di rifiuto, e tutti finiamo spesso per accettare). Entrambe le scelte non suonano particolarmente leali e corrette, perché costringono i lettori oppure li ingannano, di fatto. Ma è anche vero che specularmente nemmeno l’utilizzo gratuito dei siti di news e del loro lavoro da parte dei lettori, in cambio di niente, suona leale e corretto. E se quindi nella forma sarebbero auspicabili accordi più trasparenti e inviti più collaborativi, nella sostanza le imprese private che sono i giornali online hanno tutto il diritto di esigere dai lettori che non pagano qualche forma di consenso e sostegno (i lettori che pagano abbonamenti di norma sono più liberi di scegliere cosa fare con i cookie e con la pubblicità). Poi non è che con l’applicazione forzosa dei diritti si vada lontanissimo, in tempi in cui la fiducia dei lettori è più che mai preziosa, certo.
Fine di questo prologo.
domenica 8 Settembre 2024
Sabato prossimo riprendono al Circolo dei lettori di Torino gli appuntamenti con la rassegna stampa di Luca Sofri e Francesco Costa del Post.
domenica 8 Settembre 2024
David Brooks, popolarissimo scrittore e columnist statunitense, ha scritto nella sua rubrica sul New York Times che anche il giornalismo è diventato succube delle più generali esigenze del pubblico di ricevere stimoli ed emozioni immediati e continui e di essere rassicurato sulle proprie opinioni, sollecitando i centri di piacere del pubblico stesso: “che somiglia a una più antica professione”.
domenica 8 Settembre 2024
Lo psicoanalista Vittorio Lingiardi ha scritto su Repubblica, di cui è frequente collaboratore, un articolo dissidente rispetto alla pratica giornalistica di chiedere ai suoi colleghi pareri su singolari casi di cronaca, e rispetto ai suoi colleghi che li offrono.
“È evidente che siamo di fronte a casi clinici, raccontati dalla cronaca, di cui conosciamo poco o niente. Molti dettagli fondamentali emergono nei giorni e nei mesi successivi. Ogni storia è diversa, si perde nell’intreccio biologico, psicologico e sociale di vite spesso segrete e sconosciute alle stesse persone che le vivono. Attorno a queste vite e a queste morti diversissime e incommensurabili (l’omicidio casuale di Sharon Verzeni, quello della famiglia di Paderno Dugnano forse progettato in poche ore, quello di Giulia Cecchettin pensato per giorni, cito casi su cui sono stato interpellato) ci sono genitori e amici. Una ragione della mia ritrosia è la difficoltà a parlare fuori da un contesto clinico di storie che non conosco. Una ragione deontologica e anche una forma di pudore nei confronti delle famiglie coinvolte (spesso colpevolizzate da commenti affrettati e approssimativi)”.
domenica 8 Settembre 2024
Il Comitato di redazione del Resto del Carlino – il maggiore quotidiano bolognese – ha comunicato una vivace preoccupazione della redazione stessa per la scelta dell’editore, il gruppo Monrif, di stabilire una tassativa “chiusura” dell’edizione del quotidiano alle 22, per ragioni di risparmio sui costi.
“Da luglio (quando è stato deciso il coprifuoco), abbiamo sollevato il problema con l’azienda più volte perché tutto questo sta avendo ricadute devastanti sul prodotto che va in edicola, già gravato dal 1 agosto da uno sconsiderato aumento del prezzo. Insomma, l’editore ha alzato il costo del giornale e come contropartita ai lettori ha tagliato anche l’informazione a loro disposizione. Un suicidio editoriale senza precedenti. L’azienda sostiene che questa decisione è frutto di una riorganizzazione del processo di stampa che impone chiusure anticipate per poter stampare in tempo le cronache locali da distribuire nei luoghi di villeggiatura, dal Trentino alla Sardegna. Il paradosso, anche in questo caso, è che molti lettori non trovano comunque le edizioni locali nei paesi di montagna o al mare.
Per questi motivi, la redazione è seriamente preoccupata di quanto sta avvenendo ai danni di una testata storica come il Carlino e soprattutto nei confronti dei lettori – seppur in drammatico calo – ancora affezionati e legati al giornale.
Abbiamo coinvolto tutta la redazione e non escludiamo proteste e mobilitazioni anche in questo periodo di ferie se non sarà subito trovata una soluzione, considerato che già nei prossimi giorni sono in programma importanti appuntamenti sportivi, a partire dal calcio”.