Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 25 Settembre 2022
SAE è la società editoriale che si è costituita qualche anno fa per acquistare dal gruppo GEDI quattro dei suoi quotidiani locali (il Tirreno di Livorno, la Gazzetta di Reggio e la Gazzetta di Modena , la Nuova Ferrara ) e che ha successivamente rilevato anche la Nuova Sardegna di Sassari. La competenza da editore e la capacità progettuale del nuovo gruppo sono state messe in discussione da parte delle redazioni in alcune occasioni, e adesso la società ha ritenuto di avere bisogno di un aumento di capitale: e ha coinvolto come nuovo socio il gruppo Nieddu, una delle più importanti società di trasporti mercantili italiane, con base in Sardegna. SAE ha anche creato un “advisory board” di consulenti con esperienze editoriali, tra cui Luca De Biase, giornalista di lungo curriculum nel digitale ed ex direttore dell’inserto Nova del Sole 24 Ore , e Sergio Luciano, direttore del mensile Economy e nel 2000 di uno dei primi “giornali online” italiani, il Nuovo.
domenica 25 Settembre 2022
Il Washington Post ha annunciato qualche settimana fa la chiusura del suo inserto cartaceo domenicale Outlook , dopo 68 anni: Outlook era nato per aggiungere letture diverse e più originali all’abituale contenuto giornalistico del quotidiano, che potevano essere storie o commenti più autoriali e personali, o reportage più narrativi, o altro ancora: un ibrido tra un magazine e una sezione delle opinioni. Nel raccontarne le gesta e salutare i suoi lettori, due dei suoi editor passati hanno spiegato così le ragioni per cui questo sarà l’ultimo numero.
“La decisione di chiudere la sezione Outlook , e di consolidare il giornalismo d’opinione nella sezione degli editoriali, dà la misura di quanto sia cambiato drammaticamente il business dei giornali nel suo cammino dalla carta al digitale.
Vent’anni fa l’edizione della domenica era la base della prosperità del quotidiano. Ne compravano una copia più di 900mila persone ogni settimana. Era affollato di pubblicità: inserti, pagine e pagine di annunci, e talmente tante inserzioni che le sezioni principali aggiungevano abitualmente pagine per ospitarle tutte. Outlook era un elemento vitale di quell’offerta domenicale, e al suo momento massimo veniva consegnato al 70% delle famiglie nell’area metropolitana di Washington. Nessun altro giornale si avvicinava a questi risultati in tutti gli Stati Uniti.
Oggi il Washington Post ha quasi tre milioni di abbonati paganti. L’edizione domenicale è acquistata da meno di 275mila persone. Questo articolo sarà letto soprattutto da quel pubblico della carta che invecchia e che diminuisce, e da lettori online che ci si imbatteranno mentre girano per la rete con i loro smartphone, tablet o computer portatili. Molti dei lettori del Washington Post nemmeno sanno che sia mai esistita, la sezione Outlook . Conoscono solo i diversi singoli articoli di Outlook che sono diventati virali. E le voci nuove e inedite che gli editor di Outlook scoprivano per primi oggi affollano internet, dove i social media offrono visibilità immediata a tutti.
[…] La “sezione delle idee” ha compiuto la sua missione, una missione progettata per un pubblico della carta. Ora il Washington Post gioca in un altro campionato, che impone nuove strategie. Ma dovunque andrà il suo giornalismo, lo spirito curioso di Outlook sopravviverà”.
domenica 25 Settembre 2022
Libération è il quotidiano ormai “storico” (tra pochi mesi avrà cinquant’anni) della sinistra francese: per semplificare molto diremmo che sta a metà tra il Manifesto e Repubblica (nato più simile al primo, divenuto poi meno radicale), perché in Francia c’era già – quando nacque Libération – un grosso quotidiano di posizioni progressiste più moderate, che è ancora il più letto di tutti, Le Monde . La sua storia è ricca di episodi importanti e di sviluppi, che hanno riguardato spesso anche la sua sostenibilità economica, con difficoltà molto gravi in più occasioni, e passaggi proprietari e societari. Adesso è di una sorta di fondazione creata nel 2020 dal suo precedente proprietario, il ricchissimo imprenditore di nascita marocchina Patrick Drahi. Il suo direttore si chiama Dov Alfon, ha 61 anni, è nato in Tunisia ed è franco-israeliano (a lungo ha lavorato al quotidiano israeliano Haaretz ). Libération è il quinto quotidiano nazionale per diffusione, e dichiara circa 90mila copie vendute e 60mila abbonati digitali, con una soddisfacente crescita negli ultimi tre anni dopo un lungo declino.
La notizia di questa settimana è che il giornale ha ottenuto un preziosissimo prestito di 14 milioni di euro da parte dell’imprenditore ceco Daniel Kretinsky, di ricchezza derivata dal business dell’energia ma molto attivo anche nell’editoria giornalistica europea (possiede diverse testate nel suo paese, ma anche in Francia, e una grossa quota della società che pubblica Le Monde; e per qualche tempo si era parlato anche di un suo interesse per il Foglio in Italia). Kretinsky ha anche donato un milione alla fondazione che pubblica Libération.
domenica 25 Settembre 2022
Il Washington Post ha pubblicato un ricco e approfondito reportage su come il campionato di football americano NFL – uno dei più importanti tornei sportivi del paese – limiti l’accesso agli allenatori afroamericani, a dispetto della quota maggioritaria di afroamericani tra i giocatori: “i giocatori neri sono il 58%, i bianchi un quarto. Ma dal 1990 i primi allenatori neri sono stati solo l’11%: 154 uomini bianchi hanno avuto il ruolo di primo allenatore nell’NFL, contro 20 uomini neri”.
Quella che aggiungiamo non è un’informazione nuova su Charlie, lo sappiamo, ma il dato rivelato dal Washington Post in quell’ambito è un’illuminante occasione per affrontare l’impressione diffusa che nei giornali “lavorino” molte donne, e che questo suggerisca parità: secondo una ricerca fatta l’anno scorso da Anna Masera per la Stampa , le giornaliste in Italia sono circa il 41% del totale, e vengono pagate il 16-18% in meno degli uomini. Nel ruolo di direttrice – come ricordiamo spesso in attesa di novità – ci sono 26 uomini e due donne (una ne dirige tre) a dirigere i primi trenta quotidiani italiani, 35 uomini e tre donne nei primi quaranta.
Fine di questo prologo.
domenica 18 Settembre 2022
Alla fine di questa settimana buona parte della redazione del Post si sposta a Faenza per Talk, la giornata di incontri del Post che alla sua quarta edizione è diventata due giornate, venerdì e sabato. Il programma è qui , ma quanto agli interessi più specifici dei lettori di Charlie segnaliamo la rituale rassegna stampa I giornali spiegati bene con Luca Sofri e Francesco Costa sabato mattina, e la conversazione su attualità e informazione con Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale , sabato pomeriggio.
domenica 18 Settembre 2022
Daniele Bellasio, che da un anno e mezzo era andato a dirigere il quotidiano di Varese la Prealpina , da ottobre tornerà come vicedirettore al Sole 24 Ore di cui era stato caporedattore fino a cinque anni fa, dopo aver lavorato a lungo al Foglio di cui era stato pure vicedirettore e prima di un periodo di due anni come caporedattore agli Esteri di Repubblica . Da vicedirettore al Sole 24 Ore Bellasio si occuperà soprattutto del digitale.
domenica 18 Settembre 2022
I lettori abituali di Charlie conoscono una delle cose più importanti che un lettore di giornale deve sapere per giudicare il peso e il valore delle cose che legge: ovvero che il titolo di un articolo non lo sceglie o valuta quasi mai chi ha scritto l’articolo, ma è un lavoro fatto in redazione da persone che sono dedicate a questo e ad altri lavori “di macchina”. Il vantaggio di questa divisione del lavoro è che la titolazione – lavoro delicato e prezioso di sintesi e di marketing insieme – è affidata a persone che in teoria hanno sapienze e premure in questo: sanno isolare la notizia o la storia e la loro rilevanza, e sanno renderle attraenti e interessanti per portare il lettore a leggere l’articolo. La controindicazione è che quando queste sapienze e premure non ci sono, o quando trascurano altri criteri fondamentali dell’informazione accurata, chi compone i titoli ha il potere pericoloso di trasmettere a chi legge informazioni errate, infondate, false, che contraddicono il testo dell’articolo che non necessariamente sarà letto. Il caso in cui avviene più di frequente è con i virgolettati di persone intervistate o interpellate.
Gli esempi sulla stampa italiana di questo pericolo sono quotidiani, e sono frequenti gli interventi dei lettori o dei coinvolti a tentativo di correzione di quello che viene forzato o inventato nei titoli: questa settimana è avvenuto nello stesso giorno in due casi distinti di maggiore visibilità.
Josh Rudolph, “esperto americano di finanziamenti alla politica”, ha ringraziato su Twitter Stefano Vergine del Fatto dell’intervista, ma ha aggiunto “vergogna per il Fatto Quotidiano ” a proposito di un titolo che gli attribuiva una frase che non aveva detto e che conteneva cose false (“invenzioni degli editor “). Il Fatto ha corretto il titolo nella versione dell’articolo online .
Roberto Burioni, scienziato di grande fama e popolarità, ha segnalato un errore dello stesso genere al sito di news Open , e ha ringraziato per la successiva correzione: ma è uno dei molti che appunto ancora non conoscevano i meccanismi di titolazione nelle redazioni.
domenica 18 Settembre 2022
Ha scritto a Charlie Mauro Munafò, giornalista dell’ Espresso , per rispondere ad alcune considerazioni fatte nel ” Prologo ” di Charlie della settimana scorsa, con argomentazioni utili a valutare il ruolo di un Comitato di Redazione, e il comunicato che il CdR dell’ Espresso aveva diffuso rispetto alla polemica tra il regista Gianni Amelio e il critico cinematografico Fabio Ferzetti:
“Condivido la vostra preoccupazione per lo svilimento delle parole e il rischio che un continuo gridare al lupo al lupo finisca per avere sui lettori. Quello che contesto è la vostra conclusione.
Un cdr ha tra i suoi principali incarichi quello di tutelare i colleghi che lavorano per una testata, nelle sue varie forme. L’episodio che voi derubricate un po’ frettolosamente come “una spiacevole e occasionale questione personale” non lo è affatto. Amelio ha tutto il diritto di non apprezzare un collega e anche di non concedergli un’intervista: quello che non ha il diritto di fare è diffamarlo in un momento pubblico come una conferenza stampa.
Ferzetti era in conferenza a fare il suo lavoro e, infatti, ha fatto una domanda piuttosto rilevante, volta a capire quanto il nuovo film del regista fosse attento alla veridicità storica del caso Braibanti. La domanda non ha ottenuto risposta, mentre il collega è stato di fatto insultato, in pubblico, in diretta. Come cdr abbiamo espresso la nostra vicinanza al collega: vicinanza che gli altri presenti in sala non gli hanno manifestato, di fatto lasciandolo solo. Nel nostro comunicato non abbiamo parlato di libertà di stampa ma di diritto di critica: perché quanto fatto da Amelio è proprio questo: una limitazione del diritto di critica, in un settore specifico.
Per quanto riguarda i pericoli per la libertà di stampa, mi dispiace ma il vostro prologo fa esattamente quello che dichiara di non voler fare: benaltrismo. Siamo tutti consapevoli della situazione attuale e dei limiti della professione, e non manchiamo di prendere posizione nelle varie questioni, a difesa dei colleghi che subiscono intimidazioni o di quelli che non ricevono retribuzioni adeguate. Però il Cdr non è l’Onu, ma una rappresentanza sindacale che deve tutelare interessi specifici. Anche per questo collaboriamo con le varie associazioni di categoria regionali e nazionali sui temi che, per la loro dimensione, non possono essere affrontati da un singolo Cdr.
Proprio per questo non capisco perché difendere il collega Ferzetti dovrebbe essere alternativo rispetto al “coinvolgimento a difesa della libertà di stampa dalle minacce dei lupi veri”.”
Tra gli argomenti validi ci sono alcuni punti nella gentile risposta di Munafò a nostro parere discutibili, ma siamo nell’ambito delle opinioni e poi non aderiremo a quella pessima abitudine giornalistica di ospitare legittime risposte o correzioni e poi voler avere l’ultima parola: solo una cosa è palesemente equivocata e la sottolineiamo, ovvero che l’allusione – attraverso un link – all’intervento del CdR nel “Prologo” di Charlie si riferiva, all’interno di una parentesi, alla isolata e distinta questione del “difendere i propri giornalisti”, e non alle altre questioni sollevate.
domenica 18 Settembre 2022
Il quotidiano Domani ha compiuto due anni giovedì. Fu creato, ricordiamo, per volontà del ricco imprenditore Carlo De Benedetti, che per sue stesse dichiarazioni aveva voluto reagire a quello che riteneva uno snaturamento e una perdita di ruolo del quotidiano di cui era stato editore per alcuni decenni, Repubblica , e che era stato ceduto dai suoi figli alla famiglia Agnelli e alle sue società. Nei fatti, Domani è assieme alla Verità uno dei due progetti di nuovi quotidiani con ambizioni nazionali che abbiano occupato un loro spazio di rilievo nazionale negli ultimi dieci anni, pur con una diffusione contenuta ( Domani non diffonde numeri ufficiali e certificati).
Alla fine di giugno la società che possiede il quotidiano aveva approvato il suo bilancio per il 2021, che dà un po’ di informazioni generali su come vadano i suoi conti, tenendo conto che due anni non sono ancora un periodo valido per considerare stabili gli andamenti di un progetto editoriale (soprattutto questi due anni): Domani è ancora nei tempi di una startup. Il capitale della società Editoriale Domani è costituito da dieci milioni destinati da due società di De Benedetti (capitale di cui un terzo non è stato ancora versato): nel 2020 – quando il giornale era stato operativo per soli tre mesi e mezzo – aveva avuto ricavi per 2,3 milioni e costi per 4,9; il 2021 si è chiuso con 4,6 milioni di ricavi e 7,3 milioni di costi, e quella che si chiama “perdita d’esercizio” di 2,3 milioni, che seguiva quella di 1,9 del 2020. Ricordiamo che sono conti chiusi alla fine del 2021, e che a oggi sono già stati modificati da ulteriori nove mesi di esercizio i cui risultati non sono ancora noti. Le voci maggiori di costo sono 2,4 milioni per il personale (il bilancio dichiara 30 dipendenti) e 3,8 milioni di “servizi”, in cui ricadono molte voci diverse.
domenica 18 Settembre 2022
Antonio Angelucci è il discusso editore del Tempo e di Libero : il primo è il quotidiano romano storico “di destra”, che da molti anni ha perso lettori e centralità (che aveva anche nella politica nazionale: la sua stessa sede è davanti a Palazzo Chigi) e non è più in competizione con l’altro grande quotidiano romano, il Messaggero . Il secondo è un quotidiano con sede a Milano, a sua volta con posizioni di destra esibite molto aggressivamente e faziosamente, che fu fondato nel 2000 da Vittorio Feltri che ne è tuttora direttore editoriale. Il direttore è Alessandro Sallusti, e anche Libero è in un periodo di crisi, ed è rimasto molto indietro in termini di copie nella competizione con il quotidiano che gli ha tolto spazio e lettori, la Verità . Angelucci possiede anche il Corriere dell’Umbria , principale quotidiano della regione per diffusione.
L’attività principale di Angelucci – che ha 78 anni – non è quella di editore: in decenni da imprenditore ha accumulato e continua ad accumulare grandi ricchezze nel settore delle cliniche private, e le ha sfruttate – le ricchezze – per investire nella pubblicazione di giornali promotori di idee politiche e di toni che condivide (ciò malgrado Libero chiede e riceve ogni anno 5 milioni e mezzo di euro di contributi pubblici) e per entrare lui stesso in politica ottenendo di essere eletto deputato per tre volte con Forza Italia: alle elezioni della settimana prossima sarà ancora candidato, ma con la Lega. La sovrapposizione di questi ruoli non è la sola cosa che lo rende “discusso”: negli anni le sue attività imprenditoriali e finanziarie hanno subito inchieste e accuse alcune delle quali non si sono ancora concluse giudiziariamente.
Questa settimana le attività contestate di Angelucci sono state di nuovo oggetto di articoli diversi su due quotidiani nazionali: il Fatto ha dato notizia del rinvio di un’udienza in cui Angelucci è accusato di corruzione, mentre sabato Domani ha pubblicato una pagina sulle sue manovre – di cui Domani contesta la legittimità – per ottenere esenzioni fiscali dallo stato italiano rispetto a enormi investimenti in Lussemburgo.
domenica 18 Settembre 2022
Un incidente che sarebbe piccolo, e che potrebbe ricadere nel “può capitare” delle ingenuità giornalistiche, è stato aggravato da un’abitudine non rara che lo rende esemplare e interessante da raccontare. Una giornalista della tv britannica Sky News che stava gestendo dallo studio una diretta sulla morte della regina Elisabetta e commentando le immagini che arrivavano da diversi luoghi del paese, ha scambiato le riprese da un elicottero di una manifestazione di protesta per l’uccisione di un giovane disarmato da parte della polizia (è un caso che sta generando proteste e tensioni a Londra) per un raduno di persone dirette verso Buckingham Palace per ricordare la regina. Ma ha ritenuto di aggiungere una serie di considerazioni come “migliaia di persone percorrono quella strada, è un’immagine incredibile. La stanno risalendo, lentamente, incontrando nuovi amici lungo il percorso, parlando del loro viaggio per arrivare fin là, scambiandosi ricordi della regina, e pensieri augurali per il nuovo re”.
La giornalista e la tv si sono scusati dell’errore, che sarebbe stato più contenuto e meno spiacevole se da un’errata interpretazione di un’immagine – può capitare – non si fossero estratte considerazioni immaginarie e suggestive prive di qualunque fondamento fattuale.
domenica 18 Settembre 2022
Sono stati pubblicati lunedì scorso i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di luglio. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese scorso, recuperi di copie sensibili per tutte le testate (maggiori per Repubblica e Fatto ): che in parte si spiegano con l’attenzione dei lettori per gli sviluppi della politica e per l’agonia e caduta del governo durante il mese di luglio.
Se guardiamo invece i più indicativi e severi confronti con l’anno precedente i declini riguardano ancora una volta tutti eccetto la Verità (che nei mesi scorsi aveva perso copie ma continua ad avere numeri molto maggiori di un anno prima; la sua crescita maggiore era avvenuta tra agosto e ottobre 2021) e il Corriere della Sera che ottiene un piccolo ma apprezzabile aumento*: si notano però soprattutto ancora il calo del 14% delle copie di Repubblica, dell’11% della Stampa (i due quotidiani maggiori del gruppo GEDI) e del 16% del Giornale .
(*nota di metodo: ADS registra una prima stima da parte dei quotidiani, e poi un dato successivo “contabile” che può avere piccoli assestamenti: è la ragione per cui i dati del 2021 che vedete nelle tabelle di Prima Comunicazione non sono gli stessi che erano stati pubblicati un anno fa , e per cui appunto il Corriere mostra un aumento, confrontando il contabile del 2021 – e non la stima – con la stima del 2022)
Come facciamo ogni mese, consideriamo invece un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa ):
Corriere della Sera 191.964 (-4,9%)
Repubblica 119.499 (-21%)
Stampa 82.765 (-13%)
Resto del Carlino 66.111 (-9%)
Sole 24 Ore 61.951 (-12%)
Messaggero 55.565 (-9%)
Fatto 47.768 (-9%)
Nazione 43.875 (-11%)
Gazzettino 38.408 (-9%)
Giornale 31.386 (-18%)
Verità 30.038 (+18%)
Rispetto al mese passato recuperano tutti una discreta quota di copie, soprattutto Corriere e Repubblica , con l’eccezione di Avvenire che ne perde.
Altri giornali nazionali:
Libero 21.826 (-8%)
Avvenire 16.344 (-6%)
Manifesto 12.742 (-3%)
ItaliaOggi 9.209 (-17%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
( Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 18 Settembre 2022
Il Washington Post ha pubblicato dieci giorni fa un lunghissimo ritratto di Mathias Döpfner, che è uno degli uomini più potenti dell’editoria giornalistica mondiale: è infatti il capo del grande editore tedesco Axel Springer, che in Germania pubblica giornali importanti come la Bild e la Welt ed è considerato da sempre un soggetto importantissimo nell’orientamento dell’opinione pubblica, ma che in questo secolo è diventato anche una multinazionale acquisendo i siti americani Business Insider (oggi si chiama Insider ) e soprattutto Politico , e costruendo il servizio di aggregazione di news Upday che è attivo su tutti gli smartphone Samsung. L’editore Axel Springer morì nel 1985 ma lasciò la società alla sua quinta moglie Friede Springer, la quale ha progressivamente affidato ruoli sempre più importanti e autonomi a Döpfner, che oggi è amministratore delegato e presidente della società, che governa con orientamenti in buona parte affini a quelli di destra del fondatore: questo e l’acquisizione di Politico – uno dei maggiori successi editoriali digitali di questi decenni – rendono i media americani molto interessati a capirlo e a intuirne le scelte future. Döpfner è stato protagonista spesso di casi pubblici che hanno generato scandali o proteste, come quello che ha travolto l’allora direttore della Bild su un’accusa di molestie sessuali: e lo stesso articolo del Washington Post inizia raccontando di una sua mail in cui invitava i dirigenti del gruppo a pregare per la rielezione di Donald Trump (lui sostiene che fosse una battuta).
Ma la grana che riguarda Döpfner questa settimana è un’altra: il quotidiano londinese Financial Times ha rivelato che in una agguerritissima campagna della Bild – che è un tabloid screditato e aggressivo, capace di sensazionalismi e scoop insieme, ed è il quotidiano a maggior diffusione in Europa – contro la società Adidas di due anni fa, l’editore Döpfner aveva un proprio personale interesse economico. Adidas aveva cercato allora di sospendere il pagamento degli affitti dei suoi negozi tedeschi, approfittando di una legge approvata per attenuare le conseguenze economiche delle chiusure dei negozi legate alla pandemia: ma che di quegli aiuti approfittasse una grande multinazionale dai conti floridi aveva generato grandi proteste e campagne di boicottaggio in Germania, sostenute con grande vigore e continuità dalla Bild che per prima aveva raccontato la storia. Adesso il Financial Times ha scoperto che Döpfner era comproprietario di un edificio a Berlino che ospitava un grosso negozio di Adidas, uno di quelli a cui l’azienda non voleva pagare l’affitto (Adidas annullò la sua decisione e si scusò, dopo le proteste). L’articolo accusa Döpfner di non avere rivelato il conflitto di interessi e di avere promosso lui la campagna della Bild , spostando tutte le attenzioni su Adidas rispetto ad altre società che stavano facendo la stessa cosa: Axel Springer e l’ex direttore Reichelt (quello che poi si sarebbe dimesso) hanno risposto confermando che la fonte della storia fosse Döpfner – che spesso ha notizie utili per il giornale, dovute al suo ruolo e alle sue relazioni – ma sostenendo che la scelta del suo uso giornalistico sia stata del tutto autonoma e priva di interferenze da parte dell’editore.
domenica 18 Settembre 2022
Parliamo una volta di chi li legge, i giornali, e non di chi li fa (e di chi li guarda, li ascolta, eccetera: su Charlie chiamiamo per semplicità giornali i molti e vari formati dell’informazione giornalistica): ovvero tutti noi, quella categoria a cui spesso i giornali si riferiscono in terza persona (“i lettori”, “il pubblico”) ma che comprende sempre anche chi parla, dettaglio utile ad attenuare l’effetto ingannevole di masse indistinte e monolitiche.
C’è quel pensiero ormai consueto da decenni – ma aggravato dagli aggravamenti apparenti – per cui le responsabilità di difetti e inadeguatezze dei politici sono da attribuire agli elettori che li votano, nelle democrazie. Pensiero fondato, che può essere applicato anche – con significativa assonanza – ai lettori rispetto ai limiti dei giornali: i giornali tanto criticati esistono perché ci sono lettori che li comprano, e le loro scelte suscettibili di critiche vanno quasi sempre incontro ai desideri verificati dei loro lettori. Certo, le leggi sono quelle del mercato invece che della democrazia – con sensibili differenze – ma a creare l’offerta è indubbiamente in cospicua parte anche la domanda. E benché ognuno di noi annunci – e persino sia convinto – di desiderare un’informazione affidabile, obiettiva, non di parte, a questo criterio ognuno di noi sovrappone in misure più o meno rilevanti la propria capacità di valutazione di cosa lo sia, che è spesso influenzata da opinioni, certezze, pregiudizi e meccanismi identitari che ci portano a credere che a essere imparziale e affidabile sia il giornale che leggiamo noi, ognuno uno diverso: o quello che sogniamo. Siamo i primi a essere poco obiettivi (chi più, chi meno, naturalmente). Poi nel circolo vizioso di offerta di bassa qualità che genera bassa domanda di qualità e viceversa – in politica e nell’informazione – la maggiore responsabilità di interrompere il circolo ce l’ha chi detiene maggior potere: leader politici ed editori. Ma noi lettori siamo persone adulte e dovremmo “put our money where our mouth is” come dicono gli americani, e chiederci a quale tipo di informazione contribuiamo (da clienti, da abbonati, da cliccatori, da inserzionisti), quando ne critichiamo qualcosa.
Fine di questo prologo.
domenica 11 Settembre 2022
Il sito di informazione su media e pubblicità Prima Comunicazione ha raccontato un po’ più estesamente il progetto di un nuovo quotidiano locale del Trentino, annunciato il mese scorso, dove da sempre si discute del monopolio di fatto sull’informazione da parte di un solo editore su tutta la regione, e ci sono ancora strascichi polemici sulla chiusura del Trentino . Il nuovo giornale dovrebbe uscire a novembre e chiamarsi T .
“Vogliamo essere piuttosto espressione dei moderati, del partito del sì, del dibattito, del confronto su temi come il futuro dell’autonomia della Provincia, che dobbiamo ogni giorni meritarci e del cui secondo statuto ricorre il cinquantesimo anniversario, ma anche il cambiamento climatico, la sostenibilità, il futuro dei nostri giovani, il lavoro e la denatalità, il sociale. Vogliamo parlare di gestione dei rifiuti, Valdastico, agricoltura biologica, turismo montano, se vale o non vale la pena innevare a bassa quota. Riteniamo che Il T possa rappresentare quella maggioranza silenziosa che in questo momento si vede svilita e a cui vengono date in un tweet risposte che dovrebbero essere complesse. Questo no. Saremo l’antitesi dei tweet”.
domenica 11 Settembre 2022
Alla fine della settimana scorsa c’è stata una polemica giornalistica francese con accuse di censura che ha riguardato Le Monde , il primo quotidiano francese per diffusione e il più autorevole. Le Monde ha rimosso dal proprio sito un articolo del suo collaboratore Paul Max Morin, ricercatore universitario esperto di storia dell’Algeria e molto impegnato nella critica verso la storia del colonialismo francese. Il commento era stato chiesto a Morin dal giornale in occasione della visita in Algeria del presidente francese Emmanuel Macron, la settimana passata: nel testo consegnato Morin era molto polemico e severo contro le posizioni di Macron sulla storia coloniale della Francia in Algeria, giudicate indulgenti nei confronti dei crimini di quella storia, e nazionaliste. Nell’argomentare, Morin aveva insistito sul fatto che Macron l’avesse chiamata, rispondendo a un giornalista, “una storia d’amore con una sua parte tragica”, e questo – stando alle ricostruzioni successive – aveva fatto infuriare la presidenza della Repubblica e il suo staff di comunicazione: che già in precedenza si era affrettato a far notare ad altri giornalisti come la risposta di Macron riguardasse in generale le relazioni tra Francia e Algeria, e non le prevaricazioni coloniali francesi (probabilmente comprese nella “sua parte tragica”).
A partire da questo “errore fattuale” Le Monde ha chiesto prima a Morin di emendare l’articolo ma lo ha poi informato di avere scelto di rimuoverlo del tutto sostituendolo con una breve spiegazione, generando una grande irritazione da parte dell’autore e discussioni vivaci tra i lettori e gli altri giornali, con accuse di avere ceduto alle pressioni del potere presidenziale. Il quotidiano Libération ha un riassunto più articolato della storia, Le Monde ha aggiunto una ulteriore spiegazione dopo le polemiche.
domenica 11 Settembre 2022
Il Boston Globe è uno dei più illustri quotidiani degli Stati Uniti: è un quotidiano “locale”, come vengono considerati quasi tutti i quotidiani in quel paese (salvo il New York Times , il Wall Street Journal , il Washington Post e USA Today ) che quest’anno ha celebrato il suo centocinquantesimo. È il quattordicesimo quotidiano a maggior diffusione cartacea degli Stati Uniti con quasi 70mila copie, e dichiara 235mila abbonati complessivi: da tre anni è tornato a fare profitti. Per quarant’anni, dal 1973, fu di proprietà del New York Times , che poi lo vendette – in un periodo di forte declino – al ricco imprenditore John W. Henry, proprietario anche della squadra di baseball dei Boston Red Sox (e di molte altre cose, tra cui il Liverpool di calcio).
La massima visibilità internazionale del Globe si deve all’inchiesta del 2002 sulla pedofilia nel clero con cui il giornale vinse uno dei suoi 26 premi Pulitzer e che venne raccontata nel film Spotlight . Il suo direttore di allora, Marty Baron, ne ebbe grandi notorietà e passò poi a dirigere il Washington Post , fino all’anno scorso. Il suo successore al Globe , Brian McGrory, ha annunciato questa settimana che lascerà il ruolo dopo dieci anni. L’editore non ha ancora scelto un successore.
domenica 11 Settembre 2022
Il dibattito sulla pubblicazione o meno – e con quali spazi e accorgimenti – di immagini “sensibili” per ragioni diverse (impressionanti per i lettori, indiscrete o irrispettose per chi è raffigurato) è sempre molto vivace : da una parte c’è stato un abbassamento dell’asticella per cui sui giornali ci si danno meno limiti di un tempo, dall’altra i social network hanno reso più sonore (a volte persino ricattatorie) le reazioni e le proteste dei lettori. I casi si succedono con frequenza.
Due scelte molto diverse degli ultimi giorni sui quotidiani italiani sono interessanti da confrontare, proprio perché scelte opposte sono state fatte su complicazioni di scala molto distante. Lunedì della settimana scorsa, la Stampa – il giornale era stato protagonista di un dibattito molto sentito e delicato sette anni fa, ma anche di un incidente più recente rispetto alla scelta di una foto ucraina in prima pagina – ha scelto di mettere in prima pagina la fotografia di un bambino di due anni morto e sfigurato a Makariv, in Ucraina. Scelta che è stata criticata – con toni strumentali e ambigui, assolvendo il direttore della Stampa ma criticando i redattori – dal direttore editoriale di Libero Vittorio Feltri.
Pochi giorni dopo, alle prese con una notizia di tutt’altra scala, la Nuova Venezia – quotidiano del gruppo GEDI – ha fatto una scelta opposta e prudentissima: la “notizia” era quella della protesta del cliente di una pizzeria di Caorle che si era visto consegnare una pizza su cui era stata composta una bestemmia, e l’aveva fotografata e mostrata su Tripadvisor. Nel riportare la storia, la Nuova ha scelto di proteggere i propri lettori ma di mostrare comunque l’immagine – “irriconoscibile” – della pizza pesantemente pixelata.
domenica 11 Settembre 2022
Il Wall Street Journal ha scritto che negli Stati Uniti il progetto Google Showcase sta venendo rimandato. Showcase è la soluzione che Google ha architettato pochi anni fa per affrontare il tema delle richieste economiche dei giornali di cui sopra: piuttosto che cedere a nuove regole e leggi che gli impongano compensi agli editori su cui non avrebbe il controllo, ha proposto a un numero esteso di testate in diversi paesi del mondo (Italia compresa) di entrare in un nuovo sistema di promozione dei loro contenuti su Google, in cambio di un compenso discusso e stabilito distintamente con i vari editori e siti. Il sistema di promozione suddetto – Showcase – di fatto ha risultati insignificanti, ma è appunto una scusa per trattare con i vari siti di news un contributo su cui Google abbia il controllo e detti le condizioni, una delle quali è la rinuncia a richieste di rivalse maggiori.
Malgrado alcuni accordi già firmati, l’introduzione di Showcase anche negli Stati Uniti – spiega il Wall Street Journal – è in ritardo perché diversi editori americani hanno avuto il tempo di sentire l’aria che tira – di potenziale cambiamento nei rapporti di forza – e sono insoddisfatti delle proposte economiche di Google e della richiesta che vengano escluse altre pretese economiche, e vogliono vedere cosa succederà con i progetti di legge che abbiamo citato sopra, che potrebbero dar loro maggiore potere contrattuale.
domenica 11 Settembre 2022
Mathew Ingram, che cura abitualmente la newsletter della Columbia Journalism Review – il sito della Scuola di giornalismo della Columbia University di New York – ha riassunto le valutazioni che si fanno sulla legge australiana che ha costretto Google e Facebook a compensare i giornali per i link ai loro contenuti: a partire dal progetto di legge simile che ora è stato proposto anche al Congresso degli Stati Uniti*. L’articolo di Ingram si può leggere in italiano sul Post .
Nonostante l’apparente successo della legge australiana, un certo numero di osservatori rimane critico nei confronti dell’applicazione dell’idea negli Stati Uniti. Jack Shafer di Politico scrive che «tassare le società tecnologiche per il fallimento dell’industria delle notizie è semplicemente ingiusto», perché Google e Facebook non hanno ucciso i giornali; piuttosto, i danni alle aziende giornalistiche sono «autoinflitti». Il calo pro capite della diffusione dei giornali è iniziato nel secondo dopoguerra, osserva, «e gli introiti pubblicitari hanno raggiunto il loro picco nel 2005». Da parte sua, il sindacato NewsGuild dice che il disegno di legge «manca ancora di barriere sufficienti ad assicurarsi che le entrate aggiuntive siano utilizzate per assumere giornalisti e per servire meglio i lettori».
*venerdì la possibile approvazione bipartisan della legge ha avuto un arresto perché il senatore Repubblicano Ted Cruz ha ottenuto per un voto l’approvazione di un emendamento che di fatto annulla la possibilità di accordi se nelle trattative tra piattaforme e giornali vengono evocate limitazioni ai contenuti pubblicati che possano essere assimilate a censure (la destra americana accusa le piattaforme di censura nei confronti dei contenuti più reazionari), e la senatrice Democratica Klobuchar – promotrice della legge – si è molto arrabbiata: ha denunciato una violazione degli accordi sulla legge sostenendo che l’emendamento dia alle piattaforme la scusa per sottrarsi alla trattativa.
Nel frattempo un’importante associazione americana di editori di giornali piccoli e locali, digitali e cartacei, si è detta contraria alla legge perché non offre garanzie che i compensi ottenuti dai giornali siano distribuiti equamente e non solo alle grandi testate, e siano utilizzati come investimenti nel giornalismo e non per altre destinazioni da parte delle aziende che possiedono i giornali.
domenica 11 Settembre 2022
Come sapete, mentre Charlie era in vacanza c’è stata una vivace polemica intorno alla strumentalizzazione politica di uno stupro a Piacenza: ma la questione era anche giornalistica, perché quel video era stato pubblicato dai siti di alcuni quotidiani dello stesso gruppo editoriale. Una settimana fa Carlo Felice Dalla Pasqua – giornalista al Gazzettino , uno dei quotidiani in questione, da molti anni: e da molti anni attento ai problemi dell’informazione e al cambiamento digitale – ha deciso di pubblicare un proprio messaggio di scuse, rammaricandosi che non lo abbia fatto il suo giornale.
Il testo di Dalla Pasqua è interessante anche perché sottolinea una cosa che abbiamo spesso sostenuto su Charlie: che le responsabilità delle scelte dei giornali, e anche dei loro errori, delle loro colpe, delle loro cose deprecabili, dell’assenza di scuse o spiegazioni, stia soprattutto sulle spalle di chi il giornale lo rappresenta, anche quando ci sono un nome e un cognome che firmano un articolo.
Non volevo un attacco a una collega o a un collega che ha sbagliato, lungi da me: mi aspettavo che qualcuno con l’autorità di rappresentare i giornalisti del Gazzettino intervenisse quantomeno all’interno del giornale per aprire un dibattito e capire come correggere l’organizzazione; mi aspettavo che spiegassimo a chi ci legge che è stato commesso un errore, un errore molto grave, perché ha reso riconoscibile la vittima di una violenza sessuale, stando a quello che lei stessa ha detto . L’etica giornalistica ci impone di correggere gli errori, la morale personale ci chiede almeno di scusarci. Quello che hanno fatto o faranno Procura della Repubblica, Garante della privacy e Consiglio di disciplina dei giornalisti non mi interessa qui, perché questo è un problema più importante di un problema legale, è un problema etico. Non è successo nulla di quello che speravo e che avevo chiesto ripetutamente al Comitato di redazione del Gazzettino. Per questo, dopo una dozzina di giorni, ho deciso di scrivere io queste scuse, anche se sono un semplice giornalista e posso rappresentare soltanto me stesso.
domenica 11 Settembre 2022
Secondo un articolo del New York Times , Vice starebbe discutendo un accordo di produzione di contenuti con una società in parte di proprietà del governo saudita. Vice era una rivista fondata negli anni Novanta in Canada, rivolta a un pubblico giovanile con un misto di contenuti giornalistici aggressivi e poco convenzionali e di temi di consumi e mode contemporanee. Nei decenni successivi ha avuto un enorme successo (raccontato con completezza nel libro di Jill Abramson Mercanti di verità , pubblicato in Italia da Sellerio) diventando una società digitale e di produzione video, ma con diverse traversie ed alti e bassi , legati anche alle personalità dei suoi fondatori. La trattativa con un gruppo saudita – dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi attribuita al governo del paese – è sia una conferma della consueta spregiudicatezza di Vice , che un problema di immagine ed etica per una testata che ha preso posizioni forti in altre occasioni sui diritti, e che ha un pubblico giovane e in parte esigente su questi temi.
domenica 11 Settembre 2022
Il quotidiano economico londinese Financial Times ha riferito degli investimenti di nuove risorse da parte di Apple nel suo business sulla pubblicità digitale, e li ha messi in relazione alle novità introdotte l’anno scorso da Apple sui suoi sistemi operativi mobili per proteggere gli utenti dalle maggiori invasività delle app nei confronti dei loro dati e della loro privacy. La convinzione, non nuova, è che Apple abbia voluto mettere in difficoltà le piattaforme che sfruttano la profilazione degli utenti per una maggiore efficacia delle inserzioni che vendono (Google e Facebook sono le principali), ed entrare in concorrenza con loro con un proprio business di intermediazione pubblicitaria forte delle centinaia di milioni di utenti degli apparecchi Apple. L’articolo informa che Apple vuole assumere 216 persone nel suo settore pubblicità, da aggiungere alle 250 esistenti.
domenica 11 Settembre 2022
Il regista Gianni Amelio si è rifiutato di rispondere a un giornalista e critico cinematografico dell’ Espresso durante una conferenza stampa seguita alla presentazione del suo film al Festival di Venezia. Amelio ha spiegato, con toni goffi e accorati, di avere sofferto una precedente critica dello stesso giornalista come un incrinamento dei rapporti tra i due e di non voler più averci a che fare. Il confronto tra i due, ripreso in video, ha avuto estese curiosità come tutte le polemiche che coinvolgano almeno un personaggio pubblico, ma anche generato reazioni un po’ sopra le righe che hanno evocato i temi della “libertà di stampa” o del “diritto all’informazione” rispetto alla scelta di una persona di non rispondere a un giornalista per ragioni emotive proprie. E in tempi in cui mancano spesso solidarietà e protezioni a giornalisti che corrono rischi gravi per impegni nobili e preziosi alla democrazia, il frequente ricorso al vittimismo delle testate giornalistiche (che tendono a impegnarsi soprattutto in difesa dei propri, facendo spesso sospettare intenti autopromozionali) rischia di fare presso i lettori l’effetto di “al lupo, al lupo” quando poi capita che sia necessario il loro coinvolgimento a difesa della libertà di stampa dalle minacce dei lupi veri. Non è benaltrismo, da cui guardarsi sempre: è avere attenzione per il valore delle parole e delle cose, e non diffonderne l’avvilimento presso i lettori trasformando una spiacevole e occasionale questione personale in una presunta battaglia di libertà. Essere credibili.
Fine di questo prologo.
domenica 4 Settembre 2022
Le cose nuove che funzionano nell’informazione digitale spesso conoscono grandi hype e grandi improvvise attenzioni che si attenuano in tempi più o meno brevi, e le promesse di nuove prospettive vengono presto ridimensionate. Non è stato così per le newsletter, che – forse anche perché i loro successi nell’informazione sono arrivati quando il formato esisteva ed era sperimentato già da tempo – continuano a essere raccontate e confermate come un mezzo molto apprezzato, ed efficace sia nel raggiungere i lettori che nel coinvolgerli nel sostegno economico alle newsletter stesse o alle testate che le producono.
Per sfruttare entrambe queste opportunità il Post ha pensato di creare, nei giorni immediatamente successivi all’annuncio delle prossime elezioni politiche, una newsletter “a tempo” dedicata alla campagna elettorale: che ha ottenuto ad agosto oltre 50mila iscritti, di cui più della metà non abbonati al Post . Si chiama 25/9 , viene inviata ogni giorno a fine pomeriggio, ed è raccontata qui.
domenica 4 Settembre 2022
Il Dipartimento per l’informazione e per l’editoria del governo italiano aveva pubblicato alla fine di luglio – quando Charlie era appena andata in vacanza – il nuovo elenco dei giornali a cui è stato riconosciuto per il 2021 il diritto al “contributo pubblico diretto”: cioè alla quota di finanziamento pubblico che la legge prevede per i giornali che si dichiarino pubblicati da cooperative di giornalisti o da società senza fini di lucro, o siano espressione di minoranze linguistiche (altri criteri sono indicati più avanti). Maggiori spiegazioni sono nell’articolo del Post .
Dolomiten 3.088.498,02 euro
Famiglia cristiana 3.000.000 euro
Libero quotidiano 2.733.555,14 euro
Avvenire 2.711.246,31 euro
ItaliaOggi 2.031.266,98 euro
Gazzetta del Sud 1.868.618,02 euro
Il Quotidiano del Sud 1.848.080,44 euro
Il manifesto 1.552.583,18 euro
Corriere Romagna 1.109.178,49 euro
Cronacaqui.it 1.103.650,04 euro
Il Foglio 933.228,99 euro
Primorski dnevnik 833.334,04 euro
Editoriale Oggi 814.966,33 euro
Il Cittadino 712.049,4 euro
Cronache di (Libra editrice) 629.978,39 euro
domenica 4 Settembre 2022
Dan Froomkin è un giornalista americano, già al Washington Post e allo Huffington Post , che dal 2019 cura un sito di informazione sui media, spesso critico sulle loro complicità con la politica, che si chiama Press Watch .
In un articolo di questa settimana ha fatto delle utili riflessioni – se venissero condivise di più con i lettori dei giornali – sulle differenze di ruolo tra editor e reporter , e sulle responsabilità dei primi spesso trascurate, perché i nomi visibili sui giornali sono quelli dei reporter. Ovvero di chi scrive gli articoli, rispetto a chi fa il lavoro “di redazione” di commissionarli, progettarli, indirizzarli, rivederli, confezionarli, titolarli. E più in generale di decidere cosa ci sia sul giornale e come. È una distinzione che ai lettori sfugge e genera minori riconoscimenti per chi fa questo lavoro “di macchina”, ma anche critiche frequenti che vengono destinate agli autori degli articoli e non a chi quegli articoli ha deciso di farli scrivere, di pubblicarli, ne ha composto la titolazione, ne ha giudicato l’evidenza, e ha la responsabilità del giornale: non solo e non tanto chi lo dirige – che dà importanti e rilevantissimi indirizzi – ma tutte le figure in redazione che hanno responsabilità e autonomia di esecuzione di quegli indirizzi, che non sono quasi mai i nomi che leggiamo in testa o in fondo agli articoli.
domenica 4 Settembre 2022
Fabrizio Gatti è un esperto giornalista italiano di 56 anni, specializzato in inchieste e di cui in passato ebbero grosse notorietà alcuni reportage compiuti infiltrandosi o mimetizzandosi in diversi contesti. Da quasi vent’anni era all’ Espresso , ma ora andrà a dirigere il progetto di inchieste e reportage di Citynews e più in generale gli “approfondimenti” del suo network di siti locali di news (ne avevamo parlato su Charlie e sul Post ).
domenica 4 Settembre 2022
L’articolo che ha avuto più attenzioni – tra gli addetti ai lavori dell’informazione negli Stati Uniti ma non solo – questa settimana è quello del New York Times che ha rivelato come il Washington Post si trovi in nuove e inattese difficoltà. Una ragione di curiosità è lo stesso fatto che il quotidiano più famoso e illustre del mondo abbia ritenuto di fare le pulci pubbliche ai guai del secondo o terzo quotidiano più famoso e illustre del mondo, in anni in cui quest’ultimo aveva rilanciato la sua competizione. È vero che giornali americani trattano l’informazione sull’editoria giornalistica con meno timori e omertà di quanto avviene da noi (qui c’è poco giornalismo sul giornalismo ), ma la narrazione di questi anni sul Washington Post era stata molto positiva e che il New York Times abbia messo la sua forza e autorevolezza nel dare grande visibilità invece ai suoi problemi (su cui c’erano state solo limitate avvisaglie pubbliche nei mesi passati), pur con molto rispetto per la qualità del “concorrente”, è una storia.
Poi c’è il contenuto dell’articolo , che – facendo attenzione a ripetere spesso di avere consultato molte fonti, e riportando le sfuggenti smentite di una portavoce del Washington Post – parla di conti del 2022 che si chiuderanno male, di uno stallo della crescita degli abbonati, di molti progetti accantonati, di tensioni nei rapporti tra la redazione e il direttore esecutivo (insoddisfatto dell’impegno e della presenza di alcuni dei dipendenti), e di scambi di mail polemici. Il risultato è che da qualche giorno il Washington Post non è più agli occhi del mondo giornalistico una storia di promettente ascesa iniziata con l’acquisizione da parte di Jeff Bezos, proseguita con l’impegno giornalistico contro Donald Trump e beneficiata da una grande crescita di abbonamenti e di progetti di espansione negli anni scorsi, ma un’impresa con qualche problema.
domenica 4 Settembre 2022
A ferragosto c’è stata un’agguerrita polemica tra il quotidiano La Verità ed Enrico Mentana direttore del Tg La7 e del sito Open : nata da un’accusa della Verità , che ha sostenuto che un proprio articolo fosse stato “censurato” da Facebook dopo una segnalazione arrivata da Open . Mentana ha smentito seccato, e sul suo profilo Instagram ci sono gli sviluppi.
domenica 4 Settembre 2022
C’è un’altra storia americana che è un buono spunto per parlarne anche qui: in Florida è stata approvata una legge che consente agli enti governativi di pubblicare i propri annunci legali obbligatori per legge anche sui propri siti e non necessariamente sui giornali. Negli Stati Uniti come in Italia, leggi nazionali e regionali impongono – per dare a queste comunicazioni corretta ed equa pubblicità – che annunci di vario genere abbiano visibilità sui mezzi di informazione. Ne avevamo scritto due anni fa:
” sono le inserzioni pubblicitarie prescritte dalla legge per le comunicazioni da parte di enti e amministrazioni pubbliche: quelle più frequenti e familiari a chi sfoglia i quotidiani sono i bandi di gara pubblici, poi ci sono avvisi diversi che si ritiene corretto abbiano estesa pubblicità tra i cittadini e gli interessati e non restino confinati ai documenti amministrativi; e anche la pubblicazione delle sentenze processuali, che ha altre regolamentazioni ma che si riferiscono in molti casi sempre alla carta stampata.
Sono casi spesso diversi tra loro, ma in prevalenza sono imposti o da leggi specifiche sulla comunicazione pubblica di alcuni atti, o da leggi specifiche sulla quota di investimenti che le amministrazioni devono destinare alla pubblicità (e ci sono state sanzioni in passato per quelle che non l’hanno rispettata).
Per farla breve: lo Stato ritiene che i giornali siano un servizio pubblico utile alla comunicazione “ufficiale” e li ha inclusi formalmente tra i propri canali di informazione, al tempo stesso creando una fonte di ricavo pubblicitario garantito per i giornali stessi ( stimato negli anni scorsi come il 10% circa dei ricavi pubblicitari)”.
La questione sembrerebbe semplice (riguarda anche altri paesi ): non c’è ragione nel 2022 di considerare i quotidiani cartacei il miglior strumento per raggiungere più persone possibile con notizie di interesse pubblico. Internet dà molte maggiori opportunità (sui siti istituzionali, sui social network, su Google, eventualmente sui siti di news) a costi molto minori per la collettività (a pagare le inserzioni sono soldi pubblici, ricordiamo). E per giunta, non è una buona cosa che in tempi di intense partigianerie sia nella politica che nei giornali chi guida amministrazioni pubbliche possa scegliere a quali giornali destinare gli investimenti relativi, selezionando per affinità e simpatie.
Ma è anche vero che dare alle amministrazioni totale autonomia e scelta su come e dove comunicare ha dei rischi: nel loro interesse ci può essere di dare minore esposizione a certe comunicazioni, e su internet “pubblicare” è molto diverso da “far sapere a più persone possibile”.
Naturalmente dal punto di vista dei giornali in cerca di fonti di ricavo laterali, l’eventuale perdita di questo finanziamento pubblico indiretto costituirebbe un problema, ed è abbastanza da escludere che la capacità di pressione degli editori italiani sulla politica lo permetta. Ma rispetto all’obiettivo di informare il pubblico (o eventualmente di sostenere i giornali con denaro pubblico), ci sono forse miglioramenti possibili di cui varrebbe la pena discutere.
domenica 4 Settembre 2022
Il primo agosto è morto Omar Monestier, a 57 anni: era il direttore del Messaggero Veneto e del Piccolo , i quotidiani di Udine e Trieste. L’editore GEDI gli aveva affidato anche il secondo dati i buoni risultati nella gestione del primo, e il lavoro che Monestier aveva saputo fare in diversi quotidiani locali, tra cui alla direzione del Tirreno di Livorno, mostrando un’attenzione rara alle necessità e ai cambiamenti contemporanei del ruolo dei quotidiani.
I due quotidiani sono stati affidati ai loro due rispettivi condirettori, Paolo Mosanghini e Roberta Giani: Giani diventa quindi la terza direttrice nei primi quaranta quotidiani italiani per diffusione (il Piccolo è 36mo, con 15.510 copie), insieme ad Agnese Pini – che dirige i tre quotidiani del gruppo Monrif: Nazione , Resto del Carlino e Giorno – e a Nunzia Vallini del Giornale di Brescia.
domenica 4 Settembre 2022
La grande rete di news americana ne ha passate di tutte negli ultimi mesi, sullo sfondo della sua trasformazione da simbolo di informazione obiettiva e fattuale a principale testata antitrumpiana e vivacemente schierata. Adesso ha una nuova proprietà e un nuovo manager – la grande media company Warner Discovery, e Chris Licht – che vogliono riportarla alla sua immagine originaria e farle riconquistare il pubblico anche di destra, e anche questo sviluppo non è senza traumi: la settimana scorsa è stato chiuso dopo vent’anni il programma domenicale Reliable sources che, occupandosi di informazione e giornalismo, era stato spesso critico nei confronti dei media filo Trump e della rete televisiva Fox News.
domenica 4 Settembre 2022
All’inizio di agosto erano stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di giugno. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese scorso, perdite più o meno sensibili per tutte le testate maggiori, con l’eccezione del Fatto: Repubblica e Corriere della Sera perdono meno degli altri e Repubblica torna quindi a essere “davanti” al Sole 24 Ore (c’è un errore nella tabella di Prima Comunicazione : i dati del mese scorso di Repubblica e Sole 24 Ore sono invertiti), mentre i cali maggiori riguardano appunto il Sole 24 Ore e Avvenire .
Se guardiamo invece i più indicativi e severi confronti con l’anno precedente i declini riguardano tutti eccetto la Verità (che da qualche mese perde copie ma continua ad avere numeri molto maggiori di un anno prima): si notano però soprattutto ancora il calo del 15% delle copie di Repubblica, del 13% della Nazione e dell’11% della Stampa . In una generale tendenza alla perdita di copie tra il 5% e il 15% di anno in anno, il calo inferiore all’1% del Corriere è un risultato eccezionale (spiegato solo in parte da una crescita di quasi 7mila copie digitali a prezzo scontato oltre il 70%, senza le quali lo stesso calo arriverebbe al 3%).
Per una volta diamo un’occhiata anche ai tre quotidiani sportivi, ora che le variabili legate al Covid non influenzano più tornei e campionati e calendari, e prendiamo l’ultimo dato “normale” e paragonabile, quello del giugno 2019. ADS mostra separatamente i dati del lunedì – giorno “speciale” per i quotidiani sportivi – e quelli degli altri giorni della settimana, per cui i cali di diffusione in tre anni sono rispettivamente: Gazzetta dello Sport 32/29%, Corriere dello Sport 36/38%, Tuttosport 47/46%.
Come facciamo ogni mese, consideriamo invece un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa):
Corriere della Sera 183.615 (-3,9%)
Repubblica 110.947 (-23%)
Stampa 80.949 (-13%)
Resto del Carlino 64.491 (-10%)
Sole 24 Ore 60.586 (-14%)
Messaggero 53.283 (-7%)
Fatto 45.650 (-10%)
Nazione 41.895 (-13%)
Gazzettino 37.855 (-9%)
Giornale 30.786 (-18%)
Verità 28.955 (+21%)
Rispetto al mese passato recuperano tutti qualche centinaio di copie, con l’eccezione di Sole 24 Ore , Stampa e Avvenire che ne perdono: la Verità ha il calo maggiore (-1.115).
Altri giornali nazionali:
Libero 19.069 (-18%)
Avvenire 16.621 (-6%)
Manifesto 12.191 (-10%)
ItaliaOggi 10.455 (-3%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
I dati di luglio dovrebbero essere diffusi lunedì 12 settembre e tra due numeri di Charlie approfondiremo ulteriormente quelli: nel frattempo la campagna elettorale dovrebbe aiutare i numeri in questi mesi.
( Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 4 Settembre 2022
I giornalisti del gruppo editoriale Reach, il più grande del Regno Unito, sono “in agitazione” da alcune settimane per l’indisponibilità dell’azienda ad aumenti e adeguamenti degli stipendi; stipendi che – secondo diversi articoli che ne hanno parlato – “ormai rendono i giornalisti protagonisti delle stesse storie di cui scrivono” quando raccontano delle difficoltà con il costo della vita per molti cittadini britannici. Molti giornalisti di Reach – che pubblica i tre tabloid Daily Mirror , Daily Express e Daily Star , e più di duecento quotidiani locali, anche in Irlanda – hanno una paga inferiore a quella media nazionale e che va dalle 21mila alle 24mila sterline annue: l’azienda ha offerto un aumento del 3% che è stato giudicato inaccettabile dal maggiore sindacato che rappresenta i giornalisti, i cui aderenti hanno abbandonato il lavoro mercoledì, annunciando diverse giornate di sciopero e limitazione del lavoro da martedì 13 settembre, con rischi per la pubblicazione dei quotidiani.
Un altro aspetto della questione indicato da diversi commentatori, è la contraddizione tra la linea editoriale conservatrice e antisindacale del Daily Express e le attuali adesioni alle rivendicazioni sindacali da parte dei suoi giornalisti che di quella linea sono abitualmente esecutori.
domenica 4 Settembre 2022
Google sta diffondendo in queste settimane un aggiornamento degli algoritmi del suo motore di ricerca, annunciati con l’intenzione di limitare gli usi ingannevoli del SEO che restituiscono risultati insoddisfacenti per gli utenti.
Il SEO è l’insieme delle pratiche che aiutano a posizionare nelle prime posizioni dei motori di ricerca (Google, sostanzialmente) le proprie pagine, in modo che ottengano maggiori visibilità e maggiori accessi: i siti di news di tutto il mondo lo hanno scoperto in varie fasi, alcuni con ritardo, ma è ormai da anni un aspetto importantissimo del lavoro di promozione dei propri contenuti. In teoria l’algoritmo di Google dovrebbe dare maggiore visibilità alle pagine che meglio rispondono alle relative ricerche, ma i suoi criteri possono essere equivoci e sono sistematicamente studiati e sfruttati da molti siti per ottenere maggiore traffico e per produrre pagine dedicate soltanto a ingannare Google. L’effetto è familiare a tutti: che una ricerca su Google ci mostri per primi dei risultati che non danno risposte soddisfacenti a quella ricerca, o che hanno nel titolo una domanda o un’istruzione (“come fare questo o quello”) a cui non segue nessuna risposta reale o che non può avere risposta (“chi vincerà le elezioni”), o che ospitino contenuti copiati da fonti originali, a discapito di queste ultime.
Il nuovo aggiornamento, dice Google, dovrebbe riuscire a identificare meglio questi contenuti “creati per i motori di ricerca e non per gli umani”, e togliere valore ai siti che li ospitano, privilegiando quelli più credibili e soddisfacenti. Come tutti gli aggiornamenti della ricerca, anche questo crea quindi un possibile rischio per i siti di news (e non solo di news) che hanno investito molto sullo sfruttare determinati criteri di SEO e sulla loro dipendenza dalle ricerche su Google. Per ora l’aggiornamento riguarda solo le pagine in lingua inglese, e le altre lingue seguiranno.
domenica 4 Settembre 2022
La scuola di giornalismo della Columbia University di New York ha organizzato tra due martedì una conferenza intitolata “Guerre dell’obiettività”. E l’ha presentata così: «È in corso una battaglia per il futuro del giornalismo e di come viene praticato. Al modello tradizionale di reporting e obiettività, imparziale, dai toni neutrali, considerato un bastione contro il declino della fiducia nei media, è spesso opposto un giornalismo più muscolare, diretto, che reagisca a una nazione e a una professione sotto assedio. Le redazioni sono divise come mai, spesso su fronti generazionali e demografici, e i due campi sono irrigiditi dalle bolle dei social network. Le due parti possono allearsi? Trovare un modo di convivere? Ridefinire quello che definiamo buon giornalismo?».
L’attualità del tema è molto americana, perché da noi è meno rigoroso e frequente il primo modello, e si è già ibridato spesso col secondo, in una consuetudine alla partigianeria del giornalismo che qui prevale da sempre. Ma anche per questo è lo stesso interessante la discussione, che è una discussione “politica” più eterna e generale: quella sulle emergenze e sulla necessità di superamento delle regole, su “quando il gioco si fa duro”, sui rischi del giocare pulito quando altri giocano sporco o invece i rischi di rendere tutto sporco uguale. Il pericolo principale, e il panorama italiano sembra mostrarlo, è che l’emergenza diventi permanente, e dall’attivismo partigiano (anche di parti buone contro parti cattive) non si torni indietro e diventi la norma.
Tornando solo al giornalismo, si tratta di credere che il suo ruolo di migliorare il mondo si risolva nell’informare bene le persone che così – inevitabilmente – lo miglioreranno, oppure che debba diventare protagonista attivo e creatore del cambiamento. CNN, lo scriviamo sotto, è in mezzo a questi pensieri (anche dal punto di vista commerciale, naturalmente).
Per sintetizzarla con un esempio limitato ma chiaro: se ottenere che l’informazione faccia votare le persone più oculatamente e per politici migliori, o se ottenere che costringa alle dimissioni dei politici peggiori. La differenza a favore del primo caso la fanno la credibilità e la capacità di raggiungere e convincere molte persone; senza quelle, è ovvio che si cerchino altre strade.
Fine di questo prologo.
domenica 17 Luglio 2022
Come annunciato Charlie va in vacanza e torna a settembre, approfittiamo per dire grazie a tutti per essere tanti: per essere tanti tra chi lavora intorno ai giornali, e ok; e per essere tanti anche tra chi è invece curioso di sapere cosa succede, ai giornali, e come questo influenza i modi in cui veniamo informati sul mondo e sull’attualità. Se in questo tempo volete approfittare per abbonarvi al Post e permettere che questo lavoro di condivisione continui a essere fatto per tutti, siete come sempre benvenuti e meritevoli, e vi aggiungete a molti altri, qui. Ma buone vacanze a tutti quanti (e in quanto newsletter che si chiama Charlie ci associamo al consiglio del direttore del Post , se voleste restare su questi argomenti nel frattempo).
domenica 17 Luglio 2022
La settimana scorsa avevamo raccontato un incidente esemplare della riduzione di cautele e protezioni rispetto a ciò che può venire pubblicato sbadatamente all’interno di molte redazioni: il Corriere della Sera aveva messo su Instagram un proprio necrologio di Eugenio Scalfari, e Scalfari era ancora vivo.
Alcuni lettori ci hanno segnalato una cosa apparentemente contigua pubblicata dal Post giovedì, quando è arrivata la notizia – stavolta vera – della morte di Eugenio Scalfari. Nelle anteprime dell’articolo del Post mostrate da Twitter e da Google sono comparse per alcuni secondi tre parole che non avrebbero dovuto esserci (“rimettere tweet telegram”). Si è trattato di un colpevole errore, naturalmente, ma che ha una spiegazione diversa e interessante per altre ragioni: quelle tre parole erano state in effetti accuratamente rimosse al momento della pubblicazione dell’articolo, ma un problema con la rete che gestisce la “cache”* del Post da alcuni giorni fa sì che vengano aggiornati in ritardo i titoli che compaiono nelle anteprime quando i titoli originali vengono modificati, e quindi l’anteprima ha conservato quelle parole (che erano state inserite nella “bozza” dell’articolo per ricordare invece una cautela, a chi avrebbe pubblicato: l’avere disinnescato la pubblicazione sui social network). Ma benché questo mostri le complicazioni quotidiane nel controllo delle tecnologie che fanno funzionare i siti di news (una cosa identica è capitata lo stesso giorno alla rete americana ABC ), quello che soprattutto racconta è che di queste complicazioni bisogna sempre tenere conto comunque, e attenuare i rischi.
*ovvero il sistema che permette a molti elementi delle pagine web di non essere aggiornati sempre e continuamente, per rendere più veloce il loro caricamento.
domenica 17 Luglio 2022
Da Hearst Italia ci segnalano gentilmente che Daria Veledeeva, scelta per dirigere la nuova edizione italiana della rivista Harper’s Bazaar , ha lasciato invece l’edizione russa, da che l’editore Hearst ha interrotto la pubblicazione delle sue testate in quel paese lo scorso marzo. La conseguente riflessione che avevamo fatto una settimana fa sull’aggregazione sotto singole direzioni di più edizioni internazionali è una riflessione che quindi non si attaglia a questo caso, e scusateci per l’errore.
Nel frattempo, invece, uno dei maggiori responsabili della testata mensile GQ – pubblicata dall’editore Condé Nast – ha spiegato appunto come i miglioramenti nelle economie del gruppo si debbano in buona parte ad avere accorpato produzioni di articoli e servizi che le diverse edizioni internazionali facevano ognuna per conto proprio, duplicando e triplicando costi per contenuti molto simili.
domenica 17 Luglio 2022
La newsletter aperta nel 2018 da Carola Frediani – giornalista di precoci attenzioni sui cambiamenti digitali – che si chiama Guerre di Rete si occupa di sicurezza informatica e privacy online. In questi anni ha raccolto un buon seguito proprio perché ha occupato stabilmente una nicchia poco presidiata: oggi ha più di 11mila iscritti ed è spesso citata come fonte da giornali generalisti e siti specializzati. Dopo tre anni di newsletter gratuita, all’inizio del 2021 lanciò una campagna di donazioni da parte dei lettori per sostenere il progetto, provare ad ampliarlo nel tempo e mantenere i contenuti aperti a tutti. L’obiettivo della campagna era di 5mila euro, ne arrivarono più di 14mila da 565 donatori diversi. Il successo di quelle donazioni ha accelerato i progetti di espansione della newsletter: a marzo di quest’anno è nato un sito di notizie, chiamato sempre Guerre di Rete , dalla collaborazione tra Frediani e un gruppo indipendente di professionisti del settore della cybersicurezza, Cyber Saiyan. È un sito che raccoglie articoli di approfondimento sugli stessi temi della newsletter, scritti da una serie di collaboratori specializzati e retribuiti. Frediani spiega che l’obiettivo è garantire un’informazione di qualità «su argomenti generalmente trattati male in Italia» e anche valorizzare giornalisti esperti che in altre redazioni non hanno molto spazio. Secondo Frediani uno dei problemi principali è che quando le notizie di cybersicurezza toccano anche un altro argomento, per esempio l’economia, nelle redazioni si tende ad assegnarle a chi si occupa di economia, ma magari non ha altrettante competenze sulla cybersicurezza. Al momento la frequenza di pubblicazione su Guerre di Rete è più o meno di un articolo di approfondimento a settimana (oltre alla newsletter di Frediani). Il sito si mantiene interamente con i soldi raccolti grazie a un altro giro di donazioni, a cui avevano partecipato amici dei fondatori, tutti professionisti e appassionati del settore interessati a sostenere questo genere di progetto (più una parte delle donazioni che aveva raccolto Frediani nel 2021). A settembre Frediani e gli altri fondatori decideranno se continuare a puntare su crowdfunding occasionali o se cercare di individuare una strategia di finanziamento più a lungo termine, per ampliare progressivamente il sito e i suoi contenuti.
domenica 17 Luglio 2022
Il sito del Poynter Institute ha pubblicato un altro interessante articolo su un tema molto al centro del dibattito sui media in questi anni, e di cui abbiamo parlato altre volte : il rischio collaterale grave associato a quella che viene vista come la prospettiva più interessante per la sostenibilità dei giornali in questi tempi (il ritorno ai contenuti a pagamento, ai paywall, e ai lettori che contribuiscono a che i giornali esistano e stiano in piedi). Il rischio collaterale grave è che a beneficiare dell’informazione di qualità sia solo una nicchia di lettori privilegiati e paganti, e già tra i più informati e interessati ad esserlo, mentre la grande maggioranza delle persone viene raggiunta solo da informazione gratuita inaffidabile, quando non di propaganda, mendace o ingannevole. L’articolo propone una serie di possibilità – e anche di cambi di approccio – per prendere in considerazione le maggioranze degli elettori e non solo le élite attente, selettive e paganti.
domenica 17 Luglio 2022
Dopo il Fatto anche Repubblica ha iniziato a praticare l’esperimento di offrire ai clienti del proprio quotidiano di carta – attraverso un QR code – l’accesso ai contenuti online del giornale: scelta introdotta da altre testate con l’obiettivo di dare maggior valore al declinante acquisto del quotidiano in edicola, e di avvicinare quel genere di clientela alle forme di abbonamento online su cui stanno investendo tutti i giornali del mondo. L’idea è in pratica di dare al giornale di carta anche la funzione che hanno più abitualmente prodotti come le newsletter gratuite: e diventare un veicolo per avvicinare nuovi lettori ai contenuti online, a registrarsi sul sito (che è necessario) e alla prospettiva di abbonarsi. E insieme arricchire l’offerta per chi acquista il quotidiano in edicola, pur col rischio di perderlo come tale se l’offerta digitale dovesse poi convincerlo di più.
domenica 17 Luglio 2022
La campagna del settimanale britannico New European – che avevamo raccontato tre settimane fa – per cedere quote del giornale ai suoi lettori ha raccolto un milione di sterline da duemila nuovi soci che ora ne possiedono insieme il 16,7%.
domenica 17 Luglio 2022
Sembra essersi improvvisamente risolta con un imprevisto accordo la questione complicata e preoccupante – per l’editore RCS – che riguardava la vendita della “storica sede” del Corriere della Sera in via Solferino a Milano, di cui abbiamo raccontato spesso negli scorsi due anni. RCS e il fondo Blackstone – che aveva fatto causa per la perdita di valore dell’immobile seguita a un’azione giudiziaria da parte di RCS – si sono accordati perché RCS ricompri l’immobile per 60 milioni di euro, cifra cospicua ma assai minore di quelle che erano state evocate come ipotesi di risarcimento a cui RCS rischiava di essere condannata. RCS ha anche accettato di pagare altri dieci milioni a Blackstone per le spese sostenute. Nel suo comunicato “RCS dà atto che Blackstone o Kryalos non hanno posto in essere alcuna scorrettezza e si rammarica per il disagio causato dalla controversia”. Un commento sul Foglio di sabato ha dato una lettura un po’ più completa dello sviluppo, e qualche informazione in più era anche in un articolo di Repubblica , pur con l’impressione di un giudizio non del tutto terzo e obiettivo nei confronti dei concorrenti, diciamo.
domenica 17 Luglio 2022
Il valore dei giochi e di Wordle in particolare nei recenti successi di abbonamenti del New York Times è un dato ormai noto e assodato : ma il battere ancora il ferro da parte del giornale – che ha annunciato la versione “da tavolo” di Wordle (costa 19 dollari e 99) in collaborazione con la grande società produttrice Hasbro – è un allontanamento ulteriore dal legame non solo con il contenuto giornalistico ma anche con il contenitore giornale, e va nella direzione – leggermente diversa – di sostenere il giornalismo con altri business completamente estranei e di maggiori fortune economiche.
domenica 17 Luglio 2022
Un articolo del Post ha raccontato diverse impressioni e spiegazioni sul fatto che molti autori di newsletter attraversino delle fasi di stanchezza e fatica, dovute ad alcune peculiarità di questo tipo di formato (Charlie comunque va in vacanza per un po’!).
“l’ansia di inviare la newsletter con cadenza regolare non esiste solo per chi ne ha fatto la propria fonte di sostentamento principale: molti sentono a prescindere una certa responsabilità verso i lettori, che spesso instaurano con l’autore un rapporto personale, gli scrivono per ringraziarlo del suo lavoro, lo seguono sui profili social privati. Secondo Vincenzo Marino, che da due anni e mezzo invia gratuitamente la newsletter Zio, oltre a questo nell’autore si insinua anche un meccanismo di stimolo continuo legato «al grafico degli iscritti che cresce, o alla gente che vedi che si disiscrive»”.
domenica 17 Luglio 2022
C’è la grande questione della sovrapposizione dei contenuti giornalistici e di quelli pubblicitari, nelle maggiori testate italiane: se ci pensate, tra l’altro, nei molti casi in cui i secondi non sono segnalati i giornali si comportano già come gli influencer che spesso le redazioni criticano; ovvero sfruttano il proprio seguito e la propria credibilità per dire ai lettori/follower che alcuni prodotti da cui vengono pagati hanno qualità non sottoposte a valutazioni giornalistiche indipendenti, senza informare i lettori/follower degli accordi economici relativi. La differenza è che nel caso degli influencer questi accordi sono spesso implicitamente percepiti e considerati dai fan, nel caso dei giornali i lettori sono più abituati a pensare che le promozioni non indicate come pubblicità siano estranee ad accordi.
La soluzione per dare maggiore trasparenza alle necessità di sostenibilità economica dei giornali attraverso accordi pubblicitari dovrebbe essere che i contenuti concordati con gli inserzionisti siano indicati chiaramente come tali. In molte parti dei quotidiani e dei siti di news italiani questo non avviene (in violazione di norme deontologiche condivise, peraltro), mentre in altre si cercano formule che distinguano quei contenuti senza scontentare troppo gli inserzionisti (che comprensibilmente preferiscono che non ci sia scritto “pubblicità” sugli articoli che hanno acquistato). Ci sono testate – in tutto il mondo – che usano maggiori chiarezze e termini come “pagato da”, “sponsorizzato”; e altre che creano sfumature più ambigue che differenzino quei contenuti senza dire chiaramente cosa siano.
Gli esempi a volte sono particolarmente inventivi o spaesanti, come nel caso degli articoli sponsorizzati dall’azienda A2A che i siti dell’editore GEDI ha scelto di indicare ai lettori col nome di una redazione dedicata: “Fonti Attendibili”, espressione che indica in realtà esattamente l’opposto della loro natura.
domenica 17 Luglio 2022
Rendere disponibili online gli archivi dei contenuti dei giornali è un servizio utile e spesso molto interessante, da parte delle testate che lo forniscono. Tra gli italiani, quelli che hanno costruito i sotto-siti più pratici e completi in questo senso sono forse la Stampa e il Corriere della Sera (solo per abbonati), pur con delle opportunità di ricerca moderate. Altri hanno più o meno efficienti archivi degli articoli pubblicati online, ma non delle edizioni originali sfogliabili del giornale, che sono spesso utili a capire contesti, scelte, misure o a fare ricerche meno mirate.
Il sito dell’ Atlantic – storico mensile americano che ha molto spostato online le sue priorità – ha presentato questa settimana una revisione del suo archivio online che offre molte opportunità su entrambi i formati, aggregando gli articoli testuali di ogni numero ma anche con la possibilità di visualizzarli nelle riproduzioni delle edizioni originali. Quella di un magazine mensile è una condizione naturalmente più facile da gestire rispetto a un quotidiano: sia per quantità di contenuti pubblicati, sia per loro maggiore omogeneità.
domenica 17 Luglio 2022
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a maggio, li avevamo citati domenica scorsa e qui oggi facciamo le consuete considerazioni più approfondite e aggiornate. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese scorso, piccole variazioni (entro il 2%) diverse per le maggiori testate con l’eccezione ancora di Repubblica e della Verità che perdono rispettivamente il 5% e il 3% delle copie, col risultato che Repubblica è di nuovo superata – in “diffusione” – dal Sole 24 Ore . Se guardiamo invece i più indicativi e severi confronti con l’anno precedente, si notano il calo del 18% delle copie di Repubblica e della Nazione , del 19% del Giornale , del 10% della Stampa , del Fatto e del Resto del Carlino . A fronte di una rara crescita dell’1% del Corriere della Sera , che rimane di gran lunga al primo posto e vicino a dichiarare il doppio delle copie di quello che fu il suo principale concorrente, Repubblica . Malgrado i piccoli ridimensionamenti degli ultimi mesi, la Verità continua ad avere numeri superiori del 25% rispetto a quelli di un anno fa.
(trascuriamo le analisi sugli andamenti degli sportivi, che sono stati su un ottovolante in questi due anni, per via delle incertezze legate allo svolgimento delle competizioni, e da cui fin qui sembra riprendersi solo la Gazzetta dello Sport )
Come facciamo ogni mese, vale però la pena considerare un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi”, per avere così un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Ottenendo quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa):
Corriere della Sera 182.333 (-5%)
Repubblica 110.214 (-25%)
Stampa 81.676 (-12%)
Resto del Carlino 63.612 (-13%)
Sole 24 Ore 61.004 (-15%)
Messaggero 52.296 (-9%)
Fatto 44.777 (-14%)
Nazione 40.907 (-15%)
Gazzettino 37.384 (-8%)
Giornale 30.864 (-20%)
Verità 30.070 (+20%)
Rispetto al mese passato perdono più di tutti Repubblica (-6.781 copie), Corriere della Sera (-3.037) e Stampa (1.932).
Altri giornali nazionali:
Libero 18.675 (-19%)
Avvenire 17.059 (-5%)
Manifesto 12.671 (-11%)
ItaliaOggi 9.498 (-24%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che sono quelle che spiegano le discrepanze tra i due criteri di conteggio – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno sempre una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70% del prezzo (quelle che chiamiamo “supescontate”): 47mila e 35mila, dietro di loro c’è Repubblica che ne ha 16mila.
– per il quarto mese consecutivo Repubblica dichiara un calo anche delle copie digitali rispetto al precedente.
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali non scontatissime (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport ), pur essendo 39mo nel totale, e si avvicina al settimo posto del Messaggero .
– per il secondo mese consecutivo la Verità ha aggiunto ai dati di diffusione più di 5mila copie digitali superscontate.
– Avvenire comunica ben 59mila copie “multiple pagate da terzi”, e anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, 25mila.
– delle 17mila copie dichiarate da ItaliaOggi , 4mila sono copie “promozionali e omaggio”, ovvero quasi un quarto.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono Avvenire (più di 20mila), Messaggero (8mila) e Gazzettino (5mila).
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” (ovvero duplicate nel conteggio totale) sono Corriere della Sera (15.900), Sole 24 Ore (14.200) , Stampa (10mila) e Avvenire (6mila).
( Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)