Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 13 Novembre 2022
Quando ancora non si chiamava GEDI: Charlie ne aveva già scritto all’inizio dell’anno. L’inchiesta accusa alcuni dirigenti di allora del gruppo – editore di Repubblica e Stampa, tra le altre cose – di avere falsificato negli anni passati (quando la sua proprietà era ancora della famiglia De Benedetti, prima che venisse ceduto a quella Agnelli-Elkann e che cambiasse nome) alcune pratiche amministrative per poter accedere a benefici fiscali e contabili da parte dell’INPS relativi a pensionamenti e rapporti di lavoro coi suoi dipendenti.
Questa settimana il Fatto e la Verità , che già erano stati i principali divulgatori dell’inchiesta e delle sue carte allora, sono tornati a scriverne, con nuovi aggiornamenti e nuovi documenti ricevuti dall’inchiesta, comprese le trascrizioni di intercettazioni. L’accusa ipotizzata nei confronti di GEDI è di truffa ai danni dello stato per diversi milioni di euro (quanti di preciso non è chiarissimo: il Fatto parla di 22 milioni, la Verità di 38,9 milioni). Il Fatto ha spiegato in modo piuttosto chiaro i quattro meccanismi di frode di cui è accusato GEDI:
“demansionamenti fittizi dei dirigenti, per poterli far rientrare nelle categorie prepensionabili; riscatto fasullo di periodi contributivi, simulato con la complicità di funzionari Inps e la falsificazione dei libretti di lavoro; esuberi fittizi di dirigenti, messi alla porta con bonus pubblici e fatti rientrare dalla finestra come collaboratori; trasferimenti tra società interne al gruppo, per la Finanza simulati per far tornare requisiti mancanti”.
Il motivo per cui i due quotidiani sono tornati a scriverne giovedì è che nell’inchiesta sono indagate anche decine di ex dipendenti che secondo l’accusa andarono in pensione con questi espedienti: e da alcuni giorni l’INPS ha smesso di erogare la pensione a questi dipendenti, e a molti di loro ha chiesto di risarcire la somma delle pensioni percepite in questi anni, che nella maggior parte dei casi ammonta a centinaia di migliaia di euro. Il problema rilevato dai due giornali è che tra questi ci sarebbero anche persone che non erano al corrente di rientrare nell’ipotetico meccanismo fraudolento o non avevano alcun ruolo nella sua costruzione, che ora non sono in alcun modo in grado di restituire la somma richiesta, che non possono permettersi di rimanere senza pensione e che dicono di sentirsi a loro volta truffate. Il Fatto ha raccontato la storia di un ex poligrafico di GEDI a cui sono stati chiesti circa 306mila euro e a cui, senza avvisi che lo spiegassero, è stata congelata la pensione. La Verità ha altre due storie , sempre di ex poligrafici, a cui è stato chiesto di restituire rispettivamente circa 264 e 148mila euro. Anche Charlie ha raccolto la testimonianza di una persona ex dipendente di GEDI indagata nella stessa inchiesta: non le è ancora arrivato alcun avviso per il risarcimento, ma da novembre la sua pensione risulta “annullata”, stando alle indicazioni che ha ricevuto negli uffici pubblici. La condizione di questa persona è peraltro piuttosto particolare, dal momento che aveva effettivamente maturato i requisiti pensionistici (per farlo aveva persino riscattato tre anni di università, pagando all’epoca 72mila euro): sostiene quindi non solo di non essere stato al corrente della truffa, ma di non fare nemmeno parte dei casi descritti nelle accuse dell’inchiesta.
Sia il Fatto che la Verità sono tornati sulla storia sabato pubblicando stavolta i testi di alcune intercettazioni degli accusati e altri documenti dell’inchiesta (è comune che i quotidiani pubblichino parallelamente articoli simili sulle inchieste: a volte per accordo di collaborazione, a volte perché ricevono insieme gli stessi documenti giudiziari, meccanismo raccontato nel nuovo numero di Cose spiegate bene , la rivista del Post).
domenica 13 Novembre 2022
Sempre per le esemplari citazioni di articoli molto “indulgenti” che vengono pubblicati in concomitanza con le inserzioni pubblicitarie delle aziende oggetto degli articoli, una manciata di esempi di questa settimana:
pubblicità di Generali sul Corriere della Sera e articolo su Generali sul Corriere della Sera;
pubblicità di Leonardo (con elicotteri) sul Corriere della Sera e articolo su Leonardo (e sugli elicotteri) del Corriere della Sera;
pubblicità di un premio attribuito dalla Fondazione Veronesi sul Corriere della Sera e articolo sul premio attribuito dalla Fondazione Veronesi sul Corriere della Sera;
pubblicità di un’iniziativa sul riciclo di Coca Cola sul Corriere della Sera e articolo sull’iniziativa sul riciclo di Coca Cola sul Corriere della Sera ;
pubblicità di Generali su Repubblica e articolo su Generali su Repubblica.
domenica 13 Novembre 2022
Due grossi editori di giornali hanno raccontato i loro risultati della fine del terzo trimestre del 2022. Una sintesi è stata pubblicata sui rispettivi quotidiani ( Sole 24 Ore e Corriere della Sera ) ma bisogna tenere sempre presente che questo genere di articoli tende a confezionare i dati in modo da fare apparire solo quelli positivi. I comunicati sono un po’ più completi, anche se a loro volta dedicati a rassicurare i diversi interlocutori: trovate qui quello di RCS – editrice del Corriere della Sera – e qui quello del Sole 24 Ore.
domenica 13 Novembre 2022
Il nuovo parlamento ha formato le commissioni, come di consueto: della commissione Cultura del Senato, che si occupa anche di editoria giornalistica e quindi delle riforme che la riguardano, comprese quelle sui finanziamenti pubblici ai giornali, farà parte anche Antonio Angelucci, che oltre a essere senatore (adesso con la Lega) è l’editore dei quotidiani Libero e Tempo. Libero riceve oltre cinque milioni annuali di contributi pubblici.
domenica 13 Novembre 2022
Forbes è una storica rivista di economia americana, nata più di un secolo fa. Oggi esce in otto numeri all’anno per una ormai lunga crisi di ricavi, e anche la sua fama – in gran parte da sempre legata soprattutto all’attraente classifica delle persone più ricche del mondo – è molto appannata, con grossi dubbi sulla sua indipendenza da inserzionisti e sponsor. Ha molte edizioni internazionali, e quella italiana è pubblicata dallo stesso editore che ha comprato il settimanale L’Espresso dal gruppo GEDI.
Adesso la sua proprietà – un fondo di investimento con sede a Hong Kong – è in trattative per venderlo a un nuovo gruppo di investitori, dopo aver rinunciato a una quotazione in borsa programmata all’inizio dell’anno.
domenica 13 Novembre 2022
La sua newsletter della settimana scorsa “per aiutare a capire come la tecnologia sta trasformando continuamente le industrie dei media”, Lelio Simi l’ha dedicata a un po’ di analisi, spiegazioni e dati ulteriori sulle metriche dei risultati dei quotidiani.
“Gli analisti dei dati, oggi figure chiave in molte redazioni, preposti a far crescere gli abbonamenti guarderanno principalmente le “metriche di qualità” relative alle subscription (ad esempio: nuovi abbonati digitali, tassi di fedeltà o di abbandono, quanto un singolo articolo o tematica hanno generato nuovi abbonati), la parte marketing quelle “quantitative” (numero lettori nel giorno medio, impression, clic) e i giornalisti faranno attenzione alle cosiddette vanity metrics (pubblicazione nella prima pagina o nella home page dei loro articoli, citazioni nelle rassegne stampa o numero delle condivisioni sui social)”.
domenica 13 Novembre 2022
Sono stati pubblicati martedì scorso i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di settembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese di agosto, cali di diffusione per quasi tutti: le eccezioni sono ancora il Corriere della Sera , poi la Stampa e soprattutto Avvenire (e il Sole 24 Ore con un dato pressoché immutato). I cali maggiori, sportivi a parte, riguardano Messaggero , Nazione e Resto del Carlino .
Se guardiamo sulle stesse tabelle invece i più indicativi confronti con l’anno precedente, a cavarsela bene sono il Corriere della Sera e il Fatto , e ancora la Verità . Mentre Repubblica perde il 13% e la Stampa il 9%: la Nazione e il Giornale sono gli altri che vanno peggio, perdendo il 10%. Il Corriere non è mai stato tanto vicino a dichiarare il doppio di copie di Repubblica . Ma ci sono delle spiegazioni di questi rari “successi” che spieghiamo sotto.
Come facciamo ogni mese, consideriamo però un altro dato che è più indicativo rispetto alla generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato meno “dopato” e relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa ):
Corriere della Sera 188.598 (-1%)
Repubblica 116.198 (-17%)
Stampa 81.876 (-10%)
Resto del Carlino 62.294 (-8%)
Sole 24 Ore 60.108 (-10%)
Messaggero 53.618 (-11%)
Fatto 45.900 (-8%)
Nazione 41.099 (-12%)
Gazzettino 37.615 (-8%)
Giornale 31.507 (-12%)
Verità 29.259 (+2%)
Altri giornali nazionali:
Libero 21.655 (-1%)
Avvenire 16.572 (-5%)
Manifesto 13.680 (+1%)
ItaliaOggi 9.165 (-7%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
La ragione per cui in questa lettura anche il Corriere è in perdita e il suo vantaggio su Repubblica appena un po’ meno spettacolare – è che rispetto a un anno fa ha aggiunto più di 10mila copie alla colonna delle “copie digitali vendute a meno del 30%” del loro prezzo – copie che qui non conteggiamo -, dato legato alla grande campagna di sconti e offerte sui propri abbonamenti digitali. Lo stesso vale per il Fatto , che ne ha aggiunte quasi 5mila, e anche la crescita della Verità si è quasi arrestata: quella del dato di diffusione complessivo include infatti circa 3mila copie ugualmente scontatissime. La competizione tra i tre quotidiani del centrodestra, dopo molte sovversioni negli ultimi due anni, vede il Giornale avanti ma con un vantaggio assai assottigliato sulla Verità , e Libero staccato ma in piccola attenuazione del declino.
Tra i quotidiani locali le perdite maggiori sono quelle della Nazione e del Piccolo (-12%) e del Tirreno e del Messaggero (-11%), ma nessuno va meglio di una perdita del 7% rispetto a un anno fa.
( Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 13 Novembre 2022
La gran parte dei giornali si è mossa – ha dovuto – nella direzione detta, ma non tutti. Le eccezioni sono soprattutto di due categorie: tra i giornali nativi online, resistono ancora all’introduzione di progetti di pagamento alcuni siti che si sentono più insicuri sui criteri che abbiamo citato (contenuti competitivi, identità forti, lettori devoti e motivati) e che devono i loro risultati economici soprattutto a una capacità di attrarre grandi numeri di visite e quindi ricavi pubblicitari ancora sufficienti; tra le testate più tradizionali la stessa debolezza è invece propria soprattutto dei tabloid più popolari e di minor qualità, capaci a volte di grandi diffusioni e grandi numeri di click online, ma senza un sufficiente pubblico di estimatori disponibili a sostenere il loro lavoro pagando e senza contenuti particolarmente differenti da quelli diffusi dai concorrenti maggiori e da mille altri prodotti online. E quindi in difficoltà nell’introdurre meccanismi di pagamento da parte dei lettori.
Soprattutto per quelli britannici (dove la tipologia del “tabloid” ha più storia e più diffusione) il modo più proficuo per attenuare questo limite è – spiega un articolo del sito PressGazette – approfittare della lingua ed estendere i numeri del proprio traffico al mercato statunitense e internazionale. È quello che ha fatto le fortune del Daily Mail (ma anche di quotidiani di qualità come il Guardian ) e verso cui si vogliono indirizzare anche gli altri.
E con questo approccio sono in ballo alcuni nuovi progetti online che vogliono replicare le fortune tradizionali dei tabloid di bassa qualità, sensazionalismo, gossip, giustizialismo e populismo, nel nuovo contesto digitale. Ci stanno lavorando – dice ancora PressGazette – alcuni dei più noti (e famigerati) ex responsabili di testate simili: Kelvin McKenzie, che fu direttore del Sun al massimo dei suoi successi negli anni Ottanta e Novanta; Martin Clarke che ha da poco lasciato la direzione del Daily Mail ; Jimmy Finkelstein, ricco ex editore del sito americano The Hill.
domenica 13 Novembre 2022
I lettori di Charlie conoscono lo sviluppo che è stato il protagonista delle vicende dei giornali di tutto il mondo degli ultimi cinque-sei anni: ovvero lo spostamento delle priorità – nella ricerca della sostenibilità economica – dai ricavi pubblicitari in declino a quelli ottenuti dai lettori paganti, tornati in una qualche misura promettenti. La misura del ripensamento è stata diversa per ciascun giornale, e le possibilità di riuscita nell’acquisire disponibilità a pagare e abbonarsi da parte dei lettori dipendono principalmente da due fattori: la capacità di offrire contenuti concorrenziali, di cui non ci siano altre offerte competitive, magari gratuite (che non significa necessariamente contenuti “di qualità”, ma anche che soddisfino richieste identitarie o politiche dei lettori, o qualunque tipo di “domanda” che non ha altra offerta); e la credibilità e fiducia da parte di una comunità di lettori, che siano solide abbastanza da aumentare la disponibilità alla partecipazione, al sostegno, al pagamento.
Questo contesto spiega le scelte, gli approcci e i diversi risultati da parte dei giornali di tutto il mondo nel costruire sistemi di pagamento da parte dei lettori, paywall, messaggi e comunicazioni, e anche nell’orientare la propria produzione giornalistica.
domenica 13 Novembre 2022
Di recente tra chi si occupa delle prospettive delle aziende giornalistiche in tutto il mondo si è cominciato a discutere se il New York Times sia ancora da considerare “un giornale” o piuttosto un fornitore di servizi diversi, dall’informazione all’intrattenimento, ai consumi commerciali, ai servizi tecnologici. Ed è vero che – costretti dalla ricerca di nuove fonti di ricavo – molti giornali in tutto il mondo da anni diversificano le loro attività, allontanandosi anche molto dal core business dell’informazione (da noi il Corriere della Sera vende biciclette e tavolini pieghevoli ), e trasformando in un’opportunità promozionale e distributiva il proprio capitale di lettori.
Tra le attività esterne che conservano una relazione con il lavoro e il know-how giornalistico ci sono quelle di “formazione”: lezioni, corsi, speech, seminari, workshop, conservano senz’altro un obiettivo di “informazione” e sfruttano le conoscenze giornalistiche, e ce n’è una crescente domanda che ha spinto molte aziende a investirci e a creare progetti: in alcuni casi anche molto costosi e remunerativi (i prezzi sono raramente esplicitati pubblicamente, con riservatezza sospetta), proprio perché la domanda, in gran parte da parte di partecipanti giovani in cerca di futuri professionali, è alta. Questa settimana anche il Fatto ha presentato la sua “scuola”, “un ramo aziendale dedicato alla formazione”. Sono modi di variare le possibilità di ricavo da parte dei giornali, e offrono conoscenza a chi si iscrive: l’unica cosa a cui stare attenti e su cui prendersi delle responsabilità, è di non dare speranze sproporzionate a chi – soprattutto tra i giovani – si disponga a pagare cifre impegnative sperando che si traducano in opportunità. Come ha detto a Charlie un giornalista di una testata che ha costruito una propria struttura “educativa” efficiente e remunerativa: «mi chiedo se non stiamo illudendo dei futuri disoccupati».
Fine di questo prologo.
domenica 6 Novembre 2022
Sabato prossimo alle 12 Francesco Costa sarà poi col direttore del Post Luca Sofri al Circolo dei lettori di Torino per l’ormai tradizionale racconto sull’informazione I giornali, spiegati bene.
domenica 6 Novembre 2022
Questa settimana tra le altre cose, nel podcast Morning per gli abbonati del Post , Francesco Costa ha descritto i comportamenti competitivi dei quotidiani sulla paternità di certe notizie. Morning, se vi interessano le cose sui giornali che racconta Charlie, è sempre un complemento prezioso.
domenica 6 Novembre 2022
Da venerdì a domenica si tiene a Varese una nuova edizione di Glocal , uno dei pochi convegni italiani sul giornalismo capaci di attenzioni al cambiamento e all’innovazione, grazie a una accorta scelta di ospiti : non solo i più famosi (ma c’è anche una quota autorevole di direttori e vicedirettori) ma spesso i più attenti a cosa sta succedendo nell’informazione o interpreti di esperimenti interessanti.
domenica 6 Novembre 2022
Nel quotidiano groviglio tra azioni e reazioni che connettono la politica e l’informazione italiana (i giornali reagiscono a cosa fanno i politici, i politici reagiscono a cosa fanno i giornali, e si perde un inizio del circolo, vizioso o virtuoso che sia) c’è stato un discusso caso all’inizio della settimana che ha avuto come protagoniste le pratiche di titolazione frequenti dei quotidiani: lo ha raccontato e commentato il direttore del Post sul suo blog.
“Sono anni che i peggiori ciarlatani o furfanti della politica italiana possono accusare i giornali che li criticano di dire cose false, di essere in cattiva fede, e possono screditare in sommarie generalizzazioni anche le fondatissime accuse contro di loro”.
domenica 6 Novembre 2022
Paolo Attivissimo , giornalista della Radio Svizzera che si occupa spesso di verificare notizie dubbie che circolano sui mezzi di informazione, ha raccontato sul suo blog un caso interessante di questo genere: la notizia che torna in circolazione ciclicamente come se fosse nuova e diversa. E ha ottenuto che Repubblica ne ammettesse l’inconsistenza, rimuovendola dal sito.
domenica 6 Novembre 2022
Una cosa piccola ma rappresentativa di alcuni meccanismi e vicende dei giornali italiani. Da subito dopo le elezioni Repubblica ha riproposto un format che il quotidiano ha usato spesso nella sua storia (e che gli altri quotidiani utilizzano molto meno): il dibattito costruito sulle proprie pagine a partire da un proprio articolo o da una propria idea, e protratto per molti giorni o persino settimane, con l’obiettivo di trattenere i lettori su questa forma di serialità. In questo caso, appunto, intorno alla crisi del Partito Democratico esposta dai risultati elettorali. La serie prosegue quasi quotidianamente da un mese, con il giornale che ha invitato ospiti diversi a dire la loro: per quanto riguarda i tic giornalistici avevamo segnalato qui l’incipit dell’articolo di Giacomo Papi, che conteneva una “diffida” per il titolista.
Venerdì l’autore invitato è stato – per una seconda volta – lo scrittore Francesco Piccolo: il quale ha piuttosto esplicitamente messo in discussione lo stesso dibattito “sulle idee” («temo che quello a cui stiamo partecipando sia allo stesso tempo un tentativo di fermare dei concetti fondamentali, ma anche un teatrino dell’ipocrisia al quale forse bisognerebbe porre fine»), ma ha concluso criticando i giornali che danno tuttora le attenzioni maggiori a una classe politica che è parte della stessa crisi di cui si parla: «Io sogno (ma è un sogno, lo so) che nessuno più vada a intervistare Goffredo Bettini, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema (gli ultimi due si erano diabolicamente sfilati dal partito); anzi, poiché gli intervistatori cercano chi gli pare, sogno allora che siano loro tre a rispondere: basta, noi andiamo in pensione, non cercateci più, ci saranno altri che cercheranno di fare meglio».
Appena due pagine prima dell’articolo di Piccolo, Repubblica ospitava un nuovo dibattito intitolato “Le parole di D’Alema”, nato con un’intervista del giorno prima a Massimo D’Alema.
domenica 6 Novembre 2022
Sparse segnalazioni delle più vistose “contiguità” tra i contenuti giornalistici e quelli pubblicitari sui maggiori quotidiani: il Corriere della Sera ha ospitato questa inserzione a pagamento del parco alimentare bolognese Fico domenica, e mercoledì questo articolo costituito integralmente di virgolettati dell’amministratore delegato di Fico. Sempre sul Corriere , mercoledì, un articolo altrettanto disponibile e promozionale era dedicato alla società vinicola Aneri, che è un frequente e ricambiato inserzionista del Corriere e di molti quotidiani , e il cui proprietario è il promotore di un premio giornalistico milanese assai frequentato dall’editoria locale.
(un articolo su Aneri – peraltro firmato dal medesimo autore – era stato tra l’altro tra quelli già protagonisti di un esposto dell’anno scorso contro il Corriere della Sera da parte di due ex giornalisti del quotidiano).
Repubblica ha dedicato tutta la prima delle sue pagine del sabato sulla Moda a una notizia che non era di moda – l’assegnazione di un premio cinematografico a un’attrice – ma il premio è un progetto dell’azienda di moda Max Mara, che aveva comprato una pagina pubblicitaria poco distante sul quotidiano, la seconda in una settimana. E infine ancora la redazione del Corriere della Sera ha offerto a Rinascente, che aveva comprato l’ultima pagina del giornale due giorni prima, una colonna sull’iniziativa reclamizzata.
domenica 6 Novembre 2022
Il quotidiano Domani ha esplicitamene definito “falsità” quelle pubblicate dal quotidiano la Verità a proposito del Covid e dei vaccini, in un articolo di Andrea Casadio che occupava un’intera pagina sul giornale di carta giovedì. Nel caso in esame, l’articolo della Verità smentito era del direttore Maurizio Belpietro.
“Chiariamo alcune cose. Per prima cosa, lo “studio” a cui fa riferimento Belpietro non è uno studio. Gli “scienziati” citati del Belpietro non hanno fatto uno studio, cioè una analisi statistica su una popolazione. No.
Alcuni “studiosi” italiani, molti dei quali ignoti alla comunità scientifica, hanno pubblicato un articolo dal titolo: “SARS-CoV-2- il ruolo dell’immunità naturale: una revisione narrativa”, e che quindi – come scrivono loro stessi – è una “revisione narrativa” e non uno studio.
Cioè, hanno preso alcuni articoli scientifici alla rinfusa, molti dei quali di scarso valore scientifico, e senza uno straccio di analisi statistica hanno dedotto che l’immunità naturale indotta dal Covid dura più di quella indotta dal vaccino.
Invece, decine e decine di articoli scientifici provano che l’immunità indotta dal vaccino è più efficace e duratura di quella indotta dalla infezione del virus.
Poi, quella su cui è pubblicato l’articolo non è una rivista scientifica vera e propria – difatti non è catalogata su Pubmed, il database della scienza – ma una rivista predatoria, dove chiunque può pubblicare un articolo sborsando pochi dollari.
Che ne so, io potrei scrivere uno “studio” in cui affermo che mangiare merluzzo previene il Covid, dato che la vitamina D contenuta nel pesce fortifica il sistema immunitario, e se pago lo potrei tranquillamente pubblicare su una rivista predatoria.
E gli autori di quello studio? Il primo autore è la dottoressa Sara Diani, una omeopata della scuola di musicoterapia dell’università Jean Monnet di Padova, ignota alla scienza; e tra gli altri figurano il dottor Eugenio Serravalle, noto medico No-vax, e il dottor Alberto Donzelli, della Fondazione Allineare Sanità e Salute. Ecco, allineiamo sanità e salute, così magari scopriamo che suonare il flauto dolce previene il Covid”.
La Verità ha risposto con un nuovo articolo il giorno dopo, con qualche sarcasmo sulle presunte vendite di Domani (su cui però non esistono dati pubblici).
domenica 6 Novembre 2022
È uscito giovedì il nuovo quotidiano trentino – di carta e online – intenzionato a scalfire il quasi monopolio dell’informazione della regione: si chiama il T ed è pubblicato da una fondazione creata da associazioni di industriali e commercianti locali. Le proposte di abbonamento sono molto varie e diversificate, ma per ora senza ricorrere alle offerte e svendite praticate da altre testate.
domenica 6 Novembre 2022
Se i giornalisti di Repubblica nelle ultime settimane hanno criticato soprattutto una mancanza di chiarezza del progetto e del percorso da parte dell’editore, alla Stampa a essere contestato è l’altro aspetto delle scelte dello stesso editore (GEDI, che possiede anche lo Huffington Post , Radio Deejay e Radio Capital , il Secolo XIX e diversi quotidiani locali e altri prodotti editoriali): la riduzione dei costi e delle risorse, e le sue conseguenze.
In un comunicato pubblicato sabato il Comitato di redazione della Stampa ha contestato il progetto di “integrazione delle edizioni e delle redazioni liguri con il Secolo XIX ” e annunciato scioperi. La Stampa – quotidiano torinese e piemontese – ha da sempre un rilevante bacino di lettori e di produzione giornalistica anche nelle province di Imperia e di Savona, ma adesso l’editore vuole unificarlo con quello del quotidiano genovese Secolo XIX .
“Pur consapevoli della crisi del mercato dell’editoria e della sovrapposizione territoriale di due testate che appartengono allo stesso gruppo, i giornalisti ritengono inaccettabile un arretramento de La Stampa dai propri territori naturali di vendita e di diffusione e il trasferimento e la riorganizzazione del personale come unica soluzione per il riequilibrio dei costi attraverso l’annunciata ricollocazione fuori regione di cinque redattori”.
domenica 6 Novembre 2022
L’Independent è un quotidiano inglese creato 36 anni fa e che ha smesso di uscire “di carta” nel 2016, trasformandosi in un giornale esclusivamente online. Malgrado alcune oscillazioni si è sempre distinto per posizioni tra il progressista e il liberale, con discreti successi in qualche fase di competizione col Guardian in passato, e per un grande spazio dato agli articoli di opinione e alle prese di posizione. Ha avuto alti e bassi di sostenibilità economica negli scorsi decenni, e la sua quota maggiore – dal 2010 – è di uno dei più famosi cosiddetti “oligarchi” russi con grossi interessi nel Regno Unito, Alexander Lebedev (formalmente di suo figlio Evgeny).
All’inizio del 2022 l’ Independent aveva fatto annunci di buona salute , ma ora invece le cose si sono complicate in particolare sul fronte della pubblicità online e questa settimana ha fatto sapere che 52 posti di lavoro sono a rischio di eliminazione.
domenica 6 Novembre 2022
Le agitazioni a Repubblica di cui scrivemmo la settimana scorsa si sono un po’ sospese negli ultimi giorni, ma non senza complicazioni ancora incombenti. Allo sciopero di sabato è seguito uno “sciopero delle firme” di quattro giorni da parte dei giornalisti preoccupati per le prospettive del giornale, la cui efficacia è stata però attenuata dal gran numero di collaboratori esterni (oltre che i vicedirettori come Carlo Bonini) che non vi hanno partecipato: la prima pagina in particolare è stata composta in quei giorni in modo da mostrare quasi solo articoli di questi ultimi e quindi firmati (persino con un’inusuale promozione della rubrica quotidiana di Michele Serra) rendendo assai poco visibile lo sciopero. Questo ha generato delle irritazioni tra alcuni giornalisti, che hanno peggiorato l’aria che tira.
Alla fine lo sciopero è stato interrotto dopo un “chiarimento” con la direzione di cui ha riferito più estesamente il sito Professione Reporter , e una correzione del direttore all’intervista che aveva offeso la redazione: passaggi che però hanno soltanto riportato le cose alla situazione di difficoltà di vendite del quotidiano e di poco chiare visioni sul futuro, e con un carico di diffidenza aumentato dalla crisi dei giorni passati. Intanto la redazione ha eletto un nuovo Cdr .
(tra le inadeguatezze anche tecnologiche di Repubblica ci sono una serie di problemi con gli abbonati al sito: questa settimana se ne sono persino lamentate pubblicamente due giornaliste di Repubblica)
domenica 6 Novembre 2022
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha completato le nomine dei sottosegretari e tra queste c’è anche quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio che ha tradizionalmente la delega all’editoria, ovvero a occuparsi anche del settore dell’informazione e dei giornali. Il ruolo è stato assegnato al senatore Alberto Barachini, che è di Forza Italia e ha 50 anni. Al contrario del suo predecessore Giuseppe Moles (anche lui di Forza Italia, il partito che ha maggiori attenzioni al settore per l’interesse del suo leader Silvio Berlusconi) che era stato scelto piuttosto accidentalmente e mostrando nei due anni successivi poca attenzione all’impegno, Barachini ha un’esperienza giornalistica, iniziata al quotidiano livornese Il Tirreno e poi proseguita nelle reti televisive Mediaset. Qui c’è una breve intervista di Radio Radicale seguita alla nomina, in cui il sottosegretario tra l’altro auspica un’informazione che sia “corretta e sobria”.
domenica 6 Novembre 2022
Il sito americano di inchieste che si chiama ProPublica (ormai noto e stimato, dopo 15 anni e alcuni premi Pulitzer, edito da una non profit) ha pubblicato una lunghissima ricerca e analisi che dimostra come Google trascuri i siti in lingua non inglese nei controlli sulla disinformazione finanziata dalla propria piattaforma di gestione della pubblicità.
La gran parte dei siti web di tutto il mondo si affida a Google e al suo servizio Google Ads per ospitare inserzioni e ottenere ricavi: il servizio indirizza negli spazi dedicati sulle pagine del sito i banner pubblicitari con elaborati automatismi (è il sistema che ha messo in crisi la concorrenza delle concessionare di pubblicità, ridotto i costi per gli inserzionisti e i ricavi per i siti di news), che tengono conto della natura dei siti che raggiungono e che ne beneficiano solo con criteri di efficacia commerciale. I banner vengono inseriti in questa o quella pagina in modo da raggiungere gli utenti desiderati, in base al tipo di sito e al percorso di navigazione dell’utente (attraverso i discussi cookie ).
Negli ultimi anni Google si è in parte dedicata – sotto le critiche e le preoccupazioni legate alla diffusione deliberata di notizie false online – a individuare che le inserzioni che gestisce non siano ospitate da siti di disinformazione pericolosa, e quindi non le sostengano economicamente. Ma questo impegno – comunque insufficiente – è concentrato sui siti in lingua inglese, spiega l’inchiesta di ProPublica (guidata da Craig Silverman , uno dei più precoci esperti di fake news online).
Le tre ragioni per cui Google sceglie di intervenire sui siti di notizie false inibendoli a usare il suo servizio e a guadagnarne dei soldi, dice un ex dirigente dell’azienda citato nell’articolo, sono il timore della cattiva pubblicità per l’azienda, il timore di interventi legislativi o giudiziari conseguenti, il timore diretto per i propri ricavi e il proprio business: e sono tutti fattori sensibili soprattutto alle proprie attività sui siti in inglese, per questo quello che avviene nei paesi di altre lingue è molto più trascurato: con conseguenze sulle campagne elettorali, per esempio, e sulle falsificazioni pericolose diffuse in quelle occasioni.
domenica 6 Novembre 2022
Jay Caspian Kang è un giornalista del settimanale americano New Yorker, una delle riviste giornalisticamente più ben fatte e più ammirate del mondo, e ha pubblicato sul sito un articolo che mette in discussione molta parte del giornalismo contemporaneo. “Mette in discussione” è l’espressione esatta, se la si legge correttamente: spesso viene usata come sinonimo di “critica” o “smentisce”, ma andrebbe restituita al suo significato più fedele, ovvero di proporre una discussione su qualcosa. King dice – usando come esempio l’attentato contro il marito di Nancy Pelosi – che ci sarebbe una sbrigativa tentazione a incasellare le motivazioni di persone o loro azioni dentro schemi facili e stabiliti, a partire da pochi indizi su di loro, spesso raccolti affannosamente su internet. E spesso strumentalmente, tra l’altro: per attribuire malefatte a questa o quella predicazione politica o culturale. L’aggressore di Pelosi è stato ricondotto a cliché opposti, a seconda delle informazioni su di lui che venivano selezionate. La tesi di King è che questo lavoro sia superficiale e ingannevole, e che le persone abbiano invece biografie, individualità, pensieri, di straordinaria varietà e sfumature, e che questa abitudine a offrire ai lettori una specie di figurina disinformi invece che far capire meglio. E ha sicuramente ragione: nessuno di noi, dovesse malauguratamente diventare protagonista di notizie drammatiche, si riconoscerebbe nella limitata sintesi che i giornali potrebbero dare delle sue scelte. Ma è anche vero che una “limitata sintesi” è il massimo che ci si può aspettare dal giornalismo: che è sempre un inganno che nei casi più riusciti cerca di limitare i rischi delle sue ingannevolezze. Ricordarlo sempre anche ai lettori, rendendoli consapevoli delle semplificazioni, è a sua volta un fattore di quella eventuale riuscita.
“Alla fine quello che scegliamo di descrivere di questi uomini violenti rivela più di noi che di loro. Le relazioni tra disagio mentale, pensiero complottista, retorica di destra e violenza le creiamo nelle nostre teste. Quello che ristagna, almeno nella mente dei giornalisti, è il desiderio di connettere tutti questi puntini e di presentare, in una prosa concisa ma molto delimitata, una teoria che permetta a chi legge di immaginare risposte ma anche di rimuovere responsabilità”.
Fine di questo prologo.
domenica 30 Ottobre 2022
Il sito di sondaggi e analisi politiche YouTrend ha fatto i conti di quali siano gli account di testate giornalistiche su Twitter più seguiti dai ministri del nuovo governo: una piccola cosa ma illuminante di come i ministri si facciano un’idea delle notizie e dei dibattiti attraverso quello che è il social network più frequentato da politica e informazione (insieme alle testate, tv e agenzie maggiori ci sono la Verità , Avvenire e il Foglio ). Tra i singoli giornalisti, invece, i più seguiti sono Maurizio Belpietro e Daniele Capezzone della Verità , Nicola Porro del Giornale , Vittorio Feltri di Libero . A conferma che le “echo chamber” o “bolle”, per cui sui social network si leggono e ascoltano soprattutto opinioni simili alle proprie, valgono anche per i poteri più importanti.
domenica 30 Ottobre 2022
Il sito specializzato di marketing e media Digiday ha raccontato i rinnovati problemi dei siti web con la loro dipendenza dagli algoritmi di Google: Digiday si dedica soprattutto a quelli che lavorano con l’e-commerce, ma la questione riguarda in genere anche i siti di news (molti dei quali a loro volta lavorano con l’e-commerce: a cominciare dal New York Times ). I problemi si manifestano ogni volta che Google decide di modificare i suddetti algoritmi per ottenere risultati migliori – a proprio giudizio – per gli utenti, sovvertendo così i posizionamenti e i criteri dei siti che ottengono traffico da quei posizionamenti nella prima pagina del motore di ricerca. Il suggerimento di Digiday è sempre quello di “essere flessibili”, ma il tema della dipendenza di alcuni business editoriali dalle scelte di Google, o di Facebook, è una specie di spada di Damocle eterna sui loro destini.
domenica 30 Ottobre 2022
Negli scorsi due anni Charlie raccontò con continuità i conflitti all’interno del New York Times intorno – la mettiamo grossomodo, che è una storia di molte storie – all’impegno del giornale su una serie di temi civili, e al rapporto di questo impegno con gli standard di informazione completa e libertà di espressione. Le cose sembrano essersi temporaneamente sopite da un po’, anche col cambio di direzione e con la sconfitta di Donald Trump che ha abbassato di poco la bellicosità politica statunitense. Ma proprio per questo Erik Wemple – il giornalista che si occupa di giornali invece al Washington Post – ha deciso di tornare su una di quelle storie: il licenziamento due anni fa del responsabile della pagina op-ed del New York Times James Bennet dopo la pubblicazione di un articolo di un autore ospite che chiedeva maggiori interventi polizieschi e repressivi contro alcune manifestazioni di protesta sui diritti civili.
Era stato uno dei momenti più controversi e litigiosi di quella fase al New York Times , e adesso Wemple la ricostruisce sul Washington Post per distinguere con maggior coraggio di quello che ebbe allora ( il suo articolo è un’ammissione di codardia per non aver difeso Bennet prima) il giudizio sul contenuto di un discutibilissimo articolo di opinione nella pagina dei commenti, e la scelta di un giornale di ospitarlo. Che sono due cose diverse, dice Wemple, concordando con le recenti accuse di Bennet contro l’editore del New York Times , che secondo entrambi cedette goffamente e vilmente a pressioni che intaccarono l’autonomia delle scelte giornalistiche e la libertà di espressione: quell’articolo diceva cose sbagliate, ma era legittimo e giornalisticamente sensato pubblicarlo, conclude Wemple.
domenica 30 Ottobre 2022
Venerdì è morto a casa sua negli Stati Uniti Jerry Lee Lewis, musicista famoso e ammirato per essere stato uno dei più popolari rappresentanti dei primi successi del rock ‘n’ roll. Ma la notizia della sua morte era stata data prematuramente due giorni prima, quando non era ancora vera, dal sito americano TMZ .
TMZ è un sito di gossip e notizie di spettacolo, molto seguito e noto per i suoi scoop in quegli ambiti ma anche per le sue scelte giornalistiche eticamente discutibili e una scarsa attenzione a standard di accuratezza, entrambi assimilabili a quelli dei più screditati tabloid britannici o americani ( TMZ è di proprietà di Fox). Mercoledì sera TMZ ha dato la notizia della morte di Jerry Lee Lewis. La notizia era falsa, e TMZ stesso lo ha ammesso sbrigativamente poche ore dopo, scusandosi: sembra che il sito abbia dato credito a un falso portavoce della famiglia, senza sufficienti controlli.
Dei più autorevoli siti di news americani e internazionali, quasi nessuno si è fidato della versione di TMZ , conoscendone la fama: l’ Indipendent nel Regno Unito è stata un’eccezione . In Italia, dove i tabloid scandalistici sono usati di frequente come una fonte senza particolari verifiche, la notizia è stata immediatamente ripresa da quasi tutte le maggiori testate ( Ansa , Stampa , Messaggero , Corriere della Sera ), che l’hanno successivamente modificata o cancellata senza ulteriori avvisi ai lettori.
domenica 30 Ottobre 2022
Le “complicate” vicende politiche del Regno Unito degli ultimi mesi hanno dato lo spunto al Guardian – uno dei maggiori quotidiani del paese, e uno dei maggiori siti di news mondiali – di declinare i suoi abituali inviti ad abbonarsi online (il Guardian non ha paywall, e raccoglie libere offerte o abbonamenti) intorno ai temi dell’attualità: mettendo in relazione le notizie al lavoro del giornale e alla sua sostenibilità. Gli sviluppi hanno poi dato un’occasione ancora più puntuale e dedicata quando una ministra del governo Truss (poi costretta alle dimissioni e reintegrata nel governo Sunak) ha preso in giro gli elettori progressisti e i lettori del Guardian stesso: che ne ha approfittato .
(comunicazioni “contestuali” simili in Italia le ha fatte il Post in diverse occasioni passate )
domenica 30 Ottobre 2022
Negli ultimi mesi il quotidiano Domani ha investito sempre di più sulla politica (che occupa mediamente 10-12 delle sue 16 pagine) e su una ricerca di visibilità pubblica della testata che ha ottenuto alcuni ottimi risultati (la campagna sullo “scioglimento del PD”, fragile nei fatti ma che è molto circolata; quella sul conflitto di interessi del ministro Crosetto, che Domani è stato il più veloce a raccontare). Al tempo stesso, però, il giornale sta godendo di una quota quasi inesistente di inserzioni pubblicitarie, che costituiscono una delle due fonti maggiori di sostenibilità per tutti i quotidiani, assieme a quella dei lettori paganti (e per contro costituiscono anche il maggiore fattore di perdita di autonomia giornalistica di altri quotidiani). In tutta la settimana passata Domani ha ospitato solo due pagine pubblicitarie (martedì e giovedì) e un’inserzione più limitata martedì.
domenica 30 Ottobre 2022
La federazione degli Editori di giornali (Fieg) si è affrettata a chiedere ancora sostegni economici al nuovo governo italiano appena insediato: malgrado ne abbia ricevuti di nuovi solo poche settimane fa dal governo uscente. Il tema del contributo pubblico all’informazione è complesso e delicato e ne abbiamo scritto spesso su Charlie: da una parte teoricamente prezioso e indispensabile, dall’altra fallimentare nella pratica, non riuscendo a creare nessuna dinamica di incentivo alla qualità dell’informazione sovvenzionata. Il risultato è che i contributi raggiungono a fondo perduto e disordinatamente testate che non offrono nessuna garanzia di un effettivo servizio pubblico, aumentando solo un malinteso “pluralismo” concepito come quantità di contenuti informativi sovvenzionati, buoni o cattivi che siano.
A sostegno della nuova richiesta il rappresentante degli editori ha sostenuto che “da una recente indagine comparativa della Presidenza del Consiglio dei ministri emerge che le misure adottate in Italia a favore del settore editoriale non costituiscono né un unicum né un modello a sé stante nel panorama europeo, anzi il nostro Paese è penultimo nell’Unione europea per risorse dirette pro capite impiegate a favore dell’editoria”. Il fatto è che la ricerca in questione commissionata dal precedente sottosegretario – con la palese intenzione di difendere il sistema di cui il dipartimento per l’editoria è titolare – non prende in considerazione “l’Unione Europea” – ovvero 27 paesi – ma “un gruppo selezionato di otto paesi europei (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Regno Unito e Svezia) con i quali il Dipartimento dell’Informazione e Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri aveva già in passato intessuto dei costruttivi scambi di informazioni”. Che l’Italia sia penultima tra nove è comunque un dato, ma – considerata anche la peculiare scelta dei paesi in questione, due dei quali peraltro non appartengono all’Unione Europea – la dichiarazione della Fieg è molto ingannevole, e rivelatrice di quale accuratezza di informazione venga raggiunta dai contributi stessi.
domenica 30 Ottobre 2022
Il nuovo sito di news Semafor è online da dieci giorni tra grandi attese e curiosità legate alle sue ambizioni, agli investimenti ricevuti, e alle annunciate intenzioni di rinnovamento e originalità nelle forme del giornalismo. Ma accanto a diversi contenuti di qualità che ha già pubblicato, il giornale si è imbattuto in una prima sostanziosa contestazione : quella di avere costruito una sponsorizzazione – per la sua newsletter sul clima – con l’azienda petrolifera americana Chevron, che ha un cospicuo curriculum di responsabilità di inquinamento ambientale, e con la quale Semafor sembra essersi imbarcata in un palese impegno di greenwashing . Naturalmente è possibile che Semafor abbia stabilito precise garanzie di non ingerenza dell’inserzionista nei suoi contenuti, ma ospitare la sua pubblicità a sostegno di articoli dedicati ai problemi ambientali è comunque un contributo ad attenuare le accuse contro l’inserzionista stesso: d’altro canto, che gli investimenti di Chevron finanzino una buona informazione sul cambiamento climatico può essere letto come una scelta apprezzabile. La questione è insomma complessa, ma forse per presentarsi al mondo in una fase iniziale in cui le sue necessità economiche non sono così pressanti Semafor avrebbe potuto avere maggiori cautele.
domenica 30 Ottobre 2022
Se ricordate il grosso incidente giornalistico indiano che abbiamo raccontato la settimana scorsa ( se no è qui ), il giornale online The Wire ha infine dovuto ammettere l’errore e scusarsi, parlando di un non meglio descritto “inganno da parte di un membro del team investigativo” del giornale.
domenica 30 Ottobre 2022
Audiweb ha diffuso i dati di traffico dei siti internet di agosto. Abbiamo isolato quelli relativi ai siti di news di attualità generalista e delle testate più note: il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio” . La seconda colonna mostra il dato del mese precedente ma, come ricordiamo spesso, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese. Ad agosto la gran parte dei siti ha avuto cali di varie misure, ma ci sono delle eccezioni.
Per alcune delle testate nelle prime posizioni bisogna anche considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia: il sito di divulgazione tecnologica di Salvatore Aranzulla, per esempio, ha circa 300mila visitatori unici, una quota dei quali è contata nel totale del Messaggero , mentre nei numeri del Corriere della Sera sono incluse quote che non necessariamente hanno visitato il sito del Corriere della Sera ma possono riferirsi ai soli siti di testate dello stesso editore come Oggi, Amica e IoDonna .
(manca ancora il dato di Quotidiano Nazionale , aveva spiegato Audiweb, per un errore per cui i dati di quella testata torneranno corretti dal mese di settembre)
domenica 30 Ottobre 2022
Annunciando lo sciopero, l’assemblea di Repubblica ha pubblicato sul sito un polemico comunicato .
” L’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica è incredula e indignata per le dichiarazioni del direttore Maurizio Molinari che costituiscono una grave offesa all’intero corpo redazionale, di cui vengono sminuiti l’impegno e la professionalità. Un sommario Piano di riorganizzazione editoriale viene raccontato in un’intervista a una rivista di settore senza che sia mai stato presentato, nei suoi dettagli e nelle sue implicazioni, prima al cdr e poi alla redazione, come invece le corrette procedure sindacali imporrebbero”.
domenica 30 Ottobre 2022
La crisi di Repubblica , il secondo maggiore quotidiano italiano, ha avuto un salto di qualità negli scorsi due giorni: dopo che si era manifestata più visibilmente nelle scorse settimane, e dopo una complicata trasformazione iniziata tre anni fa .
Nel contesto di una frattura tra il direttore – fino a oggi molto in sintonia con l’editore – e una parte della redazione scettica sulla apparente mancanza di una visione e di un progetto e preoccupata del cospicuo calo di vendite, venerdì il mensile specializzato Prima comunicazione ha pubblicato un’intervista col direttore stesso, Maurizio Molinari, che ha infuriato o meravigliato molti dei suoi stessi giornalisti. L’assemblea dei giornalisti (il Comitato di redazione si è da poco dimesso) ha quindi immediatamente annunciato uno sciopero per cui il quotidiano non è uscito sabato e il sito non è stato aggiornato per 24 ore.
Le cose che i giornalisti hanno trovato inaccettabili dell’intervista a Molinari sono soprattutto l’aver scavalcato la redazione nell’esporre progetti e intenzioni sul futuro del giornale, un passaggio che sembra concordare con un giudizio negativo sulla redazione della sezione Affari e Finanza del giornale (con l’annuncio che sarà trasferita a Milano), e una fumosa esposizione che allude a un’intenzione di consegnare sempre di più ai feedback e alle reazioni dei lettori le scelte giornalistiche.
” Un giudizio diffuso negli ambienti economici finanziari milanesi è che l’economia di Repubblica sia un po’ moscia.
E quindi arriverà Galbiati da metà novembre. La risposta passerà attraverso il rilancio di Affari&Finanza, a cui Guerrera ha lavorato molto, così Galbiati non parte da zero. Io credo che sui temi dell’economia e della finanza, con in arrivo una sovrapposizione di inflazione e recessione, sarà necessario fare anche un giornale di servizio. Nei Paesi anglosassoni è molto comune, in Italia è più raro. Dovremo aumentare la qualità della informazione e aumentare l’interazione con i lettori. La redazione di Affari&Finanza sarà a Milano dove entro l’anno inaugureremo la nuova sede”.
“partiremo immediatamente con il progetto per l’online che prevede una continua indicizzazione dei contenuti, per intervenire rapidamente e costruire un’offerta informativa in linea con le preferenze dei lettori […] Non è niente di nuovo, le regole del Seo sono utilizzate da tutti i professionisti per intervenire sulle news e gli approfondimenti. Ma il nostro obiettivo è di agire in tem- po reale, più volte al giorno, utilizzando i dati che raccogliamo sui nostri siti, sulle app, sui motori di ricerca e sui social. Se usi bene in tempo reale il Seo, il giornale diventa responsive, dinamico. Il momento in cui raccogli i dati del traffico e li metti a disposizione della redazione si accorcia.
Cosa vuol dire essere responsive?
Il digitale si basa sulla conversazione con il lettore. I lettori, quando vengono sul sito e scelgono certi argomenti, è come se ti dicessero cosa vogliono. Sono indicazioni su cui lavorare per produrre storie in linea con i loro gusti.
Ma si potrà decidere di fare storie differenti, sganciate dal Seo?
Certamente sì, con il vantaggio che puoi sempre valutare le reazioni del tuo pubblico […] La responsabilità del coordinamento del Seo è del caporedattore centrale, Giancarlo Mola, e del suo ufficio, che è il fulcro di tutto il lavoro redazionale, di tutta la macchina. Sono un gruppo di undici persone, a cui l’unità Seo riverserà tutte le informazioni da utilizzare per indirizzare il lavoro delle redazioni. Questa è la parte più innovativa, quasi avveniristica. Il miglioramento della qualità dell’analisi è in accelerazione, i dati che oggi riceviamo dal Seo sono molto più sofisticati di quelli che ricevevamo sei mesi fa, o addirittura tre mesi fa”.
(per provare a comprendere un po’ di più dell’esposizione e dell’idea di Molinari si deve presumere che faccia forse un po’ di confusione sulle dinamiche della tecnologia e sui termini: e che quando parla di “Seo” – ovvero l’ottimizzazione dei contenuti per farli comparire nelle prime posizioni sui motori di ricerca – intenda invece riferirsi ai dati analitici sul traffico e sul comportamento dei lettori; ma anche l’uso del termine “responsive” sembra diverso da quello che gli viene abitualmente attribuito; ambiguità che sembrano entrambe condivise dal giornale che lo intervista).
Infine, ma questo è probabilmente più apprezzato da buona parte della redazione, Molinari sembra tornare sui suoi passi sul rivendicato allontanamento di Repubblica dall’identità di quotidiano dei progressisti italiani: “Le mail e le lettere che ci scrivono i lettori ci chiedono di diventare un punto di riferimento per ricostruire il fronte progressista”.
domenica 30 Ottobre 2022
C’è una strana contraddizione nei criteri con cui molte persone esprimono il proprio giudizio sul valore dei prodotti culturali, e giornalistici. Da una parte c’è una richiesta diffusa di una maggior “qualità” dei suddetti prodotti, che si emancipi dai successi di numeri, vendite, pubblico: nel caso dei giornali si chiede che non cerchino clic, traffico, lettori, generando un peggioramento della loro informazione; nel caso dei programmi televisivi giornalistici (o no) si chiede che non siano dipendenti dallo share o dall’attrattiva facile e mediocre. E si condannano editori, direttori, giornalisti, che producano informazione con le priorità di tenere alti i numeri, usando mezzucci o falsificazioni. Dall’altra, però, spesso le stesse persone usano i risultati quantitativi come criterio di giudizio e condanna degli stessi prodotti: se un giornale vende poco, se un programma tv chiude, se un film è un “flop”, questi fallimenti sono usati per screditare la loro qualità. Ai talk show si rimprovera di essere divenuti passerelle di litigiosi personaggi da circo, ma quando non lo sono e chiudono per bassi risultati ricevono lo stesso critiche per quello (o rallegrate prese in giro per la loro sconfitta). Come tutti sanno ci sono sì progetti giornalistici di qualità che sanno avere successo di vendite e lettori, ma il successo di vendite e lettori non lo ottengono solo i progetti giornalistici di qualità. Se un giornale va male, non è necessariamente perché è un cattivo giornale.
Fine di questo prologo.
domenica 23 Ottobre 2022
Tra dieci giorni uscirà in libreria il quarto numero della rivista del Post “Cose spiegate bene”, che è già disponibile per gli abbonati, a cui il Post offre la spedizione gratuita a casa nelle due settimane che precedono l’uscita: offerta che per i precedenti numeri ha generato circa il 20% delle vendite complessive. Nell’annunciarlo , il Post ha informato che dal 2023 la rivista avrà uscite regolari e più frequenti.
domenica 23 Ottobre 2022
La settimana scorsa abbiamo attribuito alla redazione del Corriere della Sera la protesta che invece riguardava i dipendenti dell’azienda editoriale a cui il Corriere appartiene. Doppie scuse.
domenica 23 Ottobre 2022
Abbiamo verificato che per alcuni destinatari di questa newsletter c’è un malfunzionamento dei link diretti verso Twitter che impedisce di visualizzare i tweet linkati: scusateci, faremo in modo di aggirare il problema d’ora in poi.
domenica 23 Ottobre 2022
Questa settimana la ” rubrica Bonomi ” – il format di articolo dedicato a dichiarazioni qualsivoglia del capo di Confindustria, editrice del giornale – è stata pubblicata sul Sole 24 Ore mercoledì , giovedì , venerdì e sabato .
In questo genere di sovrapposizioni tra contenuti del giornale e relazioni con l’editore, Repubblica ha ospitato venerdì nelle pagine della Cultura un lungo testo firmato dal padre del suo editore (già assiduo collaboratore della Stampa , dove queste relazioni erano più abituali e la presenza della proprietà più disinvolta da sempre).
domenica 23 Ottobre 2022
Un piccolo sviluppo di recenti tensioni tra la redazione del Corriere della Sera e il suo editore permette di mostrare una specifica priorità di quell’azienda verso un modello di ricavi ancora basato molto sulla pubblicità. Il direttore Luciano Fontana, scrive il sito Professione Reporter , avrebbe rassicurato la redazione sul fatto che l’assorbimento di giornalisti dalle edizioni locali dentro la società del Corriere non deve far preoccupare che poi l’aumentato numero di giornalisti sia usato dall’azienda per proporre riduzioni dell’organico.
Ma tra le ragioni proposte dal direttore per spiegare questa scelta – ragioni con tutta probabilità suggerite dall’editore – “Fontana ha detto al
Cdr che l’inserimento delle redazioni locali nel Corriere potrà accelerare la transizione digitale del giornale e consolidare la sua leadership: gli abbonamenti digitali collegati ai dorsi sono stimati al 15% del totale e il traffico, che durante la pandemia è raddoppiato e nell’ultimo anno è cresciuto del 33%, ha ampi margini di crescita. In secondo luogo, aumenteranno le copie di carta assegnate direttamente al Corriere “.
Insomma, si direbbe che l’accorpamento delle due società sia stato deciso per poter sommare e presentare agli inserzionisti dei numeri maggiori di visite sul sito e di abbonamenti “assegnati al Corriere “: a conferma che – così come avviene per le tante offerte scontatissime di abbonamenti digitali – l’editore del Corriere della Sera Urbano Cairo (imprenditore di riconosciute grandi capacità di venditore di pubblicità)
continui a dare la maggiore importanza all’attrattiva pubblicitaria del giornale.
domenica 23 Ottobre 2022
Il Post ha pubblicato in italiano il ritratto del Washington Post di Mathias Döpfner, capo della grande multinazionale dell’editoria tedesca Axel Springer, che avevamo citato su Charlie.
domenica 23 Ottobre 2022
Venerdì i giornalisti di Repubblica hanno pubblicato sul quotidiano e sul sito un lungo e polemico comunicato: a differenza di altri comunicati sindacali o dei Comitati di redazione – spesso fumosi o allusivi, dedicati a confronti con l’azienda più che a farsi comprendere dai lettori – questo era piuttosto concreto e ricco nelle sue contestazioni. Ma prima di spiegarlo bisogna che descriviamo un momento il contesto di Repubblica: i lettori di Charlie non sono ignari delle sue difficoltà per via degli impressionanti cali di diffusione del giornale che citiamo ogni mese quando parliamo dei dati dei quotidiani, ma la storia è molto più ampia.
Comincia dallo storico passaggio di proprietà del gruppo GEDI, editore di Repubblica e della Stampa, tra le altre cose: tre anni fa. Non un semplice cambio di editore, ma il passaggio del giornale più grande e influente della sinistra italiana a un gruppo industriale multinazionale enorme, che per una gran parte della sinistra suddetta è sempre stato nel peggiore dei casi un odiato nemico, o nel migliore dei casi un avversario con cui mantenere educati rapporti. E il nuovo editore non dice, come spesso capita in questi casi, “non cambierà niente, l’identità del giornale va conservata”; ma per bocca del nuovo direttore, giornalista di stimato curriculum ma che ha anche dimostrato grande complicità con l’editore negli anni precedenti, fa sapere che Repubblica diventerà un’altra cosa, non rivolta solo a lettori progressisti, in competizione con il Corriere della Sera sui lettori di ogni orientamento politico.
La scelta diventa presto palese in molte parti del giornale (nuovi collaboratori con posizioni meno progressiste, l’abbandono di autori storici e identitari del giornale, opinioni che spiazzano molti lettori, grande spazio alle ragioni promozionali delle aziende collegate al nuovo editore), e genera rapidamente un cospicuo calo di vendite e di visite: Repubblica è ormai enormemente staccata dal Corriere della Sera per diffusione del giornale, ed è stata superata anche sul web.
Dapprima editore e direttore ostentano indifferenza, lasciando capire che un piano lungimirante di ripensamento del giornale implichi inevitabilmente dei sacrifici durante la transizione, ma nel frattempo i tratti della transizione e della lungimiranza non appaiono molto chiari: né dal punto di vista del prodotto editoriale e dei suoi contenuti né dal punto di vista dell’innovazione, malgrado una predicazione di “digital first” che era apparsa già comunque datata, al suo tornare slogan nel 2020. L’unico intervento più visibile è commerciale, con la costruzione di sezioni “verticali” tematiche pensate per vendere più facilmente la pubblicità, e le esigenze pubblicitarie che sembrano contaminare maggiormente alcune scelte del giornale.
E così, malgrado l’editore abbia interessi industriali su scale straordinariamente superiori a quella di un gruppo di giornali italiani, e malgrado l’opinione di alcuni che l’acquisto e “irregimentazione” del giornale che in Italia poteva essere più critico nei confronti di alcune sue scelte nazionali sia un risultato soddisfacente, prima dell’estate di quest’anno qualche preoccupazione sulle prospettive comincia a essere discussa non solo nelle redazioni: in solo un anno e mezzo il giornale ha perso il 28% delle copie vendute in edicola e il 21% di quelle digitali non scontate. E malgrado le complicazioni contemporanee del business dei giornali abbiano aspetti economici e culturali molto meno semplici e molto più globali di così, riprende qualche vigore una corrente di pensiero per cui il problema di Repubblica sarebbe l’aver abbandonato la sua vecchia identità e che la soluzione possa essere “tornare alla vecchia Repubblica “. E per questa corrente di pensiero la scelta più a portata di mano potrebbe essere di dare la direzione del giornale a Massimo Giannini, giornalista molto fedele a quella vecchia impostazione che ora ha trasferito alla Stampa , di cui è direttore da due anni (e dove pure ci sono tensioni sul lavoro in redazione): questi elementi spiegano come mai, nelle scorse settimane, siano circolate voci e ipotesi – anche forse fatte circolare – di sostituzione del direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che però sembrano lontane dalle intenzioni dell’editore (di cui è poco realistico un “ripensamento”, e meno ancora una disponibilità a una “restaurazione”). E che un annuncio di nuovi ruoli nella redazione da parte del direttore è sembrato ulteriormente ridimensionare.
E arriviamo infine al comunicato pubblicato venerdì (che arriva dopo una discussione interna che ha portato alle dimissioni del Comitato di redazione), che pone una serie di questioni puntuali ma che sono alimentate, e a loro volta alimentano, dal contesto generale descritto. I giornalisti di Repubblica protestano per come il giornale tradirebbe se stesso sui “diritti” rispetto ai contratti e per le ultime nomine, contestano la pretesa vaghezza del progetto sul giornale e criticano la stessa scelta del “digital first” – peraltro attuata a loro dire con risorse e visioni insufficienti – chiedendo che non sia trascurata la carta e sottolineando il “calo di copie in edicola”, e accusano l’azienda di indifferenza e indisponibilità.
“Non c’è più tempo. I giornalisti di Repubblica sono stanchi di promesse vaghe su risultati che non arrivano. Gli incontri estivi non hanno aperto strade da intraprendere insieme. Eppure il momento storico è tale da richiedere impegni concreti immediati. Siamo determinati ad alzare il livello dello scontro in mancanza di risposte adeguate. Ne va della nostra reputazione ed è nell’interesse dei lettori che ci danno fiducia”.
domenica 23 Ottobre 2022
È infine andato online Semafor , un nuovo giornale online americano di cui si parlava da diversi mesi (anche su Charlie ) per la fama dei due fondatori, per i loro annunci di esperimenti rivoluzionari e per i capitali raccolti per l’impresa. Il sito è partito subito con contenuti e articoli di attualità internazionale sostanziosi e interessanti, e con diverse newsletter, ma la cosa più proclamata e più commentata è un tentativo di innovazione nel formato degli articoli, che invece del consueto testo continuo li ripartisce in alcuni approcci distinti e riconoscibili. Un articolo del Post ha spiegato meglio tutta la questione delle sperimentazioni di questo genere.
domenica 23 Ottobre 2022
Il Manifesto è intervenuto venerdì sulla questione di cui sopra con un articolo molto polemico nei confronti dei siti che hanno adottato la scelta suddetta e dell’indulgenza del garante (l’esempio dell’edicola e del supermercato usato nell’articolo è fallace: avrebbe dovuto essere ” Nella vita reale sarebbe un po’ come andare in edicola, chiedere una copia del giornale ma per averla senza pagarla essere costretti a dire all’edicolante dove si abita, quale musica si ascolta o quali amici si frequenta”. Agli abbonati è infatti consentito di non accettare i cookie di profilazione).
” La risposta? Il garante della privacy ha scritto che “la normativa europea sulla protezione dei dati personali non esclude in linea di principio che il titolare di un sito subordini l’accesso” all’accettazione di quei cookie. Di quel cookie wall .
Per il garante va bene così insomma: si può fare. Salvo poi chiudere le poche righe di comunicato, con una frase che suona decisamente in contrasto con quelle precedenti: “… tuttavia apriremo una serie di istruttorie per accertare la conformità di tali iniziative con la normativa europea”.
Indagheranno, insomma. Col tempo. E dire invece che si tratterebbe di un’inchiesta apparentemente piuttosto facile.
Basterebbe fare un salto sul sito dell’European Data Protection Board (l’EDPB) che, vale la pena ricordarlo, è la massima autorità di vigilanza del vecchio continente e alle sue decisioni debbono attenersi tutti gli enti nazionali di garanzia”.
domenica 23 Ottobre 2022
Diversi siti delle maggiori testate giornalistiche – quelli del gruppo GEDI ( Repubblica , la Stampa , e diversi quotidiani locali), quello del Fatto , tra i molti: e altri li stanno per seguire – hanno introdotto nelle scorse settimane una novità nell’accesso alle proprie pagine: un messaggio che chiede al visitatore che non sia abbonato di abbonarsi o di accettare cookie o altre tecnologie di profilazione destinate a proporgli pubblicità più personalizzate per poter accedere a tutte le pagine del sito (nel caso di GEDI anche alle homepage).
La scelta è anomala e rischiosa. In generale, si tratta di un modo di rendere “non gratuite” anche le pagine disponibili a chi non è abbonato: ovvero di imporre un secondo paywall intorno al primo. I contenuti dietro il primo paywall “interno” sono disponibili solo a chi paga un abbonamento, quelli dietro il secondo più esterno sono disponibili solo a chi paga un abbonamento o a chi consegna i propri dati di navigazione attraverso i cookie.
L’obiettivo, per i siti che hanno attivato questa procedura, è di costringere gli utenti ad accettare la profilazione attraverso i cookie per poter vendere meglio la propria pubblicità agli inserzionisti: ottenere insomma quello su cui finora tutti i siti web si limitavano a chiedere un sì o no, ma adesso escludendo la possibilità del no. Chi non accetta non può accedere alle pagine gratuitamente. Che in termini logici ed etici non è necessariamente criticabile, benché anomalo: i giornali sono nel loro diritto di vedere pagato quello che producono e “vendono”, in un modo o nell’altro, come qualunque attività commerciale.
Il problema però è che la legittimità di questa scelta è piuttosto discussa e dubbia, e secondo molti non rispetta le linee guida del garante della privacy: per le quali non sarebbe possibile vincolare la scelta sul consenso ai cookie al pagamento di un abbonamento, come fanno ora esplicitamente questi siti. Il Post ha raccontato implicazioni e complicazioni dell’iniziativa, e venerdì il garante ha annunciato di avere “aperto un’istruttoria”, pur con premesse indulgenti (la sensazione è che una scelta così estesa e drastica da parte di tante aziende giornalistiche non sia avvenuta senza garanzie o rassicurazioni di una sua capacità di sopravvivere a un giudizio, magari con qualche contenuta richiesta di compromesso).
domenica 23 Ottobre 2022
C’è stato un incidente giornalistico piuttosto grave in India, che si trascina ormai da due settimane: la sua gravità è legata a un problema di credibilità dell’informazione nel paese in un momento in cui la partigianeria politica sta molto indebolendo le dinamiche democratiche e c’è molta sfiducia nei giornali. The Wire è un giornale online che ha soli sette anni – è nato descrivendosi come un progetto giornalistico indipendente in opposizione al grosso dell’informazione indiana troppo legato a poteri politici o economici – ma è già diventato molto importante e seguito. Dal 6 ottobre scorso ha pubblicato una serie di articoli che accusavano Meta – la società di Facebook e Instagram – di applicare ad alcuni politici nazionali un sistema di esenzione dalle regole sui post pubblicati (sistema di cui era stata a suo tempo raccontata l’esistenza come esperimento mai applicato) e anche di ottenere la censura di post altrui saltando i normali processi di segnalazione. Meta aveva immediatamente negato sostenendo che i documenti e le testimonianze citate da The Wire fossero falsi, ma il giornale aveva confermato tutto e fornito ulteriori documenti sui tentativi di Meta di individuare come la notizia fosse circolata. Nei giorni successivi c’era stato un intenso scambio di accuse, e molte attenzioni sulla polemica da parte dei media internazionali più abituati a standard di credibilità giornalistica, di quelli che rendono molto scandalose le accuse contro The Wire . Che martedì scorso, cancellando le sue posizioni precedenti, ha dovuto ammettere di stare rivedendo la credibilità della sua inchiesta, e tutto ormai sembra confermare che il giornale sia stato scellerata vittima di una falsificazione, i cui responsabili originali sono ancora tutti da individuare. Ma lo screditamento del giornale è divenuto immediatamente occasione di attacchi da parte dei politici che negli anni passati avevano avuto già tensioni con i mezzi di informazione.
domenica 23 Ottobre 2022
L’editore Mondadori sta vendendo Grazia , uno dei settimanali storici dell’editoria italiana e tuttora uno dei più venduti, con una diffusione di 124mila copie secondo gli ultimi dati ADS, diretto oggi da Silvia Grilli. L’operazione sta dentro un processo – che abbiamo raccontato in passato su Charlie – per cui Mondadori ha deciso da qualche anno di concentrare le sue attenzioni sui libri e liberarsi degli interessi sui giornali: ci sono state già molte cessioni di testate meno robuste, adesso restano in Mondadori soprattutto le due di maggior successo, Sorrisi e canzoni e Chi (rispettivamente 373mila e 150mila copie di diffusione).
Giovedì Mondadori ha annunciato una trattativa con il grosso gruppo editoriale francese Reworld per vendere Grazia e Icon (ex mensile di moda maschile che ora esce in sette numeri l’anno). Entrambi hanno anche diverse edizioni internazionali di cui Mondadori cede la licenza a editori stranieri.