Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 20 Novembre 2022

Il maggior finanziatore

A questo proposito, vale la pena segnalare l’investimento eccezionale fatto in queste settimane dall’azienda piemontese di gioielli Giorgio Visconti, che ha una pagina della stessa pubblicità su Corriere della Sera Repubblica quasi quotidianamente da almeno un mese (e se non ci è sfuggito qualcosa, non ne ha ottenuto altro che qualche segnalazione sul magazine Io Donna del Corriere ).


domenica 20 Novembre 2022

Due per uno

In rappresentanza delle “contiguità” tra spazi pubblicitari e contenuti redazionali sui maggiori quotidiani (soprattutto sui primi due, sui quali in tempi di crisi degli investimenti pubblicitari si concentra il grosso delle inserzioni) questa settimana ci limitiamo a citare un articolo, sabato, di una pagina intera su Repubblica molto celebrativo del brand di cashmere Falconeri, a poche pagine di distanza da una pubblicità del brand di cashmere Falconeri (che era stato presente sul quotidiano con altre pubblicità per diversi giorni). E un articolo sul festival dell’associazione Altroconsumo sul Corriere della Sera, pubblicato all’indomani di una pagina pubblicitaria comprata dall’associazione Altroconsumo sul Corriere della Sera . E un articolo di gran promozione dell’azienda Lenovo sul Corriere della Sera, sempre sabato, una settimana dopo una pagina pubblicitaria dell’azienda Lenovo sul Corriere della Sera.
Infine, un articolo per descrivere il ruolo di ENI nella “sicurezza energetica europea” del Corriere della Sera, martedì: con ENI che in queste settimane è inserzionista fisso di un grosso numero di quotidiani, Corriere della Sera compreso.


domenica 20 Novembre 2022

Critiche per GEDI anche a est

La redazione del Piccolo di Trieste ha pubblicato un comunicato molto polemico contro la proprietà del giornale (l’editore GEDI, che pubblica diversi quotidiani del Nordest, oltre che Repubblica , la Stampa e il Secolo XIX ), nell’occasione della fiducia per la nuova direttrice Roberta Giani (è pratica consueta che le redazioni votino la loro approvazione di nuovi direttori o direttrici scelti dagli editori), che succede a Omar Monestier, morto lo scorso agosto.

” La direzione si troverà a gestire un’accelerazione sul digitale, che è stata più volte annunciata dall’editore con toni trionfalistici, senza tuttavia che siano derivati investimenti e revisioni organizzative conseguenti, che accompagnassero la creazione del nuovo sito del Piccolo e degli altri giornali locali del gruppo. E nemmeno sono emerse parallele strategie di vendita e promozione, volte a contrastare il calo costante della diffusione del giornale di carta, dovuto alla profonda crisi dell’editoria, alla chiusura delle edicole e alla scelta di disinvestire sulle risorse umane, al contrario di quanto stanno facendo all’estero testate di successo, che puntano il proprio rilancio sulla qualità dei contenuti.

L’editore chiede ai suoi giornalisti di difendere il ruolo dei quotidiani cartacei e affiancare un impegno sempre maggiore sul web, ma ciò non corrisponde a un rafforzamento delle redazioni. I redattori, i colleghi poligrafici e i collaboratori vengono considerati anzi come un costo da tagliare e sono oggetto di un ridimensionamento che dura da vent’anni. Per chi resta e per i pochissimi nuovi assunti ne derivano ritmi sempre più pressanti, a discapito della qualità del lavoro giornalistico e quindi del prodotto destinato ai lettori.

Nonostante le difficoltà, tuttavia, il Piccolo ancora oggi è in grado di portare utili all’editore, grazie alla diffusione delle copie (cartacee e digitali) e alla raccolta pubblicitaria. I carichi di lavoro richiedono però al corpo redazionale sforzi quotidiani e generosi, che si traducono nel ricorso endemico al lavoro straordinario, retribuito con forfait inadeguati e non dignitosi, ben al di sotto della retribuzione oraria prevista dal contratto nazionale. Ne deriva uno svilimento del valore e del ruolo della professione giornalistica, come emerge anzitutto dal trattamento riservato ai collaboratori, precari e sottopagati”.


domenica 20 Novembre 2022

Sorvegliare e qualche volta punire

La punizione dei singolari e occasionali responsabili non è mai il fattore che risolve guai e problemi estesi e legati a consuetudini da cambiare, in nessun contesto. Meno che mai negli errori e nelle colpe dei giornali, che spesso sono il risultato di contesti e di modi di fare le cose diffusi, avallati e tramandati. Ma dove invece i contesti hanno standard più alti diventa utile ed esemplare sanzionare gli sbagli, soprattutto quelli che hanno conseguenze rilevanti.
La rete televisiva americana NBC News ha sospeso un suo giornalista che aveva raccontato una versione falsa, basata su informazioni non verificate e inesatte, dell’attentato contro il marito di Nancy Pelosi, speaker Democratica uscente alla Camera degli Stati Uniti. Da quel racconto, di una situazione assai meno pericolosa di quello che era stata in realtà, sono state costruite invenzioni complottarde e diminuzioni della gravità dell’aggressione da parte dei nemici di Pelosi.


domenica 20 Novembre 2022

Una donna e inglese al Wall Street Journal, si dice

Tra gli addetti ai lavori è stata presa molto sul serio l’ipotesi – raccontata dal sito Semafor – di una prossima sostituzione del direttore del Wall Street Journal, Matt Murray, con Emma Tucker che ora dirige il Sunday Times , ovvero l’edizione domenicale del quotidiano londinese Times . L’ipotesi non è nuova, ha spiegato l’esperto di media Joe Pompeo su Vanity Fair : di Tucker – che è inglese, ha 56 anni e prima del Times è stata a lungo al Financial Times – a dirigere il Wall Street Journal si era già parlato cinque anni fa quando poi fu scelto Murray.
Il Wall Street Journal è uno dei quotidiani più importanti e autorevoli del mondo: la sua sede centrale è a New York ed è di proprietà di News Corp, il grandissimo gruppo del potente editore australiano Rupert Murdoch che possiede appunto anche il Times di Londra.


domenica 20 Novembre 2022

No news today

Con scelta dalle motivazioni moralmente apprezzabili ma giornalisticamente spiazzante, il Fatto ha comunicato ai suoi lettori che non riferirà in nessun modo dei Mondiali di calcio iniziati in Qatar.

” Domenica iniziano in Qatar i Mondiali di calcio e il Fatto Quotidiano informa voi, cari lettori, che per tutti i 29 giorni del torneo su questo giornale non comparirà un solo articolo, una sola riga, una sola parola sulle 64 partite in programma fino al 18 dicembre. Questa competizione sportiva per noi non esiste, non essendoci niente di sportivo: ed è indegno che i Paesi partecipanti, le loro federazioni e i loro governi (anche i nostri se ci fossimo qualificati), non abbiano battuto ciglio e siano stati zitti e complici da quando nel 2010 la Fifa assegnò l’organizzazione del torneo al Qatar dopo una gigantesca corruzione che, come il Guardian e France Football svelarono, vide tra i protagonisti il presidente francese Sarkozy, l’allora presidente della Uefa Platini – anche lui francese, in arresto per 24 ore nel giugno 2019 – e il principe ereditario del Qatar, ora emiro, Tamin bin Hamad al-Thani. Sarkozy, grazie al sì di Platini, che votò a sorpresa a favore del Qatar e contro gli Usa, barattò il Mondiale 2022 in cambio dell’acquisto, da parte del Qatar stesso, di armi francesi. Un “Qatargate” in piena regola con molti dirigenti del calcio mondiale, africani, asiatici, sudamericani ed europei letteralmente comprati dai soldi qatarioti. Sono passati 12 anni e almeno 6.500 migranti di India, Bangladesh, Sri Lanka e Nepal (ma sono di più: Filippine e Kenya non hanno fornito i dati) sono morti, per il caldo e le inumane condizioni di lavoro, nell’opera di costruzione degli stadi. Si gioca nel Paese della negazione dei più elementari diritti civili e umani. È una vergogna. Il Mondiale di calcio 2022 per noi non esiste”.


domenica 20 Novembre 2022

Per paura dei linotipisti

Da alcuni anni è in corso un grande ridimensionamento e ristrutturazione dei costi dei giornali di carta anche nel loro rapporto con le tipografie che li stampano: sia per la crisi di risorse economiche che impone risparmi e tagli, sia per gli aumenti recenti del costo della carta, sia per il calo delle copie vendute e distribuite alle edicole (con un circolo vizioso per cui meno copie vendute generano meno copie distribuite, e meno copie distribuite generano meno copie vendute).
La settimana scorsa il gruppo editoriale Athesis (che pubblica i quotidiani L’Arena , il Giornale di Vicenza BresciaOggi ) aveva annunciato il trasferimento per ragioni di costi della propria stampa in una nuova tipografia (che stampa già il Sole 24 Ore e il Giornale di Brescia ) e l’abbandono di quella tradizionale di proprietà del gruppo stesso. Nella stessa regione questa settimana è stato reso noto il trasferimento a un’altra tipografia della stampa dei quotidiani GEDI del Veneto, e la dismissione della tipografia attuale.


domenica 20 Novembre 2022

Che ne è di Buzzfeed

Lo racconta un lungo articolo sul sito americano The Verge , che ricostruisce fortune e sfortune del sito. E la storia ha anche a che fare con la questione Facebook qui sopra. Buzzfeed fu uno dei più grandi successi e innovazioni dell’informazione online, quando nacque 15 anni fa, come raccontammo (ma per la sua storia più completa suggeriamo di leggere il libro di Jill Abramson pubblicato in Italia da Sellerio):
” Buzzfeed è un grande sito di news americano con una storia ormai ricca: nacque individuando il potere di traffico e numeri – e ricavi pubblicitari conseguenti – di notizie virali, frivole, stupide, di liste qualunque e di gallery di sciocchezze; si diede una presentabilità investendo parte dei ricavi in una sezione di giornalismo di qualità e di inchiesta, Buzzfeed News; subì il declino dei ricavi pubblicitari; e ultimamente ha fatto notizia per avere acquistato lo Huffington Post: di cui Jonah Peretti, creatore di Buzzfeed, era stato cofondatore insieme ad Arianna Huffington”.

Scrive The Verge che anche quest’anno i bilanci di Buzzfeed saranno negativi, e che i suoi declini (nel frattempo ha chiuso Buzzfeed News ) si devono a una serie di cambiamenti negli algoritmi di Facebook che penalizzarono la diffusione dei contenuti “virali” di Buzzfeed , e alla concorrenza che nel tempo si è sviluppata nei confronti della sua idea originaria: il riciclaggio e circolazione di contenuti di quel genere pescati su Reddit o su altre piattaforme, a cui oggi le persone accedono direttamente sui social network e su TikTok in particolare.


domenica 20 Novembre 2022

Districarsi tra i numeri

Tra le molte cautele che ogni mese elenchiamo assieme ai dati di diffusione dei quotidiani (che sono dati comunque forniti dai giornali, pur con un sistema di controllo; che possono comprendere copie con circolazioni di natura e “peso” assai diversi, sia in termini di ricavi reali che di lettori reali), ce n’è una puntuale che ci è stata suggerita questa settimana, e che è difficile individuare nelle tabelle diffuse da ADS. Riguarda i quotidiani che fanno accordi con altri quotidiani – di solito di distribuzione regionale – per essere venduti assieme, in modo da raggiungere pubblici nuovi ma anche da aggiungere quote di copie al computo complessivo, e far crescere la propria attrattiva presso gli inserzionisti. Di questo tipo di accordi avevamo parlato a proposito del report annuale sulla distribuzione geografica della diffusione: ma hanno delle ricadute anche sui dati di diffusione mensili, che comprendono anche le copie che il quotidiano X abbia regalato “in abbinamento” ai lettori del quotidiano locale Y, che hanno pagato – e quindi non è una copia “gratuita” – ma per due giornali al prezzo di uno.


domenica 20 Novembre 2022

Fare senza Facebook

Il disinvestimento di Facebook sulle news continua ad avere conferme, e per molte testate giornalistiche che negli anni passati avevano ricevuto sovvenzioni e aiuti al proprio traffico da parte di Facebook stessa non sarà indolore. Questa settimana si è saputo che tra i licenziamenti annunciati da Facebook una buona quota riguarda proprio le persone dedicate ad accordi e gestione dei rapporti con i giornali.


domenica 20 Novembre 2022

Roadshow

Il sempre maggiore potere delle concessionarie pubblicitarie dei maggiori quotidiani nel destinare articoli e pagine alle proprie attività (preziose per la sostenibilità economica dei quotidiani in questione) si esplicita non solo in spazi “giornalistici” che sono orientati e motivati dagli interessi degli inserzionisti, ma di recente anche in spazi “giornalistici” dedicati alla promozione delle concessionarie stesse. Da diversi mesi i lettori del Corriere della Sera sono abituati a trovare periodicamente sul giornale articoli dedicati a promuovere le opportunità pubblicitarie delle testate del suo editore, e ai “roadshow” relativi: è il termine con cui vengono un po’ pomposamente definiti gli eventi pubblici in giro per l’Italia dedicati appunto a convincere potenziali inserzionisti delle opportunità di comprare spazi pubblicitari sul Corriere della Sera , o su Oggi , o su altre proprietà di RCS e del suo editore Urbano Cairo. Di recente questo genere di promozione è apparso anche su Repubblica Stampa per mostrare i “roadshow” della concessionaria pubblicitaria Manzoni con dirigenti e direttori: con articoli che non hanno interesse giornalistico, né sono rivolti ai lettori, ma ricordano alle aziende le opportunità di promozione sui suddetti giornali.


domenica 20 Novembre 2022

Le donne sulla Stampa

Da quando è diretta da Massimo Giannini – dopo il cambio di proprietà dell’editore di GEDI e il trasferimento di Maurizio Molinari alla direzione di Repubblica – la Stampa è diventata il quotidiano che ospita il maggior numero di autrici sulla sua prima pagina, evidentemente una scelta. Questa settimana, per esempio, gli articoli firmati da donne sono stati la maggioranza sulla prima pagina giovedì, venerdì e sabato, e quasi in numero uguale a quelli firmati da uomini negli altri giorni: è una cosa che non avviene in questa misura su nessun altro dei quotidiani maggiori.


domenica 20 Novembre 2022

Condé Nast si butta sul cinema

Condé Nast è uno dei più importanti editori del mondo, possedendo testate con diffusioni internazionali e molte edizioni locali, e di grande fama e autorevolezza: Vanity fair Vogue Wired New Yorker GQ Architectural digest , tra le più note. Ciascuna di queste sta subendo da tempo in misure differenti le crisi di ricavi delle aziende giornalistiche, e reagendo in modi differenti: ma Condé Nast da qualche anno sta lavorando per ristrutturare e rendere più omogenee le reazioni e le risposte alla crisi. In un’intervista di questa settimana allo storico magazine specializzato di cose cinematografiche Hollywood reporter , il CEO di Condé Nast, Roger Lynch, ha spiegato l’ingente spostamento di priorità verso il video e lo sfruttamento dell’archivio di contenuti dell’azienda per produzioni televisive e cinematografiche. Per come la descrive Lynch una priorità di gran parte del lavoro delle redazioni di ciascuna testata dovrà essere dedicata a immaginare e preparare le possibili applicazioni in questa direzione dei contenuti e degli articoli. E a prevenire che storie giornalistiche prodotte all’interno dell’azienda diventino – come è successo finora – storie cinematografiche di successo fuori dal controllo dell’azienda stessa.

“Il video è uno dei settori a maggiore crescita del nostro business. È cresciuto del 30% circa negli scorsi anni. E nei prossimi ci aspettiamo che diventi grossomodo un terzo del nostro business, un terzo saranno i ricavi dai lettori, e un terzo le aree tradizionali della pubblicità. Questa è la nostra idea del mix che ci aspetta. La pubblicità su carta costituiva i due terzi dei ricavi dell’azienda sei o sette anni fa. Diventerà il 10% nei prossimi cinque anni, e questo lo mettiamo in conto; non significa che la carta sparirà, ma la quota di ricavi pubblicitari diventerà meno importante, che significa che dovremo avere un sostegno economico forte da parte dei lettori di testate come Vogue, New Yorker e Vanity fair.
Bisogna separare quello che vogliono i lettori da quello che vogliono gli inserzionisti, perché da parte dei lettori noi vediamo una domanda ancora forte per le riviste di carta. Ma la pubblicità su carta è in declino (in realtà quest’anno è cresciuta). Noi non pensiamo che sia un business sulla cui crescita scommettere. La gran parte dei nostri lettori è sul digitale, non sulla stampa. Non è la stessa cosa per tutte le testate, ma ci sono testate che hanno chiuso l’edizione di carta e diventate solo online che francamente hanno più successo ora, come Glamour”.


domenica 20 Novembre 2022

La mappa

Ricordiamo anche un’altra cosa, per lettori di Charlie più recenti: quando parliamo dei quotidiani italiani ci sono – tra la varietà di testate – due categorie tra cui dividere le testate nazionali. Un gruppo di quotidiani la cui priorità è dare delle notizie o delle informazioni o delle analisi che le redazioni ritengono interessanti per i lettori (a volte sbagliando, a volte con risultati insoddisfacenti, a volte con altre ragioni accessorie come quelle citate sopra), e un gruppo di quotidiani la cui priorità è condurre delle campagne dichiaratamente partigiane su una serie di temi “politici”, volte soprattutto a tenere coinvolti identitariamente i propri lettori, oltre che a mettere sotto pressione l’agenda politica nazionale. Come spiegammo già: e benché le due priorità non siano esclusive, si tratta proprio di due tipi di giornali diversi e non equiparabili (la differenza è visibilissima già dalla composizione e titolazione delle rispettive prime pagine: notizie o slogan), con dinamiche spesso differenti anche su alcune delle cose che descriviamo su Charlie.

“Ci sono quattro quotidiani cosiddetti “seri” (soprassediamo ora sulla qualità discontinua di questa serietà se confrontata con altri paesi paragonabili e con un’idea classica di rigore giornalistico): Corriere Repubblica , i due quotidiani maggiori in competizione tra loro da quarant’anni; la Stampa , terzo incomodo con le peculiarità di essere molto più radicato sulla sua regione degli altri due, e di essere entrato da pochi anni nello stesso gruppo editoriale di Repubblica; il Sole 24 Ore , in una sua partita autonoma definita dall’orientamento editoriale dedicato soprattutto ai temi economici, finanziari e normativi (provò dieci anni fa a mettersi più in competizione sui temi degli altri tre, con la direzione di Gianni Riotta, ma rientrò nei suoi ranghi rapidamente).

Poi c’è un secondo gruppo di quotidiani che invece si somigliano per un approccio più sfacciatamente fazioso, partigiano, aggressivo nel promuovere i propri contenuti e nel mobilitare i lettori contro diversi tipi di “nemici”: sono i tre nati dalla stessa costola – Giornale Libero Verità – e il Fatto (nella stessa categoria sta anche il Tempo di Roma, ma accantoniamolo in quanto locale, per quanto di località capitale)”.


domenica 20 Novembre 2022

Charlie, quello che è normale

Ci sono due modi per giudicare le cose che succedono in Italia. Uno è basarsi su criteri esterni e universali, e paragonarle con quello che succede in altri paesi con cui siamo abituati a sentirci “simili”: e nella maggior parte il risultato è piuttosto deludente. Un altro è farsi una ragione di un contesto e di una storia e di fattori che rendono implausibili quei paragoni, e concedere quindi ai limiti e alle inadeguatezze italiane alibi o scusanti maggiori, o persino rallegrarsi di successi visibili se confrontati con quelli di altri generi di paesi. Insomma, bicchieri mezzo vuoti o mezzo pieni.
Vale anche per i giornali: a volte qualcuno – a proposito, grazie a tutti: sembra che Charlie sia sempre più letto e familiare per molti, sia che siano lettori o giornalisti – a volte qualcuno, dicevamo, trova che su alcune cose segnalate da Charlie gli standard siano di troppe pretese, le asticelle troppo alte. Alcune anomalie che segnaliamo sono infatti condizioni abituali del lavoro giornalistico come lo concepiamo qui, e hanno ragioni culturali, storiche ed economiche che le spiegano. Ma questo non significa che non possa essere interessante o utile darsi dei modelli migliori per il ruolo dell’informazione come lo intendiamo: ovvero quello di far capire la realtà e di far funzionare affidabilmente le comunità rendendole più informate. Avendo questi obiettivi come priorità.
È quindi certamente “normale”, sì, per alcuni giornali italiani, che si diano pagine intere per più giorni alla settimana alla promozione delle aziende degli editori e ai loro interessi, e può darsi che i lettori ci siano abituati abbastanza da prenderle con la giusta consapevolezza e distacco. E sono “normali” gli spazi dati a dichiarazioni insignificanti o alle fotografie degli editori stessi, o ad articoli offerti alla celebrazione acritica degli inserzionisti e pubblicati senza nessuna trasparenza coi lettori. Per non dire di quanto siano “normali” le assenze di rigori di verifica e accuratezza tipici invece del giornalismo autorevole angloamericano. I giornali sono aziende private che decidono in autonomia quale servizio offrire. Ma è anche giusto raccontare che presso i quotidiani “seri” dei paesi democratici con cui ci confrontiamo si fanno le cose diversamente, in altri modi. Culture diverse, forse, o scelte diverse.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Novembre 2022

Sempre bene

Il quarto numero di Cose spiegate bene , la rivista del Post , è riuscito ancora ad avere una risposta iniziale molto buona in libreria, entrando al decimo posto nella classifica di vendite della saggistica (che non conteggia le migliaia di copie vendute agli abbonati del Post nelle due settimane precedenti all’uscita). Sabato prossimo alle 15 sarà presentato al festival milanese Bookcity con Giuliano Pisapia, Lisa Noja e Luca Sofri.


domenica 13 Novembre 2022

Le riviste su Amazon

Amazon ha un’offerta che si chiama Kindle Unlimited che riproduce sugli e-book il meccanismo di abbonamenti di piattaforme come Netflix o Spotify: in questo caso si pagano 9 euro e 99 al mese e si possono leggere tutti i libri che si vuole (l’accesso e il “possesso” dei libri si perde se si interrompe l’abbonamento).
Dell’archivio dei prodotti accessibili con l’abbonamento fanno parte anche molte riviste italiane , da Vogue Sorrisi e canzoni, alla Cucina italiana, a Grazia.


domenica 13 Novembre 2022

L’inchiesta sui prepensionamenti al gruppo GEDI

Quando ancora non si chiamava GEDI: Charlie ne aveva già scritto all’inizio dell’anno. L’inchiesta accusa alcuni dirigenti di allora del gruppo – editore di Repubblica Stampa, tra le altre cose – di avere falsificato negli anni passati (quando la sua proprietà era ancora della famiglia De Benedetti, prima che venisse ceduto a quella Agnelli-Elkann e che cambiasse nome) alcune pratiche amministrative per poter accedere a benefici fiscali e contabili da parte dell’INPS relativi a pensionamenti e rapporti di lavoro coi suoi dipendenti.

Questa settimana il Fatto e la Verità che già erano stati i principali divulgatori dell’inchiesta e delle sue carte allora, sono tornati a scriverne, con nuovi aggiornamenti e nuovi documenti ricevuti dall’inchiesta, comprese le trascrizioni di intercettazioni. L’accusa ipotizzata nei confronti di GEDI è di truffa ai danni dello stato per diversi milioni di euro (quanti di preciso non è chiarissimo: il Fatto parla di 22 milioni, la Verità di 38,9 milioni). Il Fatto ha spiegato in modo piuttosto chiaro i quattro meccanismi di frode di cui è accusato GEDI:

“demansionamenti fittizi dei dirigenti, per poterli far rientrare nelle categorie prepensionabili; riscatto fasullo di periodi contributivi, simulato con la complicità di funzionari Inps e la falsificazione dei libretti di lavoro; esuberi fittizi di dirigenti, messi alla porta con bonus pubblici e fatti rientrare dalla finestra come collaboratori; trasferimenti tra società interne al gruppo, per la Finanza simulati per far tornare requisiti mancanti”.

Il motivo per cui i due quotidiani sono tornati a scriverne giovedì è che nell’inchiesta sono indagate anche decine di ex dipendenti che secondo l’accusa andarono in pensione con questi espedienti: e da alcuni giorni l’INPS ha smesso di erogare la pensione a questi dipendenti, e a molti di loro ha chiesto di risarcire la somma delle pensioni percepite in questi anni, che nella maggior parte dei casi ammonta a centinaia di migliaia di euro. Il problema rilevato dai due giornali è che tra questi ci sarebbero anche persone che non erano al corrente di rientrare nell’ipotetico meccanismo fraudolento o non avevano alcun ruolo nella sua costruzione, che ora non sono in alcun modo in grado di restituire la somma richiesta, che non possono permettersi di rimanere senza pensione e che dicono di sentirsi a loro volta truffate. Il Fatto ha raccontato la storia di un ex poligrafico di GEDI a cui sono stati chiesti circa 306mila euro e a cui, senza avvisi che lo spiegassero, è stata congelata la pensione. La Verità ha altre due storie , sempre di ex poligrafici, a cui è stato chiesto di restituire rispettivamente circa 264 e 148mila euro. Anche Charlie ha raccolto la testimonianza di una persona ex dipendente di GEDI indagata nella stessa inchiesta: non le è ancora arrivato alcun avviso per il risarcimento, ma da novembre la sua pensione risulta “annullata”, stando alle indicazioni che ha ricevuto negli uffici pubblici. La condizione di questa persona è peraltro piuttosto particolare, dal momento che aveva effettivamente maturato i requisiti pensionistici (per farlo aveva persino riscattato tre anni di università, pagando all’epoca 72mila euro): sostiene quindi non solo di non essere stato al corrente della truffa, ma di non fare nemmeno parte dei casi descritti nelle accuse dell’inchiesta.

Sia il Fatto che la Verità sono tornati sulla storia sabato pubblicando stavolta i testi di alcune intercettazioni degli accusati e altri documenti dell’inchiesta (è comune che i quotidiani pubblichino parallelamente articoli simili sulle inchieste: a volte per accordo di collaborazione, a volte perché ricevono insieme gli stessi documenti giudiziari, meccanismo raccontato nel nuovo numero di Cose spiegate bene , la rivista del Post).


domenica 13 Novembre 2022

Cointeressenze

Sempre per le esemplari citazioni di articoli molto “indulgenti” che vengono pubblicati in concomitanza con le inserzioni pubblicitarie delle aziende oggetto degli articoli, una manciata di esempi di questa settimana:
pubblicità di Generali sul Corriere della Sera articolo su Generali sul Corriere della Sera;
pubblicità di Leonardo (con elicotteri) sul Corriere della Sera articolo su Leonardo (e sugli elicotteri) del Corriere della Sera;
pubblicità di un premio attribuito dalla Fondazione Veronesi sul Corriere della Sera articolo sul premio attribuito dalla Fondazione Veronesi sul Corriere della Sera;
pubblicità di un’iniziativa sul riciclo di Coca Cola sul Corriere della Sera articolo sull’iniziativa sul riciclo di Coca Cola sul Corriere della Sera ;
pubblicità di Generali su Repubblica articolo su Generali su Repubblica.


domenica 13 Novembre 2022

I conti di RCS e Sole 24 Ore

Due grossi editori di giornali hanno raccontato i loro risultati della fine del terzo trimestre del 2022. Una sintesi è stata pubblicata sui rispettivi quotidiani ( Sole 24 Ore Corriere della Sera ) ma bisogna tenere sempre presente che questo genere di articoli tende a confezionare i dati in modo da fare apparire solo quelli positivi. I comunicati sono un po’ più completi, anche se a loro volta dedicati a rassicurare i diversi interlocutori: trovate qui quello di RCS – editrice del Corriere della Sera – e qui quello del Sole 24 Ore.


domenica 13 Novembre 2022

Al posto giusto

Il nuovo parlamento ha formato le commissioni, come di consueto: della commissione Cultura del Senato, che si occupa anche di editoria giornalistica e quindi delle riforme che la riguardano, comprese quelle sui finanziamenti pubblici ai giornali, farà parte anche Antonio Angelucci, che oltre a essere senatore (adesso con la Lega) è l’editore dei quotidiani Libero TempoLibero riceve oltre cinque milioni annuali di contributi pubblici.


domenica 13 Novembre 2022

Forbes in vendita

Forbes è una storica rivista di economia americana, nata più di un secolo fa. Oggi esce in otto numeri all’anno per una ormai lunga crisi di ricavi, e anche la sua fama – in gran parte da sempre legata soprattutto all’attraente classifica delle persone più ricche del mondo – è molto appannata, con grossi dubbi sulla sua indipendenza da inserzionisti e sponsor. Ha molte edizioni internazionali, e quella italiana è pubblicata dallo stesso editore che ha comprato il settimanale L’Espresso dal gruppo GEDI.
Adesso la sua proprietà – un fondo di investimento con sede a Hong Kong – è in trattative per venderlo a un nuovo gruppo di investitori, dopo aver rinunciato a una quotazione in borsa programmata all’inizio dell’anno.


domenica 13 Novembre 2022

Altre cose sui numeri dei giornali

La sua newsletter della settimana scorsa “per aiutare a capire come la tecnologia sta trasformando continuamente le industrie dei media”, Lelio Simi l’ha dedicata a un po’ di analisi, spiegazioni e dati ulteriori sulle metriche dei risultati dei quotidiani.

“Gli analisti dei dati, oggi figure chiave in molte redazioni, preposti a far crescere gli abbonamenti guarderanno principalmente le “metriche di qualità” relative alle subscription (ad esempio: nuovi abbonati digitali, tassi di fedeltà o di abbandono, quanto un singolo articolo o tematica hanno generato nuovi abbonati), la parte marketing quelle “quantitative” (numero lettori nel giorno medio, impression, clic) e i giornalisti faranno attenzione alle cosiddette vanity metrics (pubblicazione nella prima pagina o nella home page dei loro articoli, citazioni nelle rassegne stampa o numero delle condivisioni sui social)”.


domenica 13 Novembre 2022

I quotidiani a settembre

Sono stati pubblicati martedì scorso i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di settembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui , da cui si vedono, rispetto al mese di agosto, cali di diffusione per quasi tutti: le eccezioni sono ancora il Corriere della Sera , poi la Stampa e soprattutto Avvenire (e il Sole 24 Ore con un dato pressoché immutato). I cali maggiori, sportivi a parte, riguardano Messaggero Nazione Resto del Carlino .

Se guardiamo sulle stesse tabelle invece i più indicativi confronti con l’anno precedente, a cavarsela bene sono il Corriere della Sera e il Fatto , e ancora la Verità . Mentre Repubblica perde il 13% e la Stampa il 9%: la Nazione e il Giornale sono gli altri che vanno peggio, perdendo il 10%. Il Corriere non è mai stato tanto vicino a dichiarare il doppio di copie di Repubblica . Ma ci sono delle spiegazioni di questi rari “successi” che spieghiamo sotto.

Come facciamo ogni mese, consideriamo però un altro dato che è più indicativo rispetto alla generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato meno “dopato” e relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e pagare il giornale. Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa ):
Corriere della Sera 188.598 (-1%)
Repubblica 116.198 (-17%)
Stampa 81.876 (-10%)

Resto del Carlino 62.294 (-8%)
Sole 24 Ore 60.108 (-10%)
Messaggero 53.618 (-11%)
Fatto 45.900 (-8%)
Nazione 41.099 (-12%)
Gazzettino 37.615 (-8%)

Giornale 31.507 (-12%)
Verità 29.259 (+2%)
Altri giornali nazionali:
Libero 21.655 (-1%)
Avvenire 16.572 (-5%)
Manifesto 13.680 (+1%)
ItaliaOggi 9.165 (-7%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

La ragione per cui in questa lettura anche il Corriere è in perdita e il suo vantaggio su Repubblica appena un po’ meno spettacolare – è che rispetto a un anno fa ha aggiunto più di 10mila copie alla colonna delle “copie digitali vendute a meno del 30%” del loro prezzo – copie che qui non conteggiamo -, dato legato alla grande campagna di sconti e offerte sui propri abbonamenti digitali. Lo stesso vale per il Fatto , che ne ha aggiunte quasi 5mila, e anche la crescita della Verità si è quasi arrestata: quella del dato di diffusione complessivo include infatti circa 3mila copie ugualmente scontatissime. La competizione tra i tre quotidiani del centrodestra, dopo molte sovversioni negli ultimi due anni, vede il Giornale avanti ma con un vantaggio assai assottigliato sulla Verità , e Libero staccato ma in piccola attenuazione del declino.

Tra i quotidiani locali le perdite maggiori sono quelle della Nazione e del Piccolo (-12%) e del Tirreno e del Messaggero (-11%), ma nessuno va meglio di una perdita del 7% rispetto a un anno fa.

Avvenire, Manifesto, Libero ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)


domenica 13 Novembre 2022

E i tabloid?

La gran parte dei giornali si è mossa – ha dovuto – nella direzione detta, ma non tutti. Le eccezioni sono soprattutto di due categorie: tra i giornali nativi online, resistono ancora all’introduzione di progetti di pagamento alcuni siti che si sentono più insicuri sui criteri che abbiamo citato (contenuti competitivi, identità forti, lettori devoti e motivati) e che devono i loro risultati economici soprattutto a una capacità di attrarre grandi numeri di visite e quindi ricavi pubblicitari ancora sufficienti; tra le testate più tradizionali la stessa debolezza è invece propria soprattutto dei tabloid più popolari e di minor qualità, capaci a volte di grandi diffusioni e grandi numeri di click online, ma senza un sufficiente pubblico di estimatori disponibili a sostenere il loro lavoro pagando e senza contenuti particolarmente differenti da quelli diffusi dai concorrenti maggiori e da mille altri prodotti online. E quindi in difficoltà nell’introdurre meccanismi di pagamento da parte dei lettori.

Soprattutto per quelli britannici (dove la tipologia del “tabloid” ha più storia e più diffusione) il modo più proficuo per attenuare questo limite è – spiega un articolo del sito PressGazette – approfittare della lingua ed estendere i numeri del proprio traffico al mercato statunitense e internazionale. È quello che ha fatto le fortune del Daily Mail (ma anche di quotidiani di qualità come il Guardian ) e verso cui si vogliono indirizzare anche gli altri.
E con questo approccio sono in ballo alcuni nuovi progetti online che vogliono replicare le fortune tradizionali dei tabloid di bassa qualità, sensazionalismo, gossip, giustizialismo e populismo, nel nuovo contesto digitale. Ci stanno lavorando – dice ancora PressGazette – alcuni dei più noti (e famigerati) ex responsabili di testate simili: Kelvin McKenzie, che fu direttore del Sun al massimo dei suoi successi negli anni Ottanta e Novanta; Martin Clarke che ha da poco lasciato la direzione del Daily Mail ; Jimmy Finkelstein, ricco ex editore del sito americano The Hill.


domenica 13 Novembre 2022

Breve riassunto propedeutico

I lettori di Charlie conoscono lo sviluppo che è stato il protagonista delle vicende dei giornali di tutto il mondo degli ultimi cinque-sei anni: ovvero lo spostamento delle priorità – nella ricerca della sostenibilità economica – dai ricavi pubblicitari in declino a quelli ottenuti dai lettori paganti, tornati in una qualche misura promettenti. La misura del ripensamento è stata diversa per ciascun giornale, e le possibilità di riuscita nell’acquisire disponibilità a pagare e abbonarsi da parte dei lettori dipendono principalmente da due fattori: la capacità di offrire contenuti concorrenziali, di cui non ci siano altre offerte competitive, magari gratuite (che non significa necessariamente contenuti “di qualità”, ma anche che soddisfino richieste identitarie o politiche dei lettori, o qualunque tipo di “domanda” che non ha altra offerta); e la credibilità e fiducia da parte di una comunità di lettori, che siano solide abbastanza da aumentare la disponibilità alla partecipazione, al sostegno, al pagamento.
Questo contesto spiega le scelte, gli approcci e i diversi risultati da parte dei giornali di tutto il mondo nel costruire sistemi di pagamento da parte dei lettori, paywall, messaggi e comunicazioni, e anche nell’orientare la propria produzione giornalistica.


domenica 13 Novembre 2022

Charlie, buone lezioni senza approfittarne

Di recente tra chi si occupa delle prospettive delle aziende giornalistiche in tutto il mondo si è cominciato a discutere se il New York Times sia ancora da considerare “un giornale” o piuttosto un fornitore di servizi diversi, dall’informazione all’intrattenimento, ai consumi commerciali, ai servizi tecnologici. Ed è vero che – costretti dalla ricerca di nuove fonti di ricavo – molti giornali in tutto il mondo da anni diversificano le loro attività, allontanandosi anche molto dal core business dell’informazione (da noi il Corriere della Sera vende biciclette tavolini pieghevoli ), e trasformando in un’opportunità promozionale e distributiva il proprio capitale di lettori.
Tra le attività esterne che conservano una relazione con il lavoro e il know-how giornalistico ci sono quelle di “formazione”: lezioni, corsi, speech, seminari, workshop, conservano senz’altro un obiettivo di “informazione” e sfruttano le conoscenze giornalistiche, e ce n’è una crescente domanda che ha spinto molte aziende a investirci e a creare progetti: in alcuni casi anche molto costosi e remunerativi (i prezzi sono raramente esplicitati pubblicamente, con riservatezza sospetta), proprio perché la domanda, in gran parte da parte di partecipanti giovani in cerca di futuri professionali, è alta. Questa settimana anche il 
Fatto ha presentato la sua “scuola”, “un ramo aziendale dedicato alla formazione”. Sono modi di variare le possibilità di ricavo da parte dei giornali, e offrono conoscenza a chi si iscrive: l’unica cosa a cui stare attenti e su cui prendersi delle responsabilità, è di non dare speranze sproporzionate a chi – soprattutto tra i giovani – si disponga a pagare cifre impegnative sperando che si traducano in opportunità. Come ha detto a Charlie un giornalista di una testata che ha costruito una propria struttura “educativa” efficiente e remunerativa: «mi chiedo se non stiamo illudendo dei futuri disoccupati».

Fine di questo prologo.


domenica 6 Novembre 2022

Un altro promemoria

Sabato prossimo alle 12 Francesco Costa sarà poi col direttore del Post Luca Sofri al Circolo dei lettori di Torino per l’ormai tradizionale racconto sull’informazione I giornali, spiegati bene.


domenica 6 Novembre 2022

Un promemoria

Questa settimana tra le altre cose, nel podcast Morning per gli abbonati del Post , Francesco Costa ha descritto i comportamenti competitivi dei quotidiani sulla paternità di certe notizie. Morning, se vi interessano le cose sui giornali che racconta Charlie, è sempre un complemento prezioso.


domenica 6 Novembre 2022

A Varese

Da venerdì a domenica si tiene a Varese una nuova edizione di Glocal , uno dei pochi convegni italiani sul giornalismo capaci di attenzioni al cambiamento e all’innovazione, grazie a una accorta scelta di ospiti : non solo i più famosi (ma c’è anche una quota autorevole di direttori e vicedirettori) ma spesso i più attenti a cosa sta succedendo nell’informazione o interpreti di esperimenti interessanti.


domenica 6 Novembre 2022

Virgolette

Nel quotidiano groviglio tra azioni e reazioni che connettono la politica e l’informazione italiana (i giornali reagiscono a cosa fanno i politici, i politici reagiscono a cosa fanno i giornali, e si perde un inizio del circolo, vizioso o virtuoso che sia) c’è stato un discusso caso all’inizio della settimana che ha avuto come protagoniste le pratiche di titolazione frequenti dei quotidiani: lo ha raccontato e commentato il direttore del Post sul suo blog.

“Sono anni che i peggiori ciarlatani o furfanti della politica italiana possono accusare i giornali che li criticano di dire cose false, di essere in cattiva fede, e possono screditare in sommarie generalizzazioni anche le fondatissime accuse contro di loro”.


domenica 6 Novembre 2022

Notizie che non lo erano

Paolo Attivissimo , giornalista della Radio Svizzera che si occupa spesso di verificare notizie dubbie che circolano sui mezzi di informazione, ha raccontato sul suo blog un caso interessante di questo genere: la notizia che torna in circolazione ciclicamente come se fosse nuova e diversa. E ha ottenuto che Repubblica ne ammettesse l’inconsistenza, rimuovendola dal sito.


domenica 6 Novembre 2022

Sogni e realtà

Una cosa piccola ma rappresentativa di alcuni meccanismi e vicende dei giornali italiani. Da subito dopo le elezioni Repubblica ha riproposto un format che il quotidiano ha usato spesso nella sua storia (e che gli altri quotidiani utilizzano molto meno): il dibattito costruito sulle proprie pagine a partire da un proprio articolo o da una propria idea, e protratto per molti giorni o persino settimane, con l’obiettivo di trattenere i lettori su questa forma di serialità. In questo caso, appunto, intorno alla crisi del Partito Democratico esposta dai risultati elettorali. La serie prosegue quasi quotidianamente da un mese, con il giornale che ha invitato ospiti diversi a dire la loro: per quanto riguarda i tic giornalistici avevamo segnalato qui l’incipit dell’articolo di Giacomo Papi, che conteneva una “diffida” per il titolista.

Venerdì l’autore invitato è stato – per una seconda volta – lo scrittore Francesco Piccolo: il quale ha piuttosto esplicitamente messo in discussione lo stesso dibattito “sulle idee” («temo che quello a cui stiamo partecipando sia allo stesso tempo un tentativo di fermare dei concetti fondamentali, ma anche un teatrino dell’ipocrisia al quale forse bisognerebbe porre fine»), ma ha concluso criticando i giornali che danno tuttora le attenzioni maggiori a una classe politica che è parte della stessa crisi di cui si parla: «Io sogno (ma è un sogno, lo so) che nessuno più vada a intervistare Goffredo Bettini, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema (gli ultimi due si erano diabolicamente sfilati dal partito); anzi, poiché gli intervistatori cercano chi gli pare, sogno allora che siano loro tre a rispondere: basta, noi andiamo in pensione, non cercateci più, ci saranno altri che cercheranno di fare meglio».

Appena due pagine prima dell’articolo di Piccolo, Repubblica ospitava un nuovo dibattito intitolato “Le parole di D’Alema”, nato con un’intervista del giorno prima a Massimo D’Alema.


domenica 6 Novembre 2022

Facciamo fiki fiki insieme

Sparse segnalazioni delle più vistose “contiguità” tra i contenuti giornalistici e quelli pubblicitari sui maggiori quotidiani: il Corriere della Sera ha ospitato questa inserzione a pagamento del parco alimentare bolognese Fico domenica, e mercoledì questo articolo costituito integralmente di virgolettati dell’amministratore delegato di Fico. Sempre sul Corriere , mercoledì, un articolo altrettanto disponibile e promozionale era dedicato alla società vinicola Aneri, che è un frequente e ricambiato inserzionista del Corriere e di molti quotidiani , e il cui proprietario è il promotore di un premio giornalistico milanese assai frequentato dall’editoria locale.
(un articolo su Aneri – peraltro firmato dal medesimo autore – era stato tra l’altro tra quelli già protagonisti di un esposto dell’anno scorso contro il Corriere della Sera da parte di due ex giornalisti del quotidiano).

Repubblica ha dedicato tutta la prima delle sue pagine del sabato sulla Moda a una notizia che non era di moda – l’assegnazione di un premio cinematografico a un’attrice – ma il premio è un progetto dell’azienda di moda Max Mara, che aveva comprato una pagina pubblicitaria poco distante sul quotidiano, la seconda in una settimana. E infine ancora la redazione del Corriere della Sera ha offerto a Rinascente, che aveva comprato l’ultima pagina del giornale due giorni prima, una colonna sull’iniziativa reclamizzata.


domenica 6 Novembre 2022

Chiariamo alcune cose

Il quotidiano Domani ha esplicitamene definito “falsità” quelle pubblicate dal quotidiano la Verità a proposito del Covid e dei vaccini, in un articolo di Andrea Casadio che occupava un’intera pagina sul giornale di carta giovedì. Nel caso in esame, l’articolo della Verità smentito era del direttore Maurizio Belpietro.

“Chiariamo alcune cose. Per prima cosa, lo “studio” a cui fa riferimento Belpietro non è uno studio. Gli “scienziati” citati del Belpietro non hanno fatto uno studio, cioè una analisi statistica su una popolazione. No.
Alcuni “studiosi” italiani, molti dei quali ignoti alla comunità scientifica, hanno pubblicato un articolo dal titolo: “SARS-CoV-2- il ruolo dell’immunità naturale: una revisione narrativa”, e che quindi – come scrivono loro stessi – è una “revisione narrativa” e non uno studio.
Cioè, hanno preso alcuni articoli scientifici alla rinfusa, molti dei quali di scarso valore scientifico, e senza uno straccio di analisi statistica hanno dedotto che l’immunità naturale indotta dal Covid dura più di quella indotta dal vaccino.
Invece, decine e decine di articoli scientifici provano che l’immunità indotta dal vaccino è più efficace e duratura di quella indotta dalla infezione del virus.
Poi, quella su cui è pubblicato l’articolo non è una rivista scientifica vera e propria – difatti non è catalogata su Pubmed, il database della scienza – ma una rivista predatoria, dove chiunque può pubblicare un articolo sborsando pochi dollari.
Che ne so, io potrei scrivere uno “studio” in cui affermo che mangiare merluzzo previene il Covid, dato che la vitamina D contenuta nel pesce fortifica il sistema immunitario, e se pago lo potrei tranquillamente pubblicare su una rivista predatoria.
E gli autori di quello studio? Il primo autore è la dottoressa Sara Diani, una omeopata della scuola di musicoterapia dell’università Jean Monnet di Padova, ignota alla scienza; e tra gli altri figurano il dottor Eugenio Serravalle, noto medico No-vax, e il dottor Alberto Donzelli, della Fondazione Allineare Sanità e Salute. Ecco, allineiamo sanità e salute, così magari scopriamo che suonare il flauto dolce previene il Covid”.

La Verità ha risposto con un nuovo articolo il giorno dopo, con qualche sarcasmo sulle presunte vendite di Domani (su cui però non esistono dati pubblici).


domenica 6 Novembre 2022

Il T

È uscito giovedì il nuovo quotidiano trentino – di carta e online – intenzionato a scalfire il quasi monopolio dell’informazione della regione: si chiama il T ed è pubblicato da una fondazione creata da associazioni di industriali e commercianti locali. Le proposte di abbonamento sono molto varie e diversificate, ma per ora senza ricorrere alle offerte e svendite praticate da altre testate.


domenica 6 Novembre 2022

Intanto alla Stampa

Se i giornalisti di Repubblica nelle ultime settimane hanno criticato soprattutto una mancanza di chiarezza del progetto e del percorso da parte dell’editore, alla Stampa a essere contestato è l’altro aspetto delle scelte dello stesso editore (GEDI, che possiede anche lo Huffington Post Radio Deejay Radio Capital , il Secolo XIX e diversi quotidiani locali e altri prodotti editoriali): la riduzione dei costi e delle risorse, e le sue conseguenze.
In un comunicato pubblicato sabato il Comitato di redazione della Stampa ha contestato il progetto di “integrazione delle edizioni e delle redazioni liguri con il Secolo XIX ” e annunciato scioperi. La Stampa – quotidiano torinese e piemontese – ha da sempre un rilevante bacino di lettori e di produzione giornalistica anche nelle province di Imperia e di Savona, ma adesso l’editore vuole unificarlo con quello del quotidiano genovese Secolo XIX .

“Pur consapevoli della crisi del mercato dell’editoria e della sovrapposizione territoriale di due testate che appartengono allo stesso gruppo, i giornalisti ritengono inaccettabile un arretramento de La Stampa dai propri territori naturali di vendita e di diffusione e il trasferimento e la riorganizzazione del personale come unica soluzione per il riequilibrio dei costi attraverso l’annunciata ricollocazione fuori regione di cinque redattori”.


domenica 6 Novembre 2022

Le cose si complicano all’Independent

L’Independent è un quotidiano inglese creato 36 anni fa e che ha smesso di uscire “di carta” nel 2016, trasformandosi in un giornale esclusivamente online. Malgrado alcune oscillazioni si è sempre distinto per posizioni tra il progressista e il liberale, con discreti successi in qualche fase di competizione col Guardian in passato, e per un grande spazio dato agli articoli di opinione e alle prese di posizione. Ha avuto alti e bassi di sostenibilità economica negli scorsi decenni, e la sua quota maggiore – dal 2010 – è di uno dei più famosi cosiddetti “oligarchi” russi con grossi interessi nel Regno Unito, Alexander Lebedev (formalmente di suo figlio Evgeny).
All’inizio del 2022 l’ Independent aveva fatto annunci di buona salute , ma ora invece le cose si sono complicate in particolare sul fronte della pubblicità online e questa settimana ha fatto sapere che 52 posti di lavoro sono a rischio di eliminazione.


domenica 6 Novembre 2022

Intanto a Repubblica

Le agitazioni a Repubblica di cui scrivemmo la settimana scorsa si sono un po’ sospese negli ultimi giorni, ma non senza complicazioni ancora incombenti. Allo sciopero di sabato è seguito uno “sciopero delle firme” di quattro giorni da parte dei giornalisti preoccupati per le prospettive del giornale, la cui efficacia è stata però attenuata dal gran numero di collaboratori esterni (oltre che i vicedirettori come Carlo Bonini) che non vi hanno partecipato: la prima pagina in particolare è stata composta in quei giorni in modo da mostrare quasi solo articoli di questi ultimi e quindi firmati (persino con un’inusuale promozione della rubrica quotidiana di Michele Serra) rendendo assai poco visibile lo sciopero. Questo ha generato delle irritazioni tra alcuni giornalisti, che hanno peggiorato l’aria che tira.
Alla fine lo sciopero è stato interrotto dopo un “chiarimento” con la direzione di cui ha riferito più estesamente il sito Professione Reporter , e una correzione del direttore all’intervista che aveva offeso la redazione: passaggi che però hanno soltanto riportato le cose alla situazione di difficoltà di vendite del quotidiano e di poco chiare visioni sul futuro, e con un carico di diffidenza aumentato dalla crisi dei giorni passati. Intanto la redazione ha eletto un nuovo Cdr .

(tra le inadeguatezze anche tecnologiche di Repubblica ci sono una serie di problemi con gli abbonati al sito: questa settimana se ne sono persino lamentate pubblicamente due giornaliste di Repubblica)


domenica 6 Novembre 2022

Che governo sarà sul dannato futuro dei giornali, vedremo

Il governo guidato da Giorgia Meloni ha completato le nomine dei sottosegretari e tra queste c’è anche quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio che ha tradizionalmente la delega all’editoria, ovvero a occuparsi anche del settore dell’informazione e dei giornali. Il ruolo è stato assegnato al senatore Alberto Barachini, che è di Forza Italia e ha 50 anni. Al contrario del suo predecessore Giuseppe Moles (anche lui di Forza Italia, il partito che ha maggiori attenzioni al settore per l’interesse del suo leader Silvio Berlusconi) che era stato scelto piuttosto accidentalmente e mostrando nei due anni successivi poca attenzione all’impegno, Barachini ha un’esperienza giornalistica, iniziata al quotidiano livornese Il Tirreno e poi proseguita nelle reti televisive Mediaset. Qui c’è una breve intervista di Radio Radicale seguita alla nomina, in cui il sottosegretario tra l’altro auspica un’informazione che sia “corretta e sobria”.


domenica 6 Novembre 2022

Google paga le fake news

Il sito americano di inchieste che si chiama ProPublica (ormai noto e stimato, dopo 15 anni e alcuni premi Pulitzer, edito da una non profit) ha pubblicato una lunghissima ricerca e analisi che dimostra come Google trascuri i siti in lingua non inglese nei controlli sulla disinformazione finanziata dalla propria piattaforma di gestione della pubblicità.

La gran parte dei siti web di tutto il mondo si affida a Google e al suo servizio Google Ads per ospitare inserzioni e ottenere ricavi: il servizio indirizza negli spazi dedicati sulle pagine del sito i banner pubblicitari con elaborati automatismi (è il sistema che ha messo in crisi la concorrenza delle concessionare di pubblicità, ridotto i costi per gli inserzionisti e i ricavi per i siti di news), che tengono conto della natura dei siti che raggiungono e che ne beneficiano solo con criteri di efficacia commerciale. I banner vengono inseriti in questa o quella pagina in modo da raggiungere gli utenti desiderati, in base al tipo di sito e al percorso di navigazione dell’utente (attraverso i discussi cookie ).

Negli ultimi anni Google si è in parte dedicata – sotto le critiche e le preoccupazioni legate alla diffusione deliberata di notizie false online – a individuare che le inserzioni che gestisce non siano ospitate da siti di disinformazione pericolosa, e quindi non le sostengano economicamente. Ma questo impegno – comunque insufficiente – è concentrato sui siti in lingua inglese, spiega l’inchiesta di ProPublica (guidata da Craig Silverman , uno dei più precoci esperti di fake news online).
Le tre ragioni per cui Google sceglie di intervenire sui siti di notizie false inibendoli a usare il suo servizio e a guadagnarne dei soldi, dice un ex dirigente dell’azienda citato nell’articolo, sono il timore della cattiva pubblicità per l’azienda, il timore di interventi legislativi o giudiziari conseguenti, il timore diretto per i propri ricavi e il proprio business: e sono tutti fattori sensibili soprattutto alle proprie attività sui siti in inglese, per questo quello che avviene nei paesi di altre lingue è molto più trascurato: con conseguenze sulle campagne elettorali, per esempio, e sulle falsificazioni pericolose diffuse in quelle occasioni.


domenica 6 Novembre 2022

Charlie, dare un’idea

Jay Caspian Kang è un giornalista del settimanale americano New Yorker, una delle riviste giornalisticamente più ben fatte e più ammirate del mondo, e ha pubblicato sul sito un articolo che mette in discussione molta parte del giornalismo contemporaneo. “Mette in discussione” è l’espressione esatta, se la si legge correttamente: spesso viene usata come sinonimo di “critica” o “smentisce”, ma andrebbe restituita al suo significato più fedele, ovvero di proporre una discussione su qualcosa. King dice – usando come esempio l’attentato contro il marito di Nancy Pelosi – che ci sarebbe una sbrigativa tentazione a incasellare le motivazioni di persone o loro azioni dentro schemi facili e stabiliti, a partire da pochi indizi su di loro, spesso raccolti affannosamente su internet. E spesso strumentalmente, tra l’altro: per attribuire malefatte a questa o quella predicazione politica o culturale. L’aggressore di Pelosi è stato ricondotto a cliché opposti, a seconda delle informazioni su di lui che venivano selezionate. La tesi di King è che questo lavoro sia superficiale e ingannevole, e che le persone abbiano invece biografie, individualità, pensieri, di straordinaria varietà e sfumature, e che questa abitudine a offrire ai lettori una specie di figurina disinformi invece che far capire meglio. E ha sicuramente ragione: nessuno di noi, dovesse malauguratamente diventare protagonista di notizie drammatiche, si riconoscerebbe nella limitata sintesi che i giornali potrebbero dare delle sue scelte. Ma è anche vero che una “limitata sintesi” è il massimo che ci si può aspettare dal giornalismo: che è sempre un inganno che nei casi più riusciti cerca di limitare i rischi delle sue ingannevolezze. Ricordarlo sempre anche ai lettori, rendendoli consapevoli delle semplificazioni, è a sua volta un fattore di quella eventuale riuscita.

“Alla fine quello che scegliamo di descrivere di questi uomini violenti rivela più di noi che di loro. Le relazioni tra disagio mentale, pensiero complottista, retorica di destra e violenza le creiamo nelle nostre teste. Quello che ristagna, almeno nella mente dei giornalisti, è il desiderio di connettere tutti questi puntini e di presentare, in una prosa concisa ma molto delimitata, una teoria che permetta a chi legge di immaginare risposte ma anche di rimuovere responsabilità”.

Fine di questo prologo.


domenica 30 Ottobre 2022

Influencer

Il sito di sondaggi e analisi politiche YouTrend ha fatto i conti di quali siano gli account di testate giornalistiche su Twitter più seguiti dai ministri del nuovo governo: una piccola cosa ma illuminante di come i ministri si facciano un’idea delle notizie e dei dibattiti attraverso quello che è il social network più frequentato da politica e informazione (insieme alle testate, tv e agenzie maggiori ci sono la Verità Avvenire e il Foglio ). Tra i singoli giornalisti, invece, i più seguiti sono Maurizio Belpietro e Daniele Capezzone della Verità , Nicola Porro del Giornale , Vittorio Feltri di Libero . A conferma che le “echo chamber” o “bolle”, per cui sui social network si leggono e ascoltano soprattutto opinioni simili alle proprie, valgono anche per i poteri più importanti.


domenica 30 Ottobre 2022

Temere il peggio

Il sito specializzato di marketing e media Digiday ha raccontato i rinnovati problemi dei siti web con la loro dipendenza dagli algoritmi di Google: Digiday si dedica soprattutto a quelli che lavorano con l’e-commerce, ma la questione riguarda in genere anche i siti di news (molti dei quali a loro volta lavorano con l’e-commerce: a cominciare dal New York Times ). I problemi si manifestano ogni volta che Google decide di modificare i suddetti algoritmi per ottenere risultati migliori – a proprio giudizio – per gli utenti, sovvertendo così i posizionamenti e i criteri dei siti che ottengono traffico da quei posizionamenti nella prima pagina del motore di ricerca. Il suggerimento di Digiday è sempre quello di “essere flessibili”, ma il tema della dipendenza di alcuni business editoriali dalle scelte di Google, o di Facebook, è una specie di spada di Damocle eterna sui loro destini.


domenica 30 Ottobre 2022

«Abbiamo avuto paura»

Negli scorsi due anni Charlie raccontò con continuità i conflitti all’interno del New York Times intorno – la mettiamo grossomodo, che è una storia di molte storie – all’impegno del giornale su una serie di temi civili, e al rapporto di questo impegno con gli standard di informazione completa e libertà di espressione. Le cose sembrano essersi temporaneamente sopite da un po’, anche col cambio di direzione e con la sconfitta di Donald Trump che ha abbassato di poco la bellicosità politica statunitense. Ma proprio per questo Erik Wemple – il giornalista che si occupa di giornali invece al Washington Post – ha deciso di tornare su una di quelle storie: il licenziamento due anni fa del responsabile della pagina op-ed del New York Times James Bennet dopo la pubblicazione di un articolo di un autore ospite che chiedeva maggiori interventi polizieschi e repressivi contro alcune manifestazioni di protesta sui diritti civili.

Era stato uno dei momenti più controversi e litigiosi di quella fase al New York Times , e adesso Wemple la ricostruisce sul Washington Post per distinguere con maggior coraggio di quello che ebbe allora ( il suo articolo è un’ammissione di codardia per non aver difeso Bennet prima) il giudizio sul contenuto di un discutibilissimo articolo di opinione nella pagina dei commenti, e la scelta di un giornale di ospitarlo. Che sono due cose diverse, dice Wemple, concordando con le recenti accuse di Bennet contro l’editore del New York Times , che secondo entrambi cedette goffamente e vilmente a pressioni che intaccarono l’autonomia delle scelte giornalistiche e la libertà di espressione: quell’articolo diceva cose sbagliate, ma era legittimo e giornalisticamente sensato pubblicarlo, conclude Wemple.


domenica 30 Ottobre 2022

Fonti, verifiche, eccetera

Venerdì è morto a casa sua negli Stati Uniti Jerry Lee Lewis, musicista famoso e ammirato per essere stato uno dei più popolari rappresentanti dei primi successi del rock ‘n’ roll. Ma la notizia della sua morte era stata data prematuramente due giorni prima, quando non era ancora vera, dal sito americano TMZ .
TMZ è un sito di gossip e notizie di spettacolo, molto seguito e noto per i suoi scoop in quegli ambiti ma anche per le sue scelte giornalistiche eticamente discutibili e una scarsa attenzione a standard di accuratezza, entrambi assimilabili a quelli dei più screditati tabloid britannici o americani ( TMZ è di proprietà di Fox). Mercoledì sera TMZ ha dato la notizia della morte di Jerry Lee Lewis. La notizia era falsa, e TMZ stesso lo ha ammesso sbrigativamente poche ore dopo, scusandosi: sembra che il sito abbia dato credito a un falso portavoce della famiglia, senza sufficienti controlli.

Dei più autorevoli siti di news americani e internazionali, quasi nessuno si è fidato della versione di TMZ , conoscendone la fama: l’ Indipendent nel Regno Unito è stata un’eccezione . In Italia, dove i tabloid scandalistici sono usati di frequente come una fonte senza particolari verifiche, la notizia è stata immediatamente ripresa da quasi tutte le maggiori testate ( Ansa Stampa Messaggero Corriere della Sera ), che l’hanno successivamente modificata cancellata senza ulteriori avvisi ai lettori.


domenica 30 Ottobre 2022

Convergenze

Le “complicate” vicende politiche del Regno Unito degli ultimi mesi hanno dato lo spunto al Guardian – uno dei maggiori quotidiani del paese, e uno dei maggiori siti di news mondiali – di declinare i suoi abituali inviti ad abbonarsi online (il Guardian non ha paywall, e raccoglie libere offerte o abbonamenti) intorno ai temi dell’attualità: mettendo in relazione le notizie al lavoro del giornale e alla sua sostenibilità. Gli sviluppi hanno poi dato un’occasione ancora più puntuale e dedicata quando una ministra del governo Truss (poi costretta alle dimissioni e reintegrata nel governo Sunak) ha preso in giro gli elettori progressisti e i lettori del Guardian stesso: che ne ha approfittato .

(comunicazioni “contestuali” simili in Italia le ha fatte il Post in diverse occasioni passate )


domenica 30 Ottobre 2022

Domani indipendente di fatto

Negli ultimi mesi il quotidiano Domani ha investito sempre di più sulla politica (che occupa mediamente 10-12 delle sue 16 pagine) e su una ricerca di visibilità pubblica della testata che ha ottenuto alcuni ottimi risultati (la campagna sullo “scioglimento del PD”, fragile nei fatti ma che è molto circolata; quella sul conflitto di interessi del ministro Crosetto, che Domani è stato il più veloce a raccontare). Al tempo stesso, però, il giornale sta godendo di una quota quasi inesistente di inserzioni pubblicitarie, che costituiscono una delle due fonti maggiori di sostenibilità per tutti i quotidiani, assieme a quella dei lettori paganti (e per contro costituiscono anche il maggiore fattore di perdita di autonomia giornalistica di altri quotidiani). In tutta la settimana passata Domani ha ospitato solo due pagine pubblicitarie (martedì e giovedì) e un’inserzione più limitata martedì.


domenica 30 Ottobre 2022

Da dove cominciare con l’accuratezza

La federazione degli Editori di giornali (Fieg) si è affrettata a chiedere ancora sostegni economici al nuovo governo italiano appena insediato: malgrado ne abbia ricevuti di nuovi solo poche settimane fa dal governo uscente. Il tema del contributo pubblico all’informazione è complesso e delicato e ne abbiamo scritto spesso su Charlie: da una parte teoricamente prezioso e indispensabile, dall’altra fallimentare nella pratica, non riuscendo a creare nessuna dinamica di incentivo alla qualità dell’informazione sovvenzionata. Il risultato è che i contributi raggiungono a fondo perduto e disordinatamente testate che non offrono nessuna garanzia di un effettivo servizio pubblico, aumentando solo un malinteso “pluralismo” concepito come quantità di contenuti informativi sovvenzionati, buoni o cattivi che siano.

A sostegno della nuova richiesta il rappresentante degli editori ha sostenuto che “da una recente indagine comparativa della Presidenza del Consiglio dei ministri emerge che le misure adottate in Italia a favore del settore editoriale non costituiscono né un unicum né un modello a sé stante nel panorama europeo, anzi il nostro Paese è penultimo nell’Unione europea per risorse dirette pro capite impiegate a favore dell’editoria”. Il fatto è che la ricerca in questione commissionata dal precedente sottosegretario – con la palese intenzione di difendere il sistema di cui il dipartimento per l’editoria è titolare – non prende in considerazione “l’Unione Europea” – ovvero 27 paesi – ma “un gruppo selezionato di otto paesi europei (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Regno Unito e Svezia) con i quali il Dipartimento dell’Informazione e Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri aveva già in passato intessuto dei costruttivi scambi di informazioni”. Che l’Italia sia penultima tra nove è comunque un dato, ma – considerata anche la peculiare scelta dei paesi in questione, due dei quali peraltro non appartengono all’Unione Europea – la dichiarazione della Fieg è molto ingannevole, e rivelatrice di quale accuratezza di informazione venga raggiunta dai contributi stessi.


domenica 30 Ottobre 2022

Semafori, benzinai

Il nuovo sito di news Semafor è online da dieci giorni tra grandi attese e curiosità legate alle sue ambizioni, agli investimenti ricevuti, e alle annunciate intenzioni di rinnovamento e originalità nelle forme del giornalismo. Ma accanto a diversi contenuti di qualità che ha già pubblicato, il giornale si è imbattuto in una prima sostanziosa contestazione : quella di avere costruito una sponsorizzazione – per la sua newsletter sul clima – con l’azienda petrolifera americana Chevron, che ha un cospicuo curriculum di responsabilità di inquinamento ambientale, e con la quale Semafor sembra essersi imbarcata in un palese impegno di greenwashing . Naturalmente è possibile che Semafor abbia stabilito precise garanzie di non ingerenza dell’inserzionista nei suoi contenuti, ma ospitare la sua pubblicità a sostegno di articoli dedicati ai problemi ambientali è comunque un contributo ad attenuare le accuse contro l’inserzionista stesso: d’altro canto, che gli investimenti di Chevron finanzino una buona informazione sul cambiamento climatico può essere letto come una scelta apprezzabile. La questione è insomma complessa, ma forse per presentarsi al mondo in una fase iniziale in cui le sue necessità economiche non sono così pressanti Semafor avrebbe potuto avere maggiori cautele.