Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 26 Marzo 2023

Gli editori avanzano pretese sulle “intelligenze artificiali”

Il Wall Street Journal ha riferito che la questione del copyright tra gli editori di giornali americani e i servizi che producono contenuti grazie alle “intelligenze artificiali” (ne parlammo un mese fa ) sta arrivando al pettine. Le aziende giornalistiche sostengono che se software come ChatGPT creano testi a partire dall’elaborazione degli archivi di articoli dei giornali, quei software dovrebbero pagare il diritto d’autore: è una richiesta non dissimile da quella avanzata da tempo dai giornali presso Google e Facebook, ma stavolta gli editori si sono fatti trovare pronti, scottati da quell’esperienza. Il Wall Street Journal spiega che non c’è solo un tema di contenuti usati per addestrare i software in questione ma anche di come i contenuti e i link vengono offerti ai lettori.


domenica 26 Marzo 2023

“Un gracile segno positivo”

L’azienda del Sole 24 Ore ha comunicato di avere chiuso il 2022 in utile, per la prima volta dopo quattoridici anni. Il “risultato netto è positivo per 0,5 milioni”, una cifra esigua ma molto significativa se paragonata alla perdita di ancora 21 milioni dell’anno precedente. Il miglioramento si deve soprattutto ad attività diverse da quelle del giornale (ma naturalmente la testata contribuisce in maniera indiretta ai risultati del brand e alla promozione delle altre attività), spiega il comunicato, ma c’è comunque un aumento dei ricavi pubblicitari.

“In particolare, nel 2022 i ricavi pubblicitari sono in crescita di 2,6 milioni di euro (+2,9% rispetto al precedente esercizio) e sono pari a 90,8 milioni di euro; i ricavi editoriali diminuiscono di 2,3 milioni di euro (-2,3% da 100,9 milioni di euro del 2021 a 98,6 milioni di euro del 2022) principalmente per la contrazione dei ricavi generati dalla vendita dei prodotti cartacei; gli altri ricavi registrano una crescita di 7,7 milioni di euro (+53,4% da 14,4 milioni di euro del 2021 a 22,1 milioni di euro del 2022), principalmente grazie ai maggiori ricavi dell’area Cultura e dei prodotti più innovativi dell’area Servizi Professionali e Formazione”.

L’amministratrice delegata ha celebrato estesamente i risultati, spingendo il Comitato di redazione a ricordare – in un comunicato pubblicato sul giornale sabato – che i risultati stessi si devono anche a una cospicura riduzione di costi e persone e ad auspicare che questa non prosegua.

“E tuttavia non possiamo non ricordare che il passaggio a un gracile segno positivo è stato ottenuto anche grazie ad anni di taglio del costo del lavoro, compresi il 2022 e il 2023, in tutte le sue forme, strutturali, con i prepensionamenti, e temporanee (queste ultime in realtà ormai in corso da molto tempo), con la cassa integrazione e i contratti di solidarietà. Misure che hanno investito tutto il personale del gruppo.
Della comunicazione della nuova amministratrice delegata vogliamo sottolineare l’avvenuto “cambio di passo” e ci auguriamo che sia finalmente conclusa la stagione dei tagli per tornare a un confronto sindacale vero, concentrato su investimenti e prospettive di crescita per il business caratteristico, l’informazione”.


domenica 26 Marzo 2023

Le cose si fanno tristi

Il sito NiemanLab ha pubblicato un’interessante riflessione intorno a una ricerca scientifica compiuta da un gruppo di studiosi dei media di diverse università internazionali. La ricerca ha attinto a una mole enorme di articoli del sito Upworthy (un sito americano di news che ebbe per qualche anno una grandissima popolarità pubblicando news confezionate in modo da evocare reazioni emotive volte – nella tesi dei suoi creatori – a “rendere il mondo migliore”), la cui natura e ricchezza li ha resi un ottimo bacino per l’indagine: indagine volta a capire quanto l’uso di termini “negativi” o “positivi” influenzi la possibilità che i lettori clicchino su un determinato titolo per leggere l’articolo (esempi di parole negative: “preoccupante”, “colpisce”, “ira”; positive: “avvantaggia”, “bello”, “preferito”). Il risultato più evidente è che i termini “negativi” aumentano del 2,3% questa possibilità rispetto a quelli “positivi”. Questa scoperta non è una novità, scrive Joshua Benton su NiemanLab: già la psicologia evolutiva aveva spiegato che gli umani sono più preoccupati di essere informati dei pericoli che delle opportunità o buone prospettive, per ragioni di sopravvivenza. Ma averla concretizzata in dati relativi alle news online è comunque una declinazione utile e rivelatrice del concetto: sottolineando che la differenza percentuale è comunque piuttosto limitata.

In più, la ricerca articola le parole nei titoli in quattro categorie di emozioni evocate più definite: rabbia, paura, gioia, tristezza. E stando ai dati raccolti, è la tristezza a rendere più probabile il click su un titolo, anche se in percentuali sotto l’1% e non così significative. Forse il dato più convincente è quello più generale di tutti, per cui un sito come Upworthy – famoso per i suoi titoli lunghi composti da due frasi – ottiene un “click through” medio (quanti clic per ogni visualizzazione di un titolo) di appena l’1,39%.

– Luca Sofri: Paura e zizzania


domenica 26 Marzo 2023

Charlie, dal vivo

Da diversi anni molti giornali in tutto il mondo sperimentano fonti di ricavo “terze” accanto a quelle principali legate alla pubblicità o ai lettori paganti: tra quelle che si sono dimostrate più preziose e più frequentate ci sono quella delle iniziative di formazione (corsi, master, workshop, lezioni varie), quella di pubblicazioni accessorie (libri, riviste, allegati) e quella degli “eventi” cosiddetti. Questi ultimi possono essere festival più ricchi e con frequenze maggiori o singoli incontri pubblici, e dipendere per le loro sostenibilità e profitti da sponsor o dal pubblico pagante. Ma sono anche diventati un canale di conservazione del rapporto con i propri lettori e abbonati, e soprattutto un formato proprio di diffusione e condivisione di informazioni e di giornalismo: come gli articoli di testo, come i podcast, come i video e come ogni occasione che permetta di raccontare la realtà. Lo predica esplicitamente il sito di news Semafor, spiegando che il “live journalism” ha dignità di giornalismo come altri modi più tradizionali in cui il giornalismo viene praticato. Destinare persone, tempo e risorse a consentire che le persone ascoltino dai giornalisti le cose che hanno da raccontare su un palco o dietro una cattedra (o intorno a un falò, se si vuole) fa parte delle stesse priorità di impegnarsi a pubblicare un articolo. “Consideriamo gli eventi come equivalenti al giornalismo scritto o per immagini che pratichiamo, non come un accessorio”, ha detto Ben Smith di Semafor.

Fine di questo prologo.


domenica 19 Marzo 2023

Con le pinze

A proposito di segnalazioni dei lettori, completiamo senz’altro con un elemento di contesto quello che avevamo riferito la settimana scorsa citando un commento critico del giornalista Giovanni Valentini nei confronti delle vicende della Gazzetta del Mezzogiorno, pubblicato sul Fatto. Valentini, che ha iniziato a lavorare proprio alla Gazzetta del Mezzogiorno, era stato tra i contattati per dirigere la nuova edizione del giornale (circolano versioni diverse sul mancato accordo), in mezzo a complicate vicende di interessi vari e coinvolgimenti familiari.


domenica 19 Marzo 2023

È un bell’editore

Diversi lettori di Charlie (anzi approfittiamo per ringraziare dei frequenti messaggi, sia di complimenti che di segnalazioni utili) hanno raccolto con divertimento la questione della frequente pubblicazione su alcuni quotidiani di immagini o testi celebrativi dei propri editori, delle loro proprietà, delle loro famiglie, con derive qualche volta un po’ nordcoreane: e ci mandano spesso i loro ritrovamenti. Proviamo a farci una riflessione sopra, con un po’ più di complessità: i giornali sono imprese commerciali ed è comprensibile e persino legittimo che – con trasparenza verso i lettori – segnalino e promuovano attività e interessi legati alle aziende da cui dipendono e grazie ai cui eventuali ricavi vengono potenzialmente sostenute anche le attività dei giornali stessi. Le cose diventano scivolose quando questi interessi non sono segnalati ai lettori, che quindi vengono indotti a pensare cose inesatte o ricevono informazioni parziali e non obiettive senza ricevere gli strumenti per conoscerne la parzialità e la non obiettività.
C’è un’altra complessità da considerare: capita infatti che avvenimenti o notizie che coinvolgono gli interessi delle aziende giornalistiche o i desideri dei loro editori siano effettivamente considerabili “una notizia”, che gli stessi giornali riferirebbero anche se non li riguardasse. In quei casi, però (salvo priorità non opinabili: come per esempio le vicende critiche recenti della Juventus, di proprietà degli editori di Repubblica Stampa ), proprio perché le notizie li riguardano (e non sono ineludibili), potrebbe essere più elegante e rispettoso dei lettori che gli interessati si astenessero, invece di investirci di più. Due esempi di questa settimana sono stati un nuovo documentario agiografico sulla famiglia Agnelli celebrato con foto di famiglia dell’editore bambino da Repubblica, e le ben due citazioni in due adiacenti articoli del Corriere della Sera del proprio editore Urbano Cairo, con foto.

A partire da questa ultima considerazione si può anche riflettere sul dubbio che riguarda la contemporanea pubblicazione di pagine di inserzionisti e di articoli a proposito dello stesso evento che viene promosso in quelle pagine a pagamento: in alcuni casi si può sostenere che si tratti di fatto di una notizia, ma si può anche suggerire che sia opportuno scegliere se accogliere l’inserzione oppure dare spazio alla notizia, proprio perché la credibilità dell’articolo viene inevitabilmente limitata dal rapporto commerciale relativo alla pubblicità. Un esempio di questa settimana è la nuova denominazione della società Atlantia: pubblicità articoli.
Naturalmente queste – a differenza di quelle che riguardano il compiacimento personale degli editori – sono considerazioni difficili da fare in autonomia in condizioni di difficoltà economica quali quelle presenti, per i giornali.


domenica 19 Marzo 2023

In due staffe

Il Fatto di sabato ha pubblicato un articolo secondo il quale Mario Sechi, da poco passato da dirigere l’agenzia di stampa AGI (di proprietà della società ENI) al ruolo di capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, continuerebbe comunque a indirizzare le scelte di AGI, soprattutto per quanto riguarda le notizie relative appunto al governo. Secondo l’articolo del Fatto le richieste di Sechi avrebbero portato a correzioni nei testi prodotti da AGI.

“Oggi che lavora per “l’istituzione”, e nella fattispecie per Giorgia Meloni, Sechi alza il telefono per parlare con la sua erede Lofano con immutata frequenza e altrettanta disinvoltura. I suoi consigli sono sempre ascoltati. Dai corridoi di Palazzo Chigi si racconta la scena di un Sechi molto infastidito, la scorsa settimana, per la foto dell’incontro tra Meloni e Benjamin Netanyahu pubblicata sul sito della sua ex agenzia. Una foto “sbagliata”, il monito del capo ufficio stampa della premier: dopo il suo intervento è stata cambiata in tempi rapidi.

Ancora più clamorosa l’impennata di Sechi per un titolo a suo giudizio irricevibile, qualche giorno fa, che avrebbe “equiparato” Meloni ed Elly Schlein. Eccolo qui, nel lancio riepilogativo delle ore 19 del 15 marzo: “SALARIO MINIMO: DUELLO MELONI- SCHLEIN ALLA CAMERA. La premier al question time: ‘Farlo per legge non è la soluzione, ma puntiamo a salari più alti e pensioni dignitose adeguate al lavoro svolto’. La segretaria dem: risposta debole siete incapaci, insensibili e approssimativi”.

Per Sechi, dicono, l’idea del “duello” tra pari era inconcepibile e l’avrebbe comunicato perentoriamente a un ex collega dell’Agi. Dopo un confronto – e di fronte al rifiuto di intervenire per cambiare il testo – avrebbe quindi telefonato a Lofano. Nel nuovo riepilogativo delle 21, il titolo è finalmente cambiato: “QUESTION TIME: MELONI A SCHLEIN, ‘PUNTIAMO A SALARI PIU’ ALTI E PENSIONI DIGNITOSE’. La premier: ‘Il salario minimo per legge non è la soluzione’. La segretaria dem: risposte deboli”. Non più “duello”, ma una formula più autorevole e rispettosa della “istituzione””.


domenica 19 Marzo 2023

Fake news e acque minerali

L’edizione nazionale della Stampa ha raccontato venerdì il contenzioso giudiziario fra due aziende di acque minerali, innescato dalla pubblicazione di un finto articolo giornalistico su un finto sito di notizie di settore.
Le aziende protagoniste di questa che viene definita “una battaglia tutta cuneese” sono Fonti di Vinadio – leader del mercato: Acqua Sant’Anna è il suo marchio più famoso – e Acqua Eva, ben più piccola ma in ascesa. Il contenzioso nasce da una denuncia dei dirigenti di Acqua Eva e ha portato al rinvio a giudizio del presidente e amministratore delegato di Fonti di Vinadio, insieme col direttore commerciale dell’azienda e un ex dipendente. I tre sono accusati di diffamazione e turbativa del commercio.

La storia gira attorno alla pubblicazione di un articolo non firmato sul sito www.mercatoalimentare.net, nel 2018. L’articolo era intitolato “Acqua Eva è un brand di proprietà di Lidl?”. Sottotitolo: “È la domanda che si stanno ponendo i buyer della grande distribuzione organizzata da alcune settimane”. Il testo conteneva quelle che la procura ha considerato notizie «false e infondate» su Acqua Eva, descritta erroneamente come controllata dalla società di supermercati Lidl. I dirigenti di Acqua Eva sostengono che quell’articolo abbia causato l’interruzione del contratto dell’azienda con i supermercati Coop – «a nessun supermercato piace l’idea di mettere sugli scaffali un’acqua di proprietà di una catena concorrente» – e compromesso trattative e affari con altri gruppi per almeno dieci milioni di euro («La vostra linea di condotta non appare sufficientemente trasparente», aveva comunicato una società di investimenti ad Acqua Eva ritirando il proprio interesse a un’espansione internazionale del marchio).

Dalle indagini è risultato che il sito www.mercatoalimentare.net fosse registrato a nome di un’anziana signora morta nel 2011, nonna dell’ex dipendente di Fonti di Vinadio che è stato rinviato a giudizio. Secondo la Stampa, l’uomo avrebbe raccontato ai magistrati di aver registrato il sito a nome della nonna e di aver scritto l’articolo sotto dettatura del direttore commerciale di Fonti di Vinadio e dietro «forti pressioni» dell’azienda. L’uomo, che qualche tempo dopo si era licenziato, ha detto di aver lavorato in un clima «intimidatorio e di omertà». Fonti di Vinadio si è limitata a dire che «i processi si celebrano nelle aule giudiziarie e non sui giornali» e che l’azienda si difenderà «nelle sedi opportune e competenti con documenti alla mano».

Pochi giorni prima dell’articolo di venerdì sulla Stampa, l’amministratore delegato di Acqua Eva era stato intervistato nell’edizione locale di Cuneo, raccontando che Fonti di Vinadio aveva provato per due volte ad acquistare la sua azienda prima della pubblicazione del finto articolo. Per una notevole coincidenza, la pubblicità di Acqua Eva campeggiava sulla prima pagina sopra il titolo della sua intervista.


domenica 19 Marzo 2023

Sempre meno

Una nuova cospicua quota di licenziamenti è stata minacciata in una grande azienda giornalista britannica. Il gruppo Reach, che pubblica i tabloid quotidiani Daily Mirror Daily Express insieme a molte altre testate locali e che aveva da poco praticato altri tagli, ha comunicato a 420 dipendenti la possibilità che i loro ruoli siano eliminati, proponendo una serie di incentivi all’uscita volontaria. Reach ha 4mila dipendenti nel Regno Unito e in Irlanda.

 


domenica 19 Marzo 2023

Una guida

Una cosa che alcuni lettori di Charlie hanno chiesto, anche dopo che la pratica è stata citata anche all’interno del podcast Morning: le doppie pagine pubblicate sui due maggiori quotidiani (qualche volta anche sulla Stampa, ma con denominazioni un po’ meno ingannevoli) in promozione di eventi, mostre, progetti, attività aziendali, sono effettivamente pagine pubblicitarie prodotte dalle redazioni (di solito con autori appositi) e concordate con gli inserzionisti. L’assenza di qualunque indicazione su questa natura (Corriere Repubblica le chiamano rispettivamente “Eventi” e “Le Guide”) è una violazione delle norme stabilite dall’Ordine dei giornalisti: non l’unica, anzi, ma forse la più palese. La ragione dell’inosservanza è tutta economica: gli inserzionisti hanno interesse a che i propri messaggi non vengano percepiti dai lettori come pubblicitari e pagati ma condivisi dal giornale e dalla redazione, e investono per quello negli spazi suddetti e nella credibilità aggiunta (le pagine in questione vengono vendute di frequente, infatti).

” Primo dovere è di rendere sempre riconoscibile l’emittente del messaggio. Il lettore o spettatore dovrà essere sempre in grado di riconoscere quali notizie, servizi od altre attività redazionali sono responsabilità della redazione o di singoli firmatari e quali invece sono direttamente o liberamente espresse da altri.
Nel caso di messaggi pubblicitari, dovrà essere riconoscibile al lettore, spettatore o ascoltatore, l’identità dell’emittente in favore del quale viene trasmesso il messaggio, che può essere identificato come impresa o ente o anche come singola marca o prodotto o servizio purché chiaramente identificabile o riconoscibile”.


domenica 19 Marzo 2023

Kindle chiude con gli abbonamenti ai giornali

Amazon ha smesso di vendere abbonamenti ai giornali via Kindle, il proprio software-device-piattaforma che ormai quindici anni fa fu uno dei primi progetti rilevanti di distribuzione di abbonamenti digitali ai giornali stessi.


domenica 19 Marzo 2023

La vendita del Giornale è infine avviata

All’interno di un comunicato sui risultati del 2022 del gruppo, l’editore Mondadori ha annunciato ufficialmente giovedì la cessione della quota che possedeva del Giornale a una società di Paolo Berlusconi, che si aggiunge a quella già posseduta dalla stessa società. Negli accordi e nei progetti Berlusconi cederà poi la maggioranza delle quote alla famiglia Angelucci, che già possiede Libero Tempo. Della vendita si parla da tempo, e ci sono state accelerazioni e rallentamenti legati ai dubbi di Silvio Berlusconi, fratello di Paolo, rispetto a cedere un asset storico della famiglia nel sistema dei media. Secondo le ultime notizie la famiglia manterrebbe una quota di minoranza del Giornale .

“In data odierna Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. ha firmato il contratto relativo alla cessione a P.B.F. S.r.l. della partecipazione, pari al 18,45% del capitale sociale, detenuta in Società Europea di Edizioni (SEE S.p.A.), editore del quotidiano Il Giornale.
Il corrispettivo provvisorio della transazione è stato definito in 3,7 milioni di euro e prevede un meccanismo di aggiustamento basato sulla posizione finanziaria netta e sul capitale circolante netto di SEE alla data del closing, contrattualmente prevista entro il 30 giugno 2023. Gli effetti contabili di tale cessione verranno definiti e comunicati al perfezionamento dell’operazione.
Tale cessione è coerente con la strategia di focalizzazione sul settore dei libri e sulla dismissione di attività e di partecipazioni non strategiche”.


domenica 19 Marzo 2023

Da far vendere a vendere

Business of Fashion, il più completo e autorevole sito internazionale di informazione sulla moda, ha raccontato venerdì una ulteriore pratica di commistione tra i contenuti giornalistici sulla moda e gli interessi commerciali dei giornali dedicati. Sempre più siti stanno investendo sulle affiliazioni con siti di e-commerce o siti di brand che vendono i propri prodotti, una novità digitale già presente da alcuni anni su diversi siti di news ( compreso il Post), ma nel caso delle testate di moda – spiega Business of Fashion – partecipare a questi sistemi di affiliazione garantisce ai brand e alle aziende maggiore copertura anche negli altri spazi del giornale: un prodotto che, se venduto tramite i link presenti sul sito, genera una quota di ricavi anche per il sito stesso, viene più facilmente promosso dalla testata.

“«Di questi tempi le redazioni hanno impegni assai più estesi», dice Kelsey Ogletree, giornalista e fondatrice di Pitchcraft, una piattaforma che mette in relazione uffici stampa e piccole aziende con giornalisti e redattori: «Di un prodotto non considerano solo se meriti una copertura giornalistica, ma anche quale sia il potenziale di ricavo per la loro testata»”.


domenica 19 Marzo 2023

Charlie, le cose vere

A metà mandato della presidenza Trump i più seri giornali americani aprirono un dibattito su come comportarsi nei confronti delle dichiarazioni del presidente dal contenuto falso: da una parte le cose che dice un presidente degli Stati Uniti costituiscono una notizia ed è opportuno che le persone ne vengano informate, dall’altra l’effetto collaterale era la diffusione di notizie false e la creazione di errate convinzioni nella testa dei lettori. Qualcuno obiettò alle preoccupazioni spiegando che sarebbe bastato un buon lavoro giornalistico di confutazione delle falsità, ma non era così semplice, gli risposero: sia perché non è consuetudine riferire qualunque virgolettato applicandoci un circostanziato lavoro di fact checking, e sarebbe stato strano farlo solo per il presidente, sia perché comunque questo non si può fare nelle titolazioni, che spesso sono la sola cosa che le persone leggono.
Ciò nonostante, l’eccezionale quota di falsità diffuse da Trump e i rischi conseguenti convinsero le testate americane preoccupate a impegnarsi in questo senso, e a cercare di inserire notazioni anche molto sintetiche sulla falsità delle informazioni false.

È una lezione che andrebbe imparata anche da noi, e le occasioni per pensarci sono frequenti: la più recente è quella con cui il Corriere della Sera (e altre testate, con minore rilievo) ha sintetizzato e riferito in prima pagina il contenuto di un’ipotesi attribuita agli “apparati di sicurezza” sui numeri potenziali di immigrati in prossimo arrivo in Italia. Già l’articolazione dell’ipotesi era assai più sfuggente e fragile di come è poi stata trasformata in un titolo: ma se anche fosse stato vero che in qualunque documento autorevole fosse stata contenuta la frase virgolettata «Migranti, 685mila dalla Libia», sarebbe stato un buon servizio di informazione – invece è diventato un servizio di strumentalizzazione politica e allarme infondato – aggiungere poche brevi parole sul contesto e sull’implausibilità del dato come veniva citato.

Fine di questo prologo.


domenica 12 Marzo 2023

I giornali spiegati ammodìno

La tradizionale rassegna stampa del Post, in cui vengono esposti meccanismi e sviluppi della vita dei quotidiani, questa settimana avrà due appuntamenti all’interno del festival Pensavo Peccioli, in Toscana: sabato con Francesco Costa e Luca Sofri, titolari, e domenica con Sofri e Michele Serra, autore sul Post della newsletter Ok Boomer!.


domenica 12 Marzo 2023

Cose ancora in classifica

La rivista/libro Cose spiegate bene del Post sta diventando sempre di più da esperimento collaterale a formato autonomo remunerativo per la sostenibilità del giornale: il quinto numero, ” La Terra è rotonda “, uscito da dieci giorni, è entrato come i precedenti nella classifica dei libri più venduti della “saggistica”, al quinto posto (che non conteggia le migliaia di copie vendute in anteprima agli abbonati del Post: offerta che a sua volta contribuisce alla quota di servizi “premium” destinati agli abbonati).
Questa settimana, dopo altri casi simili, l’editore Mondadori ha tra l’altro annunciato un proprio progetto con la stessa ispirazione.


domenica 12 Marzo 2023

Una cosa che non c’era

Tabloid, la rivista dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, ha pubblicato una lunga intervista col direttore del Post sulle ragioni della sensibile crescita del giornale online e della sua raggiunta sostenibilità.

“Ci dicono che siamo innovativi, in realtà abbiamo fatto delle cose vecchie, cioè abbiamo spiegato le cose bene. Non è una cosa così straordinaria, anzi è molto antica. Il punto è che questa cosa non c’era in giro. Abbiamo dato risposta – e anche un po’ creato e alimentato – a una domanda che non aveva risposta”.


domenica 12 Marzo 2023

Palazzi del Mezzogiorno

Il Fatto ha raccontato in un paio di occasioni le vicende immobiliari e giudiziarie che riguardano i passaggi di proprietà della Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano con sede a Bari che ha passato anni burrascosi . Sabato ne ha scritto Giovanni Valentini, con toni indignati.

“Nel panorama desolato della stampa nazionale, il caso della Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano di Bari con 135 anni di storia alle spalle, assume il valore emblematico di un paradigma edil-editoriale che rischia di suscitare uno scandalo architettonico e urbanistico. La vicenda conferma una volta di più, per chi finge ancora di non saperlo, che gli “editori impuri” non comprano i giornali per fare informazione, bensì per fare affari su altri tavoli: edilizia, sanità, concessioni statali, autorizzazioni regionali o comunali. E lo fanno anche a costo di sfidare le leggi urbanistiche, come appunto nel caso della Gazzetta, assistititi magari da uno stuolo di avvocati con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra”.


domenica 12 Marzo 2023

Ricavi, utili, fatturato

Le pagine dell’economia dei più grandi quotidiani – quelli che beneficiano della maggior quota degli investimenti pubblicitari di grandi aziende – sono governate da logiche che spesso hanno a che fare col mantenimento di buone relazioni con le aziende in questione o con altri interessi legati alle proprietà del gruppo editoriale. Ogni tanto, per ricordare questi fattori che in tempi di difficoltà economiche limitano l’autonomia giornalistica dei quotidiani, su Charlie facciamo degli esempi: spesso quelli più vistosi provengono dal Corriere della Sera, ma venerdì ci sono state due interessanti pagine di Repubblica in successione. La prima è dedicata a promuovere le comunicazioni dell’azienda automobilistica della stessa proprietà che possiede il giornale (per il secondo giorno consecutivo) e a incentivare gli inserzionisti pubblicitari a investire sui giornali di carta; la seconda soltanto a comunicazioni sui successi di grosse aziende.


domenica 12 Marzo 2023

Stracci

Questa settimana è riaffiorata la più teatrale delle storie umane e imprenditoriali dell’editoria giornalistica italiana degli ultimi anni, quella che si è sviluppata intorno alla cessione del maggiore gruppo del settore – GEDI – dal suo storico editore (la famiglia De Benedetti) alla più famosa e storica famiglia di industriali italiani (gli Agnelli-Elkann). Le puntate precedenti sono raccontate qui, ma la sintesi per capire i commenti dei giorni scorsi è questa: Carlo De Benedetti ha accumulato un risentimento e una delusione che esplicita con frequenza per la cessione da parte dei suoi figli del giornale “di famiglia” – Repubblica – a una proprietà con tutt’altre inclinazioni rispetto a quel giornale, e per questi risentimento e delusione ha persino creato un quotidiano nuovo, Domani.
Adesso De Benedetti ha pubblicato un suo libro con la casa editrice Solferino (che è del Corriere della Sera) e per la sua promozione sta dando interviste (soprattutto al Corriere della Sera) e andando in televisione (soprattutto a La7, che è dello stesso gruppo dell’editore Solferino e del Corriere della Sera), e nell’occasione ha di nuovo detto cose sprezzanti e drastiche sul suo ex giornale Repubblica e sui suoi nuovi proprietari. E sabato Francesco Merlo, il giornalista che risponde alle lettere su Repubblica, ha voluto ribattere ricordando quello che di De Benedetti gli disse Eugenio Scalfari, fondatore del giornale.

“Ho ricevuto diverse lettere su Carlo De Benedetti e ho scelto la sua anche perché rievoca una mia intervista a Eugenio Scalfari che, sullo stesso argomento, fu un momento di rara allegria. Cominciava così: “Caro Eugenio, sei rimbambito?”. E lui: “Sono arrivato a un’età, tra i novanta e i cento, che non è più quella dei vecchi né dei molto vecchi, ma quella dei vegliardi. Spesso sono rimbambiti, ma talvolta sono ancora più lucidi degli altri perché vedono di più e meglio. A volte sono bambini, altre volte sono saggi e tra le cose che vedono meglio ci sono i rancori e le acidità. I vegliardi sanno riconoscerli e, se è il caso, anche aggirarli”. Non ho mai fatto rileggere a nessuno il testo di un’intervista ed Eugenio non me lo chiese. Fu pubblicata il 18 gennaio 2018. Finiva così: “De Benedetti parla di matrimonio monogamico. Spiega che quello con Repubblica è indissolubile, dice che ama ancora Repubblica e che l’amerà per sempre”. E Scalfari: “La ama, ma vuole liberarsene. La ama come quegli ex che provano a sfregiare la donna che hanno amato male e che non amano più””.


domenica 12 Marzo 2023

Quasi?

Dopo diversi mesi di avantindré c’è stata una nuova accelerazione nella vendita del Giornale alla famiglia Angelucci, che già possiede i quotidiani LiberoTempo Corriere dell’Umbria. Ne hanno scritto diversi giornali come una decisione ormai presa, noi ne riparliamo a cose fatte quanto si sapranno i dettagli con maggiore chiarezza.


domenica 12 Marzo 2023

Frottola

Aldo Cazzullo, uno dei più noti giornalisti italiani, ha risposto a un lettore nella rubrica delle lettere del Corriere della Sera a proposito della supposta “egemonia della sinistra nei giornali italiani”.

“Il Giornale appartiene alla famiglia Berlusconi, il cui capostipite Silvio è lo storico leader del centrodestra italiano; ora pare lo stia vendendo alla famiglia Angelucci, il cui capostipite Antonio è stato per tre volte parlamentare di Forza Italia e ora è parlamentare della Lega, già controlla Libero Il Tempo ed è in trattativa per acquisire La Verità. Il Sole24Ore è di Confindustria. Stampa Repubblica sono degli eredi della famiglia Agnelli. L’Espresso, un tempo testata di battaglia della sinistra, è del presidente della Salernitana. Il Fatto Quotidiano , giornale critico verso il governo, lo è almeno altrettanto con il Partito Democratico. E si potrebbe continuare. Guardi signor Luglio che la storia dell’egemonia della sinistra sull’informazione è una frottola colossale”.


domenica 12 Marzo 2023

Dimissioni a Politico, già

Politico è il sito che si è fatto ammirare fin dalla sua nascita, nel 2007, per aver occupato uno spazio autorevole e seguito nel racconto della politica statunitense e degli ambienti di Washington, e che poco più di un anno fa è stato comprato dal grande gruppo editoriale tedesco Axel Springer, che lo ha scelto come elemento principale delle sue ambizioni di espansione sul mercato dell’informazione americana. In questo senso un anno fa era stata nominata executive editor Dafna Linzer, già a NBC News, a ProPublica, al Washington Post: ma lei – che aveva governato il grande scoop di Politico sulla sentenza della Corte suprema sull’aborto – questa settimana ha annunciato che lascerà a fine mese, per dissensi con l’ executive editor Matthew Kaminski.


domenica 12 Marzo 2023

È salito il controllore?

Il sottosegretario con delega all’Editoria Alberto Barachini ha annunciato giovedì un accordo con la Guardia di Finanza per attivare maggiori controlli sulla correttezza delle erogazioni dei contributi pubblici ai giornali (quelli su cui Charlie è stato spesso critico, anche per la vulnerabilità e interpretabilità dei criteri con cui vengono assegnati). Gli interessi politici nell’assegnazione dei contributi in questione sono molto trasversali, quindi è difficile immaginare una reale revisione dello status quo.
I controlli erano stati preannunciati dal dipartimento un mese fa.

“È necessario, infatti, assicurare un meccanismo di controlli adeguato sui soggetti beneficiari, attraverso verifiche ex post e a campione, volte ad accertare che siano state soddisfatte tutte le condizioni previste dalla legge, in mancanza delle quali occorre procedere al recupero delle somme percepite. Ciò anche ai fini delle verifiche e dei monitoraggi da parte della Commissione europea in relazione alle misure sottoposte al regime di aiuti di Stato”.


domenica 12 Marzo 2023

“E si porta a casa anche una pentola!”

All’interno di quella che è la maggiore priorità di sostenibilità economica dei giornali in questi anni – l’aumento della quota di lettori paganti e la conservazione di quelli esistenti – molte aziende giornalistiche stanno offrendo agli abbonati contenuti o servizi “premium” che rafforzino le loro motivazioni, anche al di fuori dei contenuti giornalistici o informativi. Un primo cerchio concentrico intorno a questi è rappresentato da contenuti editoriali meno legati alle news ma comunque abitualmente coperti dall’editoria giornalistica, come i giochi o la gastronomia, o le offerte cartacee diverse (libri, allegati). Una proposta ancora più indipendente dal core business dei giornali è rappresentata invece da servizi come quello introdotto questa settimana dal Washington Post, che ai nuovi abbonati offrirà l’accesso a Headspace, una popolare app di meditazione, mindfulness e gestione di stress e benessere.
Niente di completamente nuovo: le riviste di carta hanno spesso offerto nel secolo scorso a lettori e lettrici infradito da spiaggia o altri gadget semplicemente “utili”. Ma gli abbonamenti digitali offrono possibilità di “bundle” molto più contemporanee ed estese.


domenica 12 Marzo 2023

Sconti e PEC

Gli sconti sugli abbonamenti alle edizioni digitali dei quotidiani – come abbiamo visto anche parlando di dati di diffusione – continuano a essere una pratica molto sfruttata da alcune testate italiane: è una scelta che permette di aumentare molto il numero degli abbonati, ma con la controindicazione di un ricavo molto esiguo. Le ragioni per cui chi segue questo approccio è disposto ad affrontare questo sacrificio economico sono sostanzialmente due: una è che i grandi numeri di abbonati sono comunque un capitale “vendibile” presso gli inserzionisti pubblicitari e in termini di promozione del brand; l’altra è che “agganciare” degli abbonati gratuiti o quasi è già metà dell’opera, e in prospettiva diventeranno abbonati paganti. O perché apprezzeranno l’offerta, o perché si dimenticheranno di cancellare, o perché la cancellazione gli sarà resa molto difficile con la richiesta di pratiche farraginose e ostili.

Esempi più estremi sia della misura e quantità di questi sconti che della complessità di questi ostacoli si trovano sul web e sui social network, o nelle esperienze di ognuno: il Corriere della Sera ha offerto una “promo Festa della donna valida solo fino all’8 marzo” di accesso al sito per un anno per soli 19 euro e 99, e in un’altra promozione propone anche sei mesi per sei euro . Il gruppo GEDI – che pubblica Repubblica Stampa – continua invece a pretendere operazioni impegnative per ottenere la cancellazione degli abbonamenti.


domenica 12 Marzo 2023

Rollywood

Lo Hollywood Reporter è una testata americana importante e autorevole nello show business, con una storia quasi centenaria: è stata a lungo un quotidiano del settore, poi una dozzina d’anni fa è passata a una frequenza settimanale – e un sito web – con ambizioni di un pubblico più “largo” di appassionati alle notizie dello spettacolo. È pubblicato da una joint venture di società di cui fa parte il grande gruppo editoriale Penske, che possiede anche Variety Rolling Stone, tra le altre.

Giovedì è stata annunciata l’edizione italiana del giornale, che avrà una prioritaria presenza online e un’edizione cartacea quattordicinale, e sarà diretta da Concita De Gregorio, giornalista e scrittrice di grande notorietà soprattutto per la sua presenza televisiva e la sua antica e assidua collaborazione con il quotidiano Repubblica: in passato De Gregorio era stata direttrice del quotidiano L’Unità. Il progetto – la prima edizione europea di THR (The Hollywood Reporter) – è una partnership tra l’editore americano e la società italiana Brainstore Media, sviluppata a partire dalla considerazione di un protagonismo dell’Italia nel panorama mondiale del cinema e delle produzioni video.


domenica 12 Marzo 2023

I quotidiani a gennaio

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di gennaio. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di queste copie dà una cifra complessiva, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui. A gennaio gli andamenti rispetto al mese precedente sono stati nella media dei piccoli alti e bassi mensili consueti. C’è una grossa eccezione data dall’inedita inversione di tendenza di Repubblica, che cresce addirittura del 16,4%: ma è una crescita che si spiega con l’aggiunta, questo mese, di ben 28.600 copie alla colonna “copie digitali promozionali e omaggio”, ovvero abbonamenti all’edizione digitale regalati o relativi a un’offerta sotto a un decimo del valore di copertina. Le altre due cose notevoli sono la crescita del 10,9% del Fatto (6mila abbonamenti digitali in più, dovuti con tutta evidenza all’introduzione di un nuovo paywall e di un nuovo formato di abbonamenti) e la perdita di copie di tutte e tre le maggiori testate legate al centrodestra (LiberoVerità Giornale), che solitamente si sottraggono copie l’un l’altra: a gennaio hanno perso tutte e tre tra il 2,2% e il 3,1%*.

Se guardiamo sulle stesse tabelle invece i più indicativi confronti con l’anno precedente, trascurando gli sportivi che hanno sempre alti e bassi, superano il 10% di perdite in tanti: StampaResto del carlinoNazione Giornale e anche la Verità (-11%), che da tempo sta diluendo i suoi grandi risultati degli anni passati. Repubblica ha una piccola crescita, spiegabile come sopra, e il Fatto ne ha una più rilevante (11,2%), spiegabile come sopra: ovviamente più solida e promettente quella del Fatto rispetto a quella di Repubblica. Anche Libero recupera un 3,8%.

Ma, come facciamo ogni mese, consideriamo invece un altro dato che è più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie distribuite gratuitamente oppure a un prezzo scontato oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato meno “dopato” e relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (ma questi dati comprendono ancora le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa):

Corriere della Sera 175.795 (-5%)
Repubblica 103.081 (-22%)
Stampa 76.154 (-13%)

Sole 24 Ore 59.200 (-5%)
Resto del Carlino 57.831 (-13%)
Messaggero 50.108 (-12%)
Fatto 48.048 (+0,3%)
Nazione 38.373 (-14%)
Gazzettino 35.899 (-8%)

Giornale 28.442 (-14%)
Verità 26.693 (-20%)

Altri giornali nazionali:
Libero 21.416 (+5%)
Avvenire 15.876 (-8%)
Manifesto 12.238 (-6%)
ItaliaOggi 9.339 (+7,5%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Rispetto al calo grossomodo medio del 10% anno su anno delle copie effettivamente “vendute”, cartacee e digitali (queste ultime in abbonamento), a cui siamo abituati, questo mese diversi giornali sono andati sensibilmente peggio, come si vede. C’è poi il caso di Repubblica che questo mese – non contando le copie regalate – aggrava ulteriormente la sua perdita che supera il 22%; e quello della Verità, che nella prima metà del 2022 aveva avuto la sua grande crescita. In questo contesto, va sempre meno peggio al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore, mentre fanno numeri persino migliori di un anno fa Libero ItaliaOggi Fatto. Il primo si può dire che “recuperi” rispetto a un periodo assai debole nel 2022, il secondo ha frequenti discontinuità ed ebbe un pessimo gennaio 2022, mentre la “tenuta” del Fatto è spiegata ancora dal nuovo piano di abbonamenti, e sarà interessante vedere se proseguirà o se si attenuerà dopo il primo mese.

Tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori sono quelle del Tirreno (-13%), del Piccolo (-15%) della Gazzetta di Parma (-15%) e dell’ Arena (-12%), della Nuova Sardegna (-12%), ma quasi tutti sono intorno al -10%.

Avvenire, Manifesto, Libero ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)

* (il dato percentuale del Giornale indicato nella tabella di Prima Comunicazione è errato)


domenica 12 Marzo 2023

Paletti

A proposito dell’uso delle intelligenze artificiali nella produzione dei contenuti giornalistici, Wired – la testata più illustre e antica tra quelle che si sono occupate delle innovazioni tecnologiche dell’ultimo quarantennio – ha pubblicato una trasparente dichiarazione dei modi in cui intende usare e non usare le tecnologie in questione (“Non pubblichiamo articoli il cui testo sia generato da intelligenze artificiali, se non quando questa generazione sia l’argomento stesso dell’articolo”).

“Questo è Wired , quindi vogliamo essere in prima linea per quel che riguarda le nuove tecnologie, ma anche comportarci eticamente e con la dovuta circospezione. Ecco quindi alcune regole base su come stiamo usando l’offerta corrente di strumenti AI. Siamo consapevoli che ci saranno evoluzioni e col tempo potremmo quindi modificare la nostra prospettiva, e segnaleremo ogni novità in questo articolo”.


domenica 12 Marzo 2023

Charlie, retention

Che il coinvolgimento di nuovi lettori paganti (che nella transizione dalla carta al digitale sono di fatto abbonati, invece che acquirenti della singola copia) sia ormai da diversi anni la priorità dei giornali in tutto il mondo lo ripetiamo qui sotto per spiegare alcune notizie e storie, e lo abbiamo detto spesso. Lo sviluppo più recente di questa priorità invece è quello che i giornali hanno cominciato a scoprire soprattutto alla fine della pandemia, che aveva portato appunto molti nuovi abbonati a chi aveva saputo essere convincente nel proprio servizio di informazione: ed è la necessità di conservarli, gli abbonati, in tempi di bonaccia. E anche in tempi in cui gli abbonati rivalutano il rapporto tra costi e benefici dei loro investimenti. Si chiama “retention”, questo obiettivo, complementare alla “acquisition”, e ha bisogno di rassicurare gli abbonati sui costi – ma il rischio è abbassare i prezzi fino a svalutare il prodotto e perdere ricavi – oppure sui benefici: convincendoli che di quell’abbonamento non possono fare a meno, per contraddire l’impressione opposta di molti abbonati, ovvero che possano farne a meno.
Il sito del Poynter Institute ne ha scritto martedì: “un abbonato trattenuto vale più di un abbonato guadagnato”, soprattutto perché quello guadagnato – vedi sotto – spesso paga molto meno.

Fine di questo prologo.


domenica 5 Marzo 2023

Tre mesi col Post

Il Post ha annunciato che ospiterà cinque stage retribuiti di tre mesi per arricchire potenzialmente la sua rete di collaboratori e collaboratrici. Gli stage seguiti da periodi di inserimenti successivi e poi contratti di praticantato giornalistico sono stati il percorso attraverso cui si è costruita la gran parte della redazione del Post soprattutto nel suo primo decennio. Le istruzioni per candidarsi sono qui.


domenica 5 Marzo 2023

Signorini stacca da Chi

Alfonso Signorini, 58 anni, lascerà la direzione di Chi , la rivista di gossip, celebrities e leggerezze di Mondadori, dopo 17 anni. Mondadori lo ha incaricato di un diverso ruolo nel gruppo (resterà “direttore editoriale” di Chi ) e a dirigere Chi andrà l’attuale vicedirettore Massimo Borgnis, 62 anni.
Secondo i dati più recenti Chi ha una diffusione di quasi 80mila copie, in calo del 7,5% rispetto a un anno fa.

Anche ad Amica – mensile dell’editore RCS, quello del Corriere della Sera – ci sono stati spostamenti simili, con la direttrice Danda Santini che diventa direttrice editoriale, e la direzione passa alla condirettrice Luisa Simonetto.


domenica 5 Marzo 2023

Oscena

Al Foglio c’è stato uno sgradevole incidente con la pubblicazione di una presunta battuta volgare e omofoba all’interno di un articolo nelle pagine sportive, molto contestata sui social network e anche nello stesso giornale: il direttore e l’autore – sotto pseudonimo – si sono scusati.


domenica 5 Marzo 2023

Aspesi

Natalia Aspesi, una delle più famose e ammirate commentatrici dell’attualità e della cultura nel giornalismo italiano, ha raccontato nella sua rubrica sul magazine di Repubblica, il Venerdì, di avere avuto un ictus. Aspesi ha 93 anni e scrive su Repubblica dalla sua fondazione.


domenica 5 Marzo 2023

Vice si sfilaccia

Ci sono ancora indizi di difficoltà a Vice, che nacque come rivista negli anni Novanta in Canada, rivolta a un pubblico giovanile con un misto di contenuti giornalistici aggressivi e poco convenzionali e di temi di consumi e mode contemporanee. Nei decenni successivi ha avuto un enorme successo (raccontato con completezza nel libro di Jill Abramson Mercanti di verità, pubblicato in Italia da Sellerio) diventando una società digitale e di produzione video, ma con diverse traversie e alti e bassi, legati anche alle personalità dei suoi fondatori.

Avevamo scritto delle difficoltà della proprietà di Vice a trovargli un acquirente, ma intanto si è dimessa la sua amministratrice delegata, e sarà chiusa la sua edizione francese.


domenica 5 Marzo 2023

Qualcosa è andato storto

Lo scontro al New York Times intorno ai modi in cui il giornale ha affrontato le notizie che riguardano le persone trans sembra aver riattizzato un confronto più complicato che il nuovo direttore del giornale Joe Kahn pareva aver tacitato. Questa settimana non ci sono stati grandi sviluppi, ma sul sito Xtra c’è un buon articolo completo, critico del giornale ma comprensivo delle sue complicate dinamiche. Un buon riassunto è stato pubblicato anche da Vanity Fair americano.


domenica 5 Marzo 2023

Axel Springer vuole prendersi gli americani

Axel Springer è la grande multinazionale tedesca dell’editoria nota per diverse ragioni. Ha una lunga storia di successo editoriale e di potere in Germania, soprattutto attraverso la Bild , il suo tabloid sensazionalistico, e soprattutto con inclinazioni di destra conservatrice. È cresciuta come multinazionale in questo secolo e oggi possiede in Germania anche il quotidiano Welt, e negli Stati Uniti i siti Politico Insider, oltre al servizio di aggregazione di news Upday che è attivo su tutti gli smartphone Samsung.
Ultimamente i suoi interessi verso il mercato americano sono cresciuti e questa settimana il Wall Street Journal ha raccontato che sono diventati espliciti, con uno spostamento di investimenti dalla Germania agli Stati Uniti: ci saranno tagli alla Bild e alla Welt, con prospettive di estinzione delle edizioni di carta. L’amministratore delegato Mathias Döpfner ha anche parlato di investimenti sui software di intelligenza artificiale per la produzione di contenuti e di spostamenti delle priorità sui siti americani del gruppo con l’intenzione di entrare in concorrenza con il New York Times e con il Wall Street Journal stesso.


domenica 5 Marzo 2023

“Millantati”

L’ex direttore dei quotidiani Stampa Repubblica Mario Calabresi ha pubblicato sulla sua newsletter settimanale la sentenza sulla causa che lo riguardava, promossa contro di lui dall'”Osservatorio giovani editori”. Avevamo spiegato la storia su Charlie del 27 dicembre 2020:

L’”Osservatorio Permanente Giovani-Editori” è un oggetto misterioso nel panorama del business giornalistico italiano: il mistero si deve all’apparente distanza tra la sua straordinaria visibilità – soprattutto presso alcune testate – e capacità di creare relazioni con importanti figure di potere italiane e internazionali, e la poca concretezza e chiarezza dei suoi risultati, che nelle intenzioni proclamate dovrebbero riguardare la lettura dei giornali da parte dei giovani, appunto. Il tutto sintetizzato nella figura del suo fondatore, presidente e frontman, Andrea Ceccherini e nel suo incessante lavoro di autopromozione soprattutto in occasioni fotografiche accanto a vari “potenti della terra”.

Per molti anni quello che se ne sapeva era che il Corriere della Sera, il gruppo Monrif (che pubblica Nazione, Resto del Carlino e Giorno) e il Sole 24 Ore ne erano i principali sponsor e sostenitori, ottenendone in cambio un grosso lavoro di lobbying perché le scuole adottassero copie dei suddetti giornali da far leggere agli studenti. Poi negli ultimi anni sono successe un paio di cose: è stato rivelato lo scandalo dei dati di copie “gonfiati” del Sole 24 Ore – gonfiati per altre vie, ma le copie date alle scuole e conteggiate come vendute sono finite sotto maggiori attenzioni – ed è uscita un’ inchiesta sul Venerdì di Repubblica che ha messo in discussione i risultati accampati dall’Osservatorio con il progetto “Quotidiano in classe” e dipinto il suo fondatore come un capace venditore di fumo e raccoglitore di contributi economici da editori e fondazioni bancarie che verrebbero in cospicua parte dedicati alla prosperità dell’Osservatorio stesso e del ruolo del suo creatore e presidente.
Il presidente Ceccherini ha querelato allora l’autore dell’inchiesta Claudio Gatti insieme all’allora direttore di Repubblica Mario Calabresi e allo studioso di business dei media Pier Luca Santoro, i cui pareri erano citati nell’articolo.

La sentenza, pubblicata mercoledì, non solo ha respinto la richiesta di Ceccherini ma lo ha condannato al pagamento delle spese e di risarcimenti per 42mila euro contro i querelati:

“Tutto ciò considerato, se ne ricava che l’odierna azione non mira a contrastare la diffusione di notizie false negative, ma mira solamente a censurare un giudizio critico e negativo espresso sull’agire degli attori, un agire che proprio perché riguardante le scuole pubbliche italiane e i personaggi pubblici promotori, riveste un’ indubbia rilevanza pubblica; l’azione proposta contro i giornalisti, l’editore e il direttore di Repubblica è dunque risultata palesemente infondata e temeraria, come ripetutamente eccepito dai convenuti, ciò che determina l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. con condanna dei convenuti al doppio delle spese legali a titolo di indennizzo per abuso del processo, trattandosi di un’azione che poteva essere evitata usando la normale diligenza”.

La parte della sentenza che più conferma i dubbi sull’Osservatorio e sui suoi effettivi risultati è qui.

“gli attori non contestano – mediante, ad esempio, produzioni di segno contrario che pure avrebbero facilmente avuto a disposizione, visto il loro campo operativo – la caduta libera dei dati di lettura della rivista tra i giovani, che era già scarsa prima del progetto del Quotidiano in Classe e che è andata via via scemando nonostante questo progetto; si noti che non risulta che gli attori avessero chiesto nemmeno stragiudizialmente ai convenuti la rettifica dei numeri di cui all’inchiesta giornalistica contenuta nel brano.
Risultano quindi giustificati i dubbi e le perplessità mosse dal giornalista sul proseguire, nonostante questi risultati, dei finanziamenti e affidamenti da parte dei gruppi bancari e finanziari interessati e di società high tech”.


domenica 5 Marzo 2023

Charlie, non sottovalutare

«Per essere chiari, le intelligenze artificiali come ChatGPT o Sydney non possono avere emozioni», ha spiegato Emily Bell, ultima di una serie di commenti simili, sul Guardian venerdì. Insieme a Bell – che è un’esperta e stimata studiosa inglese di giornalismo e innovazione – anche molti altri hanno criticato il recente affollamento di articoli suggestivi appartenenti al fortunato format giornalistico “ho-parlato-con-un’intelligenza-artificiale-e-non-avete-idea-delle-cose-sconvolgenti-che-mi-ha-detto”. «Quello che questi sistemi sono incredibilmente capaci di fare è di emulare la scrittura degli umani e di prevedere le parole “corrette” da attaccare insieme: “grandi modelli di linguaggio” che hanno archiviato miliardi di articoli e dati pubblicati su internet. Quindi possono dare risposte alle domande che ricevono».

Accanto a questo ridimensionamento della deriva “emozionale” dell’informazione recente sulle intelligenze artificiali, Bell ha posto il problema dei rischi di affidabilità per il giornalismo – e per le nostre comunità di conseguenza – in termini meno vaghi di come viene fatto spesso: «il problema è che per le intelligenze artificiali la verità non è una priorità». Il loro uso produrrà una mole enorme di contenuti che saranno più che falsi, saranno autonomi dalla realtà e dalla verità come criteri di scelta. E se queste ipotesi sui rischi sembrano vaghe e inutilmente terroristiche, pensate alla leggerezza e all’eccitazione con cui vennero accolte a suo tempo le rivoluzioni dei social network, e a quanto ci abbiamo messo a registrarne una grande quota di controindicazioni ed effetti problematici, capaci di cambiare le convivenze.

Considerare le implicazioni di disinformazione dell’uso delle intelligenze artificiali è una riflessione che non vuole aizzare irrealistici luddismi contemporanei – le cose cambieranno, inevitabilmente – ma che consiglia di pensarci un po’ prima alle cose, stavolta: e provare a essere consapevoli di alcuni aspetti prima di esserne completamente governati. Non governati dalle intelligenze artificiali, che sono software, ma dai comportamenti umani che replicano e da quelli che incentivano.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Febbraio 2023

Cosa sta succedendo

È stato presentato il programma dell’edizione 2023 di ” Pensavo Peccioli ” il festival sull’attualità che si svolge dal 17 al 19 marzo nella città toscana di Peccioli in collaborazione con il Post, e curato da Luca Sofri. Tra gli ospiti ci saranno Francesco Piccolo, Paolo Giordano, Annalisa Cuzzocrea, Vera Gheno, Mario Calabresi, Diego Bianchi, Paolo Nori, Chiara Valerio, Michele Serra, Massimo Mantellini, Marino Sinibaldi, Elisabeth Åsbrink, Olivier Norek, Gaia Tortora, Stefano Boeri, Giovanna Zucconi, Walter Veltroni. E per il Post: Francesco Costa, Ludovica Lugli, Giulia Siviero, Matteo Caccia, Stefano Nazzi.


domenica 26 Febbraio 2023

Un mondo a sé

Le pagine sulla Moda dei quotidiani generalisti sono dedicate quasi esclusivamente alla promozione di brand o prodotti allo scopo di garantire agli stessi quotidiani una quota preziosa di investimenti pubblicitari da quei brand e da quelle aziende: è una forma di “giornalismo” più simile alle promozioni pubblicitarie che non al lavoro di informazione che viene svolto su altri ambiti dell’attualità, e che ha tolto sempre più spazio – in tempi di affanni economici dei giornali – a una ideale autonomia di giudizio e spiegazione delle testate e dei loro giornalisti. La peculiarità di quelle pagine, di quei titoli, di quegli articoli – un giornalismo a sé – è così palese che è tutto sommato ridotto anche il rischio di equivoco da parte dei lettori, che ne hanno quasi sempre consapevolezza. Ogni tanto è utile però trarne qualche esempio ancora più disinvoltamente promozionale del solito per avere presente questa anomalia piuttosto unica tra le varie sezioni di un giornale.


domenica 26 Febbraio 2023

Con Joe Biden

La visita di Joe Biden a Kiev, lunedì, è stata preparata tra mille attenzioni e segretezze: tra le altre cose ha coinvolto due giornalisti, invitati e richiesti anche loro di totale discrezione sul progetto, Sabrina Siddiqui del Wall Street Journal ed Evan Vucc dell’agenzia Associated Press. Le ragioni della loro scelta sono legate a un sistema di regole e consuetudini della copertura giornalistica dei viaggi presidenziali.
Joe Biden, come qualsiasi presidente degli Stati Uniti, è costantemente seguito nei momenti pubblici da un gruppetto di giornalisti (tra i 4 e gli 8 circa) definito “press pool”, che ha poi il compito di mettere in comune e a disposizione immagini e informazioni a beneficio di tutti i mezzi di informazione che per motivi pratici non possono essere sempre al seguito del presidente.
I giornalisti che fanno parte del pool ruotano, sia per quanto riguarda le testate che le singole persone: anche perché è un lavoro che impegna moltissimo tempo. Il presidente viene seguito ogni giorno da quando dichiara di essere in attività la mattina a quando si ritira per la notte. Insomma, testate e corrispondenti fanno a turno. Per esempio, chi fa parte del pool durante un viaggio in Europa come quello della settimana scorsa viaggia sull’aereo presidenziale, mentre chi deve dare il cambio viaggia su un aereo di linea. Chi fa parte del pool ha spesso informazioni logistiche dettagliate e non comunicate pubblicamente, che come da accordi non vengono divulgate, e che servono per motivi organizzativi.
Ma non è stato questo il caso del viaggio a Kiev che è stato tenuto segreto anche al pool fino alle 5 di mattina del lunedì, quando il gruppo del pool ha ricevuto il cosiddetto “pool report”, ovvero una nota stampa che indicava il cambio di piani. I due giornalisti selezionati per seguire Biden erano i primi due nella lista del pool, e sono stati scelti in base alla rotazione, seguendo quindi lo schema dei turni e non altre considerazioni o vie preferenziali.


domenica 26 Febbraio 2023

Davantologia

Charlie cerca di non dare per scontato niente, anche perché i suoi iscritti continuano ad aumentare (grazie). E quindi alcune cose che i lettori più antichi conoscono bene è sempre utile ricordarle, per capire meccanismi e dinamiche importanti nelle scelte dei giornali. Il grande spazio celebrativo dato ai risultati della società automobilistica Stellantis dalle pagine di Economia dei quotidiani Repubblica Stampa , per esempio, si spiega col fatto che Stellantis e GEDI – il gruppo editoriale che possiede Repubblica Stampa – appartengono alla stessa proprietà, la società Exor della famiglia Agnelli-Elkann.
Simmetricamente, è difficile non associare l’unico articolo invece dubbioso sulla bontà di quei risultati di Stellantis al fatto che sia stato pubblicato da Domani , il quotidiano nato espressamente per reazione dell’ex editore di Repubblica – Carlo De Benedetti – alla vendita del giornale al gruppo GEDI, e predicando di voler fare concorrenza a Repubblica .
Carlo De Benedetti è invece protagonista del titolo poco benevolente di un articolo sul Fatto – giornale che è stato in polemica con Repubblica sia col passato che col presente editore – scritto da Selvaggia Lucarelli, che ha da poco smesso di collaborare con Domani , il giornale di De Benedetti, ed è tornata appunto a scrivere sul Fatto.


domenica 26 Febbraio 2023

Eliminalia

Diverse testate internazionali hanno pubblicato questa settimana delle inchieste sulle pratiche assai poco limpide e sui clienti di un network di società dedicate a “ripulire” il web da articoli indesiderati relativi a quei clienti. In Italia ne ha scritto il sito IrpiMedia.

” c’è un lavorio sotterraneo sugli url – le sequenze di lettere e numeri che identificano univocamente una pagina web – di cui nemmeno gli autori degli articoli o le testate si accorgono. È teso a “screditare” agli occhi di Google le notizie contestate, quindi farle scendere nella classifica dei risultati forniti dai motori di ricerca. Il lavoro è legale, per quanto a volte discutibile: chi cura l’immagine pubblica di aziende e volti noti può trovarsi a cercare di giustificare scelte ingiustificabili o cercare di cancellare indelebili macchie del passato. A svolgerlo al mondo ci sono circa duemila agenzie di “web reputation”.

Solo che alcune, come quella dell’avatar Raùl Soto, adottano tecniche fraudolente per arrivare al loro obiettivo. Negli ultimi anni, l’azienda per cui “lavora” Soto non solo si è specializzata nel manipolare l’indicizzazione dei siti web, ma ha anche cercato in silenzio di acquisire una fetta del mondo dell’informazione. Ha anche gestito clienti “in subappalto”, senza che questi ultimi ne fossero al corrente”.


domenica 26 Febbraio 2023

Dove va il Giornale

Sono ancora incerti anche i destini del Giornale , il quotidiano di proprietà di Mondadori e della famiglia Berlusconi sulla cui vendita alla proprietà del quotidiano Libero sono in corso trattative da diverse settimane (a un certo punto date per concluse dallo stesso vicedirettore del Giornale ). Un articolo del Foglio venerdì ha raccontato che Silvio Berlusconi avrebbe rafforzato i suoi dubbi sull’operazione, e che un’eventualità potrebbe essere il suo rimanere nella società con una quota.

” A spingere per la conclusione della trattativa sono i manager del gruppo Mondadori e la famiglia Berlusconi. A chiedere un’ulteriore riflessione al Cav. è il partito convinto che l’acquisto degli Angelucci non sia altro che “un regalo, una dote da consegnare alla premier, un segno dell’uscita di scena di Berlusconi dalla politica”. L’operazione è stata chiamata “Fox Meloni News” e prevede la costruzione, da parte degli Angelucci, di un polo editoriale composto da Giornale, Libero e non si esclude anche la Verità.

La vendita del Giornale si dava per finalizzata dopo le elezioni regionali in Lombardia. Oggi un ripensamento che contrappone i fratelli Berlusconi. Il Cav. avrebbe alzato il telefono e chiesto al management del quotidiano di interrompere la cessione: “Il Giornale è mio”. E’ anche del fratello Paolo Berlusconi. L’altro Berlusconi vuole la vendita. Pure Pier Silvio e Marina Berlusconi sono favorevoli alla cessione. Il padre ha un legame affettivo con il quotidiano ed è rimasto ferito dagli attacchi ricevuti in queste settimane. Le frasi del presidente Zelensky hanno dato forza a quanti nel partito gli ricordano: “Le reti Mediaset non fanno opinione, i quotidiani sì”. A corroborare questa linea di pensiero è la presenza oramai quasi fissa della premier a Rete 4, rete che ha scelto per le sue interviste e che in FI definiscono “Meloni 4”. Per non far saltare la trattativa sia i manager del gruppo Angelucci sia quelli del Giornale ragionano su una soluzione che nel mondo dell’editoria viene definita “una farsa e pure a perdere”. Si lavora a una cessione 70/30. Il 70 per cento agli Angelucci e il 30 per cento alla famiglia Berlusconi. Presidente della nuova società potrebbe essere il fratello Paolo che conserverebbe un ruolo. Serve a dimostrare che Berlusconi non si è sfilato dal Giornale”.


domenica 26 Febbraio 2023

Dove vanno il Piccolo e il Messaggero Veneto

Questa settimana non ci sono stati nuovi aggravamenti dei confronti all’interno del gruppo GEDI e dei suoi quotidiani, e il solo sviluppo pubblico è stato un comunicato dei comitati di redazione del Piccolo di Trieste e del Messaggero Veneto di Udine, due dei quotidiani del gruppo di cui si era ipotizzata la vendita nelle settimane scorse, e che hanno chiesto aiuto al presidente della loro regione. Il presidente Fedriga ha confermato l’interessamento all’acquisto di tutti e sei i quotidiani in discussione da parte di “una cordata di imprenditori veneti” guidata dal finanziere Enrico Marchi.


domenica 26 Febbraio 2023

Panni da lavare

Il Post ha raccontato più estesamente venerdì il conflitto all’interno del New York Times che Charlie aveva riassunto domenica scorsa. Una lettera firmata da diversi giornalisti e collaboratori del giornale aveva messo in discussione e criticato i modi con cui il giornale stesso si era occupato in passato delle persone trans. Si sono intanto succedute una serie di risposte e di controrisposte che hanno coinvolto la direzione del giornale, altri giornalisti e dipendenti, il sindacato: la sostanza della polemica si è spostata soprattutto sulla difficile convivenza tra la libera e preziosa critica delle scelte del New York Times e la lealtà e correttezza nei confronti del proprio giornale e dei propri colleghi. Da una parte un’idea che “i panni sporchi si lavino in famiglia” e dall’altra il timore che in famiglia i rapporti di potere non consentano di lavarli adeguatamente: in mezzo il sindacato, che dovrebbe tutelare le condizioni di lavoro ma non intervenire a limitare il libero dibattito, e in questo caso le due cose hanno rischiato di sovrapporsi.


domenica 26 Febbraio 2023

1500 volte

Il settimanale Internazionale ha pubblicato il suo numero 1500, e il direttore si è trattenuto un momento a celebrare la scadenza, con legittima soddisfazione per un prodotto giornalistico piuttosto unico e prezioso per qualità e servizio pubblico, in Italia. E a ricordare di quanto lavoro c’è e di quanto ne sono corresponsabili le persone che pagano per goderne, soprattutto quelle che lo fanno con fedeltà.

“Sono mille e cinquecento settimane che un gruppo di persone, all’inizio quattro e oggi quarantatré, legge centinaia di articoli usciti sui giornali di tutto il mondo alla ricerca di quelli più interessanti e sorprendenti […] alla fine succede quello per cui tutto questo esiste e va avanti, e cioè che un certo numero di persone, poche all’inizio e diventate tantissime nel corso delle mille e cinquecento settimane, decide di prendere una copia di Internazionale, sfogliarla, leggerla tutta o in parte, e ripetere lo stesso gesto la settimana successiva; a questi lettori e a queste lettrici, dunque, è il momento di dire: grazie”.


domenica 26 Febbraio 2023

Non alzate troppo la cresta

È una specie di déjà vu: in Canada, dove è in discussione una legge per ottenere che i giornali siano compensati dalle grandi piattaforme digitali, modellata su quella approvata a suo tempo in Australia, le piattaforme stanno mettendo in pratica esperimenti di ritorsioni o ricatti (tutti legittimi). Questa volta è Google che ha voluto mostrare alle aziende giornalistiche di avere ancora il coltello dalla parte del manico, almeno una parte del manico: e ha rimosso “sperimentalmente” una gran quota di siti di news dai suoi motori di ricerca e dai suoi servizi di aggregazione di news.

La contesa è quella che sta occupando pensieri e confronti in tutto il mondo da alcuni anni. Google e Facebook (in forme diverse) ottengono traffico e contenuti a partire da “snippets” – ovvero brevi anteprime – di articoli dei giornali online. I giornali chiedono di essere per questo compensati con una condivisione dei ricavi conseguenti. La richiesta ha molte fragilità per come viene formulata: una è che non si capisce perché debbano essere solo i giornali a essere compensati e non qualunque sito i cui contenuti siano aggregati su Google o promossi nelle timeline di Facebook; un’altra è che i giornali vengono già compensati attraverso il traffico che le piattaforme portano loro, e che se le piattaforme decidessero di dire loro “ok, noi possiamo farne a meno, di voi” (come sta provando a minacciare Google in Canada) per i giornali sarebbe un guaio e per le piattaforme assai poco.
Ma è vero che quando qualcuno guadagna molto e qualcun altro è in difficoltà una redistribuzione sarebbe corretta ed equa, soprattutto se quel qualcun altro svolge un prezioso lavoro di servizio pubblico (ora ci arriviamo).

Questa sproporzione di rapporti di forza è stata però ridimensionata negli ultimi due anni dal peso maggiore che le grandi aziende giornalistiche mantengono ancora in un ambito rilevante: quello della politica e delle sue istituzioni. Che in diversi paesi del mondo hanno accolto le pressioni e il lobbying delle aziende giornalistiche e hanno minacciato le piattaforme di interventi legislativi che le costringano a pagare i giornali. In alcuni casi gli interventi ci sono stati (l’Australia per prima), in altri le minacce sono bastate a suggerire alle piattaforme di proporre degli accordi.

Il fatto è che queste leggi o queste minacce hanno avuto come beneficiarie soprattutto le grandi aziende giornalistiche con maggiore potere di pressione, e non necessariamente hanno prodotto maggiore pluralismo, maggiore innovazione, maggiore qualità. E quindi anche dove si è ottenuta questa redistribuzione, non si tratta sempre di una vera redistribuzione a beneficio del servizio pubblico ma piuttosto di una maggiore spartizione tra grandi aziende.
In questo scenario, si è alzato adesso di nuovo il livello dello scontro in Canada.


domenica 26 Febbraio 2023

Charlie, sul posto ma fino a un certo punto

Leggendo alcune corrispondenze da Mosca e ancora di più ascoltando gli inviati dei telegiornali riferire le notizie sulla guerra dalla Russia si può avere l’impressione di una maggiore indulgenza nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina o di un eccessivo e acritico distacco nel riferire le comunicazioni e le posizioni del regime di Vladimir Putin. È un’impressione obiettivamente fondata, spessissimo queste comunicazioni e posizioni non sono accompagnate dallo scetticismo, dalle verifiche e dalle contestualizzazioni che meriterebbero. La responsabilità però è raramente dei giornalisti, quanto di una situazione di controllo e pressione per chi lavora con l’informazione in Russia, che riguarda anche corrispondenti e inviati stranieri e che si trasforma nei fatti in un ricatto. Ed è un’antica questione, quella relativa al valore giornalistico di racconti di questo genere: può riguardare regimi autoritari ma anche regolamentazioni militari imposte da paesi democratici in stato di guerra (per esempio con i giornalisti “embedded” al fronte). Ma è con i primi che il dilemma è più difficile da superare: quando l’informazione che una testata dà è sottoposta a censure tali da diventare disinformazione, ha ancora senso? Ma, per contro, ci si può arrendere? E abbandonare la comprensione delle cose sul posto, malgrado questa comprensione rischi di non arrivare a chi ascolta o legge? È un prologo coi dubbi, stavolta.

Fine di questo prologo.