Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 13 Ottobre 2024

Apple

L’ Atlantic è uno storico e illustre magazine mensile statunitense (il nome completo è stato Atlantic Monthly fino al 2007), una delle più autorevoli testate di attualità e politica. Negli ultimi dieci anni ha spostato con efficacia le sue priorità sul digitale e si è impegnato con successo ad aggiornarsi sulle dinamiche nuove della sostenibilità economica. Nel 2017 è stato acquistato da una società di proprietà di Laurene Powell Jobs, vedova del fondatore di Apple Steve Jobs. Di recente ha annunciato di avere raggiunto il milione di abbonamenti e di essere tornato per la prima volta in attivo dopo molti anni. Adesso, per fiducia nel suo antico formato, ripristinerà a dodici numeri l’anno la frequenza di uscita della rivista cartacea, che era stata ridotta a dieci nel 2003.


domenica 13 Ottobre 2024

Certificarsi

Nelle ultime due settimane sono tornate a comparire sui due quotidiani maggiori delle pagine pubblicitarie che promuovono dei servizi di certificazione di qualità delle aziende: in uno “una giuria di esperti” ha premiato “i migliori siti di ecommerce”, in un altro – a cui il Corriere della Sera ha offerto anche due pagine di articoli – sono classificati i “best employers”. Avevamo spiegato due anni fa su Charlie il meccanismo di questi servizi, soddisfacente per tutti i coinvolti.

“Le aziende beneficiate dalle “certificazioni” dell’ITQF sono migliaia, e poi possono dichiararlo pubblicamente “a fronte del pagamento di una licenza temporanea”, come è indicato in piccolo e non con grande chiarezza nelle stesse pagine pubblicitarie. È quindi nell’interesse di ITQF che le aziende ben figurino nelle proprie indagini, per poter vendere quei risultati alle aziende stesse, alle quali interessa usare nelle comunicazioni quella “certificazione” comprando pagine sui giornali (o spot in tv), ai quali interessa quindi che quelle certificazioni siano descritte come credibili. Tutti soddisfatti”.


domenica 13 Ottobre 2024

Scrivere, scrivere tanto

Nelle redazioni dei giornali dell’editore Reach – uno dei più grandi gruppi editoriali britannici – si sta discutendo la possibilità di aumentare il numero di articoli che ogni giornalista pubblica al giorno. Graeme Brown, direttore editoriale di una delle testate del gruppo, ha chiesto alla redazione di scrivere fino a otto articoli per giornata lavorativa.
Reach, che fino al 2018 si chiamava Trinity Mirror, possiede più di 120 testate cartacee e digitali, molte delle quali sono giornali locali e tabloid: tra cui il Daily Mirror, il Daily Star e il Daily Express che sono tra i più venduti tabloid del paese.
La decisione di aumentare il numero di articoli pubblicati è stata spiegata con la contrazione del traffico online causata dai cambiamenti nell’algoritmo di Facebook, che da molti mesi sta riducendo la promozione dei contenuti di news (Brown dice che prima dei cambiamenti nell’algoritmo la sua testata ricavava il 50% delle visualizzazioni dal social network mentre ora solo il 5%). Scrivendo più articoli l’editore spera di attrarre un maggior numero di lettori, incrementando il numero di visualizzazioni e di conseguenza le entrate pubblicitarie. Paul Rowland, direttore editoriale di una serie di siti del gruppo, ha detto che l’azienda sta lavorando per diversificare le fonti di reddito ma finora la pubblicità ha ancora un ruolo fondamentale. In un momento in cui la gran parte dei giornali di tutto il mondo punta soprattutto sugli abbonamenti per risollevarsi dal calo dei ricavi pubblicitari il gruppo Reach fa parte di una tendenza che vuole continuare a dare la priorità alla pubblicità.

Il gruppo è in crisi da tempo: al calo delle copie cartacee vendute e alla diminuzione del traffico online si sono aggiunti, dal 2011 in poi, i rimborsi che Reach ha dovuto pagare a decine di celebrità inglesi (tra cui il principe Harry) a causa delle modalità illegali con le quali i giornali avevano raccolto informazioni su di loro. Azioni che comprendevano la violazione di segreterie telefoniche e la raccolta illecita di documenti sanitari e bancari. Negli anni questi rimborsi sono arrivati a decine di milioni di sterline pesando sui bilanci dell’azienda.
A novembre dell’anno scorso Reach aveva licenziato 450 persone (tra cui più di 300 giornalisti) e durante tutto il 2023 i licenziamenti sono stati circa 800. Nonostante le riduzioni del personale il numero degli articoli pubblicati era rimasto invariato, e a seguito di questa nuova richiesta dovrebbe addirittura aumentare.


domenica 13 Ottobre 2024

I quotidiani ad agosto

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di agosto 2024. Come ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludendo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto.
Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 169.227 (-6%)
Repubblica 91.605 (-10%)
Stampa 61.158 (-16%)

Sole 24 Ore 51.756 (-6%)
Resto del Carlino 49.957 (-13%)
Messaggero 45.551 (-11%)
Nazione 33.531 (-13%)
Gazzettino 32.608 (-7%)
Dolomiten 27.834 (-2%)
Fatto 27.110 (-37%)
Giornale 26.880 (-5%)
Messaggero Veneto 23.627 (-11%)
Unione Sarda 23.303 (-6%)
Verità 21.485 (-16%)
Eco di Bergamo 20.165 (-11%)
Secolo XIX 19.586 (-12%)
Altri giornali nazionali:
Libero 19.055 (-19%)
Avvenire 14.110 (-5%)
Manifesto 12.978 (+1%)
ItaliaOggi 5.145 (-42%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Le tendenze somigliano a quelle dei mesi passati, con una perdita annuale media delle prime testate che è del 10,3%, e che si può usare grossolanamente per valutare i risultati di ciascuna relativamente alle altre (più in generale, ricordiamo che naturalmente un declino annuo del 10% è una grossa crisi, ma una crisi nota e longeva). In questo senso il Corriere della Sera continua ad andare meglio di tutti tra le testate maggiori (da solo vende più copie dei due quotidiani GEDI insieme, Stampa Repubblica), mentre Repubblica negli ultimi mesi ha attenuato il suo declino portandolo nella media. Continuano ad andare male i quotidiani del gruppo Riffeser ( Nazione Resto del Carlino: il terzo, il Giorno, perde anche lui il 13%), mentre è ingannevole il grande calo del Fatto e lo sarà fino a fine anno, per una variazione del prezzo di copertina che ha escluso da questo conteggio – perché troppo scontata – una quota degli abbonamenti digitali. Nel frattempo, forte dei cospicui contributi pubblici che riceve ogni semestre e della condizione di quasi monopolio regionale del suo editore, il quotidiano in lingua tedesca Dolomiten ha superato il Fatto stesso.
Tra i quotidiani che sostengono vivacemente l’attuale maggioranza di governo continua ad andare meglio il Giornale – che sembra ancora beneficiare dello spostamento dei suoi direttori Sallusti e Feltri da Libero, altro quotidiano della stessa proprietà – mentre proseguono i grossi cali per Verità Libero (la Verità ha perso un terzo delle copie in due anni).
Nel loro piccolo, continua a cavarsela bene il Manifesto e continua a cavarsela male ItaliaOggi, che ha comunicato il dato più basso di sempre.

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 46mila – avendone aggiunti più di 9mila negli ultimi tre mesi -, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 25mila, come detto sopra, Repubblica più di 16mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 45.560 (-445)
Sole 24 Ore 22.122 (-62)
Repubblica 21.154 (+457)
Manifesto 7.066 (-636)
Fatto 6.408 (-71)
Stampa 6.325 (+38)
Gazzettino 5.626 (-273)
Messaggero 5.460 (-228)

È insomma notevole che le maggiori testate – il dato positivo di quelle GEDI è anomalo questo mese, vediamo se proseguirà – stiano facendo crescere gli abbonamenti a prezzi scontati a danno (diretto, o concomitante) di quelli a prezzo maggiore (il calo del Manifesto invece si deve probabilmente alla scadenza di alcuni abbonamenti attivati dopo una efficace campagna comunicativa, e segue una grossa crescita dei mesi scorsi).

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono da diversi mesi sempre del Tirreno di Livorno (-9%). Hanno invece notevoli crescite annuali – su totali assai più ridotti, tra le 6 e 7mila copie – il Tempo di Roma (+20%) e la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari (+33%).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.

(AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)


domenica 13 Ottobre 2024

Ultime dal Telegraph

La redazione del quotidiano britannico Daily Telegraph è preoccupata per il futuro dell’imparzialità del giornale, ora che Dovid Efune è stato indicato come probabile prossimo proprietario.
Efune, già editore del sito conservatore americano New York Sun, ha fatto un’offerta da 550 milioni di sterline per acquisire il Telegraph e la sua versione domenicale, il Sunday Telegraph, nelle fasi finali di un’asta che dura da giugno 2023. L’offerta di Efune è sostenuta da società di investimenti statunitensi e canadesi.
L’inquietudine all’interno della redazione, scrive il Guardian, è legata soprattutto alle posizioni molto decise sul conflitto in Medio Oriente che Efune ha espresso sui social e in pubblico.

Dovid Efune ha 39 anni, è nato a Manchester e a undici anni ha interrotto l’educazione tradizionale per formarsi in scuole ebraiche focalizzate sullo studio della Torah. Nel 2008 si è trasferito negli Stati Uniti per dirigere l’ Algemeiner Journal, un giornale rivolto alla comunità ebraica di New York di cui ha curato la transizione dallo yiddish all’inglese.
Nell’ottobre del 2023, a una serata di gala organizzata dall’ Algemeiner – di cui non è più direttore – parlando del conflitto tra Israele e Hamas, Efune ha sostenuto che sia necessario “combattere con ogni articolo e ogni titolo, nelle trincee di Facebook, X/Twitter e Instagram, e TikTok; e in ogni angolo buio nel grande campo di battaglia delle idee”.
In un tweet del 2 ottobre 2024 Efune ha scritto che “quando Israele dirigerà tutta la sua furia direttamente sul regime iraniano (…) per prima cosa decapiterà la sua leadership attraverso una serie di attacchi mirati e omicidi” e che si aspetta “che l’Ayatollah stesso sia nel mirino”. Ha aggiunto che quando questo avverrà “lo stato ebraico avrà assicurato un futuro migliore per gli iraniani e per la regione, e un mondo più sicuro per tutti i nostri bambini”.

Il Telegraph è uno dei più letti quotidiani britannici, storicamente di orientamento conservatore e riferimento per buona parte dell’elettorato Tory: ha sostenuto il candidato conservatore a ogni elezione politica dal 1945.
Una fonte della redazione del Telegraph ha detto al Guardian che, nonostante le posizioni del giornale siano già pro-Israele, il timore è che Efune possa trasformare il Telegraph nella propria piattaforma di propaganda. È in corso una verifica sull’offerta di Efune, che dovrebbe svolgersi in questi giorni e che durerà qualche settimana, e che dovrebbe approfondire anche le intenzioni e i progetti di Efune sul giornale.


domenica 13 Ottobre 2024

Fare altro

Il sito del New Yorker ha pubblicato una buona e completa riflessione sul non nuovo tema del mettersi in proprio e diventare “creators” dei giornalisti delle testate maggiori, a partire dalla scelta di Taylor Lorenz di lasciare il Washington Post (ne avevamo scritto la settimana scorsa). Caso piuttosto particolare, per estraneità congenita di Lorenz al sistema dei media tradizionali, ma l’articolo ne approfitta per un po’ di considerazioni sulle maggiori opportunità economiche (per chi riesce) e le maggiori fatiche della vita dei creators, e sull’ibridazione del giornalismo con molti altri aspetti della creazione dei contenuti digitali.

“In creator-driven journalism, what matters most is hypervisibility through an embrace of every conceivable form of digital distribution at once. Controversy is as good for audience development as scoops, and without a standards board the only arbiter of quality is the creator herself. Now that Lorenz is no longer beholden to a larger institution, she will be able to post whatever she likes and respond to the haters however she pleases, so long as her new clients—her subscribers and advertisers—see fit to support her. As the media analyst Brian Morrissey put it to me, “She’s a bit of a lightning rod, she’s a bit dramatic. Those things are absolute assets in the broader information space, and they’re liabilities in institutional media””.


domenica 13 Ottobre 2024

Come fai sbagli, su Gaza e Israele

Da due settimane molti media americani stanno discutendo di una polemica che ha coinvolto Tony Dokoupil, uno dei conduttori di CBS News, la testata giornalistica dell’emittente radiotelevisiva americana CBS. Il 30 settembre Dokoupil aveva condotto un’intervista a Ta-Nehisi Coates – noto giornalista e scrittore americano di intenso impegno politico, autore, tra gli altri, del bestseller Tra me e il mondo – sul suo ultimo libro The Message, che espone una critica molto severa contro Israele. L’intervista, condotta da Dokoupil con domande esplicitamente provocatorie (la prima suggeriva che il libro “non sarebbe fuori posto nello zaino di un estremista”) ha generato molte proteste sui social e tra alcuni colleghi di Dokoupil, tanto da indurre la CEO di CBS News Wendy McMahon e la direttrice editoriale Adrienne Roark a criticarlo durante una riunione della redazione, con l’accusa che la conduzione della sua intervista non fosse all’altezza degli standard editoriali di CBS News per quanto riguarda la neutralità e il livello di rispetto nella discussione. La reprimenda della direttrice ha creato però una discussione ancora più grande intorno all’accusa che un giornalista venisse ripreso dalla propria testata per non aver saputo lasciare da parte le proprie opinioni in occasione di un’intervista su un tema di attualità (Dokoupil è ebreo e ha due figli che vivono in Israele, il che ha alimentato l’accusa di parzialità nei suoi confronti).

La polemica si è ulteriormente estesa quando Shari Redstone, la presidente di Paramount Global – l’azienda che controlla anche CBS – si è discostata da Roark e da McMahon criticando il loro intervento e difendendo l’intervista di Dokoupil come “un buon lavoro”. Redstone non ha, come ha detto lei stessa, “controllo editoriale” della rete di news, ma ha “una voce in questa azienda” che ha giudicato importante usare (la voce, peraltro, della socia di maggioranza). La discussione è proseguita fra le cariche più alte dell’azienda: la posizione di Redstone non è stata appoggiata dal co-CEO di Paramount Global George Cheeks, che ha approvato la decisione di McMahon e Roark.

In merito alla critica di Adrienne Roark, il New York Times ha osservato come questo tipo di discussioni sia diventato abbastanza frequente nelle aziende giornalistiche dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023: le partigianerie e la carica emotiva che suscita qualsiasi contenuto relativo al conflitto israelo-palestinese hanno aumentato le preoccupazioni e le prudenze all’interno dei giornali sui toni da usare nella copertura di questo argomento. Le stesse preoccupazioni avrebbero quindi guidato Roark nella decisione di rimproverare un giornalista per i toni di una discussione incalzante ma, in realtà, piuttosto civile e a cui Coates ha partecipato senza scomporsi. Una giornalista di CBS News, Jan Crawford, ha difeso il collega nella riunione in cui è stato criticato esprimendo piuttosto chiaramente la prospettiva di un giornalista che si occupi di questo argomento in questo periodo storico (ma non solo): “Quando qualcuno ci presenta una visione unilaterale di una situazione molto complessa, come Coates stesso ammette di aver fatto, io credo che come giornalisti abbiamo il dovere di discutere quella interpretazione, dimodoché i nostri spettatori possano avere accesso alla verità o almeno a una visione più ampia ed equilibrata”.


domenica 13 Ottobre 2024

I soldi pubblici, meritati o no

È stata pubblicata la lista dei giornali che riceveranno la prima delle due quote di contributi pubblici assegnati ogni anno dal Dipartimento per l’editoria della Presidenza del consiglio. Le testate beneficiarie sono sempre quelle (qui sotto le prime per contributo), le discutibili motivazioni sono spiegate in questo articolo del Post.

Dolomiten 3.088.498,02 euro
Famiglia Cristiana 3.000.000,00 euro
Avvenire 2.877.518,71 euro
Libero 2.703.559,98 euro
ItaliaOggi 2.031.266,98 euro
Gazzetta del Sud 1.907.290,22 euro
Quotidiano del Sud 1.848.080,44 euro
Manifesto 1.638.950,20 euro
Corriere Romagna 1.109.178,49 euro
Cronacaqui.it (Torino Cronaca 1.103.650,04 euro
Foglio 1.039.757,19 euro
Gazzetta del Mezzogiorno 951.898,94 euro
Primorski dnevnik 833.334,04 euro
Editoriale Oggi (Ciociaria Oggi) 814.966,33 euro
Cittadino 712.049,40 euro


domenica 13 Ottobre 2024

Charlie, la free press del 2024

La storia maggiore intorno alle prospettive di sostenibilità economica dei giornali negli ultimi anni è stata lo spostamento di priorità tra i due tradizionali modelli di ricavo, ovvero dalla pubblicità di nuovo verso i lettori paganti e gli abbonamenti. Ancora la settimana scorsa abbiamo scritto qui delle implicazioni pericolose, per l’accesso all’informazione, del crescere dei paywall e dei contenuti a pagamento sui maggiori siti internazionali.
Però non tutti si stanno muovendo così decisi in questa direzione, seguendo il modello di cui l’interprete maggiore è stato il 
New York Times : ovvero spostare tutte le priorità sull’obiettivo a più lungo termine di sostenersi con gli abbonamenti digitali, a costo di sacrificare nel breve i ricavi pubblicitari. Molti siti di news e grandi gruppi giornalistici (molti tra gli italiani), invece, pur avendo introdotto e promosso sistemi di abbonamento, preferiscono ancora concentrarsi più sui ricavi pubblicitari: e gli abbonamenti sono venduti a prezzi bassi e bassissimi, generando scarsi ricavi ma aumentando il bacino di utenti più raggiungibili e profilati per la pubblicità.
E quindi, contraddicendo quello che dicemmo qui una settimana fa, è come se parallelamente in un’altra parte del mondo dei giornali si stesse ridando una nuova vita al modello della free press, che ebbe cospicui successi alla fine del secolo scorso distribuendo copie gratis e garantendo agli inserzionisti grandi numeri di lettori: una press “quasi free”, che oggi estende gratuitamente o quasi il numero di lettori per raggiungere numeri grandi abbastanza da mantenere soddisfacenti i ricavi pubblicitari. È un modello che difficilmente si accompagna a una maggior qualità del servizio giornalistico (e infatti le testate più autorevoli del mondo hanno adottato l’altro, con paywall e abbonamenti pagati più sostanziosamente), come fu anche per la free press novecentesca: ma che potrebbe avere ancora qualche chance di risultato proprio perché capace di fare concorrenza, presso il grande pubblico, alle offerte di informazione più costose. Se non fosse che il grande pubblico che vuole risparmiare non si abbona né ai giornali costosi né a quelli scontati, ma scorre le timeline dei social network.

Fine di questo prologo.


domenica 6 Ottobre 2024

Talk a Napoli

Nell’ambito del suo progetto di eventi pubblici e di “live journalism” che è diventato una parte essenziale e apprezzata dell’offerta per gli abbonati – che vi possono accedere a condizioni privilegiate – il Post ha annunciato il suo primo Talk – come è chiamato il format principale e longevo di questo genere di appuntamenti – al Sud: a Napoli, sabato 26 ottobre, al Teatro Bellini. E anche in questa occasione le prenotazioni sono andate esaurite in meno di un’ora.


domenica 6 Ottobre 2024

“Gentiluomo di sua santità”

Uno dei più longevi casi di cortesie per gli inserzionisti – quello dell’imprenditore Giancarlo Aneri, antico frequentatore del mondo giornalistico milanese e novecentesco – ha avuto una nuova manifestazione oggi domenica sul Corriere della Sera: di Aneri, che aveva comprato pagine pubblicitarie nuovamente negli scorsi mesi, il giornale ha riportato la nomina a “Gentiluomo di sua santità” e la consegna da parte del Papa di un certificato e di una medaglia.


domenica 6 Ottobre 2024

Resistenza all’Observer

L’eventualità di una vendita dell’illustre settimanale britannico Observer da parte dell’azienda del quotidiano Guardian che lo possiede (ne avevamo scritto due settimane fa) ha raccolto molte proteste sia tra i giornalisti delle due testate che tra molti intellettuali e autori del paese, tutti preoccupati della possibile perdita di indipendenza garantita fino a oggi dall’appartenza al gruppo Guardian Media.


domenica 6 Ottobre 2024

La direzione della Libertà

Il quotidiano di Piacenza, la Libertà, ha un nuovo direttore: Gian Luca Rocco sostituisce dopo sei anni Pietro Visconti.


domenica 6 Ottobre 2024

Facciamo a meno, dice Google

In Nuova Zelanda sta succedendo quello che negli anni passati è stato minacciato o attuato già in altri paesi, soprattutto in Canada e Australia: ovvero che le ipotesi di interventi legislativi per ottenere che le grandi piattaforme digitali paghino dei compensi ai giornali per i ricavi ottenuti utilizzando i contenuti di questi ultimi spingano le piattaforme stesse a rinunciare a quei contenuti. Questa volta è Google a minacciare di smettere di promuovere i contenuti di news sul suo motore di ricerca.


domenica 6 Ottobre 2024

Silvestri a capo di tutto al Sole 24 Ore?

Secondo il Giornale, che ne ha scritto sabato in una rubrica chiamata “l’indiscreto”, il presidente di Confindustria (che possiede il quotidiano Sole 24 Ore) avrebbe deciso di sostituire l’amministratrice delegata della società del Sole 24 Ore, Mirja Cartia d’Asero, con Federico Silvestri, che finora era stato a capo della concessionaria pubblicitaria del gruppo e di altre attività del gruppo. La notizia data dal Giornale non ha avuto finora conferme, ma si tratterebbe di un’ulteriore promozione di un dirigente proveniente dalla pubblicità a capo di un’azienda giornalistica (due settimane fa la redazione del giornale aveva diffuso un comunicato in solidarietà con quella di Repubblica e preoccupazione per le ingerenze della pubblicità nelle scelte giornalistiche).

“Cambio della guardia alla guida del gruppo Sole 24 Ore. Il presidente della Condindustria, Emanuele Orsini, in qualità di azionista di maggioranza assoluta della casa editrice che edita l’omonimo quotidiano, nei giorni scorsi avrebbe deciso di nominare Federico Silvestri amministratore delegato della società in sostituzione di Mirja Cartia D’Asero. Silvestri, attuale direttore generale della concessionaria 24 Ore Ore System, amministratore delegato della società 24 ORE Eventi, direttore della Divisione Radio 24 e amministratore delegato di 24 Ore Cultura, è considerato l’uomo forte che negli ultimi anni ha restituito dinamismo alle attività del gruppo editoriale della Confindustria. Il cambio della guardia sarebbe legato anche ad alcuni passi falsi compiuti da Cartia D’Asero in una vicenda che ha esposto il gruppo a importanti risarcimenti nei confronti di Nextalia, la società guidata da Francesco Canzonieri”.


domenica 6 Ottobre 2024

Le cose Nuzzi si complicano

Ci sono sviluppi sulla storia della relazione tra la giornalista statunitense Olivia Nuzzi e l’ex candidato alla presidenza Robert F. Kennedy Jr., che ha avuto grandi attenzioni e curiosità nelle redazioni statunitensi nelle ultime due settimane.
Nuzzi ha infatti denunciato l’ex fidanzato Ryan Lizza – anche lui noto giornalista, finora al sito di news Politico – accusandolo di aver messo in piedi contro di lei una campagna diffamatoria e intimidatoria che avrebbe tra le altre cose portato alla divulgazione della sua relazione con Kennedy. Secondo Nuzzi, Lizza avrebbe hackerato alcuni suoi dispositivi e rubato un altro dispositivo elettronico per raccogliere materiali e sorvegliarla, per poi passare informazioni dannose su di lei ai media in forma anonima. Il ricatto e le minacce avrebbero avuto l’obiettivo di convincerla a riavvicinarsi a lui dopo la fine della relazione e, a seguito del suo rifiuto, sarebbero proseguiti come ritorsione.
Nuzzi ha parlato anche di un episodio risalente a metà agosto in cui Lizza avrebbe “esplicitamente minacciato di rendere pubbliche informazioni personali su di me per distruggere la mia vita, la mia carriera e la mia reputazione: – una minaccia che ha poi concretizzato”.
La rivelazione della relazione “digitale” (“non fisica”, ha detto Nuzzi) della giornalista con Kennedy sarebbe quindi stata parte di questa campagna di intimidazioni.
Ryan Lizza ha invece dato questa dichiarazione a CNN: “Mi rattrista che la mia ex fidanzata abbia fatto ricorso a false accuse contro di me per distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti personali e professionali. Respingo categoricamente tali dichiarazioni e mi difenderò con vigore e con successo”.
Nel frattempo Politico ha fatto però sapere tramite un portavoce di aver messo Lizza in congedo e di aver avviato un’indagine interna al giornale.
Olivia Nuzzi stessa è tuttora sospesa dal giornale per cui scrive, il New York Magazine, perché la sua relazione con Kennedy rappresenterebbe una violazione delle politiche della rivista sul conflitto di interessi, essendosi lei occupata nei mesi scorsi della campagna elettorale presidenziale in cui Kennedy era candidato.


domenica 6 Ottobre 2024

Materiale riciclato

Più di venti anni fa, nella piccola comunità dei primi blogger italiani, qualcuno inventò l’espressione ” colonnino morboso ” (o “boxino morboso”) per indicare la sezione in homepage che i siti dei grandi giornali avevano creato per ospitare contenuti o notizie “acchiappaclick” strambe di vario genere: video buffi di animali, stranezze nelle partite di calcio, immagini di nudità, storie di gossip o di celebrities. Quegli spazi si sono nel tempo dispersi per tutte le homepage, superando i confini del colonnino, e hanno poi influenzato anche le scelte delle testate cartacee originali, contaminandone le pagine, soprattutto con l’aiuto dei social network e delle tante occasioni di questo genere che offrono.
L’indipendenza di quei contenuti da un reale valore giornalistico ha fatto sì che progressivamente chi si occupa dei siti di news che ne fanno tuttora grande uso li selezioni superando anche i criteri di spazio e di tempo: per esempio esaltando “notizie” avvenute in luoghi molto distanti o differenti dall’Italia, oppure anche molto tempo fa, ma tacendo nei titoli entrambi questi dettagli, e tacendo il secondo anche negli articoli. Questo vale per molte “notizie” che oggi trovate sui siti di news, e che – al di là del loro limitato valore: per esempio un cane che disattiva un freno a mano – sono proprio non-notizie: sono capitate a Kilgore, in Texas, e due anni fa.


domenica 6 Ottobre 2024

Pagare i podcast

L’annosa questione della “monetizzazione” dei podcast (ovvero di come ottenerne dei ricavi che coprano i costi) continua a essere una questione per molti siti di news: nella maggior parte dei casi sono prodotti in perdita, generando dei ricavi indiretti in termini di promozione delle testate e della loro attività. Alcuni nascono in collaborazione con sponsor o inserzionisti. Altri – come il podcast quotidiano Morning, sul Post – fanno parte dell’offerta per gli abbonati, e quindi concorrono a generare dei ricavi dagli abbonamenti.

Quest’ultima possibilità è finora quella più concreta – per chi riesce a sfruttarla con prodotti che funzionino – e adesso il New York Times si sta muovendo ulteriormente in quella direzione, limitando i propri popolari podcast all’ascolto per i soli abbonati e promuovendo uno specifico abbonamento dedicato ai soli podcast. Un’app e un abbonamento dedicato esistevano già, ma il giornale ora estenderà queste limitazioni anche ai propri podcast sulle piattaforme di Spotify e di Apple. Rimarranno disponibili a tutti le due o tre puntate più recenti dei podcast periodici, quotidiani o settimanali, o le prime dei podcast in forma di serie finita, che però gli abbonati potranno ascoltare in anticipo.


domenica 6 Ottobre 2024

In proprio

Martedì la giornalista del Washington Post Taylor Lorenz ha annunciato sui suoi canali social di aver dato le dimissioni dal giornale e di aver creato una sua newsletter: User Mag. Lorenz, che prima aveva lavorato per il New York Times e l’ Atlantic, negli anni è diventata molto nota per il suo lavoro giornalistico dedicato soprattutto agli argomenti della cultura digitale: nel 2019 aveva reso popolare l’espressione “Ok, boomer” e nel 2022 aveva smascherato la persona dietro l’account Twitter Libs of TikTok, account che si prendeva gioco dei liberal americani inimicandosi diversi giornalisti conservatori.
Le cause delle sue dimissioni sono però recenti. Il 14 agosto mentre partecipava al convegno “Creator Economy Conference”, organizzato dalla Casa Bianca su temi relativi alla comunicazione digitale, aveva caricato sul suo profilo Instagram, in una storia visibile solo agli amici stretti, un selfie nel quale compariva sullo sfondo il presidente Joe Biden accompagnato dalla didascalia “War criminal :(“. La fotografia era stata quindi caricata su Twitter da un giornalista del New York Post (che è un tabloid conservatore di proprietà della famiglia Murdoch) e aveva generato una polemica per la forte accusa nei confronti dell’amministrazione Biden e l’allusione al suo sostegno militare a Israele. La polemica era stata poi alimentata dalle successive dichiarazioni poco chiare di Lorenz che in un primo momento era sembrata negare di aver scritto lei quella didascalia, e in seguito aveva affermato che fosse una citazione di un meme, e che quindi non andasse presa seriamente. Il Washington Post aveva aperto una propria indagine sull’accaduto, e da allora Lorenz non aveva più scritto sul giornale.

Sei settimane dopo il caso, il primo ottobre, Lorenz ha comunicato pubblicamente la sua intenzione di abbandonare il Washington Post. Nell’ introduzione di User Magazine spiega che la decisione è dovuta a quella che definisce l’incapacità dei “media tradizionali” di adattarsi ad un contesto dell’informazione non tradizionale caratterizzato da ritmi molto sostenuti e linguaggi spesso incomprensibili per coloro che osservano dall’esterno. Ed esprime il suo disagio nel trattare questi temi in un contesto che secondo lei non riesce a comprendere e valorizzare il suo lavoro, a metà tra quello di content creator (oltre a scrivere sul Washington Post, Lorenz ha un canale YouTube e un podcast) e giornalista.


domenica 6 Ottobre 2024

Un esempio, Signorini e Sangiuliano

In due pagine dedicate a pubblicare e raccontare ulteriori intercettazioni telefoniche relative al “caso Boccia Sangiuliano” il Fatto ha mostrato delle conversazioni che confermerebbero la pratica di acquisto da parte di alcune testate “scandalistiche” di servizi fotografici per non pubblicarli, usando la decisione come merce di scambio di favori con i protagonisti dei servizi in questione: in questo caso l’ex ministro Sangiuliano. Pratica di cui avevamo scritto un mese fa su Charlie.

“«Carissimo Gennaro, eccomi qui». Inizia così la mail che Signorini, contattato dal Fatto, conferma di aver mandato a Sangiuliano: l’allora ministro la inoltra integralmente alla donna. “Volevo avvisarti – scrive il direttore di Chi – che da un paio di settimane mi arrivano al giornale servizi fotografici tuoi in compagnia della tua assistente (al ristorante, per strada…). Niente di compromettente. L’unica cosa è che una di queste agenzie insieme alle foto vendeva la notizia che ti sei separato da tua moglie, che hai tolto la fede e che hai con la tua assistente una relazione. Io ho acquistato il servizio perché non andasse in giro. Al di là della fondatezza della notizia (che a me non interessa ma a certa stampa “amica” sì) ci tenevo che tu lo sapessi, perché molto probabilmente non molleranno il colpo e ti controlleranno durante l’estate. Un caro saluto!!!!!!”.

Il dialogo tra Sangiuliano e Boccia prosegue: “Vuole dei soldi da te?”, domanda Boccia. “No!!! Per fortuna gli ho fatto un grande favore”. “E comunque come chiarisce anche lui non sono foto compromettenti”. “Ti posso mandare la risposta che ho mandato”, chiede lui. “Certo”, risponde lei. Sangiuliano a quel punto le inoltra il WhatsApp inviato a Signorini: “Grazie di cuore ho letto. Sei un amico. Ovviamente è tutto infondato. Si tratta di una persona che ha un fidanzato e collabora con me. Io sono con mia moglie a fare un weekend e staremo insieme tutta l’estate. Un abbraccio grande”. “Va bene come ho risposto?”, domanda in cerca di approvazione l’allora ministro. E Boccia di nuovo lo rassicura: “Certo”. “Comunque abbiamo molte invidie addosso. Anche la nostra amicizia attira gelosie”, chiosa lui.

[…] Signorini oggi spiega che, quando il 4 agosto contatta l’allora ministro, era convinto di acquistare il servizio di Fiumara&Scarfone: “Ma quando ho saputo che dovevamo spendere 12mila euro per delle foto che non volevano dire niente, con una signora che per me era una sconosciuta, non l’ho più comprato”. Stando a quanto riferisce il direttore editoriale di Chi, quindi, non ci sarebbe nessun servizio “ritirato” o non pubblicato, nonostante lui stesso ne avesse fatto parola con l’ex ministro”


domenica 6 Ottobre 2024

Più paywall

Reuters, una delle più grandi agenzie stampa internazionali, inizierà a fare pagare un dollaro a settimana la lettura di notizie sul suo sito. L’introduzione di un paywall è stata annunciata il 1° ottobre anche da CNN – era stato anticipato la settimana precedente – e conferma il progressivo spostamento da parte dei siti di news internazionali verso abbonamenti e servizi a pagamento a fronte del declino dei ricavi pubblicitari.
L’annuncio fatto simultaneamente dalle due aziende mostra anche un’altra delle conseguenze che la digitalizzazione dei servizi di informazione ha avuto su diverse aziende del settore giornalistico, e cioè la tendenza a sviluppare siti di news in diretta concorrenza tra loro con offerte e modelli di business molto simili: anche per testate il cui ruolo originario era un altro (un canale televisivo, CNN; un’agenzia di stampa che offre servizi alle redazioni, Reuters). Secondo il Wall Street Journal un mercato di abbonamenti a news e contenuti di intrattenimento sempre più affollato potrebbe mettere in difficoltà gli ultimi arrivati, questo in particolare per un’agenzia di stampa come Reuters, molto meno conosciuta di CNN da un pubblico di non addetti ai lavori, che si ritrova a dover scegliere a quale sito abbonarsi per leggere le notizie.
Per quanto riguarda CNN , l’introduzione di un paywall fa parte di un grosso piano di riprogettazione di costi e ricavi annunciato pochi mesi fa dal nuovo amministratore delegato Mark Thompson. Thompson era stato scelto dall’azienda un anno fa per provare a fermare una crisi causata dal grosso calo di ascolti e di profitti.


domenica 6 Ottobre 2024

In vendita

Le pagine di articoli giornalistici vendute ad aziende ed enti dai due maggiori quotidiani italiani, senza segnalarle come tali ai lettori, sono state in questi anni una novità preziosa per i ricavi pubblicitari dei quotidiani stessi, e la loro frequenza è andata aumentando: c’è evidentemente e comprensibilmente un interesse degli inserzionisti per questo formato di promozione che dà l’impressione di essere una scelta autonoma della redazione. Il Corriere della Sera in particolare sta riuscendo a venderne molte, creando una serie sempre più estesa e varia di denominazioni dedicate volte a presentare gli articoli come sezioni del giornale: questa settimana con due o tre pagine ogni giorno chiamate, oltre all’abituale “Eventi”, anche “Orizzonti“, “Eventi Le arti e le idee” e le doppie pagine “Eventi Orizzonti” ed “Eventi Percorsi“.

(è interessante notare come questi formati di articoli venduti, che sono sfruttati in minor misura anche da Repubblica (solitamente con la denominazione “Le Guide”), non siano niente di diverso dai contenuti per i quali Repubblica stessa aveva scioperato la settimana scorsa: la differenza, sensibile all’interno delle redazioni, era stata che la richiesta in quel caso provenisse da fuori del gruppo editoriale GEDI e non dalla concessionaria pubblicitaria interna).


domenica 6 Ottobre 2024

Parimàcc

Martedì 1° ottobre si è concluso l’acquisto del settimanale francese Paris Match, finora di proprietà del gruppo editoriale Arnaud Lagardère, da parte della grande multinazionale del lusso LVMH. L’operazione, per 120 milioni di euro, era stata preannunciata a febbraio. Riassumendo la situazione all’interno di Paris Match degli ultimi anni, il quotidiano Libération ha riportato l’opinione di un giornalista della redazione secondo cui il cambio di proprietà sarebbe “una liberazione” per i giornalisti che da tempo protestavano contro la direzione conservatrice che l’imprenditore Vincent Bolloré aveva dato al giornale dal suo ingresso nella società Lagardère News. Bolloré era diventato il maggiore azionista del gruppo Lagardère nel 2020 per poi diventarne il proprietario a tutti gli effetti: da quel momento in poi diverse scelte editoriali avevano provocato insoddisfazioni all’interno della redazione: la presenza sempre maggiore all’interno della sezione “people” del giornale di politici e religiosi ultraconservatori, un grande spazio ad articoli sulla religione cattolica, e la scelta di giornalisti conservatori e ritenuti poco esperti.
Con il passaggio alla nuova proprietà, Paris Match rimarrà distinto dal gruppo Les Echos-Le Parisien, che possiede gli altri due giornali del gruppo LVMH, costituendo una società autonoma. L’intenzione annunciata è di rinnovare il settimanale attraverso la valorizzazione della sezione fotografica, un ampliamento della copertura di cronaca e geopolitica, l’assunzione di nuovi giornalisti per compensare i licenziamenti degli ultimi anni e un aumento della presenza su Instagram e TikTok, con l’obiettivo di raddoppiare gli attuali 25mila abbonamenti nel futuro prossimo.
L’acquisizione di un settimanale da parte di una grande società come LVMH non è una novità per il mondo editoriale francese, dove molte maggiori testate sono di proprietà di aziende che si occupano solo in parte di giornali. Trattando il caso di Paris Match, il quotidiano Le Monde ha messo in guardia contro il rischio che il giornale si trasformi in uno strumento pubblicitario a favore dei marchi di proprietà di LVMH, nonostante le rassicurazioni di Antoine Arnault, direttore del gruppo, che ha garantito che all’interno di Paris Match non si parlerà “né più, né meno di prima, di LVMH”.
Il primo numero di Paris Match sotto la nuova proprietà uscirà il 10 ottobre.


domenica 6 Ottobre 2024

Rigori di BBC

Mercoledì sera BBC ha rinunciato a un’intervista all’ex premier britannico Boris Johnson, prevista per giovedì in prima serata, dopo che Laura Kuenssberg, un’importante giornalista di BBC che doveva svolgere l’intervista, ha comunicato in un tweet di aver inviato per sbaglio i suoi “appunti” per l’intervista allo stesso Johnson anziché ai suoi collaboratori, e di ritenere quindi che non fosse opportuno procedere.
Il giorno dopo Kuenssberg ha spiegato i motivi etici della sua scelta nella sua newsletter, scrivendo che se gli intervistati potessero sempre prepararsi in anticipo le risposte, l’intervista sarebbe solo un “esercizio artificiale” . Parlando in particolare dell’intervista a Boris Johnson, ha aggiunto che non avrebbe avuto senso nemmeno cambiare le domande: “Se non avessimo fatto domande su Brexit, sul Covid, sul Partygate, sulle sue dimissioni o sul suo rapporto con la verità, semplicemente non avremmo fatto il nostro lavoro”. L’intervista era stata largamente pubblicizzata da BBC nelle due settimane precedenti, perché sarebbe stata la prima di un lungo tour promozionale per il nuovo libro di Boris Johnson, che uscirà il 10 ottobre ma di cui Johnson ha già fatto pubblicare degli estratti sul tabloid britannico Daily Mail, ottenendo una grande visibilità attraverso dichiarazioni sensazionalistiche in cui dice, per esempio, di conoscere la vera causa della morte della regina Elisabetta II o che c’era un piano per invadere i Paesi Bassi per ottenere dei vaccini.

L’intervista era attesa e pubblicizzata anche perché a svolgerla era appunto Laura Kuenssberg, che è stata redattrice politica di BBC dal 2016 al 2022 e che oggi presenta un talk show politico, sempre per BBC. Come redattrice politica, Kuenssberg aveva seguito molto da vicino Boris Johnson nei suoi anni da primo ministro, dal 2019 al 2022, intervistandolo sugli errori del suo governo nel gestire i primi momenti della pandemia e realizzando su di lui alcuni documentari, tra cui un’inchiesta sul cosiddetto Partygate che portò alla fine del governo di Johnson. La cancellazione dell’intervista da parte di Kuenssberg è stata presentata da BBC come una decisione presa di comune accordo con lo staff di Boris Johnson – che non ha fatto commenti ufficiali – perché ormai la situazione era “insostenibile”.
Johnson sarà intanto intervistato in un programma radiofonico di BBC da un altro giornalista.


domenica 6 Ottobre 2024

Un’altra Repubblica ancora

Che la notizia maggiore di questa settimana per i giornali italiani avrebbe riguardato Repubblica ce lo sentivamo arrivare dalla precedente, di settimana. C’è un nuovo direttore, Mario Orfeo, che rimpiazza da domani Maurizio Molinari, e che sarà il sesto direttore della storia del giornale: col dato assai rivelatore – di epoche finite – che i primi due sono durati vent’anni ciascuno, e poi in meno di nove anni questo è il quarto.
La decisione vuole affrontare le relazioni molto deteriorate tra la redazione da una parte e la direzione e la proprietà – il gruppo GEDI, posseduto dalla società Exor – dall’altra: con una soluzione apparentemente sensata per quanto non molto inventiva né proiettata verso l’innovazione e il digitale su cui l’azienda insiste a parole con grande frequenza (e poca applicazione: che una grande azienda giornalistica stia tuttora insistendo sulla “transizione digitale”, nel 2024, è indice di un ritardo sensibile, seppur condiviso da molti giornali tradizionali italiani). Sensata perché Orfeo – che è napoletano e ha 58 anni – è stato a Repubblica vent’anni (vent’anni fa) e dovrebbe riuscire a costruire un rapporto con la redazione migliore di quanto abbia fatto Molinari, a riavvicinare un po’ Repubblica a quello che era Repubblica (se lo vorrà), e al tempo stesso è stato per i venti successivi – in Rai e nel gruppo Caltagirone che pubblica il quotidiano romano Messaggero – in ruoli vicini ai maggiori poteri giornalistici e politici romani, e dovrebbe essere capace di collaborare con quelli economici della famiglia Elkann che possiede Repubblica (assieme all’azienda automobilistica Stellantis e a molte altre cose) e governare i tanti relativi conflitti di interessi dell’azienda.
Nel frattempo GEDI ha anche comunicato che il presidente dell’azienda non sarà più lo stesso Elkann, che probabilmente preferisce distanziare il più possibile se stesso dalle faticose vicende delle aziende giornalistiche che pure possiede. La presidenza sarà di Maurizio Scanavino, che era finora amministratore delegato, e in quest’ultimo ruolo è stato nominato Gabriele Comuzzo: che finora era vicedirettore generale ed è direttore generale di Manzoni, ovvero la concessionaria pubblicitaria del gruppo.


domenica 6 Ottobre 2024

Charlie, servizio pubblico per pochi

Due grandi testate giornalistiche internazionali, come diciamo sotto, hanno deciso di introdurre – tra le ultime – dei paywall sui loro siti. Ovvero di limitare l’accesso gratuito alle notizie e al loro lavoro giornalistico. Sono CNN e Reuters, e per ora queste limitazioni sono assai parziali. E non dicono niente di nuovo: CNN e Reuters hanno deciso appunto di fare quello che negli ultimi dieci anni circa hanno deciso di fare quasi tutti. Ovvero di tornare a investire – con diverse lungimiranze, con diversi approcci, con diversi risultati – sui lettori paganti, per attenuare il declino dei ricavi dalla pubblicità.
Niente che non sia già successo: i giornali sono stati a pagamento – con occasionali e minoritarie eccezioni – per tutti i secoli della loro storia prima che arrivasse internet. Ma quando è arrivata internet è sembrato che qualcosa cambiasse – tra altri robusti cambiamenti – nella possibilità di accesso all’informazione delle testate autorevoli: che potesse raggiungere potenzialmente chiunque e non solo chi era mosso e motivato – una minoranza – dal desiderio di d’informarsi.
“Sono ormai lontani i giorni in cui l’informazione affidabile era disponibile online gratis”, ha scritto Oliver Darcy nella sua newsletter sui media che si chiama 
Status. Cosa inevitabile, se i giornali vogliono sopravvivere (con rare e fortunate eccezioni, come nel suo piccolo quella del Post), ma la cui ricaduta è una minore disponibilità di informazione di qualità proprio per le persone che la frequentano poco, e che hanno minore consapevolezza delle conseguenze che questo comporta.

Fine di questo prologo.


domenica 29 Settembre 2024

C’è interesse per il Novecento

Uno dei progetti collaterali del Post di giornalismo sostenibile continua a dare buoni risultati: anche l’undicesimo numero della rivista Cose spiegate bene è entrato nelle classifiche dei dieci libri più venduti del genere “saggistica”, come era avvenuto a tutti i primi numeri; e nelle vendite online sul sito del Post (che non sono conteggiate nella compilazione delle classifiche) è stato finora il secondo più venduto nei quattro anni di pubblicazione della rivista.


domenica 29 Settembre 2024

GEDI si è accordata con OpenAI

Un’ultima cosa collegata all’evento Exor da cui è nato lo sciopero di Repubblica, ma una cosa diversa. Nel corso di quell’evento è stato annunciato un accordo tra il gruppo GEDI e OpenAI, la società che produce il software di “intelligenza artificiale” ChatGPT. Nei comunicati e negli articoli piuttosto trionfalistici c’è molta retorica sulla “qualità dell’informazione” ma poca chiarezza sulla sostanza pratica dell’accordo (OpenAI si è limitata a riprodurre il comunicato GEDI specificandolo come tale): che di fatto dovrebbe riguardare l’accesso di OpenAI ai contenuti delle testate GEDI (che le “intelligenze artificiali” usano per produrre le proprie risposte agli utenti) in cambio di una promozione delle loro fonti originali sul nuovo servizio di ricerca online SearchGPT e di un probabile compenso economico finora non menzionato (che, come avvenne con simili trattative tra i giornali e Google, servirebbe a compensare la rinuncia di GEDI a cause giudiziarie per l’uso dei suoi contenuti).
In passato le testate GEDI avevano raccontato dubbi preoccupazioni, e richieste di “paletti”, a proposito dell’introduzione di questo genere di tecnologie.
Il Garante per la privacy ha diffuso una nota di “attenzione”, assai generica e laconica, sull’accordo.


domenica 29 Settembre 2024

Monrif esce dalla quotazione

Il gruppo Monrif, che pubblica i quotidiani NazioneResto del Carlino Giorno , e la testata nazionale QN, è una società quotata in borsa, e la cui maggioranza è posseduta dalla famiglia Monti Riffeser, storica proprietaria del gruppo. Adesso il presidente Andrea Monti Riffeser ha deciso il “delisting” della società (ovvero di toglierla dalla quotazione) acquisendo le azioni degli altri proprietari, con un’OPA, come si chiamano queste operazioni. Operazione costosa – ma la società ha capitali da altre attività – volta ad avere maggiori libertà di intervento e di eventuali cambiamenti in un settore in difficoltà come quello dell’editoria giornalistica.

“Monti Riffeser ha spiegato di ritenere che «il delisting sia un presupposto essenziale per una riorganizzazione ed efficientamento dell’emittente, finalizzati all’ulteriore rafforzamento dello stesso e del gruppo ad esso facente capo, operazione più facilmente perseguibile nello status di non quotata, grazie alla maggiore flessibilità operativa e organizzativa dell’emittente»”.


domenica 29 Settembre 2024

Il “racconto” della Moda

I due giorni di sciopero di Repubblica non hanno solamente tolto due giorni di promozione dell’evento torinese di Exor e delle pagine pubblicitarie e non vendute agli sponsor dell’evento: ma si sono svolti anche nei giorni delle sfilate a Parigi che, seguite a quelle di Milano, sono sempre una ricca occasione di raccolta di inserzioni comprate dai brand di moda e lusso. Sabato, quando il giornale è tornato a essere pubblicato, era – come il Corriere della Sera: sono le due testate che ottengono la grande maggioranza degli investimenti pubblicitari – molto ricco di inserzioni di quel settore, e di contenuti “giornalistici” dedicati agli inserzionisti: tra gli altri, un format che finora era stato usato soprattutto dal Corriere, ovvero l’articolo dedicato alla campagna pubblicitaria stessa del brand di moda, in questo caso Gucci.

Un altro genere di articoli sulle testate maggiori rivelatore della speciale indulgenza nei confronti di quella preziosa fonte di ricavo si è visto a proposito di una notizia che in qualunque altro contesto sarebbe stata raccontata come un’allarmante svendita del meglio della creatività imprenditoriale italiana all’estero, o un saccheggio segno di crisi: l’ingresso – in forme diverse – della grande multinazionale francese del lusso LVMH in due importanti brand italiani (Moncler e Tod’s, uno dei quali negli stessi giorni aveva comprato molte pagine di pubblicità sugli stessi quotidiani), celebrato invece come un’operazione di gran prestigio per tutti i coinvolti.
Sul Foglio , per esempio, le sfumature e implicazioni sono state descritte con più realismo:

“questa nuova mossa di Arnault è la riprova della sua intenzione di acquisire, controllare, o anche e come in questo caso sostenere, ma con una discreta capacità di manovra garantita da due consiglieri, quanto di meglio è rimasto nella moda italiana indipendente. Il momento è, purtroppo, di crisi profonda per le piccole e medie imprese manifatturiere nazionali, che subiscono un calo di ordini anche o superiore alla metà rispetto agli scorsi due anni, e al ministero del Made in Italy iniziano a moltiplicarsi i tavoli di discussione di misure straordinarie”.

Ma anche su Libero:

“Il tema su cui soffermarsi riguarda però la perdita costante di gruppi industriali a capitale italiano di ogni settore , a cominciare dal fashion, che finiscono in mani francesi o di fondi di investimento, cosa che non succede mai ai transalpini e da quel momento, per ora, moda a parte, inizia il travaglio dell’operatività sul suolo Italico, produzione diretta e indotto”.


domenica 29 Settembre 2024

Scandali e Kennedy, ancora

Se vi siete appassionati – come tutti nelle redazioni americane – alla storia della “relazione digitale” tra Olivia Nuzzi del New York Magazine e Robert Kennedy jr., Vanity Fair ha pubblicato un tentativo di ricostruzione di come si è arrivati al suo disvelamento: tentativo poco riuscito, ma con un po’ di dettagli in più.


domenica 29 Settembre 2024

This is CNN, please pay here

Anche CNN, uno dei più grandi e visitati siti di news internazionali, introdurrà a ottobre un paywall e un servizio a pagamento, cercando di sfruttare una fonte di ricavo – il pagamento da parte degli utenti – a cui ormai pochissimi siti hanno rinunciato, reso ineludibile dal manifesto declino dei ricavi pubblicitari.


domenica 29 Settembre 2024

Le invisibili notizie negli stadi

Il “diritto di cronaca”, come tutti i diritti e tutte le libertà, conosce molte limitazioni legate alle situazioni in cui entra in conflitto con altri diritti. È una cosa che viene spesso dimenticata quando lo si usa come slogan universale e assoluto, che debba prevalere su tutto. E che è utile conoscere per valutare e soppesare cosa sia più giusto – a norma di legge o di etica personale – in molti dei dibattiti sull’informazione.
Uno dei diritti con cui quello di cronaca entra quotidianamente in conflitto è il diritto d’autore: che spesso le aziende giornalistiche evocano rispetto ai propri contenuti utilizzati da altri (le piattaforme digitali, per esempio, o molti siti web) ma che al tempo stesso è frequentemente violato dai giornali stessi nell’utilizzo di immagini, video o testi prodotti da altri, proprio accampando ragioni di diritto di cronaca.

Le cose si sono complicate molto da internet in poi, naturalmente, e l’ambito in cui le priorità sono state più drasticamente definite è probabilmente quello delle immagini in video degli eventi sportivi, sulle quali si scontrano le pretese di esclusiva di chi ne acquista – a caro prezzo – i diritti di trasmissione, e le esigenze di informazione delle testate giornalistiche e del pubblico. I maggiori eventi sportivi sono sicuramente una notizia, negli stadi avvengono cose rilevanti e su cui ci sono molte attenzioni, ma a differenza di altri avvenimenti non possono essere mostrate dalle tv e dai siti che non hanno pagato, nemmeno nei loro telegiornali.
(la materia è straordinariamente complessa, come è stato complesso il dibattito sulla definizione dei diversi diritti in questione negli anni passati)

Le contraddizioni di questa supremazia del diritto d’autore (che malgrado il nome non riguarda quasi mai gli autori, ma chi ha comprato i diritti dagli autori: o dai soggetti equiparati agli autori, come leghe sportive, reti televisive, eccetera) sul diritto di cronaca si sono mostrate questa settimana quando l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha “avviato un’istruttoria” sulla mancata trasmissione televisiva delle immagini di una contestazione dei tifosi romanisti durante la partita di calcio Roma-Udinese: ” L’istruttoria mira a garantire che i diritti di cronaca siano rispettati e che le immagini degli eventi di interesse pubblico siano accessibili ai media” .

Il sindacato dei giornalisti Rai, Usigrai, ha commentato:

“ L’istruttoria avviata da AgCom sul rispetto del diritto di cronaca nella vicenda delle proteste nell’incontro di calcio Roma Udinese di cui non si sono potute vedere le immagini, conferma quanto denunciato in più occasioni dall’Usigrai. Da quando è in vigore la legge Melandri che disciplina la titolarità e la commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi si è di fatto limitato il diritto di cronaca che trova fondamento nell’articolo 21 della Costituzione .

Nonostante il regolamento AgCom sull’accesso alle immagini degli eventi sportivi da parte degli operatori dell’Informazione, avviene regolarmente che fatti di interesse pubblico che accadono nell’ambito di manifestazioni coperte da diritti non possano essere ripresi dalle telecamere dei giornalisti. A pagare il prezzo di queste norme sono i cittadini che vedono leso il loro diritto ad essere informati. L’Usigrai chiede ancora una volta che si rompa questo muro che impedisce ai cittadini di sapere cosa accade all’interno degli impianti sportivi durante manifestazioni che sono di interesse pubblico e che invece sono finite sotto il dominio di una ‘Regia Unica’ che oscura ogni evento che non sia funzionale agli interessi di chi ha comprato i ‘diritti’. Con buona pace della Costituzione e del diritto dell’informazione ”.


domenica 29 Settembre 2024

Un creativo esperimento, non riuscito fin qui

Anche al Washington Post, qualcuno ricorderà, c’è una crisi: rientrata negli ultimi mesi rispetto alle sue manifestazioni più drammatiche, ma che rimane nelle sue ragioni, ovvero un declino negli abbonamenti e nei ricavi dell’azienda. La proprietà, ovvero Jeff Bezos, aveva nominato un nuovo amministratore delegato – Will Lewis – che era intervenuto in modi un po’ spicci nelle sue prime decisioni, aveva fatto dimettere la direttrice e irritato la redazione. E aveva annunciato un nuovo direttore proveniente da Londra, il quale però di fronte alla ribellione dei giornalisti aveva rinunciato. Nel frattempo su Lewis, inglese a sua volta, si erano accaniti molti articoli dello stesso Washington Post e di altre testate americane, rivelando le accuse nei suoi confronti quando era stato coinvolto in un famoso scandalo giornalistico-giudiziario britannico.
Nei tre mesi successivi Lewis e Bezos hanno evidentemente deciso di lasciarla sbollire, sospendendo ogni nuova iniziativa e prendendo toni più concilianti. C’è stata una comunicazione prudente sulla ricerca del nuovo direttore con procedure meno autoritarie, e nel frattempo il direttore temporaneo è Matt Murray, che era stato preso dal Wall Street Journal per dirigere una specifica sezione del giornale.

Questo riassunto delle puntate precedenti serve a mettere nel contesto la notizia di questa settimana di ben 54 licenziamenti al progetto “Arc XP” del Washington Post : l’azienda, su incentivo di Bezos e delle sue sensibilità tecnologiche, aveva creato nel 2015 un proprio software di pubblicazione digitale che aveva poi venduto ad altre aziende giornalistiche e non solo, raggiungendo circa 2500 clienti. Il progetto era stato celebrato come un’originale fonte di ricavo accessoria che sfruttasse il know how esistente dell’azienda. Ma benché i suoi ricavi annui abbiano raggiunto i 50 milioni di dollari, i suoi costi (di sviluppo e consulenza, soprattutto: i dipendenti sono circa trecento) sono molto alti e l’attività è ancora in perdita. L’azienda sta quindi cercando di ridurli affidando a ulteriori software o “intelligenze artificiali” parti del lavoro.


domenica 29 Settembre 2024

Revolving doors

I nuovi editori dello storico settimanale britannico Spectator hanno già scelto il nuovo direttore, ed è un nuovo direttore noto, Michael Gove. Lo Spectator era stato messo in vendita assieme al quotidiano Daily Telegraph in seguito alle vicissitudini finanziarie della proprietà: per il Telegraph è ancora in corso un’asta, mentre lo Spectator è stato acquistato due settimane fa da Paul Marshall, proprietario della rete televisiva di destra GB News.
Michael Gove, 57 anni, ex giornalista, è stato uno dei più importanti politici conservatori britannici nello scorso decennio, ministro in quattro governi e grande sostenitore di Brexit. La sua vivacità polemica gli ha dato popolarità e nemici (quasi tutti i suoi primi ministri lo sono diventati), e sono stati molto alterni i suoi rapporti con lo stesso ex primo ministro Boris Johnson, che a sua volta era stato direttore dello Spectator tra il 1999 e il 2005.


domenica 29 Settembre 2024

Cosa è successo a Repubblica con “Italian Tech Week”

La crisi di Repubblica si può a questo punto chiamare crisi, sia per il suo declino di copie vendute e la sua perdita di centralità, ma soprattutto per le relazioni disfunzionali tra proprietà, direzione, redazione e concessionaria di pubblicità. Tra queste parti ci sono state tensioni e contrasti frequenti in questi anni, lo scontro di questa settimana è stato il più sostanzioso e significativo, e ricco di implicazioni e dettagli.

In questo weekend si sta tenendo a Torino un ambizioso evento organizzato che si chiama “Italian Tech Week”: si svolge da tre anni, organizzato da GEDI – l’editore di Repubblica Stampa – ed è stato pensato per dare un ruolo alle testate nella divulgazione di quello che succede nel mondo delle aziende tecnologiche, ma soprattutto per raccogliere ricavi da inserzionisti e sponsor e per promuovere gli interessi delle aziende appartenenti alla stessa società di GEDI, che si chiama Exor, è posseduta dalla famiglia Agnelli-Elkann e di cui fa parte tra le altre la grande azienda automobilistica Stellantis.
E questi due obiettivi rappresentano oggi i soli interessi di Exor a possedere dei giornali: renderli un po’ più remunerativi attraverso la pubblicità e usarli per sostenere le attività invece remunerative delle altre società. Quindi “Italian Tech Week” è un’occasione esemplare e prioritaria.

Per queste ragioni da quest’anno l’evento è stato sottratto alla direzione di un giornalista interno alla redazione – Riccardo Luna, responsabile della sezione Italian Tech di Repubblica Stampa – e affidato piuttosto a Vento, la società di Exor che si occupa di investimenti nelle startup tecnologiche. Scelta che però non è stata comunicata alla redazione, e scelta che ha immaginato di poter contare ancora sugli spazi promozionali dei quotidiani GEDI. E così, nelle scorse due settimane, ai giornalisti di Repubblica sono iniziate ad arrivare richieste molto dettagliate da parte di Exor sulle interviste da fare e i contenuti da produrre per promuovere “Italian Tech Week” e i suoi sponsor sul giornale e sul suo allegato speciale dedicato.

A questo punto, alcuni lettori di Charlie potranno dire: ma non accade regolarmente che nei maggiori quotidiani – soprattutto nelle pagine dell’Economia ma non solo – una quota di articoli sia dedicata agli inserzionisti pubblicitari e alle loro richieste, senza che questo sia reso chiaro ai lettori? La risposta è sì, ma questo avviene dentro una consuetudine tollerata (pur con un’asticella spostata più in basso ogni mese che passa) di lavoro dei giornali e delle redazioni: la pubblicità serve, la concessionaria insiste (ovvero la società del gruppo che vende la pubblicità), si discute e si fanno resistenze, ma anche molti compromessi considerati inevitabili.

Stavolta però i compromessi – enormi: l’inserto dedicato è solo una raccolta di celebrative interviste agli sponsor – sono stati di fatto degli ordini, e sono arrivati da un’azienda esterna al gruppo editoriale GEDI. E quando hanno cominciato a circolare dettagli ancora più concreti sulla “vendita” dei contenuti giornalistici, il Comitato di redazione ha consultato i giornalisti, che hanno deciso una vivace protesta e uno sciopero di due giorni, mercoledì e giovedì: «Questa redazione non ha mai venduto l’anima».
(in mezzo ci sono state le dimissioni del responsabile dell’Economia, respinte dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari)

Due giorni di sciopero contro l’editore sono già una cosa piuttosto grossa. Due giorni di sciopero che impediscono l’esecuzione degli obiettivi maggiori dell’editore – quelli citati sopra – annullando l’uscita in edicola e la pubblicazione online di tutti i contenuti (pubblicitari o presunti giornalistici) dedicati alla “Italian Tech Week”, sono una risposta drastica e bellicosa (questo è lo spazio dedicato all’evento giovedì dalla Stampa, che non ha scioperato). E infatti questa volta la proprietà – colpita nei propri interessi economici: a quelli del giornale si è finora mostrata assai indifferente – risulta piuttosto seccata, e sono circolate molte voci e allarmi persino di vendita di Repubblica o di GEDI, senza nessuna concretezza fin qui. Ma una piccola reazione è stata la decisione di trasmettere sul sito di Repubblica – che sarebbe stato in sciopero – la prevista diretta dell’evento di Torino, per conservarle una visibilità: con nuove proteste della redazione.

E a questo punto, alcuni lettori di Charlie potranno dire: ma questa collaborazione tra redazioni ed eventi sponsorizzati non avviene ormai in molte importanti testate tradizionali? E la risposta è sì, e avviene grazie a progetti condivisi e collaborativi tra le priorità giornalistiche e quelle di sostenibilità economica, progetti in cui si è lavorato molto sull’innovazione editoriale, sulla priorità del digitale, sulla credibilità dell’indipendenza giornalistica che garantisce credibilità alle attività sponsorizzate. L’impressione è che invece la proprietà del gruppo GEDI non sia stata capace finora di nessuna visione innovativa e lungimirante sui giornali che ha deciso di comprare cinque anni fa (li ha venduti quasi tutti, tenendo solo i due maggiori) e oggi pretenda solo di servirsene e limitare le perdite, sfruttando come può, e senza coinvolgerle, imprese che ritiene fallimentari e problematiche al servizio di quelle di maggior visione e floridità economica. E a un certo punto quelle prime imprese – i giornali – se ne sono accorte.


domenica 29 Settembre 2024

Charlie, il mondo fuori di qui

Una settimana fa il Guardian ha pubblicato un’intervista con la cantante Janet Jackson, una persona dalle condizioni di vita piuttosto privilegiate e con un accesso vantaggioso alla conoscenza del mondo. E a un certo punto dell’intervista Jackson ha balbettato che per quanto aveva sentito Kamala Harris non sarebbe “nera”, e che suo padre sarebbe bianco: «ho seguito poco le news di recente, ma mi hanno detto che sarebbe così».
Come voialtri sapete – voi che seguite le news più di Janet Jackson – non solo Harris è nera, non solo suo padre è giamaicano, ma le risposte di Jackson sono note falsità fatte circolare da Donald Trump e dai suoi sostenitori. E che ci siamo abituati a pensare siano trasmesse da a) fanatici squinternati, b) ingenui ignoranti o c) propagandisti in malafede.
Ma Janet Jackson?

Lo scorso agosto il New Yorker ha pubblicato un articolo su quelli che ha chiamato “low information voters”, elettori poco informati: una categoria di persone che non sono particolarmente impegnate e coinvolte nella propaganda partigiana e falsificatrice, e che non appartengono a classi sociali che non hanno accesso o abitudine all’informazione. Sono persone di classi medie, le cui vite sono in generale quelle della gran parte della popolazione e le cui opportunità di essere informate sono a portata di mano, ma che semplicemente non frequentano i mezzi di informazione, cartacei, televisivi o digitali. In molti casi non sanno le cose, sono ignare di temi e argomenti di attualità che per altre comunità più attente riempiono le conversazioni e le comunicazioni, e le notizie che arrivano loro vengono da fonti di quarta mano e altrettanto ignoranti (o in malafede), spesso dai social network.

Gli esempi non sono solo americani, ed è facile accorgersene. È presumibile che chi segue una newsletter sul mondo dei media viva in una bolla completamente diversa, e rischi di farsene influenzare: ma intorno a noi ci sono tantissime persone per cui la conoscenza delle notizie e dell’attualità occupa un tempo limitatissimo, una piccola accidentale parte della giornata. Per disinteresse, per altre priorità, per sfiducia, per preoccupazioni maggiori, ma anche per soddisfazioni maggiori: la famiglia, il proprio lavoro, le proprie passioni specifiche. Tantissime persone non sanno chi sia Giancarlo Giorgetti né cosa sia Hezbollah e meno che mai chi sia il direttore di Repubblica (o cosa sia il Post). Molte più di quelle che lo sanno, è facile ipotizzare anche senza sondaggi.

È sempre una cosa da tenere presente, emergendo dalla propria bolla, quando parliamo di giornali, o di funzionamento della democrazia.

Fine di questo prologo.


domenica 22 Settembre 2024

Il secolo scorsoio

Il progetto cartaceo del Post, la rivista Cose spiegate bene , è arrivato al suo undicesimo numero e continua a confermarsi una proficua fonte di ricavo accessoria, oltre che un prodotto giornalistico molto apprezzato. Il nuovo numero sul Novecento è in libreria da pochi giorni dopo essere stato acquistato in anteprima dagli abbonati del Post, ed è già il terzo numero per vendite tra tutti quelli pubblicati sinora.


domenica 22 Settembre 2024

Ripasso

L’informazione giornalistica sulle cose che riguardano l’Unione Europea fa da sempre molta fatica, e i giornali e i giornalisti che provano a renderla attraente e comprensibile fanno un lavoro prezioso ed encomiabile. Tra le ignoranze all’interno delle stesse redazioni divenute quasi proverbiali c’è quella sulla distinzione tra i maggiori organi dell’Unione (assieme a quella tra le istituzioni di giustizia internazionali), che mercoledì si è manifestata – confondendo Commissione e Parlamento – persino nell’editoriale di prima pagina del direttore del Giornale.


domenica 22 Settembre 2024

I desideri di Lotito

Il Fatto ha pubblicato mercoledì una sorta di intervista col senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della squadra di calcio della Lazio: in realtà lo stesso autore dell’intervista la descrive come una conversazione improvvisata in una sala della Camera, durante la quale Lotito gli ha descritto il desiderio di comprare un quotidiano (nel senso: non all’edicola), esprimendo una sua preferenza per il Foglio , e in seconda istanza la Verità (ma il Foglio “vola più alto”).


domenica 22 Settembre 2024

Con le molle

La notizia dell’esonero dell’allenatore della Roma calcio, Daniele De Rossi, ha mostrato mercoledì più palesemente di altre la fragilità dell’informazione legata alle società calcistiche (fragilità che raggiunge solitamente i massimi a proposito delle notizie di “calciomercato”). Soltanto poche ore prima, infatti, molti giornali e siti di news che si erano occupati delle incertezze sulle vicende della squadra avevano titolato sulla confermata “fiducia a De Rossi” da parte della proprietà.
Smentite plateali come questa non avvengono raramente e si devono sia all’inattendibilità delle fonti all’interno del mondo del calcio che alle poche cautele dei giornali nel considerare queste inattendibilità.


domenica 22 Settembre 2024

Con ENI o contro ENI

Abbiamo spesso raccontato su Charlie gli investimenti ricchissimi che la società di energia e combustibili fossili ENI fa in pubblicità e sponsorizzazioni sui giornali italiani, e che sono da sempre usati – con successo – per garantirsi indulgenze e disponibilità dai giornali stessi: particolarmente preziose di questi tempi per un’azienda responsabile per sua natura di emissioni inquinanti e spesso accusata di pratiche discutibili. Le sole testate tra i quotidiani più noti a mostrarsi critiche nei confronti di queste pratiche e indipendenti da queste sovvenzioni – e quindi a riceverne molte meno – sono il Fatto Domani e il Manifesto: questa settimana solo Domani ha pubblicato i risultati di una ricerca che accusa molti festival nazionali di complicità con ENI nel suo progetto di “greenwashing”.


domenica 22 Settembre 2024

Ancora sulla procura di Parma

Venerdì la procura di Parma ha pubblicato un altro comunicato, in concomitanza con la disposizione degli arresti domiciliari per l’indagata nell’inchiesta: un lungo comunicato pieno di informazioni sull’inchiesta stessa, che dimostra quanto può essere utile questo procedimento rispetto alla diffusione parziale e clandestina di documenti giudiziari. Da prendere naturalmente con tutto lo scetticismo giornalistico dovuto alle fonti interessate come è una procura (per esempio, nel lungo comunicato non si motiva la richiesta di custodia cautelare di una persona presunta innocente fino a processo).


domenica 22 Settembre 2024

Sharing economy

Giovedì sera è stato distribuito a Londra l’ultimo numero del quotidiano Evening Standard , che dopo 197 anni diventerà un settimanale col nome di London Standard: il giornale aveva già cambiato la sua frequenza a cinque giorni alla settimana nel 2009, quando era divenuto una free press, distribuito gratuitamente soprattutto nelle stazioni della metropolitana.
Il primo numero della nuova testata settimanale uscirà giovedì prossimo (sempre al pomeriggio), e il giornale – posseduto dall’imprenditore russo-britannico Evgeny Lebedev assieme al giornale Independent (a sua volta divenuto solo online dal 2016) – ha fatto un accordo con un’altra free press, City AM, per condividere i contenitori delle copie disseminati nelle stazioni. City AM, che si occupa soprattutto di temi economici ma ha pagine di argomenti più generali, è pubblicato dal lunedì al giovedì: da giovedì pomeriggio a tutto il weekend i contenitori ospiteranno lo Standard.


domenica 22 Settembre 2024

Purtroppo

Due frequenti inadeguatezze dei quotidiani e dei siti di news italiani si sommano spesso quando in casi di cronaca – solitamente tragici – le redazioni si affrettano a cercare su Facebook informazioni e immagini da usare: la prima è una abitudine all’indiscrezione incosciente nei confronti delle persone coinvolte, che è un’evoluzione contemporanea del peggior giornalismo morboso, quello che secondo aneddoti leggendari rubava le fotografie delle vittime di crimini dalle cornici nel soggiorno delle case: l’altra è la generale trascuratezza nel verificare e controllare le informazioni e ciò che viene pubblicato.
A volte, appunto, le due cose capitano insieme: in una terribile storia avvenuta in provincia di Treviso, molte testate locali e nazionali ( Corriere della SeraSole 24 OreAdnkronosAnsaTgcom24FattoOpenFanpage) hanno pubblicato diverse foto di una donna che si era uccisa annegando insieme alla figlia di tre anni, foto tratte dal profilo di Facebook attribuito alla donna. La quale però non aveva un profilo Facebook, e quello individuato dalle redazioni era il profilo di una sua omonima originaria dello stesso paese. Le foto pubblicate a corredo degli articoli erano quindi di un’altra persona, viva, ed estranea alla storia.
Simili errori non sono una novità.
La Tribuna di Treviso si è scusata coi lettori e l’interessata sul quotidiano di lunedì (il Corriere della Sera di lunedì invece ha ancora pubblicato una foto della persona sbagliata, che tuttora si trova nell’archivio del giornale, come rimangono online le foto sbagliate in diversi articoli delle testate citate). La persona di cui sono state usate le immagini ha fatto presentare da un’avvocata una cospicua richiesta di danni a una decina di aziende editoriali.


domenica 22 Settembre 2024

Questa poi

È invece probabile che la notizia che questa settimana ha generato più attenzioni, meraviglia e chiacchiere nelle redazioni statunitensi, e non solo, sia stata quella diffusa dalla newsletter Status la mattina di venerdì e rapidamente ripresa da tantissimi siti di news americani: ovvero la rivelazione di una “relazione” fra Olivia Nuzzi e Robert Kennedy Jr.
Notizia che non è solo un pettegolezzo – la relazione sembra essere stata solo a distanza, probabilmente per messaggi e immagini – ma che ha posto una notevole questione di etica giornalistica. Nuzzi, 31 anni, è infatti una delle più note giornaliste politiche americane di questi anni, che solo due settimane fa aveva fatto notizia per un reportage su Donald Trump molto letto e condiviso sul suo giornale, il New York Magazine . Robert Kennedy Jr. è invece il membro della famiglia Kennedy che si era candidato alle elezioni presidenziali con posizioni molto estreme e criticate, e si è di recente ritirato per sostenere Trump.

Il New York Magazine ha sospeso Nuzzi considerando inappropriato il non aver rivelato la relazione mentre scriveva dello stesso Kennedy e poi della campagna elettorale. Altri dettagli sono nell’articolo del Post.

“Nuzzi si è scusata e ha concluso che «il rapporto non è mai stato fisico ma avrebbe dovuto essere reso noto [ai suoi datori di lavoro] per impedire la parvenza di un conflitto d’interessi». I media statunitensi hanno ricostruito che il rapporto sarebbe iniziato dopo che lo scorso novembre Nuzzi aveva realizzato un ritratto (cioè un articolo approfondito che racconta un personaggio) di Kennedy Jr.»”.


domenica 22 Settembre 2024

Axel Springer sempre più Döpfner

Un’operazione societaria si è invece conclusa in un’altra grande multinazionale giornalistica, il gruppo tedesco Axel Springer. In sintesi, la separazione delle attività media da quelle pubblicitarie e di annunci professionali, che saranno cedute al fondo KKR (finora socio di tutto il gruppo, valutato 13,5 miliardi di euro), significa che la proprietà dei giornali del gruppo (tra gli altri: il vendutissimo tabloid tedesco Bild, il quotidiano Welt, i siti americani Politico Business Insider) diventerà quasi totalmente dell’erede della famiglia fondatrice Friede Springer e dell’amministratore delegato Mathias Döpfner, il cui ruolo avevamo raccontato sul Post, e che è capitato spesso di citare in questa newsletter.


domenica 22 Settembre 2024

Il Guardian cede l’Observer

Nel mondo della grande editoria giornalistica internazionale la notizia che ha avuto più attenzioni questa settimana è stata la trattativa di vendita dell’ Observer da parte dell’azienda che lo possiede, il Guardian Media Group, che si chiama così perché la sua proprietà maggiore è il quotidiano londinese Guardian, una delle testate più importanti del Regno Unito e del mondo. L’ Observer è invece un settimanale, che è di fatto l’edizione domenicale del Guardian: i maggiori quotidiani britannici non escono la domenica, pubblicando invece una “sister paper”, di articoli spesso più lunghi e meno legati all’attualità immediata. L’ Observer ha quasi 250 anni ed è stato comprato dal gruppo del Guardian nel 1993.

L’ipotesi di vendita è legata al momento di preoccupazione per i bilanci del Guardian, che sono stati comunicati questa settimana dopo alcune anticipazioni già uscite. I ricavi sono calati del 2,5% per “un rallentamento del mercato pubblicitario e maggiori costi strutturali di stampa”. I ricavi pubblicitari sono diminuiti del 13% rispetto all’anno precedente. L’ Observer non è una proprietà di grandi prospettive per le priorità digitali dell’azienda, e ha costi sensibili come ogni prodotto cartaceo.

L’acquirente interessato all’ Observer è il gruppo Tortoise Media, una startup ambiziosa che produce un sito di news, newsletter, podcast e altri prodotti giornalistici, e il cui più noto fondatore è James Harding, ex direttore di BBC News e del Times (l’altro è Matthew Barzun, imprenditore digitale ed ex ambasciatore statunitense nel Regno Unito). A proposito dell’eventuale acquisto, Tortoise Media ha ipotizzato un investimento di 25 milioni di sterline nei prossimi cinque anni del giornale.
Già nel 2009 il Guardian Media Group aveva ipotizzato e poi accantonato la chiusura dell’ Observer.


domenica 22 Settembre 2024

Charlie, un giornalismo normale

Due sabati fa, all’interno di un articolo del Corriere della Sera sulla riapertura di un’indagine per un omicidio di trent’anni fa, si diceva a un certo punto che due testimoni erano stati interrogati “ma le loro risposte sono sottoposte al segreto istruttorio rigoroso”. L’aggettivo “rigoroso” era illuminante: sembrava descrivere infatti l’esistenza di due diversi concetti giuridici, quello del “segreto istruttorio” che viene abitualmente divulgato presso i media e poi dai media stessi, e quello di un inusuale “segreto istruttorio rigoroso”, ovvero rispettato (il passaggio tradiva una evidente meraviglia del cronista per questa seconda bizzarra fattispecie).

Al di là della formulazione (specularmente alla mancata informazione in questione, l’articolo iniziava riferendo il contenuto di un’intercettazione ambientale e descrivendo gli intercettati “con le tute da lavoro chiazzate dal grasso”: informazione strabiliantemente individuata nell’intercettazione), la vera involontaria lezione che offriva quella informazione assente sul contenuto degli interrogatori era che per il felice funzionamento delle comunità, per la libertà di informazione, per la democrazia, per il bene del pubblico e per il bene dell’inchiesta, quell’assenza era evidentemente insignificante. Un articolo di cronaca è stato costretto a omettere un pezzo dell’inchiesta, per obbedienza alle regole, e niente e nessuno ne ha sofferto. A dimostrazione “plastica” che le limitazioni alla diffusione di documenti investigativi e giudiziari non solo hanno spesso dalla loro buone ragioni di correttezza e rispetto, ma non hanno ragioni contro.

La dimostrazione è stata ripetuta lunedì, e anche efficacemente descritta, nell’ammirevole comunicato con cui la procura di Parma ha spiegato le proprie attenzioni a tenere a lungo riservata una diversa indagine che è stata molto seguita dai giornali nei giorni scorsi. Consigliamo di leggerlo tutto, per la chiarezza e l’ovvietà delle argomentazioni (la chiarezza viene un po’ meno nel linguaggio, a tratti).

“Pur consapevole della aspettativa della popolazione (non solo quella locale) ad essere informata su ciò che è avvenuto, la Procura di Parma ha scelto la linea della massima riservatezza, fondata su due pilastri: la necessità di preservare il segreto di indagine e la necessità di garantire la presunzione di innocenza”.

E anche in questo caso, la riservatezza e la scelta di aderire alle regole negando informazioni ai mezzi di comunicazione non si è risolta in nessuna controindicazione, nessun danno per nessuno, se non per curiosità umane legittime ma imparagonabili ai “pilastri” del diritto citati dalla stessa procura. Il desiderio personale e sterile dei singoli contro il bene comune.
L’uso della parola “bavaglio” è stata una efficace operazione di marketing dei propri interessi – nel solco del vittimismo che occupa da tempo ogni propaganda – da parte di una quota di giornali e di interessi politici, anche se ormai consunta dall’uso ripetuto. Ma proprio il suo grande uso rivela che nella sostanza quello a cui si oppongono i suoi promotori è l’altrimenti inattaccabile rispetto delle regole a tutela di tutti e il più corretto ed efficace funzionamento della “giustizia” nei luoghi dove deve funzionare.

Fine di questo prologo.


domenica 15 Settembre 2024

Mag to Mag

Si sta tenendo questo weekend a Milano un “Festival dei magazine indipendenti” organizzato dal progetto Frab’s, che vende riviste online e in due negozi fisici a Forlì e Milano.