Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 29 Ottobre 2023
La parola “greenwashing” si potrebbe tradurre in italiano come “ambientalismo di facciata”: è una pratica, a volte difficile da riconoscere, con cui un’azienda o un’organizzazione si promuove come attenta all’impatto delle proprie attività sull’ambiente, senza però affrontare davvero i problemi di cui è responsabile. Questa pratica e la sua pubblicità presentano una realtà fuorviante per i lettori, ed è spesso presente anche nell’ informazione, e nei giornali italiani: gran parte del lavoro di comunicazione e pubblicità di molte aziende si risolve in formule generiche sulla “sostenibilità” o in oscure certificazioni ambientali. Il sito di news americano Semafor ha scritto che le autorità di regolamentazione in diverse parti del mondo (Regno Unito, Australia, Unione Europea) stanno aumentando la loro attenzione rispetto alle accuse di pubblicità ingannevole sul clima, e questo potrebbe portare a nuove leggi e sanzioni per le aziende accusate di greenwashing: istituzioni e organi di controllo iniziano a sorvegliare maggiormente il linguaggio che le aziende usano per descrivere i loro sforzi ambientali e di riduzione delle emissioni.
domenica 29 Ottobre 2023
La newsletter Mediastorm, curata da Lelio Simi, ha riassunto diversi dei dati di cui parla spesso Charlie sui quotidiani italiani con alcune considerazioni di sintesi sulla loro generale inadeguatezza nella “transizione digitale” e delle valutazioni sui limiti delle loro prospettive.
“Il traffico dei siti online nella maggior parte dei casi ormai stabilizzato, tranne rari picchi di attenzione e, semmai per molti dei principali quotidiani italiani è, addirittura, in declino. Insomma la bocca dell’imbuto del percorso di conversione (conversion funnel) non vedrà crescite significative nei prossimi anni (direi che, semmai, rischia di diventare ancora più stretta).
Tutto (o quasi) si gioca sull’aumento dei tassi di conversione e sulla fidelizzazione (convincere un numero crescente di lettori saltuari a diventare abbonati e poi convincerli a restarlo nel tempo, mese dopo mese).
Il problema è che tutto questo richiede tempi lunghi e ha costi elevati (non certo solo per i quotidiani italiani). Un gigante come il New York Times che nel 2011 ha deciso di lanciare il suo paywall aumentando continuamente gli investimenti sul miglioramento del prodotto digitale per sostenerlo, ha impiegato circa dieci anni per giungere al punto nel quale i ricavi da digitale pesassero quanto quelli derivati dalla carta (e poi, addirittura li superassero), e stiamo parlando di un’eccellenza assoluta e di un modello difficile da replicare in altri contesti.
La vendita di copie digitali (che sono un indicatore delle subscription) dei quotidiani italiani negli ultimi anni è incrementata, complessivamente, unicamente grazie a quelle messe sul mercato a prezzi irrisori. Insomma: oltre il periodo di prova il nulla”.
domenica 29 Ottobre 2023
Il Washington Post ha raccontato che potrebbe esserci un ricco investitore russo, Magomed Musaev, dietro il possibile acquisto di Forbes, che è una storica rivista economica americana fondata nel 1917. Forbes è nota soprattutto per la classifica delle persone più ricche al mondo ed era stata definita dal giornalista del New York Times David Carr come: «sinonimo di ricchezza, successo e convinzione che gli affari, lasciati a se stessi, creeranno un mondo migliore». Negli ultimi anni il prestigio di Forbes è stato molto ridimensionato; la rivista cartacea esce solo otto volte all’anno a causa di difficoltà economiche e ha deciso di ospitare spazi gratuiti online per far scrivere sul proprio sito diverse centinaia di persone su cui però ha scarso controllo e scarsa verifica dei contenuti: a volte gli stessi autori ospiti del sito di Forbes non sono indipendenti da sponsor o pubblicità. La proprietà della rivista oggi è un fondo di investimento che ha sede a Hong Kong e che cerca di vendere Forbes da diverso tempo, e con diversi problemi.
Attualmente c’è una trattativa per la cessione della rivista: l’offerta è di 800 milioni dollari ed è stata fatta dall’imprenditore statunitense Austin Russell, che ha 28 anni e ha fondato Luminar, una società di tecnologia per veicoli elettrici. L’offerta è stata reputata molto alta; diversi analisti dei media sono rimasti sorpresi perché è maggiore anche delle cessioni combinate avvenute negli scorsi anni del Washington Post, di Time e di Fortune . Il Washington Post ha poi raccolto delle registrazioni audio e video in cui Magomed Musaev dice a dei collaboratori di essere coinvolto nella trattativa per l’acquisto di Forbes: Russell sarebbe in realtà il “volto” dell’accordo mentre il coinvolgimento di Musaev sarebbe dovuto rimanere nascosto. Secondo quanto raccolto dai video e dagli audio dal Washington Post Musaev ha detto: “Ho appena comprato la Forbes globale”, parlando del gruppo editoriale Forbes Media, che comprende anche l’edizione statunitense della rivista. Musaev ha poi aggiunto: “Capisci che quando avrò in mano la chiave del marchio globale più autorevole, questa chiave mi darà accesso a chiunque”. L’acquisto non è però ancora concluso.
Magomed Musaev lavora negli investimenti e nella finanza, con cui si è arricchito enormemente e aveva già comprato l’edizione russa di Forbes. È originario della repubblica del Daghestan, di cui suo suocero è stato presidente.
Un portavoce di Austin Russell ha detto al Washington Post che non c’è nessun coinvolgimento di Musaev nella trattativa, e Musaev si è definito estraneo all’acquisto, non commentando però gli audio e i video raccolti dal Washington Post.
domenica 29 Ottobre 2023
Sul sito dell’International News Media Association (INMA) – associazione che raccoglie circa 16 mila dirigenti nel mondo del giornalismo – è stato pubblicato un articolo in cui si spiega, con l’intervista a Daniel Mussinghoff che per la Bild si occupa dei contenuti a pagamento, come il tabloid tedesco abbia raggiunto i 680 mila abbonamenti a pagamento. La Bild è il quotidiano più venduto in Europa, contiene molti articoli di gossip o scandalistici, ha spesso un linguaggio aggressivo, misogino e omofobo: assomiglia molto ai noti tabloid britannici. Appartiene al gruppo Axel Springer, l’azienda di media più grande d’Europa e che sta estendendo i suoi interessi negli Stati Uniti: nel 2015 ha acquistato il sito Insider per 400 milioni e nel 2021 ha rilevato il sito Politico per circa un miliardo di dollari.
Gli stessi annunci degli abbonamenti della Bild possono presentare dei dati fuorvianti e poco trasparenti: a volte nel conteggio vengono inclusi abbonamenti a prezzi scontatissimi, altre volte vengono venduti pacchetti promozionali a istituzioni o privati. Il programma di abbonamenti della Bild si chiama BILDplus ed è iniziato nel 2013; all’interno del programma degli abbonamenti il giornale ha incluso molti contenuti non giornalistici come le sintesi delle partite di calcio (fino al 2021), il noleggio di aerei per portare alcuni abbonati alle partite del mondiale di calcio, biglietti per i concerti dei Rolling Stones, lotterie, concorsi e anche slot machine dove i lettori possono giocare ogni giorno: “un numero significativo di abbonati gioca regolarmente a queste lotterie e sono abbonati che hanno un valore complessivo più alto [rispetto agli abbonati che non giocano]”, ha detto Mussinghoff. Per aumentare il numero di abbonamenti la Bild ha stretto legami con aziende telefoniche e anche con Amazon Prime (il servizio di Amazon che permette di avere consegne gratuite di prodotti acquistati online, streaming video e audio, tra le altre cose): con Amazon ha fatto un accordo per un abbonamento a 8,99 euro al mese. Si tratta quindi di offerte e promozioni perlopiù slegate rispetto al lavoro giornalistico della Bild, in un’ottica che con approcci molto diversi stanno considerando molte testate in tutto il mondo: dal grande investimento e successo sui giochi e sulla gastronomia da parte del New York Times, alle offerte di sconti, prodotti e premi proposte dall’editore italiano GEDI.
domenica 29 Ottobre 2023
PressGazette – sito britannico che si occupa di media e giornalismo – ha descritto come diversi giornali abbiano dovuto pagare diverse centinaia di sterline di rimborsi per aver utilizzato, senza autorizzazione, un video che era stato pubblicato su Twitter. Le testate giornalistiche hanno usato il video accreditando la proprietà del contenuto a un account che lo aveva pubblicato che non era però della persona che lo aveva effettivamente girato: a quest’ultimo quindi i giornali hanno dovuto pagare per ogni utilizzo non autorizzato 300 sterline a immagine o 600 sterline a video.
In Italia l’uso giornalistico dei video caricati sui social non ha una disciplina specifica, ma l’attività giornalistica dovrebbe attenersi alle regole deontologiche esistenti. Nel caso di video creati da terzi, occorre innanzitutto valutare se i contenuti sono tutelati dal diritto d’autore: questo avviene nei casi in cui il video abbia un carattere creativo ossia non sia una semplice ripresa di fatti comuni. Ad esempio, il contenuto creato da una persona che lavora con i contenuti video (youtuber o streamer, ad esempio) è tendenzialmente tutelato dal diritto d’autore; lo stesso non può dirsi, però, nel caso in cui un utente riprenda avvenimenti la cui diffusione rientra sotto il diritto di cronaca: con questo si intende il diritto di diffondere informazioni che hanno interesse pubblico. I criteri per definire un interesse pubblico sono spesso sfumati e soggetti a interpretazione.
Anche in questo caso, tuttavia, è buona e rispettosa prassi citare la fonte da cui il video è ripreso: utilizzare integralmente il video in genere non è necessario, spesso per la completezza dell’informazione basta riprendere qualche fotogramma e poi linkare alla fonte originale del video (senza appropriarsene). È una violazione del copyright caricare i propri loghi (della testata, della tv, del giornalista) su video altrui: il primo obbligo del diritto d’autore è rispettare la paternità dell’opera, cioè rispettare i cosiddetti diritti morali. Diverso è il caso se il video viene acquistato: in questo caso è possibile applicare il logo.
In teoria il giornalista non ha sempre bisogno di chiedere l’autorizzazione dell’autore del video, perché altrimenti potrebbe essere facile limitare molte inchieste giornalistiche invocando il diritto d’autore. Per questo ci sono eccezioni al diritto d’autore che consentono l’uso di contenuti altrui anche in assenza di autorizzazione: la libertà di espressione e il diritto di informare sono alla base delle democrazie, come indicato dall’Articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’Articolo 21 della Costituzione italiana. In ognuno di questi casi però è fondamentale che la raccolta delle informazioni (e quindi anche delle immagini o dei video) avvenga in modo corretto e trasparente, così come la diffusione dei dati deve avvenire all’interno del principio di essenzialità, cioè fare informazione solo su fatti di interesse pubblico.
Con i cambiamenti e le opportunità portati dalle tecnologie digitali l’unicità dei giornalisti professionisti nel fare e diffondere informazione si è molto diluita, e quindi nuove correttezze e rispetto del lavoro richiederebbero che qualunque produttore di contenuti che altri siti o giornali scelgono di riprendere (ottenendone ricavi, seppure in misure contenute) sia compensato o almeno richiesto di un consenso, compatibilmente con i tempi stretti dell’informazione. O che i contenuti pubblicati siano usati attraverso le pratiche di “embed” e condivisione messe a disposizione dalle piattaforme, che permettono di rimandare alla pubblicazione originale.
Un articolo del Washington Post tradotto sul Post aveva raccontato alcuni altri aspetti della questione.
domenica 29 Ottobre 2023
Intanto la newsletter del giornalista americano David Zweig ha affrontato un altro aspetto del precipitoso racconto dello stesso evento, ovvero il numero di 500 morti che non ha poi avuto nessuna conferma, e il percorso esente da verifiche serie che ha portato molti giornali internazionali a pubblicarlo.
“Except—after an extensive investigation, and a total lack of transparency by many of our most prestigious media outlets—I have found zero evidence that the Health Ministry spokesperson ever said that more than 500 people had died”.
domenica 29 Ottobre 2023
Il Post ha raccontato più estesamente il dibattito nato in seguito agli errori di alcuni importanti giornali internazionali sull’ospedale di Gaza, che avevamo citato la settimana scorsa su Charlie. Nel frattempo il New York Times era tornato sulla questione con maggiori ammissioni di colpa.
“Lunedì il New York Times ha pubblicato un articolo firmato dalla direzione del quotidiano in cui condivideva alcune riflessioni sulla propria copertura dell’ esplosione avvenuta la scorsa settimana nell’ospedale al Ahli, a Gaza, in cui sono state uccise diverse persone. Il New York Times ha raccontato come nelle ore successive all’esplosione abbia fatto alcune scelte sbagliate e come avrebbe dovuto indicare con maggiore chiarezza quali informazioni fossero state verificate, e quali no. Anche BBC qualche giorno prima aveva diffuso un comunicato simile a proposito dei commenti fatti da un suo corrispondente a Gaza poco dopo l’esplosione.
Nel giornalismo statunitense e britannico le rettifiche e le ammissioni di errori sono piuttosto frequenti, per via di un’attenzione più sviluppata alla trasparenza nei confronti dei lettori. E in passato era già successo che in occasione di notizie molto rilevanti ma anche molto confuse (e non ancora concluse) anche i giornali più affidabili al mondo facessero degli errori, o dessero notizie parziali e imprecise”.
domenica 29 Ottobre 2023
L’attitudine del buon giornalismo di trovare relazioni tra cose apparentemente distanti o di notare contraddizioni tra cose palesemente vicine è venuta un po’ meno sui giornali italiani questa settimana a proposito delle varie notizie relative allo stato del Qatar. Del quale si è parlato molto per il suo ruolo nella crisi israelo-palestinese derivante dal suo cospicuo sostegno a Hamas, l’organizzazione responsabile tre settimane fa di una delle stragi più spietate e disumane del dopoguerra. Ma si è parlato del Qatar anche per celebrare un nuovo accordo di ENI – uno dei maggiori inserzionisti e sovvenzionatori dei quotidiani italiani – con il governo del Qatar, per forniture di gas. Accordi che, attraverso articoli fedeli ai comunicati stampa, sono stati raccontati come un’opportunità per emanciparsi dal gas russo. Le due storie sono comparse sui giornali negli stessi giorni, a poche pagine di distanza, senza nessun collegamento (benché per esprimere differenti critiche la relazione tra i due ruoli del Qatar sia invece stata esposta anche sulla prima pagina del Corriere della Sera), nessuna riflessione – delle molte possibili, non necessariamente critiche dell’operazione di ENI – o nessuna contestualizzazione: come avviene spesso quando viene ripreso un comunicato stampa di un grande inserzionista. A segnalare due ragioni di discussione possibile sono stati il segretario del partito dei Radicali Italiani e quello dei Verdi, che hanno indicato come le due notizie siano a) che il Qatar paga Hamas e che ENI paga il Qatar, e b) che emanciparsi dal gas russo per diventare dipendenti dal gas dei finanziatori di Hamas potrebbe non essere una lungimirante emancipazione.
Fine di questo prologo.
domenica 22 Ottobre 2023
Chi voglia sapere cose più approfondite e complete su cosa sta succedendo ai giornali e all’informazione in Italia e nel mondo ne trova molte nell’ultimo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post, che si può comprare nelle librerie e online. E contiene molte informazioni e contesti che non sempre ci ricordiamo di ripetere su Charlie.
domenica 22 Ottobre 2023
Nel Regno Unito ci sono state vivaci polemiche dopo il licenziamento da parte del Guardian, uno dei più importanti quotidiani del paese, del suo storico disegnatore satirico Steve Bell, che oggi ha 72 anni e aveva iniziato a collaborare con il Guardian nel 1983. E diventando una presenza molto familiare della satira e del dibattito politico britannici, con vignette spesso molto aggressive e severe nei confronti dei politici nazionali e internazionali, disegnati con tratti sgradevoli o animaleschi.
La direttrice del Guardian Katharine Viner ha deciso di non rinnovare il contratto di Bell, che scadrà ad aprile del prossimo anno, ma le sue caricature non saranno più pubblicate con effetto immediato. Il giornale ha dato spiegazioni generiche ed evasive ma le ricostruzioni prevalenti – e quella dello stesso Bell – citano un rapporto che negli ultimi anni era diventato spesso conflittuale e un nuovo scontro su una vignetta della settimana scorsa che ritrae il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: il Guardian si è rifiutato di pubblicarla accusandola di riprendere messaggi antisemiti.
Bell ha detto al sito PressGazette che i suoi rapporti con la redazione del Guardian erano diventati “un po’ tesi”, e ha anche sostenuto che alcuni interventi editoriali apportati al suo lavoro erano “sempre più meschini” e “sciocchi”. A fronte delle richieste del giornale di avere con maggiore anticipo le vignette per poterle revisionare, Bell si è lamentato dicendo a PressGazette che gli orari sarebbero diventati troppo difficili da sostenere. Già in passato Steve Bell aveva subito accuse di antisemitismo e di aver rappresentato false credenze contro gli ebrei: in particolare una vignetta di Netanyahu del 2012 era stata accusata di rappresentare lo stereotipo del “burattinaio” mentre una vignetta del 2018 di un medico palestinese ucciso era stata accusata di evocare l’immagine delle camere a gas dei campi di concentramento (il Guardian in questo caso si rifiutò di pubblicarla). Le sensibilità sull’antisemitismo sono molto alte negli ambienti progressisti britannici – di cui il Guardian è un riferimento – dopo che il partito laburista era stato oggetto di critiche molto fondate in questo senso.
domenica 22 Ottobre 2023
La rete televisiva britannica BBC News si è scusata per aver descritto in modo sbagliato dei manifestanti pro-Palestina, indicando i partecipanti come sostenitori del gruppo radicale palestinese Hamas. BBC è la rete televisiva pubblica britannica e la sua sezione giornalistica è tra le più famose e autorevoli del mondo, per quanto sotto intensi attacchi politici negli ultimi anni. Le scuse sono state fatte anche attraverso un tweet della giornalista e presentatrice Maryam Moshiri:
« In precedenza abbiamo riferito di alcune delle manifestazioni pro-palestinesi del fine settimana. Abbiamo parlato di “diverse manifestazioni in Gran Bretagna durante le quali le persone hanno espresso il loro sostegno ad Hamas”. Riconosciamo che questa frase è stata formulata male ed è stata una descrizione fuorviante delle manifestazioni ».
(senza poi scusarsi, invece, il quotidiano italiano il Giornale ha titolato sabato in prima pagina “Greta confessa: tifa per Hamas” un articolo dedicato a un post di Greta Thunberg solidale con le persone di Gaza e che non faceva nessuna menzione di Hamas)
domenica 22 Ottobre 2023
Da qualche settimana Twitter ha eliminato i titoli delle notizie dalle anteprime degli articoli che vengono condivisi (ora si vedono solo l’immagine cliccabile, con una piccola scritta in un angolo che indica il nome del sito web da cui arriva il link, e il testo del tweet), causando alcuni problemi soprattutto ai siti di news: non è più così intuitivo che l’anteprima sia cliccabile e rimandi a un articolo, dal momento che viene visualizzata allo stesso modo di una semplice immagine aggiunta a un tweet.
Questa scelta sembra esser stata presa direttamente da Elon Musk per migliorare – a suo giudizio – l’estetica delle timeline ed è stata commentata negativamente da diversi giornalisti. Da quando Twitter (che adesso si chiama X) è stato comprato dal miliardario Elon Musk è diventato sempre più ostile nei confronti dei siti di news: negli ultimi mesi ha rimosso le spunte che verificano l’identità dei giornali e ha rallentato il caricamento dei link verso testate come il New York Times, Reuters o verso servizi come Substack. La scelta di Twitter di eliminare i titoli dai link nei giorni dei bombardamenti sul territorio della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, dopo l’attacco compiuto da Hamas, ha anche reso più facile la diffusione di disinformazione.
Per ovviare alla scomparsa dei titoli alcuni giornali stanno adottando nuove strategie: pubblicare tweet con un testo più didascalico per far capire di cosa tratta la notizia; usare lo screenshot del titolo del proprio sito come immagine principale del tweet; spiegare in modo esplicito ai lettori di cliccare se vogliono approfondire la notizia presentata nel post. Altri giornali stanno decidendo invece di twittare meno, rinunciando a portare le persone dal social media ai propri siti. Alcune testate giornalistiche avevano già deciso di non utilizzare più Twitter: fra queste c’è NPR, la radio pubblica statunitense, che aveva lasciato la piattaforma a aprile. Il Nieman Reports – una pubblicazione dell’università di Harvard che si occupa di approfondimento giornalistico – ha raccontato il bilancio della radio:
“ Sei mesi dopo, possiamo constatare che gli effetti dell’abbandono di Twitter sono stati trascurabili. In una nota diffusa al personale della NPR si legge che il traffico è diminuito di un solo punto percentuale in seguito all’abbandono di Twitter, […] anche se il traffico dalla piattaforma era già esiguo e rappresentava poco meno del due per cento del totale prima dell’interruzione dei tweet ”.
domenica 22 Ottobre 2023
Un articolo sul sito Professione Reporter riferisce le intenzioni di riduzione dei dipendenti al quotidiano La Stampa, attraverso una nuova quota di prepensionamenti (di cui si parlava da qualche settimana).
“La Stampa perde troppe copie. Il 12 per cento nel 2022 e il 14 per cento nei primi nove mesi del 2023. A fronte di una media del mercato nazionale che è a meno 10 per cento. Male anche la raccolta pubblicitaria, calata di un terzo rispetto al 2018. Quindi, l’Azienda -Gruppo Gedi – vuole nuovi prepensionamenti, ventuno.
E’ l’esito del primo incontro del Comitato di redazione del quotidiano torinese con il nuovo Amministratore delegato Corrado Corradi, e con il nuovo Direttore, Andrea Malaguti. I dati negativi spiegano in gran parte la sostituzione appena avvenuta del Direttore Massimo Giannini, che ha guidato la Stampa dal 24 aprile 2020 fino a pochi giorni fa”.
(l’ultima considerazione e in particolare il titolo sono piuttosto ingiusti nei confronti dell’ex direttore Giannini: nell’ultimo anno Repubblica, l’altro grande quotidiano del gruppo GEDI, ha perso in copie effettivamente vendute ben più della Stampa: gli ultimi dati di diffusione complessiva più positivi di Repubblica si devono nei fatti ad aver portato da 733 a 34.528 le “copie digitali promozionali e omaggio”, scelta che la Stampa non ha fatto)
domenica 22 Ottobre 2023
Il Post ha raccontato dell’intensificarsi su Facebook di truffe italiane che falsificano le immagini e i nomi di testate famose (soprattutto Repubblica ) con notizie “clickbait”, e di come Facebook trascuri di intervenire anche a fronte di molte segnalazioni.
“Cliccando sul link che dovrebbe portare all’articolo, però, si apre un sito che, pur somigliando abbastanza a Repubblica in termini di veste grafica, ha un indirizzo sospetto, come mx.univisionmx punto com, republicca punto com, teahousenearme punto com o adtech25 punto com. I finti articoli raccontano di celebrità che sono andate in televisione e, in diretta, hanno rivelato modi straordinari di arricchirsi velocemente. Di solito contengono formule simili a «il programma è stato interrotto da una telefonata della Banca d’Italia, che ha chiesto di interrompere immediatamente il programma. Fortunatamente, siamo riusciti a convincere il direttore del programma “Che tempo che fa” a darci una copia della registrazione del programma. Se avete il tempo di leggere questo articolo, tenete presente che potrebbe essere presto cancellato, come è accaduto per le trasmissioni televisive»”.
domenica 22 Ottobre 2023
Il sito specializzato di media e pubblicità Digiday ha sintetizzato i temi principali di discussione di un convegno newyorkese sponsorizzato dal grande gruppo editoriale Condé Nast: ovvero lo spostamento degli inserzionisti verso nuovi criteri di valutazione dei propri investimenti sui mezzi di informazione, più legati alla “qualità” della permanenza sui siti e all’autorevolezza dei brand giornalistici che alle quantità di traffico e alla profilazione dei visitatori raggiunti dalla pubblicità. Con quest’ultimo approccio sempre più limitato dai vari interventi di protezione della privacy degli utenti, l’articolo spiega che alcune grandi aziende provano a “usare i giornali come influencer”, associando le proprie campagne a progetti creati da testate credibili e apprezzate dalle loro comunità di utenti. Non è la prima volta in questi anni che si parla di un investimento più sulla qualità che sulla quantità da parte degli inserzionisti, e i casi finora hanno riguardato progetti e brand tutto sommato minoritari, ma c’è una tendenza in questo senso, resa necessaria anche dal declino di attenzione sugli infiniti spazi pubblicitari online convenzionali e dalla maggior resistenza delle piattaforme social a indirizzare i propri utenti all’esterno.
domenica 22 Ottobre 2023
Secondo un articolo sull’ Espresso, Confindustria – l’associazione degli industriali proprietaria ed editrice del quotidiano Sole 24 Ore – avrebbe di fatto imposto a una parte dei suoi associati l’acquisto di quote di abbonamenti al Sole 24 Ore come condizione per poter partecipare al voto dell’Aseemblea generale.
“Clima teso in Confindustria: il presidente Carlo Bonomi ha richiamato l’attenzione degli associati sul «completamento del processo di attuazione della delibera, approvata all’unanimità, del Consiglio generale» che richiedeva un sostanzioso aiuto al Sole 24 Ore. Tema oggetto anche di una lettera del vicepresidente Alberto Marenghi. Nel dettaglio, «alle associazioni che hanno rappresentanza in Consiglio generale viene richiesta la sottoscrizione di 20 pacchetti digitali, per un totale di 3.200 euro, mentre per le altre associazioni l’impegno è per 10 pacchetti digitali, per un totale di 1.600 euro».
E qui viene la parte che scatena le polemiche: «Per le associazioni che non hanno rappresentanza in Consiglio generale» s’impone «la sottoscrizione di 10 pacchetti digitali di abbonamento al Sole, per un importo totale di 1.600 euro che concorre a determinare il perfezionamento della regolarità contributiva per il 2023, condizione necessaria per esercitare il diritto di voto nell’Assemblea 2024». Se non ti abboni, non voti. Una condizione che non c’entra niente con l’iscrizione a Confindustria, lamentano tanti soci”.
I numeri delle copie effettivamente vendute del Sole 24 Ore furono al centro di uno scandalo con grosse ricadute al giornale nel 2016.
domenica 22 Ottobre 2023
Il sito Semafor ha compiuto un anno e ha pubblicato qualche consuntivo. È un progetto giornalistico su cui c’erano state molte attenzioni fin dai primi annunci per via dei curriculum dei suoi fondatori e delle risorse economiche che erano riusciti a mobilitare: uno è Ben Smith, spesso citato anche su questa newsletter, divenuto forse il più importante giornalista che si occupa di media negli Stati Uniti, proveniente dal New York Times e prima da Buzzfeed News e da Politico, sempre con grandi visibilità; l’altro, non imparentato, è Justin Smith, che era stato CEO dell’azienda giornalistica Bloomberg.
Adesso, dopo un anno di esperimenti di articoli costruiti con scelte particolari e di newsletter, i due fondatori ripetono le loro ambizioni innovative, investono su un ritorno di autorevolezza del giornalismo competente a fronte della confusa inattendibilità dei social network e dicono di avere raccolto 500mila iscrizioni alle newsletter e tre milioni di lettori mensili.
domenica 22 Ottobre 2023
Quando si parla di agenzie di stampa si intendono organizzazioni giornalistiche che si occupano di fornire e confezionare, a pagamento, notizie generalmente brevi e sintetiche per giornali, redazioni tv, radio, siti internet o per chiunque ne sia interessato (a volte tra gli abbonati ci sono anche istituzioni pubbliche o privati): ma che oggi hanno esteso i loro ruoli anche a informare direttamente il pubblico attraverso i propri siti web, per rimpinguare le loro entrate con i ricavi pubblicitari relativi. In Italia sono cinque le agenzie di stampa con più giornalisti e dipendenti: Ansa, Agi, Askanews, Adnkronos e Dire.
L’agenzia Dire (la cui sigla sta per Documenti, informazioni, resoconti) nacque nel 1988 come agenzia stampa dei gruppi parlamentari del Partito Comunista Italiano, con l’intento iniziale di affiancare un’agenzia al giornale di partito l’Unità: fu fondata da Antonio Tatò, un dirigente del PCI che per quindici anni aveva lavorato per il segretario Enrico Berlinguer. Questo legame con il PCI non durò a lungo: il partito finì di esistere nel 1991 e Tatò morì nel 1992. Da quel periodo ha ereditato la copertura di notizie parlamentari, politiche e sull’associazionismo e una buona presenza nelle regioni (in particolare in Emilia-Romagna); nel tempo però ha cambiato proprietà, approcci, ed è diventata rapidamente autonoma senza connotazioni politiche. Dal marzo 2022 il nuovo editore di Dire è l’imprenditore Stefano Valore, fondatore e vice presidente di SiliconDev, una società che si occupa di tecnologia e di fornire servizi digitali. Valore aveva detto che l’investimento nell’agenzia Dire sarebbe servito a: “dare nuovo slancio, aprire altri settori di lavoro e lanciare innovativi progetti di comunicazione”.
Oggi lavorano a Dire 74 giornalisti su 105 dipendenti in totale, ma negli ultimi anni l’agenzia sta vivendo un periodo complicato. La redazione ha lavorato quasi due anni con un contratto di solidarietà, che prevede una riduzione di orari lavorativi e di stipendio, e il suo attuale editore ha annunciato 28 licenziamenti , relativi a 15 giornalisti e 13 persone tra tecnici, montatori, segreteria e amministrazione. La redazione contesta la scelta dei licenziamenti e nell’arco di tre settimane ha indetto tre scioperi di una giornata (27 settembre, 11 ottobre, 17 ottobre). Tra azienda e redazione c’è anche un altro elemento di scontro, cioè l’accusa di diffamazione da parte dell’azienda nei confronti del Comitato di redazione – l’organo di rappresentanza sindacale della redazione – a causa di un comunicato critico uscito sul sito del sindacato CGIL.
domenica 22 Ottobre 2023
Un interessante articolo del New Yorker ha riassunto i fallimenti dei social network nell’informazione su Israele e Gaza di queste due settimane: per ragioni in parte comuni e in parte distinte sia Facebook e Instagram, che Twitter, che TikTok, hanno perduto gran parte della loro utilità in questo senso e si sono fatti invece soprattutto mezzi di disinformazione, propaganda e polarizzazione delle opinioni. La differenza in solo un anno e mezzo con quello che era successo all’inizio della guerra in Ucraina è notevolissima: quella era stata celebrata come “la prima guerra su TikTok” per quanto i social media avevano contribuito a diffondere immagini e notizie dal campo. Adesso, in un contesto naturalmente molto diverso, Twitter è stato dirottato verso gli interessi del suo nuovo proprietario Elon Musk e indebolito di tutte le sue scelte e strutture di filtro e selezione di affidabilità delle notizie; Facebook ha tirato i remi in barca rispetto alla promozione delle news per valutazioni di ordine economico e di immagine; l’algoritmo di TikTok è molto indietro nel lavoro di verifica delle notizie e soprattutto è progettato per dare agli utenti ciò che vogliono, ovvero i contenuti più partigiani che confermano le opinioni che gli utenti già hanno.
Anche un articolo sul New York Times ha riassunto questioni parzialmente sovrapposte a queste, ricapitolando il disinvestimento delle grandi piattaforme sull’informazione giornalistica (ancora questa settimana Google ha ridotto di una quarantina di persone il suo staff di Google News), e spiegando come i siti di informazione stiano notando grandi cali nel traffico provenienti da quelle fonti e affrontando ripensamenti conseguenti. Una tendenza, ancora molto embrionale, potrebbe essere quella di un ritorno a concentrarsi sulle proprie comunità di lettori e sugli strumenti più diretti e interni per conservare i rapporti relativi (newsletter, homepage, progetti di comunicazione e coinvolgimento): con tutti i rischi di delimitazione ulteriore delle “bolle” a cui le singole testate si rivolgono.
domenica 22 Ottobre 2023
Ma da che molta parte dell’informazione sta naturalmente circolando attraverso le condivisioni da parte degli utenti dei social network, anche le responsabilità di questi ultimi è cresciuta molto e viene molto discussa: una parola non nuova ma molto circolata in queste due settimane è OSINT, che significa “open source intelligence”. Può riferirsi a molti piani diversi e nasce all’interno di servizi di intelligence, ma è stata estesa a ogni lavoro di indagine e ricostruzioni basata su dati a disposizione, che può essere compiuto da servizi ufficiali e professionali, da imprese giornalistiche, ma anche da studiosi o occasionali osservatori, proprio perché si basa sulla raccolta di informazioni e dati accessibili con nessuno o poco impegno: generando naturalmente risultati più affidabili quando l’impegno di raccolta e analisi dei dati è maggiore e non superficiale.
John Burn-Murdoch, che è “chief data reporter” del Financial Times, ha pubblicato mercoledì una serie di tweet riflettendo sull’impreparazione di molte redazioni tradizionali nei confronti di questo genere di dati e del loro uso. Il sito 404 Media (che era nato quest’anno da un gruppo di fuoriusciti di Vice ) ha invece spiegato come molto di questo genere di lavoro sia compiuto a partire da moli enormi e spesso inaffidabili di dati, notizie e immagini disponibili in rete, generando confusione e ricostruzioni fuorvianti e false. In particolare per quello che sta succedendo in Palestina è in corso un’enorme diffusione di notizie false – spesso per ragioni di propaganda delle parti in causa, ma anche più generalmente per interessi e speculazioni di traffico online ed economiche – che genera a cascata superficiali ricostruzioni e versioni parziali e false dei fatti da parte di improvvisati utenti di OSINT.
domenica 22 Ottobre 2023
La situazione in Israele e nei territori occupati sta generando anche molte discussioni e riflessioni sul lavoro dei giornali, dei giornalisti e di chi diffonde informazioni sui social network. La strage all’ospedale di Gaza di martedì sera ha in particolare messo in grosse difficoltà anche le testate internazionali più autorevoli e importanti: diverse di loro hanno titolato immediatamente riferendo le accuse provenienti da fonti di Hamas – e indicandole come tali – che si trattasse di un attacco israeliano. E hanno poi rivisto quei titoli man mano che arrivavano dubbi e ricostruzioni scettiche. Ma secondo molti commenti anche qualificati (qui c’è una discussione avvenuta in un programma della tv americana NBC) proprio quei titoli hanno avallato una versione dei fatti ancora da verificare e prodotto delle pericolose e violente reazioni successive, con attacchi e manifestazioni in diverse città fuori da Israele.
Il New York Times, tra i maggiori accusati, ha pubblicato un articolo relativo alle accuse spiegando le difficoltà di seguire quello che succede con pochi giornalisti sul campo, data la pericolosità della situazione. Anche BBC ha pubblicato una parziale ammissione di errore. Nate Silver, famoso sondaggista e analista di dati che già lavorò col New York Times, ha commentato criticamente le scelte del giornale, suggerendo di ammettere l’errore e spiegarne le ragioni. Lunedì Ben Smith, direttore del sito di news Semafor, aveva scritto un suo commento preoccupato che i media americani e internazionali possano ripetere gli errori avvenuti dopo gli attentati dell’11 settembre, che nei giorni passati erano stati molto paragonati ai massacri del 7 ottobre scorso in Israele: promuovendo degli approcci bellicosi e delle ricostruzioni sbrigative ed emotive (come quelle che concorsero alla criticata scelta dell’invasione statunitense dell’Iraq) e trascurando il rigore nel racconto e nella verifica dei fatti.
domenica 22 Ottobre 2023
Una volta c’erano i “temi divisivi”, poi progressivamente quasi tutti i temi sembrano essere diventati divisivi, e chi lavora nell’informazione è diventato vittima di pressioni e ricatti per dare spazio al “contraddittorio”, rispettare generiche “par condicio”, o semplicemente non trovarsi vittima di attacchi e screditamenti oltre il limite della civiltà. La notizia di cui si sta occupando tutto il mondo in queste settimane è però forse la madre di tutti i temi divisivi dell’ultimo secolo, e sta generando – non bastassero i suoi drammi reali – comportamenti pessimi e deprimenti fuori misura e senza rispetto per i drammi reali in questione. E le partigianerie faziose di queste reazioni, risentimenti e aggressività sono state ben riassunte da un dato familiare a molte persone che lavorano sui giornali: delle 1500 proteste ricevute da BBC a proposito di come la rete pubblica britannica sta seguendo gli sviluppi in Israele e a Gaza, metà l’ha accusata di pregiudizio contro i palestinesi e metà di pregiudizio contro Israele. Una quantità straordinariamente più grande di persone ha ritenuto di non protestare per niente, maggioranze silenziose che è utile e rassicurante tenere sempre in considerazione.
Fine di questo prologo.
domenica 15 Ottobre 2023
Luca Sofri, direttore del Post, ha spiegato sul suo blog i criteri di alcune scelte fatte dal Post nella descrizione delle stragi di Hamas di una settimana fa.
“il Post, dicevo, non usa le parole come statements: che è invece una scelta che fanno diversi giornali italiani, e questo forse può spiegare come mai diverse persone la considerino normale e persino la richiedano. Molti titoli che leggiamo in giro parlano alle emozioni, annunciano da che parte stare, indicano quale nemico avere. Lo statement del Post è far capire le cose al meglio, creare le condizioni perché chi lo legge la scelga, la parte da cui stare o l’opinione da avere o le parole da usare, invece che dirgli o dirle perentoriamente e a forza di slogan quale questa deve essere: magari usando parole ingannevoli che confortano le indignazioni, oppure semplificazioni che conservano le ignoranze. Una volta saputo cos’è Hamas, cosa fa, cosa ha fatto sabato, come è considerato dalle istituzioni internazionali e dalle nazioni, ognuno è in grado di scegliere da solo le parole con cui vuole definirlo”.
domenica 15 Ottobre 2023
Il giornale online Il Fatto alimentare – che non ha relazioni con il Fatto quotidiano – ha pubblicato un articolo sull’invadenza della pubblicità nel lavoro giornalistico. Il sito è nato nel 2010, si occupa di temi intorno al cibo e si sostiene economicamente grazie a donazioni e spazi pubblicitari. Le donazioni dei lettori nel 2021 hanno coperto l’11% del budget annuale.
In questi giorni il Fatto alimentare ha raccontato un esempio di una pratica molto frequente di cui sono destinatari molti siti di news e giornali: la richiesta di ospitare un articolo sponsorizzato senza indicare ai lettori che si tratti di questo, mantenendolo quindi identico ai normali contenuti del giornale senza altre indicazioni. Nel caso specifico veniva proposto al sito un compenso di 70 euro.
«In particolare ci servirebbe la pubblicazione di articoli da circa 500 parole, di natura informativa con un link alla pagina di un nostro cliente. Inviamo articoli adatti alla linea editoriale del sito di pubblicazione e solitamente gli articoli sono prodotti dalla nostra redazione. È importante che il link presente all’interno sia dofollow, che l’articolo non risulti come articolo sponsorizzato (no diciture del tipo “in collaborazione con” oppure “Articolo pubblicitario” e simili) e che permanga nella categoria di pubblicazione in modo permanente. Vorrei sapere se è previsto un passaggio temporaneo nella homepage del sito».
domenica 15 Ottobre 2023
È morto lunedì a 91 anni Ettore Mo, che è stato molto più che un famoso corrispondente di guerra e dall’estero, ma una specie di mito del giornalismo italiano novecentesco, forse il più illustre nel suo campo. Sul suo giornale di sempre, il Corriere della Sera, ne ha scritto Gian Antonio Stella. Il direttore del Manifesto ha ricordato in un breve articolo intitolato “Grazie Ettore” i due articoli che scrisse per il giornale, e sul Manifesto ne ha scritto anche Alberto Negri. Su Repubblica lo ha raccontato con ricordi personali Enrico Franceschini.
“Disteso a terra nel giardino dell’unico hotel ancora aperto a Kabul, Ettore Mo non faceva caso ai traccianti dei proiettili che illuminavano a giorno la notte. Dopo il ritiro delle truppe sovietiche, la capitale dell’Afghanistan, ultimo avamposto delle forze locali fedeli a Mosca, stava per cadere in mano ai mujaheddin: ma lui aveva già trasmesso il reportage del giorno e adesso era impegnato a raccontare pezzi della propria avventurosa vita al giovane collega della concorrenza sdraiato al suo fianco”.
domenica 15 Ottobre 2023
Il sito Prima Comunicazione ha descritto nuovi cambiamenti in corso al Tirreno, storico quotidiano di Livorno a cui l’attuale proprietà fatica a dare una visione e delle prospettive sostenibili.
“La riorganizzazione, accolta negativamente sia dal comitato di redazione che dall’assemblea dei redattori, che temono l’indebolimento delle redazioni proprio nelle aree in cui il giornale è più forte, a partire da Livorno, è stata comunicata dal direttore Luciano Tancredi il 10 ottobre scorso “a seguito della richiesta dell’editore di ridurre il numero di edizioni”, della “riduzione progressiva dei giornalisti e della cassa integrazione destinata con ogni probabilità a durare nel tempo”.
Già da tempo infatti l’editore è alle prese con un bilancio che rischia di chiudere l’anno con un pesante passivo soprattutto per quanto riguarda i conti del Tirreno. La situazione delle vendite, si legge nell’ordine di servizio, “è particolarmente complicata”. La concorrenza è “sempre più aggressiva”, e iniziative speciali come quelle rivolte alle scuole, agli stabilimenti balneari o i forum mensili non servono a compensare l’emorragia nelle edicole. “La trasmigrazione sul web nostro primario obiettivo per il futuro”, dice il direttore, “è lenta e ancora poco remunerativa””.
domenica 15 Ottobre 2023
Stefano Feltri è un giornalista che si occupa prevalentemente di economia e politica: per due anni e mezzo, dalla sua fondazione, è stato direttore del quotidiano Domani e nel febbraio di quest’anno ha creato una newsletter, Appunti. La newsletter si è poi consolidata ospitando contributi esterni e diventando anche un podcast. Questa settimana Feltri ha scritto di voler provare a rendere sostenibile con gli abbonamenti la sua newsletter per capire se dedicargli più tempo e lavoro. Il formato delle newsletter a pagamento si è diffuso negli scorsi anni soprattutto negli Stati Uniti (ma con alcuni esempi anche in Italia) conferendo maggiore indipendenza agli autori, e piattaforme come Substack permettono di monetizzarlo con maggiore facilità. Negli scorsi giorni Feltri ha annunciato di voler aprire una campagna di abbonamenti volontaria: chi si abbonerà aiuterà Appunti ad aumentare le pubblicazioni di articoli gratuiti e avrà a disposizione alcuni approfondimenti aggiuntivi. La newsletter al momento ha superato 6mila iscritti gratuiti e venerdì aveva raggiunto 250 abbonamenti a pagamento, ha detto Feltri a Charlie.
domenica 15 Ottobre 2023
La società di rilevazione Audiweb (che ha in corso un processo di integrazione che le darà il nuovo nome di Audicom) ha pubblicato i dati di traffico sui siti web ad agosto. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).
Per il quinto mese di seguito Repubblica è poco più avanti del Corriere (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto). Mentre continuano a essere molto variabili e in calo i dati di Fanpage (tra i maggiori, anche il Fatto ha dei dati particolarmente negativi). C’è un declino che riguarda gran parte dei siti rispetto a un anno fa, che può essere messo in relazione con la maggiore attenzione verso la campagna elettorale del 2022: fanno positiva eccezione la Stampa, RaiNews, Leggo, il Mattino e il Post.
Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito Ticonsiglio.it), come abbiamo spiegato altre volte.
domenica 15 Ottobre 2023
Giampaolo Cadalanu è un giornalista di 65 anni con una lunga esperienza sugli esteri costruita lavorando soprattutto a Repubblica, giornale che ha lasciato con i prepensionamenti di questi anni. Martedì ha pubblicato sul sito di un sindacato di giornalisti una riflessione su quello che è successo ultimamente al suo ex giornale.
“A indebolirsi, e nemmeno in modo graduale, è stata l’identità politica e sociale del giornale e dell’intero gruppo. La dismissione dell’Espresso è stata un taglio forte con la storia, la cessione a pacchetti dei giornali locali smonta il radicamento territoriale, e le “correzioni di rotta” politiche di Repubblica sono arrivate a costituire una smentita del percorso avviato nel 1976. Tutto questo ha contribuito a minare quel patrimonio impalpabile che è la base per l’affezione di chi legge.
Ecco, ne sono convinto: le due prospettive di cambiamento del gruppo editoriale sono in realtà due facce della stessa medaglia. Il progetto politico-giornalistico e il piano industriale viaggiavano in parallelo. E ora entrambi sono cambiati, per seguire logiche del tutto legittime – ai conti finanziari, com’è ovvio, non si comanda – ma correndo il rischio di ferire in modo profondo il meccanismo che garantiva il rapporto con chi paga, andando in edicola o leggendo on line, e dunque la solidità stessa della costruzione complessiva”.
domenica 15 Ottobre 2023
Il quotidiano statunitense Washington Post ha annunciato di dover ridurre il numero dei propri dipendenti, auspicando che 240 persone lascino il giornale in modo volontario, grazie agli incentivi offerti dall’azienda. È una scelta che rientra nel contesto delle difficoltà recenti del Washington Post: dopo la grande crescita e gli investimenti iniziati nel 2013 con l’arrivo del nuovo proprietario Jeff Bezos – il fondatore di Amazon – negli ultimi tempi il giornale è in maggiore affanno e ha visto diminuire i suoi abbonati e le sue ambizioni di essere competitivo a livello nazionale e internazionale con i suoi concorrenti americani, New York Times e Wall Street Journal. Con la riduzione del personale che l’azienda spera di ottenere, la redazione avrà probabilmente circa 940 dipendenti: lo stesso numero di persone che aveva alla fine del 2021.
Più a margine è interessante notare ancora l’indipendenza che il Washington Post mantiene nel comunicare questa notizia ai suoi lettori: nell’articolo sono citate le previsioni sbagliate dei propri dirigenti, e il fatto che il 2023 terminerà con 100 milioni di dollari di perdite, e si attribuisce correttamente al concorrente New York Times la notizia relativa.
domenica 15 Ottobre 2023
Un altro giornalista è stato prosciolto dopo essere stato querelato da Andrea Ceccherini, presidente dell’ente chiamato “Osservatorio giovani editori”, che Charlie aveva descritto qui .
“L’ “ Osservatorio Permanente Giovani-Editori” è un oggetto misterioso nel panorama del business giornalistico italiano: il mistero si deve all’apparente distanza tra la sua straordinaria visibilità – soprattutto presso alcune testate – e capacità di creare relazioni con importanti figure di potere italiane e internazionali, e la poca concretezza e chiarezza dei suoi risultati, che nelle intenzioni proclamate dovrebbero riguardare la lettura dei giornali da parte dei giovani, appunto. Il tutto sintetizzato nella figura del suo fondatore, presidente e frontman, Andrea Ceccherini e nel suo incessante lavoro di autopromozione soprattutto in occasioni fotografiche accanto a vari “potenti della terra”.
La scorsa primavera a raccontare l’esito a lui favorevole di una denuncia ricevuta da Ceccherini era stato l’ex direttore di Repubblica Mario Calabresi. Adesso, spiega il sito dell’associazione di giornalisti Ossigeno per l’informazione, a essere assolto è stato un giornalista che aveva riprodotto sul suo sito l’articolo per cui Ceccherini aveva denunciato Repubblica.
“Da quello che risulta ad Ossigeno, ad oggi, tutte le cause intentate da Ceccherini a tutela della sua reputazione lo hanno visto soccombente. In particolare, il 1° marzo 2023 il Tribunale di Firenze ha condannato l’editore Andrea Ceccherini e l’Osservatorio Permanente Giovani Editori (di cui è presidente e rappresentante legale) per avere abusato del processo civile in una causa per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa promossa contro GEDI e i giornalisti coinvolti”.
domenica 15 Ottobre 2023
Le discussioni nelle redazioni di tutto il mondo sulle immagini che sia utile o opportuno pubblicare sono state naturalmente intense e dolorose nella settimana passata, in relazione all’attacco di Hamas contro Israele. Il Daily Telegraph, uno dei maggiori quotidiani britannici, ha fatto una scelta elaborata e particolare, pubblicando in prima pagina una sorta di “immagine di testo”, mutuata dalle consuetudini sui social network, per avvisare della decisione di pubblicare a pagina 3 una foto di un bambino ucciso (foto pubblicata senza altrettante premure su alcuni giornali in Italia). Cercando così di adattare all’edizione di carta una pratica che sui siti web è più frequentemente adottata.
domenica 15 Ottobre 2023
Il Sole 24 Ore ha riferito venerdì in un articolo gli andamenti del gruppo GEDI, editore di Repubblica e Stampa, come “si possono desumere dai dati riportati nella relazione sui conti del primo semestre di Exor, la holding olandese che possiede l’89,62% del capitale” (la holding è olandese perché la famiglia Agnelli-Elkann che la controlla ha scelto nel 2016 di spostare la sede ad Amsterdam per ragioni fiscali).
” Nella prima metà del 2022 la perdita netta era pari a -22 milioni. Pertanto le perdite di Gedi sono aumentate del 68 per cento.
La quota della perdita attribuibile a Exor, calcolata in proporzione alla partecipazione dell’89,62%, è di -32 milioni (-19 milioni nel 2022), dice la relazione. Gli altri soci di Gedi, con il 5% circa ciascuno, sono la Cir Spa controllata dai figli di Carlo De Benedetti e la famiglia Perrone.
I ricavi complessivi di Gedi sono sostanzialmente stabili, 237 milioni, un milione in meno rispetto all’anno precedente. La relazione semestrale della controllante indica un indebitamento finanziario lordo di Gedi di 255 milioni al 30 giugno scorso e disponibilità liquide o equivalenti («cash and cash equivalents») di 10 milioni, pertanto l’indebitamento finanziario netto è di 245 milioni. Al 31 dicembre 2022 l’indebitamento finanziario lordo era pari a 209 milioni e la liquidità di 18 milioni, pertanto l’indebitamento finanziario netto era di 191 milioni. Nel semestre c’è stato quindi un aumento dei debiti netti di 54 milioni.
Una parte dei debiti sono finanziamenti concessi dalla controllante Exor. La semestrale della holding olandese precisa infatti che i debiti finanziari lordi di Gedi, al netto dei debiti infragruppo verso Exor, al 30 giugno scorso erano di 110 milioni, rispetto ai 102 milioni al 31 dicembre 2022. In totale, i debiti finanziari netti sono superiori al patrimonio netto («total equity») di Gedi, che al 30 giugno scorso era pari a 157 milioni, diminuito rispetto ai 194 milioni di fine dicembre in conseguenza delle perdite del semestre. Secondo gli analisti di norma la struttura patrimoniale di una società è equilibrata se i debiti finanziari non superano il patrimonio netto. L’attivo totale («totale assets») di Gedi al 30 giugno era di 840 milioni, in calo rispetto ai 937 milioni di fine dicembre”.
domenica 15 Ottobre 2023
La scorsa domenica è uscito in Francia il primo numero del nuovo giornale domenicale La Tribune Dimanche, che è un settimanale dal formato simile a quello dei quotidiani (quello che si chiama formato berlinese, più compatto, come quello del Corriere della Sera), fatto di 48 pagine. Secondo molti commenti La Tribune Dimanche deve parte della sua nascita allo spazio creato dalla crisi del Journal du Dimanche, dove quest’estate c’era stato un lungo sciopero della redazione indetto per protestare contro la nomina di un nuovo direttore molto vicino all’estrema destra: ma i responsabili della Tribune hanno detto che si tratta invece di un progetto che era già esistente. Lo sciopero al JDD si era concluso a inizio agosto in modo fallimentare per la redazione perché il direttore era stato confermato, e molti giornalisti avevano quindi deciso di dimettersi. Nelle ultime settimane il Journal du Dimanche ha in effetti spostato la sua linea editoriale centrista e vicina al governo verso posizioni identitarie tipiche dell’estrema destra conservatrice e cattolica.
Nel frattempo tra agosto e settembre è nato il domenicale La Tribune Dimanche che proverà a trovare lettori tra chi è insoddisfatto della nuova linea editoriale del Journal du Dimanche. La Tribune Dimanche è imparentata con il quotidiano online La Tribune: quest’ultimo aveva cessato di essere un giornale cartaceo nel 2012 e un settimanale nel 2020, e adesso è un sito che si occupa di economia, mentre la Tribune Dimanche avrà un taglio più generalista e di approfondimento: tratterà di esteri, politica, affari internazionali ed ecologia. Entrambe le pubblicazioni fanno parte dello stesso gruppo editoriale rilevato quest’estate dal miliardario Rodolphe Saadé: che è tra le persone più ricche di Francia, possiede una compagnia marittima tra le più importanti al mondo che si occupa di trasporto dei container, e ha iniziato a espandere i suoi interessi con investimenti nei media (è proprietario di due giornali locali in Provenza e Corsica).
La Tribune Dimanche comincia le pubblicazioni in un mercato piuttosto affollato: il primo numero è uscito con una tiratura di circa 120 mila copie ma l’obiettivo sembra essere quello di vendere 25 mila copie per ogni uscita. Della sua redazione fanno parte anche alcuni giornalisti che si erano dimessi dal Journal du Dimanche.
domenica 15 Ottobre 2023
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di agosto 2023. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà una cifra complessiva di valore un po’ grossolano, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui. Ad agosto gli andamenti rispetto al mese precedente sono stati alterni, con qualche aumento superiore al 2% (Avvenire, Messaggero, Verità e Libero). Se guardiamo i già più indicativi confronti con l’anno precedente, trascurando gli sportivi che hanno sempre alti e bassi, tutti i quotidiani perdono tra il 5% e il 12% delle copie. Le eccezioni questo mese sono Repubblica, che da alcuni mesi ha aggiunto al conteggio una quota cospicua di copie digitali gratuite o scontatissime, e Avvenire , che ha frequenti discontinuità di andamento legate alla sua grande dipendenza dalla propria anomala distribuzione.
Ma se invece, come facciamo ogni mese, consideriamo un altro dato che è più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” (che abbiamo descritto qui sopra e in cui entra un po’ di tutto), i risultati sono diversi: li si ottengono sottraendo da questi numeri quelli delle copie distribuite gratuitamente oppure a un prezzo scontato oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera), per avere così un risultato meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (ma questi dati comprendono sempre le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Si ottengono quindi questi numeri (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa):
Corriere della Sera 179.894 (-6%)
Repubblica 101.585 (-14%)
Stampa 72.558 (-12%)
Resto del Carlino 57.575 (-12%)
Sole 24 Ore 55.269 (-8%)
Messaggero 51.439 (-10%)
Fatto 42.776 (-10%)
Nazione 38.374 (-12%)
Gazzettino 35.160 (-8%)
Dolomiten 28.441 (-7%)
Giornale 28.348 (-12%)
Messaggero Veneto 26.499 (-7%)
Verità 25.530 (-18%)
Altri giornali nazionali:
Libero 23.421 (+5%)
Avvenire 14.882 (-8%)
Manifesto 12.833 (-5%)
ItaliaOggi 8.879 (-16%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Rispetto al calo grossomodo medio del 10% anno su anno delle copie effettivamente “vendute”, cartacee e digitali (queste ultime in abbonamento), a cui siamo abituati, questo mese continua ad andare meglio solo il Corriere della Sera, pur superando il 6% di perdite per la seconda volta quest’anno. Mentre hanno declini maggiori ancora Repubblica e Verità e diverse testate raggiungono il -12%. Continua il recupero di Libero che si sta riprendendo dei lettori che aveva perso a favore della Verità durante le proprie campagne contro i novax.
Quanto ai soli abbonamenti digitali, l’ordine delle testate è questo (sono esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori).
Corriere della Sera 43.172
Repubblica 26.389
Sole 24 Ore 22.391
Fatto 19.329
Stampa 8.798
Manifesto 6.382
Gazzettino 6.061
Rimane molto esigua la quota di abbonamenti digitali non scontati per alcune testate nazionali (soprattutto quelle con un pubblico più anziano) in un tempo in cui quella è la direzione più promettente per la sostenibilità di molti giornali: 1.723 abbonamenti digitali (pagati almeno il 30%) per Avvenire , 1.380 per il Giornale, 1.361 per la Verità, 1.462 per Libero , 2.416 per la Gazzetta dello Sport (che però ne ha più di 10mila a meno del 30% del prezzo). I tre quotidiani Monrif (Giorno, Resto del Carlino, Nazione) ne dichiarano complessivamente 2.064.
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra i quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora dell’ Arena (-16%), del Giornale di Vicenza (-17%) e del Centro (-18%).
(Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, che costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
domenica 15 Ottobre 2023
In questi anni si è molto discusso dei rapporti che Google e Meta (la società che possiede Facebook e Instagram) hanno con le organizzazioni giornalistiche. Ci sono due fronti di contesa internazionale, con dibattiti e sviluppi legislativi: uno riguarda l’uso dei contenuti dei siti di news da parte di Google sui suoi servizi e sul suo motore di ricerca; l’altro riguarda l’enorme quota di investimenti pubblicitari che Meta e Google – con la loro potenza tecnologica e oligopolistica – hanno sottratto ai giornali e alle loro concessionarie pubblicitarie. Nel primo caso Google ha spesso risolto la questione pagando (soprattutto con il progetto Showcase) diversi gruppi editoriali in tutto il mondo per evitare che avanzassero maggiori pretese. Meta sta invece disinvestendo da tempo nei rapporti con i giornali, ritenendo che i costi superino i benefici. Sulla seconda questione le aziende giornalistiche – singolarmente o associate – stanno chiedendo in molti paesi che siano imposti dei contributi per legge a compensazione dei ricavi “sottratti”.
Il confronto è diventato più animato dopo l’approvazione di una legge in Australia che costringe Google e Facebook a compensare i giornali per i link ai loro contenuti: negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito gli editori si stanno muovendo per ottenere leggi simili.
Il Daily Mail – tabloid inglese capace di grandi inaccuratezze e falsificazioni ma anche di raccogliere informazioni esclusive – ha però scritto questa settimana che il Primo ministro britannico Rishi Sunak avrebbe delle simpatie per le aziende tecnologiche che lo renderebbero indulgente rispetto alle loro richieste di rallentare l’approvazione di un progetto del governo in questo senso: può darsi che sia solo un intervento del Daily Mail per scongiurare simili resistenze, essendo il giornale parte interessata.
domenica 15 Ottobre 2023
Press Gazette – il sito britannico che si occupa di giornalismo spesso citato su Charlie – ha pubblicato una lunga e interessante intervista alla direttrice della sezione Opinioni del New York Times, Kathleen Kingsbury, spiegando il suo lavoro e quello del giornale statunitense. Il New York Times è probabilmente il giornale più importante al mondo, e la sua pagina delle opinioni è gestita da una redazione separata da quella delle notizie: risponde direttamente al management del giornale, e non al direttore Joe Kahn, in modo da avere maggiore indipendenza per pubblicare commenti non necessariamente in linea con quello che viene scritto nelle altre pagine del giornale. In questi anni le scelte di accoglienza, di opinioni anche lontane dalle posizioni più progressiste del giornale, hanno generato spesso critiche verso la sezione anche all’interno della redazione.
Kingsbury racconta diversi aspetti del lavoro e del funzionamento della sua redazione, che è triplicata rispetto al 2017 e oggi impiega circa 150 persone. Gli articoli di opinione sono spesso tra i più discussi e commentati dai lettori, ma i dati di coinvolgimento non condizionano la scelta degli articoli di opinione, dice: pur avendo a disposizione i dati su quali editorialisti abbiano portato il maggior numero di persone ad abbonarsi, la redazione sceglie di non tenerne conto.
Secondo Kingsbury il successo della sezione delle opinioni si basa su un fattore più astratto e complesso da misurare, cioè sulla varietà di punti di vista espressa dagli editoriali. Avere i propri articoli pubblicati nella sezione è estremamente complicato: la redazione riceve ogni giorno circa mille proposte, ma nel mese di settembre sono stati pubblicati 113 articoli di opinione. Kingsbury dice che c’è: “molto interesse da parte dei legislatori e dei politici che vorrebbero scrivere per noi… [ma] il 98% delle volte la risposta è no”. Ogni articolo accolto o scelto deve rispettare tre criteri: non deve alimentare o incitare discorsi d’odio, l’autore non deve avere conflitti d’interesse, e deve essere accurato. La redazione ha circa 12 persone che si occupano di fact-checking per verificare quello che viene scritto negli articoli; è il team di fact-checking più numeroso di tutto il giornale, dovendo confrontarsi con autori che non necessariamente rispettano gli standard di accuratezza dei giornalisti del New York Times.
Nell’intervista Kingsbury parla anche delle critiche che i colleghi al giornale manifestano pubblicamente o sui social media nei confronti del quotidiano: nei mesi scorsi è stata pubblicata una nota interna diretta al personale in cui, lei e il direttore Joe Kahn, hanno scritto che: “non è accolta e non è tollerata la partecipazione di giornalisti del New York Times a proteste organizzate da gruppi di sensibilizzazione o attacchi a colleghi sui social media e in altri spazi pubblici”. A Press Gazette ha aggiunto che “se pensi che il tuo datore di lavoro stia facendo qualcosa di sbagliato, posso capire l’istinto di volerlo criticare”, ma che considerando il complicato contesto in cui i giornalisti si trovano a lavorare “c’è bisogno di contare davvero gli uni sugli altri. E minare questa fiducia è qualcosa che non si dovrebbe prendere alla leggera”.
domenica 15 Ottobre 2023
Le difficili condizioni di sostenibilità della gran parte dei giornali in questi anni rendono il loro lavoro e il loro ruolo vulnerabili in due modi. Il primo è semplice da descrivere: con meno soldi c’è meno qualità del “prodotto”, ovvero un’informazione peggiore, più incompleta, più sbrigativa, meno accurata.
Il secondo è più indiretto ma si impone non tanto sui singoli contenuti ma sulle priorità stesse dei giornali: ed è l’aumentata dipendenza da necessità economiche che limitano la qualità dell’informazione, e si manifesta in tre modi. Dipendenza dalla pubblicità, dipendenza dai lettori, dipendenza da interessi terzi degli editori.
I giornali in cerca di fonti di ricavo sono meno autonomi rispetto alle richieste e agli interessi della pubblicità, e questo condiziona il lavoro giornalistico: ragioni pubblicitarie traboccano nelle pagine e negli articoli senza trasparenza nei confronti dei lettori (o spettatori, o ascoltatori, o scrollatori).
I giornali in cerca di fonti di ricavo sono meno autonomi rispetto alla soddisfazione e al consenso dei propri lettori paganti (o destinatari di pubblicità), e questo condiziona il lavoro giornalistico: dire ai propri “clienti” quello che vogliono sentirsi dire, non scontentarli e non contrariarli (in tempi in cui c’è una grandissima inclinazione di tutti a scontentarsi e contrariarsi) è una necessità ineludibile per non perdere il loro contributo economico e il loro valore anche in termini pubblicitari.
Infine, i giornali per cui questa ricerca di fonti di ricavo resta insoddisfacente vedono una parte delle loro priorità e del loro senso dirottata verso interessi economici diversi dei propri editori: concedendo spazi alla promozione di questi interessi e diventandone strumento, a ulteriore rischio della propria credibilità.
Sono vulnerabilità di fatto dell’informazione di questi tempi, che riguardano in misure assai varie le varie testate, ma che è utile avere presenti per capirne le scelte e le limitazioni.
Fine di questo prologo.
domenica 8 Ottobre 2023
Dal 6 novembre il Post offre di nuovo le ” Dieci lezioni sul giornalismo “, un ciclo di incontri online con i lettori del giornalismo su storie e temi molto affini a quello che racconta questa newsletter: l’attualità del giornalismo ma anche la sua pratica nella redazione del Post. Centinaia di persone hanno partecipato alle edizioni degli anni passati, ci si iscrive qui.
domenica 8 Ottobre 2023
Alcuni lettori di Charlie hanno chiesto chiarimenti su un passaggio della newsletter della settimana passata, dove si diceva che la nomina di Stefania Aloia al Secolo XIX “porta a tre il numero di direttrici tra i 30 maggiori quotidiani italiani per diffusione, contro venticinque uomini”. Non si trattava di enigmistica ma forse di una sopravvalutazione da parte nostra della conoscenza delle puntate precedenti di queste considerazioni: Agnese Pini è infatti direttrice dei quotidiani del gruppo Monrif, e quindi della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno. Con il Giornale di Brescia diretto da Nunzia Vallini e ora con il Secolo XIX , i quotidiani maggiori diretti da donne sono cinque.
domenica 8 Ottobre 2023
Il dipartimento che si occupa di giornalismo della London School of Economics and Political Science, un’università britannica e tra le più note e prestigiose al mondo, ha pubblicato un’estesa indagine sugli usi che alcune organizzazioni giornalistiche stanno facendo delle cosiddette intelligenze artificiali (in particolare di quella “generativa”, come ChatGPT, che è in grado di generare testo, immagini o video dopo un comando). Si tratta di un report, il secondo realizzato, in cui 120 persone che lavorano nel giornalismo (giornalisti, tecnici, dirigenti) provenienti da 105 redazioni di 46 nazioni raccontano delle loro esperienze e del loro uso con l’IA (degli italiani è coinvolto il Sole 24 Ore). Nei risultati del sondaggio sono emersi alcune preoccupazioni, casi positivi e auspici: i paesi più ricchi sono quelli che possono godere dei maggiori benefici dell’IA e questo alimenta disuguaglianze; tre intervistati su quattro usano l’IA in una parte del loro lavoro giornalistico; gli intervistati esprimono preoccupazioni etiche per le linee guida e per i pregiudizi degli algoritmi; per gli intervistati è fondamentale che i giornali siano trasparenti con il pubblico e specifichino quando si utilizza l’IA, così come è importante che ci sia un approccio umano nell’uso di questa tecnologia.
Alcune organizzazioni stanno già applicando in modo concreto le tecnologie nate dall’IA:
– Bloomberg ha sviluppato BloombergGPT addestrandolo sulla base di dati finanziari in modo da fornire documenti finanziari, report e approfondimenti sulle tendenze del mercato.
– Il Washington Post sta utilizzando Heliograf, uno strumento che genera brevi articoli di cronaca finanziaria o sportiva partendo da dati specifici, consentendo così ai giornalisti di concentrarsi su lavori più complessi.
– Il Times ha un sistema di gestione dei contenuti chiamato JAMES, che analizza i comportamenti dei visitatori del suo sito per fornire articoli e servizi personalizzati sulla base delle preferenze dell’utente.
– Reuters sta usando la piattaforma Lynx Insight per analizzare grandi quantità di dati e informazioni di base per sostenere reportage investigativi.
– Newtral , un sito spagnolo di fact-checking, ha curato lo sviluppo di uno strumento chiamato Claim Hunter, un’intelligenza artificiale che ascolta e trascrive l’audio di podcast, discorsi o interviste e individua le affermazioni che hanno bisogno di una verifica.
domenica 8 Ottobre 2023
Secondo un breve commento di Michele Masneri sul Foglio, l’autore satirico Federico Palmaroli – più noto come Osho per via della genesi del suo format che si chiama ” Le frasi di Osho ” – avrebbe già avuto sospesa la sua collaborazione con il Giornale. Le sue immagini erano state trasferite sulla prima pagina del Giornale da Libero al momento della cessione del quotidiano alla nuova proprietà e del cambio di direzione. Stando alla ricostruzione di Masneri la “romanità” dei lavori di Palmaroli non sarebbe stata apprezzata dai lettori milanesi del Giornale.
domenica 8 Ottobre 2023
L’ex presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha annunciato di avere ottenuto un risarcimento di 80mila euro da parte del quotidiano il Fatto e del suo direttore Marco Travaglio, che Renzi aveva querelato per diffamazione.
domenica 8 Ottobre 2023
Il 22 settembre scorso il suo direttore e fondatore Paolo Flores D’Arcais aveva annunciato che la rivista di politica e cultura Micromega avrebbe chiuso se non avesse raggiunto 5mila abbonamenti: in quel momento ne contava circa 500 e la scadenza che Flores aveva dato era per domenica 8 ottobre.
Questa settimana, mercoledì 4 ottobre, Micromega ha comunicato di aver raggiunto 5mila “impegni di abbonamento”. Significa che le persone che volevano abbonarsi alla rivista hanno compilato un “Google Form” esprimendo la propria volontà di abbonarsi, specificando il tipo di abbonamento e lasciando i propri contatti. Una volta superata la soglia delle 5mila persone che avevano compilato il modulo la redazione ha iniziato a contattare le singole persone per tradurre l’impegno in abbonamenti paganti. La condirettrice di Micromega Cinzia Sciuto ha detto a Charlie che venerdì erano stati confermati mille abbonamenti pagati.
domenica 8 Ottobre 2023
Il sito americano specializzato in marketing e media Digiday ha pubblicato alcuni dati sul continuo calo del traffico che Facebook ha portato fino a oggi ai siti di informazione. Facebook sta disinvestendo da oltre un anno sulla promozione delle notizie nel suo feed e nei rapporti con i giornali. Il problema per molti siti è che Facebook era (e spesso è) una delle principali fonti di traffico e questi cambiamenti non sono indolori. Da agosto 2022 a agosto 2023 il traffico che Facebook ha portato verso 30 selezionati siti di notizie sarebbe diminuito del 62% secondo i dati che Similarweb (una società che raccoglie e analizza dati di traffico online) ha condiviso con Digiday. Ci sono altri dati e cali notevoli per le singole testate:
The Sun: -84%
The Guardian: -79%
The Daily Mail: -77%
BuzzFeed: -72%
The New York Times: -66%
domenica 8 Ottobre 2023
Una conseguenza della scelta di alcuni giornali di dare spazio a “notizie” per ragioni che non hanno a che fare con l’informazione dei lettori ma con altri fattori, è che spesso i lettori stessi si trovano di fronte a testi assai misteriosi in cui il lavoro giornalistico è del tutto assente, proprio perché non sono rivolti a informare ma ad accontentare tipi diversi di relazioni o di interessi legati al giornale, riprendendo questo o quel comunicato stampa. Gli esempi sono frequenti, ma una sintesi molto vistosa di questo effetto era in un box pubblicato sul Corriere della Sera martedì (all’interno di una pagina dedicata a tutt’altri argomenti) in cui tutto il poco spazio era occupato da informazioni evidentemente “dovute” e senza nessun contesto o spiegazione: ai lettori non è detto cosa siano i Giganti di Mont’e Prama, né quale sia la loro “affascinante storia”, ma sono riportati estesamente i nomi di tutti i presenti a un evento anch’esso poco descritto, e i loro interventi sono indicati come “apprezzati”.
domenica 8 Ottobre 2023
Il Foglio di sabato ha dedicato una pagina al racconto degli ultimi sviluppi societari che riguardano Le Monde e alla storia del giornale, il quotidiano a maggiore diffusione in Francia (raccontato anche in un articolo del numero di Cose spiegate bene sui giornali e il giornalismo).
“Il mese scorso Niel ha liquidato Křetínský comprando per 50 milioni di euro l’intero pacchetto. Un anno fa aveva preso anche la quota rimasta a Pigasse. A questo punto, è l’unico azionista del quotidiano che ha al vertice una società nella quale si regolano i conti della proprietà. Il nuovo patron ha deciso di trasferire l’intera sua quota alla fondazione creata nel 2021, dal nome rassicurante: Fonds pour l’indépendance de la presse. Resta un 25 per cento in mano al Pôle d’indépendance che riunisce giornalisti, collaboratori e lettori. Con questa mossa, diventa impossibile una scalata da parte di qualcun altro, ben o mal intenzionato che sia. Nel Fondo, Niel ha fatto entrare anche il figlio Jules di appena vent’anni. Ma l’indipendenza della stampa è il cruccio del patron di Iliad, assicura il suo partner Louis Dreyfus (un cognome una garanzia) che dal 2010 ne cura gli interessi ai vertici del giornale; perché l’indipendenza è il valore per il quale si batte chi ci lavora e chi legge il Monde. Il direttore editoriale Jerome Fenoglio plaude ai recenti sviluppi e in particolare all’uscita di scena del magnate ceco con il quale non c’è mai stata nessuna vicinanza. Indipendenza va cercando ch’è sì cara, ma come la mette Fenoglio con l’intreccio familiare? Perché la compagna di Niel si chiama Delphine e di cognome fa Arnault: sì, il padre è proprio lui, Bernard il re del lusso, il quale possiede due quotidiani, Le Parisien e Les Echos. Chi stappa champagne è il presidente Macron perché Niel è suo amico da sempre e Arnault lo è diventato”.
domenica 8 Ottobre 2023
Già dalla settimana precedente a quella passata il segretario del partito che si chiama “Azione”, Carlo Calenda, aveva attaccato il capo del maggior sindacato italiano, Maurizio Landini, a proposito di una crisi in corso in una fabbrica vicino a Bologna, a Crevalcore. Secondo Calenda Landini sarebbe indulgente nei confronti della famiglia Agnelli-Elkann proprietaria dell’azienda automobilistica Stellantis – a cui Calenda attribuisce responsabilità su quello che sta succedendo a Crevalcore e in altre crisi industriali italiane – per non alienarsi le relazioni con il quotidiano Repubblica, di proprietà degli stessi Agnelli-Elkann e tradizionalmente più vicino, tra i maggiori quotidiani, agli interessi del sindacato.
L’accusa di Calenda, al di là del caso in questione, rappresenta un’opinione non isolata su quali siano le motivazioni della proprietà di GEDI (l’azienda editoriale che possiede Repubblica e Stampa , tra gli altri, e che è posseduta da Exor, il gruppo a cui appartiene anche Stellantis): in questi anni in cui Repubblica ha perso molte copie, scegliendo di rinunciare a parte della sua identità storica, dei suoi autori e dei suoi lettori, e di perdere la competizione con il Corriere della Sera, molti si sono chiesti il perché da parte della famiglia Agnelli-Elkann dell’acquisto del giornale e dell’apparente inerzia rispetto alle sue difficoltà. E la tesi di Calenda – associata al grande e inedito spazio promozionale offerto negli ultimi anni a Stellantis e a John Elkann sulle pagine di Repubblica – si allinea all’ipotesi per cui il valore del possesso di Repubblica risiederebbe per Exor nell’aver annullato il rischio di critiche e di infomazione insoddisfacente nel solo grande quotidiano tradizionalmente avverso (la Stampa era già degli Agnelli-Elkann, che avevano anche una quota del Corriere della Sera; il Sole 24 Ore è di proprietà di Confindustria).
Di fronte alle accuse di Calenda, martedì Repubblica ha pubblicato un breve e polemico comunicato (Calenda ha ulteriormente risposto).
domenica 8 Ottobre 2023
Il New York Times ha pubblicato un approfondimento sull’impatto che il lavoro di fact-checking – cresciuto molto parallelamente al dibattito sulla diffusione delle “fake news” – ha avuto in questi anni nel riuscire a fare chiarezza e diffondere informazioni verificate tra lettori e lettrici. Il lavoro dei fact-checker (letteralmente “verificatori di fatti” o delle fonti) si occupa di accertare la veridicità di avvenimenti, discorsi, notizie diffuse dai media: negli ultimi anni viene spesso descritto come un lavoro autonomo, anche se diverse competenze dovrebbero rientrare nel normale metodo giornalistico.
L’articolo del New York Times parla di come sia difficile riuscire a raggiungere con informazioni verificate alcune fasce della popolazione: molte persone infatti continuano a credere a versioni false di una notizia nonostante gli articoli di correzione prodotti da molte testate. Secondo alcuni sondaggi e ricerche, per esempio, dopo le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 tre americani su dieci hanno creduto alla tesi che la vittoria di Biden fosse stata il risultato di brogli. Ancora nel 2023, sebbene i fact-checker abbiano più volte verificato e smentito questa tesi, tre americani su dieci continuano a crederci. Il lavoro di “debunking” delle notizie false è reso più complicato anche da un ambiente ostile: in molti casi chi contesta e smonta le falsificazioni riceve molestie online e, in alcune nazioni, una parte di propaganda politica – soprattutto a destra – tende a reprimere questo tipo di giornalismo. Un’altra difficoltà che si sta presentando in questi mesi è la sostenibilità economica: molti finanziamenti per i progetti che cercano di contrastare la disinformazione arrivano da aziende tecnologiche, ma in questo momento di crisi del settore tecnologico e di conseguenti tagli alla filantropia, molte aziende potrebbero decidere di ridurre il budget destinato a questo impegno.
Nonostante tutto, spiega però l’articolo, durante le elezioni di metà mandato del 2022 negli Stati Uniti la disinformazione sembra essere stata meno dannosa del previsto, probabilmente anche grazie agli sforzi di alfabetizzazione di alcuni media in questo senso. La studiosa di disinformazione e verifica dei fatti Claire Wardle ha aggiunto, alla fine dell’articolo del New York Times, che: «Tendiamo a essere ossessionati dalle peggiori cospirazioni e da chi si è radicalizzato. In realtà, la maggior parte delle persone è abbastanza brava a riconoscere [e distinguere] tutto questo». Ma “la maggior parte” non è un dato molto definito e rassicurante.
domenica 8 Ottobre 2023
Il quotidiano Domani ha pubblicato un articolo sulla difesa di uno spot dell’Esselunga da parte di Matteo Salvini, attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e leader della Lega. Lo spot in questione è stato molto discusso, si intitola “La Pesca” e ha come protagonisti una bambina e i suoi genitori separati o divorziati. Salvini ha pubblicato un post in cui fa la spesa in un supermercato della catena: questo, secondo Domani, lo renderebbe tra l’altro colpevole di fare pubblicità illecita, dal momento che Salvini è ancora un giornalista iscritto all’albo come professionista.
Tralasciando il caso specifico (è un po’ forzato definire “pubblicità” quel post, che si esclude sia stato retribuito), è utile capire come è regolata e limitata la partecipazione retribuita a pubblicità da parte dei giornalisti. Nel “ Testo unico dei doveri dei giornalisti ” (testo che comprende le regole deontologiche che i giornalisti sono tenuti a seguire) all’Articolo 10 si parla dei “Doveri in tema di pubblicità e sondaggi”:
Il giornalista:
a) assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni;
b) non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali.
Negli anni ci sono stati diversi casi controversi. Uno ha riguardato Gad Lerner e Vittorio Feltri ed è forse tra i più noti: nel 2003 furono fotografati insieme per fare pubblicità a un marchio di abbigliamento, mentre nel 2006 girarono degli spot per una marca di biscotti mentre prendevano un tè insieme. Entrambi giustificarono la loro scelta dicendo di aver devoluto in beneficenza i compensi ricevuti: criterio che però – a meno di non forzare molto quel “volte a fini” – non è previsto come discriminante nelle regole deontologiche, alla cui base c’è il rischio di perdita di indipendenza e di credibilità del giornalista, piuttosto che quello del suo arricchimento personale.