Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 5 Novembre 2023

Che controlla

Mercoledì di nuovo una delle pagine di Economia sul quotidiano Repubblica è stata dedicata a un articolo di celebrazione dei successi dell’azienda automobilistica che appartiene alla stessa società del giornale, e in questo caso l’articolo è tornato a usare in un inciso la formula che indica sovrapposizione di interessi.

 


domenica 5 Novembre 2023

Il Guardian contro Microsoft

Microsoft – la grande azienda multinazionale di informatica – possiede, tra le altre cose, un aggregatore di news chiamato Start che contribuisce a rendere il suo sito uno dei più visitati al mondo: è la pagina iniziale predefinita sui dispositivi che hanno un software Microsoft e anche la pagina iniziale del browser Edge (il successore di Internet Explorer). Start raccoglie e ripubblica articoli di diverse organizzazioni giornalistiche (di qualità assai varia) in cambio di una quota dei ricavi pubblicitari. Fino a qualche anno fa Microsoft impiegava fino a 800 redattori per selezionare le notizie da pubblicare su Start, ma nel 2020 ha notevolmente ridotto la sua redazione con moltissimi licenziamenti che sono stati sostituiti da software di “intelligenza artificiale” (AI) e dall’automazione di algoritmi.

Gli accordi delle testate con Microsoft generano i rischi comuni a ogni occasione in cui la distribuzione e la pubblicazione dei propri contenuti vengono affidati ad altri, con perdita del controllo su quei contenuti. Martedì il quotidiano britannico Guardian ha accusato Microsoft di aver danneggiato la sua reputazione giornalistica dopo che su Start era apparso un discutibile sondaggio generato da un software vicino a un articolo di cronaca nera del Guardian. L’articolo parlava di un’allenatrice di pallanuoto di 21 anni trovata morta con gravi ferite alla testa in una scuola di Sydney: accanto all’articolo il sondaggio generato automaticamente chiedeva ai lettori “Quale pensi sia il motivo della morte della donna?” e le opzioni di risposta erano omicidio, incidente o suicidio. Il sondaggio è stato rimosso ma diversi lettori avevano già protestato col Guardian, equivocando le responsabilità della pubblicazione: in una nota indirizzata a Microsoft l’editore del Guardian ha scritto che l’incidente ha causato un “significativo danno alla reputazione” del giornale e dei giornalisti che hanno lavorato all’articolo e anche che: “è evidente che Microsoft ha fatto un uso inappropriato dell’intelligenza artificiale su una storia di interesse pubblico potenzialmente angosciante, originariamente scritta e pubblicata dai giornalisti del Guardian ”.


domenica 5 Novembre 2023

Il nuovo capo al Washington Post

Il quotidiano di Washington, DC, che è uno dei quattro quotidiani considerati “nazionali” negli Stati Uniti, ha scelto un nuovo amministratore delegato: è Will Lewis, che aveva già avuto lo stesso ruolo nell’azienda Dow Jones, che pubblica il Wall Street Journal, e un curriculum più tradizionalmente giornalistico dirigendo tra l’altro il quotidiano inglese Daily Telegraph, dove fu protagonista della pubblicazione di una eclatante serie di rivelazioni sulle spese dei parlamentari britannici. Il precedente CEO del Washington Post, Fred Ryan, aveva lasciato l’incarico lo scorso giugno. Lewis è di Londra e ha 54 anni.


domenica 5 Novembre 2023

Il gruppo NEM

La società NEM si è presentata venerdì con un breve editoriale ai lettori dei quotidiani di Veneto e Friuli Venezia Giulia che ha di recente comprato dal gruppo GEDI (che ha così dismesso quasi del tutto il suo antico patrimonio di quotidiani locali): la Tribuna di Treviso, il Mattino di Padova, il Corriere delle Alpi di Belluno, la Nuova Venezia, il Messaggero Veneto di Udine e il Piccolo di Trieste. Sulle stesse prime pagine è stato pubblicato anche il saluto del nuovo direttore del gruppo Luca Ubaldeschi.


domenica 5 Novembre 2023

Click e impression

Google ha annunciato che cambierà i criteri di retribuzione per il suo sistema di gestione della pubblicità sul web che si chiama Google Ads (e attraverso cui Google controlla la quota maggiore del mercato pubblicitario digitale): passando da un conteggio dei click sulle pubblicità a uno delle visualizzazioni, per allinearsi – dice la nota pubblicata giovedì – ai criteri usati maggiormente nel mercato pubblicitario. Nell’annuncio Google sostiene che questo non dovrebbe cambiare nei numeri le retribuzioni ai siti che ospitano le pubblicità.


domenica 5 Novembre 2023

Due milioni e mezzo per la Verità

SEI è la società che pubblica il quotidiano La Verità: entrambe sono state create da Maurizio Belpietro, giornalista e direttore della testata, che negli scorsi anni ha acquisito anche alcune riviste un tempo pubblicate dalla casa editrice Mondadori, tra le quali il settimanale Panorama. Il mese scorso i conti di SEI sono stati protetti con un aumento di capitale di due milioni e mezzo fornito da un nuovo socio, l’imprenditore dell’agroalimentare Federico Vecchioni attraverso la sua società Newspaper. Il sito Startmag aveva descritto la nuova distribuzione della proprietà e le ragioni di bilancio che avevano reso prezioso il nuovo investimento:

“La ricapitalizzazione è stata sottoscritta da Newspaper, che possiede ora il 25 per cento delle azioni di Sei. Il primo azionista della società che edita La Verità rimane Belpietro, che con l’ingresso del nuovo azionista ha diluito la sua quota dal 78,1 per cento al 58,5 per cento. Gli altri azionisti sono Nicola Benedetto (12,7 per cento) e Mario Giordano (3,7 per cento): le quote attuali sono state limate sempre per effetto dell’ingresso del nuovo socio.

[…] Sei ha chiuso il bilancio del 2022 con una perdita dell’esercizio di 2.346.815 euro, rispetto all’utile di 189.617 euro riportato al 31 dicembre 2021.
Come si legge nel bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2022, “la significativa perdita conseguita nel presente esercizio è unicamente dovuta alla svalutazione della partecipazione in Stile Italia Edizioni srl, in liquidazione. Al netto di questa, la Società avrebbe conseguito un rilevante utile d’esercizio”. Stile Italia Edizioni è la società editrice dei magazine Sale e Pepe, Confidenze, Style, Starbene e Cucina Moderna”.

Secondo un articolo pubblicato sabato da Repubblica – ma che non cita fonti identificabili per la sua ricostruzione – l’ingresso del nuovo socio avrebbe delle implicazioni legate al rischio – rischio temuto anche dalla presidente del Consiglio Meloni – che a comprare la Verità potesse essere la famiglia Angelucci, che già possiede il Giornale Libero.


domenica 5 Novembre 2023

Tagli in Condé Nast, qualcosa non va

Come racconta il Post, “Condé Nast, la grande casa editrice statunitense che pubblica alcune tra le riviste più famose al mondo, tra cui Vanity Fair, il New Yorker Vogue, ha fatto sapere che licenzierà il 5 per cento del proprio staff, pari a circa 270 dipendenti”.

L’azienda ha deciso anche di rinunciare allo sviluppo di una divisione interna che si sarebbe occupata di sfruttare il proprio archivio per lavorare a produzioni di serie televisive o cinematografiche. La riduzione dei dipendenti rientra nel contesto delle numerose notizie di licenziamenti nelle redazioni internazionali e delle relative difficoltà economiche di diversi giornali. Il New York Times ha citato una nota in cui l’amministratore delegato di Condé Nast Roger Lynch ha informato i dipendenti che i licenziamenti sarebbero necessari per il calo dei ricavi dalla pubblicità digitale, per la diminuzione del traffico proveniente dai social media e per il cambio di comportamento del pubblico: la maggior parte della crescita dell’attività video di Condé Nast sta avvenendo in formati come TikTok e YouTube Shorts, che però sono meno redditizi: “i video più lunghi su YouTube sono in calo di anno in anno. Si tratta di un cambiamento [di abitudini] del pubblico, ma anche di YouTube che insegue ciò che vede su TikTok”. Dopo diversi anni Condé Nast aveva registrato un profitto nel 2021, e anche nel 2022 i ricavi sono cresciuti ma non raggiungendo l’obiettivo prefissato: Lynch prevede un leggero calo nelle entrate dalla pubblicità anche se i ricavi derivanti dagli abbonamenti digitali e dall’e-commerce sono aumentati, considerando però che sia gli abbonamenti che l’e-commerce rappresentano una parte più piccola rispetto alle entrate pubblicitarie.


domenica 5 Novembre 2023

Repubblica e Zerocalcare

Un nuovo attrito si è manifestato all’interno di Repubblica questa settimana, sempre nel contesto del nuovo corso del giornale seguito al cambio di proprietà e di direttore di quattro anni fa. Mercoledì Francesco Merlo, il giornalista titolare della rubrica delle lettere oltre che autore di commenti di attualità, ha firmato una pagina di attacchi molto violenti nei confronti del disegnatore e fumettista Zerocalcare, che aveva più volte collaborato col giornale negli anni passati, a proposito della scelta di quest’ultimo di non partecipare a una grande fiera di fumetti che si tiene ogni anno a Lucca. Zerocalcare aveva spiegato di non sentirsi a suo agio – in queste settimane di bombardamenti a Gaza – in una manifestazione che si era presentata col patrocinio dell’ambasciata israeliana (legato alla partecipazione di due fumettisti israeliani).

L’attacco di Merlo – autore capace spesso anche in passato di grandi aggressività personali nei suoi commenti, e apprezzato da una quota di lettori anche per questo – contro Zerocalcare è stato molto criticato: sia perché le posizioni di Zerocalcare contro i bombardamenti israeliani sui civili palestinesi sono assai condivise tra una parte dei lettori di Repubblica, sia perché lo stesso Zerocalcare gode di molto rispetto, sia perché i toni sono sembrati molto sopra le righe anche a chi dissentisse dalla scelta in questione di Zerocalcare sulla fiera di Lucca (l’articolo di Merlo conteneva anche un’allusione critica alla scrittrice Michela Murgia, morta di recente). E a manifestare pubblicamente questo dissenso sono stati anche due giornalisti di Repubblica, su Twitter (Matteo Pucciarelli Viola Giannoli): e l’indomani il giornale ha scelto di accogliere una risposta critica di Chiara Valerio, scrittrice e anche lei collaboratrice di Repubblica.

Zerocalcare ha risposto agli attacchi di Merlo (e di altri) sul sito di Internazionale . Merlo ha aggiunto ancora qualche laconico commento nella sua rubrica di risposta alle lettere.


domenica 5 Novembre 2023

I podcast per gli abbonati

La sostenibilità economica delle produzioni di podcast è argomento dibattuto da diversi anni, da quando il relativo successo del formato ha spinto molte aziende giornalistiche a investirci (o anche a nascere come produttrici dedicate) in cerca appunto di un modello di ricavo garantito. Finora i risultati sono stati abbastanza occasionali, e né la pubblicità, né i podcast sponsorizzati, né la vendita dei contenuti a piattaforme maggiori si sono mostrati sufficienti, almeno per la gran parte dei produttori e delle testate. Un pensiero che stanno indagando da qualche tempo alcune aziende giornalistiche è di “monetizzare” i podcast attraverso il proprio sistema di abbonamenti, facendoli diventare parte dell’offerta per gli abbonati (è quello che fa per esempio il Post con alcuni dei suoi podcast). E diventando potenzialmente delle “piattaforme di podcast” a pagamento, pur con offerte assai più limitate di quelle di Spotify, o Audible.

Il settimanale londinese Economist ha da poco introdotto un nuovo piano di abbonamenti a pagamento per i suoi podcast: il costo è di 4,90 sterline al mese o 49 sterline all’anno, mentre chi ha già altri abbonamenti alla rivista accederà anche all’offerta di podcast. L’ Economist ha realizzato il suo primo podcast nel 2006 ma la sua pubblicazione principale, il quotidiano “The Intelligence”, è nata nel 2019: è un podcast che attualmente ha 2,5 milioni di ascoltatori unici al mese. Oggi l’ Economist pubblica una decina di podcast realizzati da una redazione di circa 25-30 persone, quasi il 10% dei 300 membri dell’intera redazione della rivista. Fino a questo momento i podcast dell’ Economist erano sostenibili economicamente grazie agli introiti pubblicitari, ma il direttore dei podcast John Prideaux ha detto PressGazette – sito britannico che si occupa di giornalismo – che la crescita nei podcast è più interessante per rafforzare gli abbonamenti, che rappresentano la principale fonte di reddito dell’ Economist (sono circa 1,2 milioni gli abbonati totali). Per l’ Economist uno degli ostacoli dei podcast a pagamento è che molte persone sono abituate a ascoltare i programmi su Apple Podcasts o Spotify: “È possibile ascoltare i podcast dell’ Economist sulla nostra app, è facilissimo e l’esperienza d’uso è buona, ma la realtà è che quasi tutti i nostri ascoltatori usano Spotify o Apple. […] Si tratta di introdurre un paywall su una piattaforma gestita da altri, il che è più complicato dal punto di vista tecnologico, ma abbiamo trovato una soluzione che funziona abbastanza bene”. Ad esempio è possibile collegare i propri account dall’ Economist ad alcune applicazioni per i podcast: è un’operazione macchinosa ma non troppo complessa. Secondo Prideaux la strategia dei podcast in abbonamento diventerà “sempre più comune” grazie agli adeguamenti tecnologici. Questo anche perché molti giornali hanno aumentato la produzione di podcast ed è aumentata anche la loro centralità:

“ Posso parlare solo per l’ Economist, ma cercare di vendere un abbonamento a un prodotto giornalistico e però allo stesso tempo regalare gratuitamente molto del proprio giornalismo, è una cosa strana da fare e non ha molto senso. Ma c’è un problema: più i podcast migliorano, più si rischia di cannibalizzare la propria attività. […] E quindi penso che questa logica porterà un maggior numero di persone a sottoscrivere abbonamenti ai podcast. Ma mi chiedo anche quanti abbonamenti ai podcast le persone vorranno avere ”.


domenica 5 Novembre 2023

Anche una sola persona

Il sito Nieman Lab, che si occupa di giornalismo per conto della fondazione americana Nieman legata all’università di Harvard, ha pubblicato una istruttiva intervista con Shayan Sardarizadeh, che si occupa di disinformazione (e “misinformazione”, come lui stesso distingue) per la sezione del sito di BBC che si chiama Verify.
Sardarizadeh spiega quali analisi faccia su immagini e notizie – per esempio quelle di queste settimane che arrivano da Gaza e da Israele – per verificare la loro fondatezza, e ribatte efficacemente all’obiezione che negli ultimi anni si fanno spesso gli stessi giornalisti impegnati in un lavoro simile, ovvero “le smentite sono sempre più deboli delle falsificazioni”:

«Ma anche se hai smontato una storia che aveva dieci milioni di visualizzazioni, e la tua ne ha ottenute solo 2 o 3mila, anche se sei riuscito a far cambiare idea anche a una sola persona che aveva visto l’articolo originale e poi ha letto il tuo, ora è una persona che si è convinta che quello era falso e non ci crede più. Penso che qualunque giornalista che ottenga questo può esserne contento e dirsi “ok, ho fatto una cosa buona”».


domenica 5 Novembre 2023

Charlie, dicerìe

Chi i giornali li legge, li scorre, li sfoglia, li ascolta, li guarda, e segue il lavoro delle redazioni solo nei suoi risultati, deve la sua limitata conoscenza del loro funzionamento soprattutto a certi film o serie americani, che sono la maggiore occasione in cui persino il pubblico italiano vede dei giornalisti al lavoro (poi speriamo che una parte ancora crescente lo debba a questa newsletter, anche). E il rischio è che assuma come pratiche usuali del lavoro delle redazioni quelle che vede in quei film: le cautele nelle scelte di cosa e quando pubblicare, la ricerca di verifiche, la richiesta di trovare più fonti, la scelta di aspettare e rimandare la pubblicazione fino a che non ci siano risposte e conferme, la garanzia che le frasi citate siano attribuibili. Ma sono pratiche proprie del lavoro delle più autorevoli testate statunitensi, e di rari casi in alcuni altri paesi del mondo. Consegnare ai lettori delle informazioni sull’attendibilità delle notizie e delle fonti che le riferiscono, per esempio, è una scelta che non è nella cultura giornalistica italiana, che ha tra i suoi attributi invece una maggiore attitudine (e capacità, a volte) alla narrazione suggestiva e coinvolgente. Lo strumento di questo diverso approccio sono quindi tutta una serie di formulazioni sulle fonti che con un po’ di attenzione ogni lettore può imparare a riconoscere: “le voci che si rincorrono dicono…”, “si sussurra che…”, “i bene informati assicurano…”, “a quanto pare…”, “chi lo ha visto dice che…”, “dicono dalle sue parti…”.

Fine di questo prologo.


domenica 29 Ottobre 2023

Stracci

C’è stato un violento e seguito litigio su Twitter tra l’account del giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli e quello attribuito alla giornalista del Corriere della Sera Maria Teresa Meli, a partire da un articolo di Meli su una manifestazione per la pace in Israele e Palestina.


domenica 29 Ottobre 2023

Spiegata

Il quotidiano torinese La Stampa ha organizzato quattro incontri pubblici al Circolo dei lettori di Torino per raccontare ai lettori come lavora la redazione e come si fa il giornale. Il primo si è tenuto giovedì.


domenica 29 Ottobre 2023

Cerchi che si chiudono

In rappresentanza delle sovrapposizioni più palesi sui due maggiori quotidiani italiani di contenuti giornalistici e contenuti pubblicitari, questa settimana segnaliamo le pagine acquistate per una campagna di Fay su Corriere della Sera Repubblica precedute dagli articoli degli stessi giornali per raccontare la campagna pubblicitaria, con le immagini relative. E ugualmente, acquistando diverse inserzioni su Repubblica durante la settimana per una sua campagna pubblicitaria con Jennifer Lopez come testimonial (anche con accostamenti disattenti), il brand Intimissimi ha ottenuto sabato anche un articolo dedicato alla campagna stessa, illustrato dalle immagini della campagna.


domenica 29 Ottobre 2023

I dieci anni di Fumettologica

Fumettologica – sito italiano di informazione sul fumetto – ha pubblicato un articolo in cui celebra i dieci anni dalla nascita del magazine online. L’articolo è scritto dal suo fondatore Matteo Stefanelli, che ne è anche il direttore. Stefanelli ha detto a Charlie che al momento Fumettologica raggiunge ogni mese tra i 100 mila e i 150 mila lettori per un totale di circa 1 milione di pagine visualizzate. Le entrate economiche del sito si dividono in quattro categorie: le varie forme di pubblicità coprono circa il 50% dei ricavi totali, i lavori come media partner il 30%, le affiliazioni circa il 20%. La buona salute di Fumettologica ha permesso di allargare anche la redazione; nel 2013 lavoravano tre persone part time in redazione, a cui si aggiungevano un webmaster e un designer esterni, mentre attualmente la redazione è composta da cinque persone tra full time e part time, a cui si aggiungono sei collaboratori fissi e un’agenzia che affianca il lavoro per la vendita degli spazi pubblicitari e si occupa anche della tecnologia del sito. Nel 2024 Fumettologica introdurrà un programma di abbonamenti a pagamento e una o più newsletter.


domenica 29 Ottobre 2023

Esperimenti di AI, forse

Sul sito americano di recensioni e consigli d’acquisto Reviewed potrebbero essere stati pubblicati degli articoli scritti dall’AI (“intelligenza artificiale”) all’insaputa degli stessi giornalisti che fanno parte della redazione. Reviewed è un sito di USA Today – quotidiano a diffusione nazionale negli Stati Uniti – che a sua volta è di proprietà di Gannett Corporation, ovvero una delle più grandi aziende giornalistiche americane. Gli articoli recensivano prodotti come bicchieri e attrezzatura subacquea, e contenevano, secondo il sindacato che rappresenta i giornalisti di Reviewed, “un tono meccanico e frasi ripetitive”. Una portavoce di Reviewed riferisce che gli articoli sono stati scritti da un’agenzia di marketing, che nega di aver utilizzato l’intelligenza artificiale generativa per la scrittura. Le recensioni sono state rimosse dopo pochi giorni perché pubblicate: “senza le accurate dichiarazioni di affiliazione e non hanno rispettato i nostri standard editoriali”, dice sempre la portavoce di Reviewed. La notizia è stata raccontata da diverse testate: il Washington Post ha scritto di aver anche cercato di rintracciare gli autori degli articoli rimossi ma senza riuscirci:

“ Il Washington Post non è stato in grado di verificare l’effettiva esistenza di alcuni dei presunti autori dei contenuti recensiti, anche dopo aver effettuato ricerche nei database delle città in cui affermavano di vivere. […] Anche gli indirizzi mail personali sono forniti negli articoli di recensione, ma le mail inviate dal Washington Post sono state respinte con un messaggio che indicava l’assenza di una casella di posta elettronica ”.


domenica 29 Ottobre 2023

Le regate del presidente

Da un po’ di tempo, considerata la frequenza con cui – soprattutto nelle pagine dell’Economia – Repubblica si occupa di raccontare e promuovere le imprese e le opere del suo editore e delle sue altre grandi aziende, il giornale introduce negli articoli relativi una dicitura tra parentesi a proposito del fatto che ci sia una sintonia di interessi. Martedì si era premurato di farlo persino un articolo nelle pagine dello sport dedicato a una regata a cui avrebbe partecipato l’editore. Non avviene sempre, però: nell’articolo sulle operazioni cinesi di Stellantis di giovedì l’indicazione invece non c’era.


domenica 29 Ottobre 2023

Meno fuffa ambientalista

La parola “greenwashing” si potrebbe tradurre in italiano come “ambientalismo di facciata”: è una pratica, a volte difficile da riconoscere, con cui un’azienda o un’organizzazione si promuove come attenta all’impatto delle proprie attività sull’ambiente, senza però affrontare davvero i problemi di cui è responsabile. Questa pratica e la sua pubblicità presentano una realtà fuorviante per i lettori, ed è spesso presente anche nell’ informazione, e nei giornali italiani: gran parte del lavoro di comunicazione e pubblicità di molte aziende si risolve in formule generiche sulla “sostenibilità” o in oscure certificazioni ambientali. Il sito di news americano Semafor ha scritto che le autorità di regolamentazione in diverse parti del mondo (Regno Unito, Australia, Unione Europea) stanno aumentando la loro attenzione rispetto alle accuse di pubblicità ingannevole sul clima, e questo potrebbe portare a nuove leggi e sanzioni per le aziende accusate di greenwashing: istituzioni e organi di controllo iniziano a sorvegliare maggiormente il linguaggio che le aziende usano per descrivere i loro sforzi ambientali e di riduzione delle emissioni.


domenica 29 Ottobre 2023

Chi non è transitato

La newsletter Mediastorm, curata da Lelio Simi, ha riassunto diversi dei dati di cui parla spesso Charlie sui quotidiani italiani con alcune considerazioni di sintesi sulla loro generale inadeguatezza nella “transizione digitale” e delle valutazioni sui limiti delle loro prospettive.

“Il traffico dei siti online nella maggior parte dei casi ormai stabilizzato, tranne rari picchi di attenzione e, semmai per molti dei principali quotidiani italiani è, addirittura, in declino. Insomma la bocca dell’imbuto del percorso di conversione (conversion funnel) non vedrà crescite significative nei prossimi anni (direi che, semmai, rischia di diventare ancora più stretta).
Tutto (o quasi) si gioca sull’aumento dei tassi di conversione e sulla fidelizzazione (convincere un numero crescente di lettori saltuari a diventare abbonati e poi convincerli a restarlo nel tempo, mese dopo mese).
Il problema è che tutto questo richiede tempi lunghi e ha costi elevati (non certo solo per i quotidiani italiani). Un gigante come il New York Times che nel 2011 ha deciso di lanciare il suo paywall aumentando continuamente gli investimenti sul miglioramento del prodotto digitale per sostenerlo, ha impiegato circa dieci anni per giungere al punto nel quale i ricavi da digitale pesassero quanto quelli derivati dalla carta (e poi, addirittura li superassero), e stiamo parlando di un’eccellenza assoluta e di un modello difficile da replicare in altri contesti.
La vendita di copie digitali (che sono un indicatore delle subscription) dei quotidiani italiani negli ultimi anni è incrementata, complessivamente, unicamente grazie a quelle messe sul mercato a prezzi irrisori. Insomma: oltre il periodo di prova il nulla”.


domenica 29 Ottobre 2023

Chi compra Forbes

Il Washington Post ha raccontato che potrebbe esserci un ricco investitore russo, Magomed Musaev, dietro il possibile acquisto di Forbes, che è una storica rivista economica americana fondata nel 1917. Forbes è nota soprattutto per la classifica delle persone più ricche al mondo ed era stata definita dal giornalista del New York Times David Carr come: «sinonimo di ricchezza, successo e convinzione che gli affari, lasciati a se stessi, creeranno un mondo migliore». Negli ultimi anni il prestigio di Forbes è stato molto ridimensionato; la rivista cartacea esce solo otto volte all’anno a causa di difficoltà economiche e ha deciso di ospitare spazi gratuiti online per far scrivere sul proprio sito diverse centinaia di persone su cui però ha scarso controllo e scarsa verifica dei contenuti: a volte gli stessi autori ospiti del sito di Forbes non sono indipendenti da sponsor o pubblicità. La proprietà della rivista oggi è un fondo di investimento che ha sede a Hong Kong e che cerca di vendere Forbes da diverso tempo, e con diversi problemi.

Attualmente c’è una trattativa per la cessione della rivista: l’offerta è di 800 milioni dollari ed è stata fatta dall’imprenditore statunitense Austin Russell, che ha 28 anni e ha fondato Luminar, una società di tecnologia per veicoli elettrici. L’offerta è stata reputata molto alta; diversi analisti dei media sono rimasti sorpresi perché è maggiore anche delle cessioni combinate avvenute negli scorsi anni del Washington Post, di Time e di Fortune . Il Washington Post ha poi raccolto delle registrazioni audio e video in cui Magomed Musaev dice a dei collaboratori di essere coinvolto nella trattativa per l’acquisto di Forbes: Russell sarebbe in realtà il “volto” dell’accordo mentre il coinvolgimento di Musaev sarebbe dovuto rimanere nascosto. Secondo quanto raccolto dai video e dagli audio dal Washington Post Musaev ha detto: “Ho appena comprato la Forbes globale”, parlando del gruppo editoriale Forbes Media, che comprende anche l’edizione statunitense della rivista. Musaev ha poi aggiunto: “Capisci che quando avrò in mano la chiave del marchio globale più autorevole, questa chiave mi darà accesso a chiunque”. L’acquisto non è però ancora concluso.

Magomed Musaev lavora negli investimenti e nella finanza, con cui si è arricchito enormemente e aveva già comprato l’edizione russa di Forbes. È originario della repubblica del Daghestan, di cui suo suocero è stato presidente.
Un portavoce di Austin Russell ha detto al Washington Post che non c’è nessun coinvolgimento di Musaev nella trattativa, e Musaev si è definito estraneo all’acquisto, non commentando però gli audio e i video raccolti dal Washington Post.


domenica 29 Ottobre 2023

Buttarsi su anderes

Sul sito dell’International News Media Association (INMA) – associazione che raccoglie circa 16 mila dirigenti nel mondo del giornalismo – è stato pubblicato un articolo in cui si spiega, con l’intervista a Daniel Mussinghoff che per la Bild si occupa dei contenuti a pagamento, come il tabloid tedesco abbia raggiunto i 680 mila abbonamenti a pagamento. La Bild è il quotidiano più venduto in Europa, contiene molti articoli di gossip o scandalistici, ha spesso un linguaggio aggressivo, misogino e omofobo: assomiglia molto ai noti tabloid britannici. Appartiene al gruppo Axel Springer, l’azienda di media più grande d’Europa e che sta estendendo i suoi interessi negli Stati Uniti: nel 2015 ha acquistato il sito Insider per 400 milioni e nel 2021 ha rilevato il sito Politico per circa un miliardo di dollari.

Gli stessi annunci degli abbonamenti della Bild possono presentare dei dati fuorvianti e poco trasparenti: a volte nel conteggio vengono inclusi abbonamenti a prezzi scontatissimi, altre volte vengono venduti pacchetti promozionali a istituzioni o privati. Il programma di abbonamenti della Bild si chiama BILDplus ed è iniziato nel 2013; all’interno del programma degli abbonamenti il giornale ha incluso molti contenuti non giornalistici come le sintesi delle partite di calcio (fino al 2021), il noleggio di aerei per portare alcuni abbonati alle partite del mondiale di calcio, biglietti per i concerti dei Rolling Stones, lotterie, concorsi e anche slot machine dove i lettori possono giocare ogni giorno: “un numero significativo di abbonati gioca regolarmente a queste lotterie e sono abbonati che hanno un valore complessivo più alto [rispetto agli abbonati che non giocano]”, ha detto Mussinghoff. Per aumentare il numero di abbonamenti la Bild ha stretto legami con aziende telefoniche e anche con Amazon Prime (il servizio di Amazon che permette di avere consegne gratuite di prodotti acquistati online, streaming video e audio, tra le altre cose): con Amazon ha fatto un accordo per un abbonamento a 8,99 euro al mese. Si tratta quindi di offerte e promozioni perlopiù slegate rispetto al lavoro giornalistico della Bild, in un’ottica che con approcci molto diversi stanno considerando molte testate in tutto il mondo: dal grande investimento e successo sui giochi e sulla gastronomia da parte del New York Times, alle offerte di sconti, prodotti e premi proposte dall’editore italiano GEDI.


domenica 29 Ottobre 2023

Coi video degli altri

PressGazette – sito britannico che si occupa di media e giornalismo – ha descritto come diversi giornali abbiano dovuto pagare diverse centinaia di sterline di rimborsi per aver utilizzato, senza autorizzazione, un video che era stato pubblicato su Twitter. Le testate giornalistiche hanno usato il video accreditando la proprietà del contenuto a un account che lo aveva pubblicato che non era però della persona che lo aveva effettivamente girato: a quest’ultimo quindi i giornali hanno dovuto pagare per ogni utilizzo non autorizzato 300 sterline a immagine o 600 sterline a video.

In Italia l’uso giornalistico dei video caricati sui social non ha una disciplina specifica, ma l’attività giornalistica dovrebbe attenersi alle regole deontologiche esistenti. Nel caso di video creati da terzi, occorre innanzitutto valutare se i contenuti sono tutelati dal diritto d’autore: questo avviene nei casi in cui il video abbia un carattere creativo ossia non sia una semplice ripresa di fatti comuni. Ad esempio, il contenuto creato da una persona che lavora con i contenuti video (youtuber o streamer, ad esempio) è tendenzialmente tutelato dal diritto d’autore; lo stesso non può dirsi, però, nel caso in cui un utente riprenda avvenimenti la cui diffusione rientra sotto il diritto di cronaca: con questo si intende il diritto di diffondere informazioni che hanno interesse pubblico. I criteri per definire un interesse pubblico sono spesso sfumati e soggetti a interpretazione.

Anche in questo caso, tuttavia, è buona e rispettosa prassi citare la fonte da cui il video è ripreso: utilizzare integralmente il video in genere non è necessario, spesso per la completezza dell’informazione basta riprendere qualche fotogramma e poi linkare alla fonte originale del video (senza appropriarsene). È una violazione del copyright caricare i propri loghi (della testata, della tv, del giornalista) su video altrui: il primo obbligo del diritto d’autore è rispettare la paternità dell’opera, cioè rispettare i cosiddetti diritti morali. Diverso è il caso se il video viene acquistato: in questo caso è possibile applicare il logo.

In teoria il giornalista non ha sempre bisogno di chiedere l’autorizzazione dell’autore del video, perché altrimenti potrebbe essere facile limitare molte inchieste giornalistiche invocando il diritto d’autore. Per questo ci sono eccezioni al diritto d’autore che consentono l’uso di contenuti altrui anche in assenza di autorizzazione: la libertà di espressione e il diritto di informare sono alla base delle democrazie, come indicato dall’Articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’Articolo 21 della Costituzione italiana. In ognuno di questi casi però è fondamentale che la raccolta delle informazioni (e quindi anche delle immagini o dei video) avvenga in modo corretto e trasparente, così come la diffusione dei dati deve avvenire all’interno del principio di essenzialità, cioè fare informazione solo su fatti di interesse pubblico.

Con i cambiamenti e le opportunità portati dalle tecnologie digitali l’unicità dei giornalisti professionisti nel fare e diffondere informazione si è molto diluita, e quindi nuove correttezze e rispetto del lavoro richiederebbero che qualunque produttore di contenuti che altri siti o giornali scelgono di riprendere (ottenendone ricavi, seppure in misure contenute) sia compensato o almeno richiesto di un consenso, compatibilmente con i tempi stretti dell’informazione. O che i contenuti pubblicati siano usati attraverso le pratiche di “embed” e condivisione messe a disposizione dalle piattaforme, che permettono di rimandare alla pubblicazione originale.
Un articolo del Washington Post tradotto sul Post aveva raccontato alcuni altri aspetti della questione.


domenica 29 Ottobre 2023

Numeri

Intanto la newsletter del giornalista americano David Zweig ha affrontato un altro aspetto del precipitoso racconto dello stesso evento, ovvero il numero di 500 morti che non ha poi avuto nessuna conferma, e il percorso esente da verifiche serie che ha portato molti giornali internazionali a pubblicarlo.

“Except—after an extensive investigation, and a total lack of transparency by many of our most prestigious media outlets—I have found zero evidence that the Health Ministry spokesperson ever said that more than 500 people had died”.


domenica 29 Ottobre 2023

Ancora su Gaza

Il Post ha raccontato più estesamente il dibattito nato in seguito agli errori di alcuni importanti giornali internazionali sull’ospedale di Gaza, che avevamo citato la settimana scorsa su Charlie. Nel frattempo il New York Times era tornato sulla questione con maggiori ammissioni di colpa.

“Lunedì il New York Times ha pubblicato un articolo firmato dalla direzione del quotidiano in cui condivideva alcune riflessioni sulla propria copertura dell’ esplosione avvenuta la scorsa settimana nell’ospedale al Ahli, a Gaza, in cui sono state uccise diverse persone. Il New York Times ha raccontato come nelle ore successive all’esplosione abbia fatto alcune scelte sbagliate e come avrebbe dovuto indicare con maggiore chiarezza quali informazioni fossero state verificate, e quali no. Anche BBC qualche giorno prima aveva diffuso un comunicato simile a proposito dei commenti fatti da un suo corrispondente a Gaza poco dopo l’esplosione.

Nel giornalismo statunitense e britannico le rettifiche e le ammissioni di errori sono piuttosto frequenti, per via di un’attenzione più sviluppata alla trasparenza nei confronti dei lettori. E in passato era già successo che in occasione di notizie molto rilevanti ma anche molto confuse (e non ancora concluse) anche i giornali più affidabili al mondo facessero degli errori, o dessero notizie parziali e imprecise”.


domenica 29 Ottobre 2023

Charlie, collegamenti

L’attitudine del buon giornalismo di trovare relazioni tra cose apparentemente distanti o di notare contraddizioni tra cose palesemente vicine è venuta un po’ meno sui giornali italiani questa settimana a proposito delle varie notizie relative allo stato del Qatar. Del quale si è parlato molto per il suo ruolo nella crisi israelo-palestinese derivante dal suo cospicuo sostegno a Hamas, l’organizzazione responsabile tre settimane fa di una delle stragi più spietate e disumane del dopoguerra. Ma si è parlato del Qatar anche per celebrare un nuovo accordo di ENI – uno dei maggiori inserzionisti e sovvenzionatori dei quotidiani italiani – con il governo del Qatar, per forniture di gas. Accordi che, attraverso articoli fedeli ai comunicati stampa, sono stati raccontati come un’opportunità per emanciparsi dal gas russo. Le due storie sono comparse sui giornali negli stessi giorni, a poche pagine di distanza, senza nessun collegamento (benché per esprimere differenti critiche la relazione tra i due ruoli del Qatar sia invece stata esposta anche sulla prima pagina del Corriere della Sera), nessuna riflessione – delle molte possibili, non necessariamente critiche dell’operazione di ENI – o nessuna contestualizzazione: come avviene spesso quando viene ripreso un comunicato stampa di un grande inserzionista. A segnalare due ragioni di discussione possibile sono stati il segretario del partito dei Radicali Italiani e quello dei Verdi, che hanno indicato come le due notizie siano a) che il Qatar paga Hamas e che ENI paga il Qatar, e b) che emanciparsi dal gas russo per diventare dipendenti dal gas dei finanziatori di Hamas potrebbe non essere una lungimirante emancipazione.

Fine di questo prologo.


domenica 22 Ottobre 2023

Libri di testo

Chi voglia sapere cose più approfondite e complete su cosa sta succedendo ai giornali e all’informazione in Italia e nel mondo ne trova molte nell’ultimo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post, che si può comprare nelle librerie e online. E contiene molte informazioni e contesti che non sempre ci ricordiamo di ripetere su Charlie.


domenica 22 Ottobre 2023

Il caso Steve Bell

Nel Regno Unito ci sono state vivaci polemiche dopo il licenziamento da parte del Guardian, uno dei più importanti quotidiani del paese, del suo storico disegnatore satirico Steve Bell, che oggi ha 72 anni e aveva iniziato a collaborare con il Guardian nel 1983. E diventando una presenza molto familiare della satira e del dibattito politico britannici, con vignette spesso molto aggressive e severe nei confronti dei politici nazionali e internazionali, disegnati con tratti sgradevoli o animaleschi.

La direttrice del Guardian Katharine Viner ha deciso di non rinnovare il contratto di Bell, che scadrà ad aprile del prossimo anno, ma le sue caricature non saranno più pubblicate con effetto immediato. Il giornale ha dato spiegazioni generiche ed evasive ma le ricostruzioni prevalenti – e quella dello stesso Bell – citano un rapporto che negli ultimi anni era diventato spesso conflittuale e un nuovo scontro su una vignetta della settimana scorsa che ritrae il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: il Guardian si è rifiutato di pubblicarla accusandola di riprendere messaggi antisemiti.

Bell ha detto al sito PressGazette che i suoi rapporti con la redazione del Guardian erano diventati “un po’ tesi”, e ha anche sostenuto che alcuni interventi editoriali apportati al suo lavoro erano “sempre più meschini” e “sciocchi”. A fronte delle richieste del giornale di avere con maggiore anticipo le vignette per poterle revisionare, Bell si è lamentato dicendo a PressGazette che gli orari sarebbero diventati troppo difficili da sostenere. Già in passato Steve Bell aveva subito accuse di antisemitismo e di aver rappresentato false credenze contro gli ebrei: in particolare una vignetta di Netanyahu del 2012 era stata accusata di rappresentare lo stereotipo del “burattinaio” mentre una vignetta del 2018 di un medico palestinese ucciso era stata accusata di evocare l’immagine delle camere a gas dei campi di concentramento (il Guardian in questo caso si rifiutò di pubblicarla). Le sensibilità sull’antisemitismo sono molto alte negli ambienti progressisti britannici – di cui il Guardian è un riferimento – dopo che il partito laburista era stato oggetto di critiche molto fondate in questo senso.


domenica 22 Ottobre 2023

Fischi per fiaschi, Hamas per Gaza

La rete televisiva britannica BBC News si è scusata per aver descritto in modo sbagliato dei manifestanti pro-Palestina, indicando i partecipanti come sostenitori del gruppo radicale palestinese Hamas. BBC è la rete televisiva pubblica britannica e la sua sezione giornalistica è tra le più famose e autorevoli del mondo, per quanto sotto intensi attacchi politici negli ultimi anni. Le scuse sono state fatte anche attraverso un tweet della giornalista e presentatrice Maryam Moshiri:

« In precedenza abbiamo riferito di alcune delle manifestazioni pro-palestinesi del fine settimana. Abbiamo parlato di “diverse manifestazioni in Gran Bretagna durante le quali le persone hanno espresso il loro sostegno ad Hamas”. Riconosciamo che questa frase è stata formulata male ed è stata una descrizione fuorviante delle manifestazioni ».

(senza poi scusarsi, invece, il quotidiano italiano il Giornale ha titolato sabato in prima pagina “Greta confessa: tifa per Hamas” un articolo dedicato a un post di Greta Thunberg solidale con le persone di Gaza e che non faceva nessuna menzione di Hamas)


domenica 22 Ottobre 2023

A complicare le cose

Da qualche settimana Twitter ha eliminato i titoli delle notizie dalle anteprime degli articoli che vengono condivisi (ora si vedono solo l’immagine cliccabile, con una piccola scritta in un angolo che indica il nome del sito web da cui arriva il link, e il testo del tweet), causando alcuni problemi soprattutto ai siti di news: non è più così intuitivo che l’anteprima sia cliccabile e rimandi a un articolo, dal momento che viene visualizzata allo stesso modo di una semplice immagine aggiunta a un tweet.
Questa scelta sembra esser stata presa direttamente da Elon Musk per migliorare – a suo giudizio – l’estetica delle timeline ed è stata commentata negativamente da diversi giornalisti. Da quando Twitter (che adesso si chiama X) è stato comprato dal miliardario Elon Musk è diventato sempre più ostile nei confronti dei siti di news: negli ultimi mesi ha rimosso le spunte che verificano l’identità dei giornali e ha rallentato il caricamento dei link verso testate come il New York TimesReuters o verso servizi come Substack. La scelta di Twitter di eliminare i titoli dai link nei giorni dei bombardamenti sul territorio della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, dopo l’attacco compiuto da Hamas, ha anche reso più facile la diffusione di disinformazione.

Per ovviare alla scomparsa dei titoli alcuni giornali stanno adottando nuove strategie: pubblicare tweet con un testo più didascalico per far capire di cosa tratta la notizia; usare lo screenshot del titolo del proprio sito come immagine principale del tweet; spiegare in modo esplicito ai lettori di cliccare se vogliono approfondire la notizia presentata nel post. Altri giornali stanno decidendo invece di twittare meno, rinunciando a portare le persone dal social media ai propri siti. Alcune testate giornalistiche avevano già deciso di non utilizzare più Twitter: fra queste c’è NPR, la radio pubblica statunitense, che aveva lasciato la piattaforma a aprile. Il Nieman Reports – una pubblicazione dell’università di Harvard che si occupa di approfondimento giornalistico – ha raccontato il bilancio della radio:

“ Sei mesi dopo, possiamo constatare che gli effetti dell’abbandono di Twitter sono stati trascurabili. In una nota diffusa al personale della NPR si legge che il traffico è diminuito di un solo punto percentuale in seguito all’abbandono di Twitter, […] anche se il traffico dalla piattaforma era già esiguo e rappresentava poco meno del due per cento del totale prima dell’interruzione dei tweet ”.


domenica 22 Ottobre 2023

Prepensionamenti alla Stampa

Un articolo sul sito Professione Reporter riferisce le intenzioni di riduzione dei dipendenti al quotidiano La Stampa, attraverso una nuova quota di prepensionamenti (di cui si parlava da qualche settimana).

“La Stampa perde troppe copie. Il 12 per cento nel 2022 e il 14 per cento nei primi nove mesi del 2023. A fronte di una media del mercato nazionale che è a meno 10 per cento. Male anche la raccolta pubblicitaria, calata di un terzo rispetto al 2018. Quindi, l’Azienda -Gruppo Gedi – vuole nuovi prepensionamenti, ventuno.
E’ l’esito del primo incontro del Comitato di redazione del quotidiano torinese con il nuovo Amministratore delegato Corrado Corradi, e con il nuovo Direttore, Andrea Malaguti. I dati negativi spiegano in gran parte la sostituzione appena avvenuta del Direttore Massimo Giannini, che ha guidato la Stampa dal 24 aprile 2020 fino a pochi giorni fa”.

(l’ultima considerazione e in particolare il titolo sono piuttosto ingiusti nei confronti dell’ex direttore Giannini: nell’ultimo anno Repubblica, l’altro grande quotidiano del gruppo GEDI, ha perso in copie effettivamente vendute ben più della Stampa: gli ultimi dati di diffusione complessiva più positivi di Repubblica si devono nei fatti ad aver portato da 733 a 34.528 le “copie digitali promozionali e omaggio”, scelta che la Stampa non ha fatto)


domenica 22 Ottobre 2023

Republicca

Il Post ha raccontato dell’intensificarsi su Facebook di truffe italiane che falsificano le immagini e i nomi di testate famose (soprattutto Repubblica ) con notizie “clickbait”, e di come Facebook trascuri di intervenire anche a fronte di molte segnalazioni.

“Cliccando sul link che dovrebbe portare all’articolo, però, si apre un sito che, pur somigliando abbastanza a Repubblica in termini di veste grafica, ha un indirizzo sospetto, come mx.univisionmx punto com, republicca punto com, teahousenearme punto com o adtech25 punto com. I finti articoli raccontano di celebrità che sono andate in televisione e,  in diretta, hanno rivelato modi straordinari di arricchirsi velocemente. Di solito contengono formule simili a «il programma è stato interrotto da una telefonata della Banca d’Italia, che ha chiesto di interrompere immediatamente il programma. Fortunatamente, siamo riusciti a convincere il direttore del programma “Che tempo che fa” a darci una copia della registrazione del programma. Se avete il tempo di leggere questo articolo, tenete presente che potrebbe essere presto cancellato, come è accaduto per le trasmissioni televisive»”.


domenica 22 Ottobre 2023

Quantità e qualità, senza farsi troppe illusioni

Il sito specializzato di media e pubblicità Digiday ha sintetizzato i temi principali di discussione di un convegno newyorkese sponsorizzato dal grande gruppo editoriale Condé Nast: ovvero lo spostamento degli inserzionisti verso nuovi criteri di valutazione dei propri investimenti sui mezzi di informazione, più legati alla “qualità” della permanenza sui siti e all’autorevolezza dei brand giornalistici che alle quantità di traffico e alla profilazione dei visitatori raggiunti dalla pubblicità. Con quest’ultimo approccio sempre più limitato dai vari interventi di protezione della privacy degli utenti, l’articolo spiega che alcune grandi aziende provano a “usare i giornali come influencer”, associando le proprie campagne a progetti creati da testate credibili e apprezzate dalle loro comunità di utenti. Non è la prima volta in questi anni che si parla di un investimento più sulla qualità che sulla quantità da parte degli inserzionisti, e i casi finora hanno riguardato progetti e brand tutto sommato minoritari, ma c’è una tendenza in questo senso, resa necessaria anche dal declino di attenzione sugli infiniti spazi pubblicitari online convenzionali e dalla maggior resistenza delle piattaforme social a indirizzare i propri utenti all’esterno.


domenica 22 Ottobre 2023

Far numero

Secondo un articolo sull’ Espresso, Confindustria – l’associazione degli industriali proprietaria ed editrice del quotidiano Sole 24 Ore – avrebbe di fatto imposto a una parte dei suoi associati l’acquisto di quote di abbonamenti al Sole 24 Ore come condizione per poter partecipare al voto dell’Aseemblea generale.

“Clima teso in Confindustria: il presidente Carlo Bonomi ha richiamato l’attenzione degli associati sul «completamento del processo di attuazione della delibera, approvata all’unanimità, del Consiglio generale» che richiedeva un sostanzioso aiuto al Sole 24 Ore. Tema oggetto anche di una lettera del vicepresidente Alberto Marenghi. Nel dettaglio, «alle associazioni che hanno rappresentanza in Consiglio generale viene richiesta la sottoscrizione di 20 pacchetti digitali, per un totale di 3.200 euro, mentre per le altre associazioni l’impegno è per 10 pacchetti digitali, per un totale di 1.600 euro».
E qui viene la parte che scatena le polemiche: «Per le associazioni che non hanno rappresentanza in Consiglio generale» s’impone «la sottoscrizione di 10 pacchetti digitali di abbonamento al Sole, per un importo totale di 1.600 euro che concorre a determinare il perfezionamento della regolarità contributiva per il 2023, condizione necessaria per esercitare il diritto di voto nell’Assemblea 2024». Se non ti abboni, non voti. Una condizione che non c’entra niente con l’iscrizione a Confindustria, lamentano tanti soci”.

I numeri delle copie effettivamente vendute del Sole 24 Ore furono al centro di uno scandalo con grosse ricadute al giornale nel 2016.


domenica 22 Ottobre 2023

Un anno di Semafor

Il sito Semafor ha compiuto un anno e ha pubblicato qualche consuntivo. È un progetto giornalistico su cui c’erano state molte attenzioni fin dai primi annunci per via dei curriculum dei suoi fondatori e delle risorse economiche che erano riusciti a mobilitare: uno è Ben Smith, spesso citato anche su questa newsletter, divenuto forse il più importante giornalista che si occupa di media negli Stati Uniti, proveniente dal New York Times e prima da Buzzfeed News e da Politico, sempre con grandi visibilità; l’altro, non imparentato, è Justin Smith, che era stato CEO dell’azienda giornalistica Bloomberg.

Adesso, dopo un anno di esperimenti di articoli costruiti con scelte particolari e di newsletter, i due fondatori ripetono le loro ambizioni innovative, investono su un ritorno di autorevolezza del giornalismo competente a fronte della confusa inattendibilità dei social network e dicono di avere raccolto 500mila iscrizioni alle newsletter e tre milioni di lettori mensili.


domenica 22 Ottobre 2023

Molto da Dire

Quando si parla di agenzie di stampa si intendono organizzazioni giornalistiche che si occupano di fornire e confezionare, a pagamento, notizie generalmente brevi e sintetiche per giornali, redazioni tv, radio, siti internet o per chiunque ne sia interessato (a volte tra gli abbonati ci sono anche istituzioni pubbliche o privati): ma che oggi hanno esteso i loro ruoli anche a informare direttamente il pubblico attraverso i propri siti web, per rimpinguare le loro entrate con i ricavi pubblicitari relativi. In Italia sono cinque le agenzie di stampa con più giornalisti e dipendenti: AnsaAgiAskanewsAdnkronos Dire.
L’agenzia Dire (la cui sigla sta per Documenti, informazioni, resoconti) nacque nel 1988 come agenzia stampa dei gruppi parlamentari del Partito Comunista Italiano, con l’intento iniziale di affiancare un’agenzia al giornale di partito l’Unità: fu fondata da Antonio Tatò, un dirigente del PCI che per quindici anni aveva lavorato per il segretario Enrico Berlinguer. Questo legame con il PCI non durò a lungo: il partito finì di esistere nel 1991 e Tatò morì nel 1992. Da quel periodo ha ereditato la copertura di notizie parlamentari, politiche e sull’associazionismo e una buona presenza nelle regioni (in particolare in Emilia-Romagna); nel tempo però ha cambiato proprietà, approcci, ed è diventata rapidamente autonoma senza connotazioni politiche. Dal marzo 2022 il nuovo editore di Dire è l’imprenditore Stefano Valore, fondatore e vice presidente di SiliconDev, una società che si occupa di tecnologia e di fornire servizi digitali. Valore aveva detto che l’investimento nell’agenzia Dire sarebbe servito a: “dare nuovo slancio, aprire altri settori di lavoro e lanciare innovativi progetti di comunicazione”.

Oggi lavorano a Dire 74 giornalisti su 105 dipendenti in totale, ma negli ultimi anni l’agenzia sta vivendo un periodo complicato. La redazione ha lavorato quasi due anni con un contratto di solidarietà, che prevede una riduzione di orari lavorativi e di stipendio, e il suo attuale editore ha annunciato 28 licenziamenti , relativi a 15 giornalisti e 13 persone tra tecnici, montatori, segreteria e amministrazione. La redazione contesta la scelta dei licenziamenti e nell’arco di tre settimane ha indetto tre scioperi di una giornata (27 settembre11 ottobre17 ottobre). Tra azienda e redazione c’è anche un altro elemento di scontro, cioè l’accusa di diffamazione da parte dell’azienda nei confronti del Comitato di redazione – l’organo di rappresentanza sindacale della redazione – a causa di un comunicato critico uscito sul sito del sindacato CGIL.


domenica 22 Ottobre 2023

E una terza parte in guerra

Un interessante articolo del New Yorker ha riassunto i fallimenti dei social network nell’informazione su Israele e Gaza di queste due settimane: per ragioni in parte comuni e in parte distinte sia Facebook e Instagram, che Twitter, che TikTok, hanno perduto gran parte della loro utilità in questo senso e si sono fatti invece soprattutto mezzi di disinformazione, propaganda e polarizzazione delle opinioni. La differenza in solo un anno e mezzo con quello che era successo all’inizio della guerra in Ucraina è notevolissima: quella era stata celebrata come “la prima guerra su TikTok” per quanto i social media avevano contribuito a diffondere immagini e notizie dal campo. Adesso, in un contesto naturalmente molto diverso, Twitter è stato dirottato verso gli interessi del suo nuovo proprietario Elon Musk e indebolito di tutte le sue scelte e strutture di filtro e selezione di affidabilità delle notizie; Facebook ha tirato i remi in barca rispetto alla promozione delle news per valutazioni di ordine economico e di immagine; l’algoritmo di TikTok è molto indietro nel lavoro di verifica delle notizie e soprattutto è progettato per dare agli utenti ciò che vogliono, ovvero i contenuti più partigiani che confermano le opinioni che gli utenti già hanno.

Anche un articolo sul New York Times ha riassunto questioni parzialmente sovrapposte a queste, ricapitolando il disinvestimento delle grandi piattaforme sull’informazione giornalistica (ancora questa settimana Google ha ridotto di una quarantina di persone il suo staff di Google News), e spiegando come i siti di informazione stiano notando grandi cali nel traffico provenienti da quelle fonti e affrontando ripensamenti conseguenti. Una tendenza, ancora molto embrionale, potrebbe essere quella di un ritorno a concentrarsi sulle proprie comunità di lettori e sugli strumenti più diretti e interni per conservare i rapporti relativi (newsletter, homepage, progetti di comunicazione e coinvolgimento): con tutti i rischi di delimitazione ulteriore delle “bolle” a cui le singole testate si rivolgono.


domenica 22 Ottobre 2023

Altra parte in guerra

Ma da che molta parte dell’informazione sta naturalmente circolando attraverso le condivisioni da parte degli utenti dei social network, anche le responsabilità di questi ultimi è cresciuta molto e viene molto discussa: una parola non nuova ma molto circolata in queste due settimane è OSINT, che significa “open source intelligence”. Può riferirsi a molti piani diversi e nasce all’interno di servizi di intelligence, ma è stata estesa a ogni lavoro di indagine e ricostruzioni basata su dati a disposizione, che può essere compiuto da servizi ufficiali e professionali, da imprese giornalistiche, ma anche da studiosi o occasionali osservatori, proprio perché si basa sulla raccolta di informazioni e dati accessibili con nessuno o poco impegno: generando naturalmente risultati più affidabili quando l’impegno di raccolta e analisi dei dati è maggiore e non superficiale.
John Burn-Murdoch, che è “chief data reporter” del Financial Timesha pubblicato mercoledì una serie di tweet riflettendo sull’impreparazione di molte redazioni tradizionali nei confronti di questo genere di dati e del loro uso. Il sito 404 Media (che era nato quest’anno da un gruppo di fuoriusciti di Vice ) ha invece spiegato come molto di questo genere di lavoro sia compiuto a partire da moli enormi e spesso inaffidabili di dati, notizie e immagini disponibili in rete, generando confusione e ricostruzioni fuorvianti e false. In particolare per quello che sta succedendo in Palestina è in corso un’enorme diffusione di notizie false – spesso per ragioni di propaganda delle parti in causa, ma anche più generalmente per interessi e speculazioni di traffico online ed economiche – che genera a cascata superficiali ricostruzioni e versioni parziali e false dei fatti da parte di improvvisati utenti di OSINT.


domenica 22 Ottobre 2023

Parte in guerra

La situazione in Israele e nei territori occupati sta generando anche molte discussioni e riflessioni sul lavoro dei giornali, dei giornalisti e di chi diffonde informazioni sui social network. La strage all’ospedale di Gaza di martedì sera ha in particolare messo in grosse difficoltà anche le testate internazionali più autorevoli e importanti: diverse di loro hanno titolato immediatamente riferendo le accuse provenienti da fonti di Hamas – e indicandole come tali – che si trattasse di un attacco israeliano. E hanno poi rivisto quei titoli man mano che arrivavano dubbi e ricostruzioni scettiche. Ma secondo molti commenti anche qualificati (qui c’è una discussione avvenuta in un programma della tv americana NBC) proprio quei titoli hanno avallato una versione dei fatti ancora da verificare e prodotto delle pericolose e violente reazioni successive, con attacchi e manifestazioni in diverse città fuori da Israele.
Il New York Times, tra i maggiori accusati, ha pubblicato un articolo relativo alle accuse spiegando le difficoltà di seguire quello che succede con pochi giornalisti sul campo, data la pericolosità della situazione. Anche BBC ha pubblicato una parziale ammissione di errore. Nate Silver, famoso sondaggista e analista di dati che già lavorò col New York Times, ha commentato criticamente le scelte del giornale, suggerendo di ammettere l’errore e spiegarne le ragioni. Lunedì Ben Smith, direttore del sito di news Semafor, aveva scritto un suo commento preoccupato che i media americani e internazionali possano ripetere gli errori avvenuti dopo gli attentati dell’11 settembre, che nei giorni passati erano stati molto paragonati ai massacri del 7 ottobre scorso in Israele: promuovendo degli approcci bellicosi e delle ricostruzioni sbrigative ed emotive (come quelle che concorsero alla criticata scelta dell’invasione statunitense dell’Iraq) e trascurando il rigore nel racconto e nella verifica dei fatti.


domenica 22 Ottobre 2023

Charlie, qualunque cosa fai sbagli

Una volta c’erano i “temi divisivi”, poi progressivamente quasi tutti i temi sembrano essere diventati divisivi, e chi lavora nell’informazione è diventato vittima di pressioni e ricatti per dare spazio al “contraddittorio”, rispettare generiche “par condicio”, o semplicemente non trovarsi vittima di attacchi e screditamenti oltre il limite della civiltà. La notizia di cui si sta occupando tutto il mondo in queste settimane è però forse la madre di tutti i temi divisivi dell’ultimo secolo, e sta generando – non bastassero i suoi drammi reali – comportamenti pessimi e deprimenti fuori misura e senza rispetto per i drammi reali in questione. E le partigianerie faziose di queste reazioni, risentimenti e aggressività sono state ben riassunte da un dato familiare a molte persone che lavorano sui giornali: delle 1500 proteste ricevute da BBC a proposito di come la rete pubblica britannica sta seguendo gli sviluppi in Israele e a Gaza, metà l’ha accusata di pregiudizio contro i palestinesi e metà di pregiudizio contro Israele. Una quantità straordinariamente più grande di persone ha ritenuto di non protestare per niente, maggioranze silenziose che è utile e rassicurante tenere sempre in considerazione.

Fine di questo prologo.


domenica 15 Ottobre 2023

Cosa pensare

Luca Sofri, direttore del Post, ha spiegato sul suo blog i criteri di alcune scelte fatte dal Post nella descrizione delle stragi di Hamas di una settimana fa.

“il Post, dicevo, non usa le parole come statements: che è invece una scelta che fanno diversi giornali italiani, e questo forse può spiegare come mai diverse persone la considerino normale e persino la richiedano. Molti titoli che leggiamo in giro parlano alle emozioni, annunciano da che parte stare, indicano quale nemico avere. Lo statement del Post è far capire le cose al meglio, creare le condizioni perché chi lo legge la scelga, la parte da cui stare o l’opinione da avere o le parole da usare, invece che dirgli o dirle perentoriamente e a forza di slogan quale questa deve essere: magari usando parole ingannevoli che confortano le indignazioni, oppure semplificazioni che conservano le ignoranze. Una volta saputo cos’è Hamas, cosa fa, cosa ha fatto sabato, come è considerato dalle istituzioni internazionali e dalle nazioni, ognuno è in grado di scegliere da solo le parole con cui vuole definirlo”.


domenica 15 Ottobre 2023

Sottobosco

Il giornale online Il Fatto alimentare – che non ha relazioni con il Fatto quotidiano – ha pubblicato un articolo sull’invadenza della pubblicità nel lavoro giornalistico. Il sito è nato nel 2010, si occupa di temi intorno al cibo e si sostiene economicamente grazie a donazioni e spazi pubblicitari. Le donazioni dei lettori nel 2021 hanno coperto l’11% del budget annuale.
In questi giorni il Fatto alimentare ha raccontato un esempio di una pratica molto frequente di cui sono destinatari molti siti di news e giornali: la richiesta di ospitare un articolo sponsorizzato senza indicare ai lettori che si tratti di questo, mantenendolo quindi identico ai normali contenuti del giornale senza altre indicazioni. Nel caso specifico veniva proposto al sito un compenso di 70 euro.

«In particolare ci servirebbe la pubblicazione di articoli da circa 500 parole, di natura informativa con un link alla pagina di un nostro cliente. Inviamo articoli adatti alla linea editoriale del sito di pubblicazione e solitamente gli articoli sono prodotti dalla nostra redazione. È importante che il link presente all’interno sia dofollow, che l’articolo non risulti come articolo sponsorizzato (no diciture del tipo “in collaborazione con” oppure “Articolo pubblicitario” e simili) e che permanga nella categoria di pubblicazione in modo permanente. Vorrei sapere se è previsto un passaggio temporaneo nella homepage del sito».


domenica 15 Ottobre 2023

Ettore Mo

È morto lunedì a 91 anni Ettore Mo, che è stato molto più che un famoso corrispondente di guerra e dall’estero, ma una specie di mito del giornalismo italiano novecentesco, forse il più illustre nel suo campo. Sul suo giornale di sempre, il Corriere della Sera, ne ha scritto Gian Antonio Stella. Il direttore del Manifesto ha ricordato in un breve articolo intitolato “Grazie Ettore” i due articoli che scrisse per il giornale, e sul Manifesto ne ha scritto anche Alberto Negri. Su Repubblica lo ha raccontato con ricordi personali Enrico Franceschini.

“Disteso a terra nel giardino dell’unico hotel ancora aperto a Kabul, Ettore Mo non faceva caso ai traccianti dei proiettili che illuminavano a giorno la notte. Dopo il ritiro delle truppe sovietiche, la capitale dell’Afghanistan, ultimo avamposto delle forze locali fedeli a Mosca, stava per cadere in mano ai mujaheddin: ma lui aveva già trasmesso il reportage del giorno e adesso era impegnato a raccontare pezzi della propria avventurosa vita al giovane collega della concorrenza sdraiato al suo fianco”.


domenica 15 Ottobre 2023

Il Tirreno ancora confuso

Il sito Prima Comunicazione ha descritto nuovi cambiamenti in corso al Tirreno, storico quotidiano di Livorno a cui l’attuale proprietà fatica a dare una visione e delle prospettive sostenibili.

“La riorganizzazione, accolta negativamente sia dal comitato di redazione che dall’assemblea dei redattori, che temono l’indebolimento delle redazioni proprio nelle aree in cui il giornale è più forte, a partire da Livorno, è stata comunicata dal direttore Luciano Tancredi il 10 ottobre scorso “a seguito della richiesta dell’editore di ridurre il numero di edizioni”, della “riduzione progressiva dei giornalisti e della cassa integrazione destinata con ogni probabilità a durare nel tempo”.

Già da tempo infatti l’editore è alle prese con un bilancio che rischia di chiudere l’anno con un pesante passivo soprattutto per quanto riguarda i conti del Tirreno. La situazione delle vendite, si legge nell’ordine di servizio, “è particolarmente complicata”. La concorrenza è “sempre più aggressiva”, e iniziative speciali come quelle rivolte alle scuole, agli stabilimenti balneari o i forum mensili non servono a compensare l’emorragia nelle edicole. “La trasmigrazione sul web nostro primario obiettivo per il futuro”, dice il direttore, “è lenta e ancora poco remunerativa””.


domenica 15 Ottobre 2023

Prendere Appunti

Stefano Feltri è un giornalista che si occupa prevalentemente di economia e politica: per due anni e mezzo, dalla sua fondazione, è stato direttore del quotidiano Domani e nel febbraio di quest’anno ha creato una newsletter, Appunti. La newsletter si è poi consolidata ospitando contributi esterni e diventando anche un podcast. Questa settimana Feltri ha scritto di voler provare a rendere sostenibile con gli abbonamenti la sua newsletter per capire se dedicargli più tempo e lavoro. Il formato delle newsletter a pagamento si è diffuso negli scorsi anni soprattutto negli Stati Uniti (ma con alcuni esempi anche in Italia) conferendo maggiore indipendenza agli autori, e piattaforme come Substack permettono di monetizzarlo con maggiore facilità. Negli scorsi giorni Feltri ha annunciato di voler aprire una campagna di abbonamenti volontaria: chi si abbonerà aiuterà Appunti ad aumentare le pubblicazioni di articoli gratuiti e avrà a disposizione alcuni approfondimenti aggiuntivi. La newsletter al momento ha superato 6mila iscritti gratuiti e venerdì aveva raggiunto 250 abbonamenti a pagamento, ha detto Feltri a Charlie.


domenica 15 Ottobre 2023

I siti di news ad agosto

La società di rilevazione Audiweb (che ha in corso un processo di integrazione che le darà il nuovo nome di Audicom) ha pubblicato i dati di traffico sui siti web ad agosto. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).
Per il quinto mese di seguito Repubblica è poco più avanti del Corriere (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto). Mentre continuano a essere molto variabili e in calo i dati di Fanpage (tra i maggiori, anche il Fatto ha dei dati particolarmente negativi)C’è un declino che riguarda gran parte dei siti rispetto a un anno fa, che può essere messo in relazione con la maggiore attenzione verso la campagna elettorale del 2022: fanno positiva eccezione la StampaRaiNewsLeggo, il Mattino e il Post.

Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito Ticonsiglio.it), come abbiamo spiegato altre volte.


domenica 15 Ottobre 2023

Nostalgie a parte

Giampaolo Cadalanu è un giornalista di 65 anni con una lunga esperienza sugli esteri costruita lavorando soprattutto a Repubblica, giornale che ha lasciato con i prepensionamenti di questi anni. Martedì ha pubblicato sul sito di un sindacato di giornalisti una riflessione su quello che è successo ultimamente al suo ex giornale.

“A indebolirsi, e nemmeno in modo graduale, è stata l’identità politica e sociale del giornale e dell’intero gruppo. La dismissione dell’Espresso è stata un taglio forte con la storia, la cessione a pacchetti dei giornali locali smonta il radicamento territoriale, e le “correzioni di rotta” politiche di Repubblica sono arrivate a costituire una smentita del percorso avviato nel 1976. Tutto questo ha contribuito a minare quel patrimonio impalpabile che è la base per l’affezione di chi legge.
Ecco, ne sono convinto: le due prospettive di cambiamento del gruppo editoriale sono in realtà due facce della stessa medaglia. Il progetto politico-giornalistico e il piano industriale viaggiavano in parallelo. E ora entrambi sono cambiati, per seguire logiche del tutto legittime – ai conti finanziari, com’è ovvio, non si comanda – ma correndo il rischio di ferire in modo profondo il meccanismo che garantiva il rapporto con chi paga, andando in edicola o leggendo on line, e dunque la solidità stessa della costruzione complessiva”.


domenica 15 Ottobre 2023

Ancora meno al Washington Post

Il quotidiano statunitense Washington Post ha annunciato di dover ridurre il numero dei propri dipendenti, auspicando che 240 persone lascino il giornale in modo volontario, grazie agli incentivi offerti dall’azienda. È una scelta che rientra nel contesto delle difficoltà recenti del Washington Post: dopo la grande crescita e gli investimenti iniziati nel 2013 con l’arrivo del nuovo proprietario Jeff Bezos – il fondatore di Amazon – negli ultimi tempi il giornale è in maggiore affanno e ha visto diminuire i suoi abbonati e le sue ambizioni di essere competitivo a livello nazionale e internazionale con i suoi concorrenti americani, New York Times Wall Street Journal. Con la riduzione del personale che l’azienda spera di ottenere, la redazione avrà probabilmente circa 940 dipendenti: lo stesso numero di persone che aveva alla fine del 2021.

Più a margine è interessante notare ancora l’indipendenza che il Washington Post mantiene nel comunicare questa notizia ai suoi lettori: nell’articolo sono citate le previsioni sbagliate dei propri dirigenti, e il fatto che il 2023 terminerà con 100 milioni di dollari di perdite, e si attribuisce correttamente al concorrente New York Times la notizia relativa.


domenica 15 Ottobre 2023

Soccombente

Un altro giornalista è stato prosciolto dopo essere stato querelato da Andrea Ceccherini, presidente dell’ente chiamato “Osservatorio giovani editori”, che Charlie aveva descritto qui .
“L’ “ Osservatorio Permanente Giovani-Editori” è un oggetto misterioso nel panorama del business giornalistico italiano: il mistero si deve all’apparente distanza tra la sua straordinaria visibilità – soprattutto presso alcune testate – e capacità di creare relazioni con importanti figure di potere italiane e internazionali, e la poca concretezza e chiarezza dei suoi risultati, che nelle intenzioni proclamate dovrebbero riguardare la lettura dei giornali da parte dei giovani, appunto. Il tutto sintetizzato nella figura del suo fondatore, presidente e frontman, Andrea Ceccherini e nel suo incessante lavoro di autopromozione soprattutto in occasioni fotografiche accanto a vari “potenti della terra”.

La scorsa primavera a raccontare l’esito a lui favorevole di una denuncia ricevuta da Ceccherini era stato l’ex direttore di Repubblica Mario Calabresi. Adesso, spiega il sito dell’associazione di giornalisti Ossigeno per l’informazione, a essere assolto è stato un giornalista che aveva riprodotto sul suo sito l’articolo per cui Ceccherini aveva denunciato Repubblica.

“Da quello che risulta ad Ossigeno, ad oggi, tutte le cause intentate da Ceccherini a tutela della sua reputazione lo hanno visto soccombente. In particolare, il 1° marzo 2023 il Tribunale di Firenze ha condannato l’editore Andrea Ceccherini e l’Osservatorio Permanente Giovani Editori (di cui è presidente e rappresentante legale) per avere abusato del processo civile in una causa per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa promossa contro GEDI e i giornalisti coinvolti”.


domenica 15 Ottobre 2023

A pagina 3

Le discussioni nelle redazioni di tutto il mondo sulle immagini che sia utile o opportuno pubblicare sono state naturalmente intense e dolorose nella settimana passata, in relazione all’attacco di Hamas contro Israele. Il Daily Telegraph, uno dei maggiori quotidiani britannici, ha fatto una scelta elaborata e particolare, pubblicando in prima pagina una sorta di “immagine di testo”, mutuata dalle consuetudini sui social network, per avvisare della decisione di pubblicare a pagina 3 una foto di un bambino ucciso (foto pubblicata senza altrettante premure su alcuni giornali in Italia). Cercando così di adattare all’edizione di carta una pratica che sui siti web è più frequentemente adottata.


domenica 15 Ottobre 2023

Le perdite di GEDI sono aumentate del 68 per cento

Il Sole 24 Ore ha riferito venerdì in un articolo gli andamenti del gruppo GEDI, editore di Repubblica Stampa, come “si possono desumere dai dati riportati nella relazione sui conti del primo semestre di Exor, la holding olandese che possiede l’89,62% del capitale” (la holding è olandese perché la famiglia Agnelli-Elkann che la controlla ha scelto nel 2016 di spostare la sede ad Amsterdam per ragioni fiscali).

” Nella prima metà del 2022 la perdita netta era pari a -22 milioni. Pertanto le perdite di Gedi sono aumentate del 68 per cento.

La quota della perdita attribuibile a Exor, calcolata in proporzione alla partecipazione dell’89,62%, è di -32 milioni (-19 milioni nel 2022), dice la relazione. Gli altri soci di Gedi, con il 5% circa ciascuno, sono la Cir Spa controllata dai figli di Carlo De Benedetti e la famiglia Perrone.

I ricavi complessivi di Gedi sono sostanzialmente stabili, 237 milioni, un milione in meno rispetto all’anno precedente. La relazione semestrale della controllante indica un indebitamento finanziario lordo di Gedi di 255 milioni al 30 giugno scorso e disponibilità liquide o equivalenti («cash and cash equivalents») di 10 milioni, pertanto l’indebitamento finanziario netto è di 245 milioni. Al 31 dicembre 2022 l’indebitamento finanziario lordo era pari a 209 milioni e la liquidità di 18 milioni, pertanto l’indebitamento finanziario netto era di 191 milioni. Nel semestre c’è stato quindi un aumento dei debiti netti di 54 milioni.

Una parte dei debiti sono finanziamenti concessi dalla controllante Exor. La semestrale della holding olandese precisa infatti che i debiti finanziari lordi di Gedi, al netto dei debiti infragruppo verso Exor, al 30 giugno scorso erano di 110 milioni, rispetto ai 102 milioni al 31 dicembre 2022. In totale, i debiti finanziari netti sono superiori al patrimonio netto («total equity») di Gedi, che al 30 giugno scorso era pari a 157 milioni, diminuito rispetto ai 194 milioni di fine dicembre in conseguenza delle perdite del semestre. Secondo gli analisti di norma la struttura patrimoniale di una società è equilibrata se i debiti finanziari non superano il patrimonio netto. L’attivo totale («totale assets») di Gedi al 30 giugno era di 840 milioni, in calo rispetto ai 937 milioni di fine dicembre”.