Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 10 Dicembre 2023

La persona giusta

Il magazine americano Time ha fatto notizia sui media di mezzo mondo questa settimana nominando come ogni anno la sua “persona dell’anno”. È un’iniziativa di comunicazione e brand tra le più riuscite della storia delle aziende giornalistiche, ma che da diversi anni si è indebolita tantissimo, assieme al declino della testata in questione e dei newsmagazines in generale. L’idea del “Man of the year” (divenne “person” solo nel 1999, benchè ci fossero state prima quattro “Woman of the year”, una “Machine of the year” e un “Planet of the year”) fu introdotta nel 1927: il gruppo di direzione del giornale da allora sceglie chi a suo giudizio abbia avuto il maggior impatto sulle vicende del mondo di quell’anno (con una visione a lungo molto statiuniticentrica del mondo), e quindi prescindendo in teoria da giudizi morali o di valore sull’opera del nominato: anche se nella pratica da molti anni il giornale ha rinunciato a rischiare dissensi e proteste con personaggi impopolari, e anzi ha introdotto anche una parallela votazione dei lettori .

Fino ancora all’inizio di questo secolo la scelta annuale era stata un successo di comunicazione e attenzioni, suppergiù equivalenti a quelle per i premiati col Nobel: ma il proliferare di nuove fonti di informazione online e di iniziative, liste, premi, istantanei e volatili, ha diluito anche il primato della “Person of the year”, insieme alla perdita di ruolo di Time nell’informazione internazionale.
Questa settimana però le attenzioni internazionali sono tornate molto ricche e vivaci grazie a un’ottima intuizione promozionale del giornale: quella di scegliere una persona protagonista non della politica internazionale né delle news da prime pagine, ma proveniente dalla cultura pop e che quest’anno ha raccolto consensi e fandom estessimi e piuttosto unanimi, Taylor Swift.


domenica 10 Dicembre 2023

Il nuovo giro di prepensionamenti a Repubblica

Era stato anticipato nelle settimane scorse, lo ha raccontato più in dettaglio il sito Professione Reporter.

“Il Comitato di redazione de la Repubblica è stato convocato dalla proprietà, il Gruppo Gedi presieduto da John Elkann, ed è stato informato dell’intenzione di effettuare altri 46 prepensionamenti (oggi si possono fare a un’età minima di 62 anni). Gedi sostiene che Repubblica chiuderà il prossimo bilancio in rosso per 15 milioni di euro e che le uscite sono necessarie per risanarlo.
I 46 esodi sono previsti tra aprile e settembre 2024, dopo che sarà stato firmato l’accordo con il Cdr. La proprietà vuole, in quel periodo, un numero minimo di prepensionamenti di 37 giornalisti. In caso contrario promette tagli a stipendi e contratto integrativo.
Il Cdr ha convocato l’assemblea per il 15 dicembre, per discutere il Piano”.


domenica 10 Dicembre 2023

Non regole, ma strumenti

Il sito del Poynter Institute, un’importante istituzione americana che si occupa di giornalismo, ha raccontato alcune cose sull’ AP Stylebook, che è una cosa piuttosto speciale e rinomata nel mondo del giornalismo statunitense ma anche internazionale. È il “manuale di stile” dell’agenzia di stampa Associated Press – a sua volta una delle istituzioni giornalistiche più importanti e autorevoli del mondo, spesso chiamata AP -, in cui vengono organizzate e aggiornate di continuo le indicazioni per i giornalisti e i dipendenti non solo sulle scelte ortografiche, formali, linguistiche ma anche di scelte giornalistiche ed etiche. L’AP Stylebook esiste da più di un secolo e da settant’anni è venduto al pubblico, con aggiornamenti biennali, ed è diventato il riferimento editoriale e formale per tantissime organizzazioni, aziende, case editrici, giornali.

Nell’articolo su Poynter sono descritte alcune cose spiegate dalla direttrice Paula Froke in un workshop organizzato dallo Stylebook. Froke spiega che lo Stylebook non deve essere considerato una raccolta di regole ma uno strumento, e che quelle che contiene non sono istruzioni a cui obbedire ma da prendere considerazione valutando di volta in volta contesti e variabili diverse: e lo stesso manuale spesso suggerisce i diversi fattori da valutare per fare scelte differenti, «alcune norme obbligano a prendere delle decisioni, siete voi che dovete fare delle scelte». E ogni redazione che segue il manuale deve sentirsi libera di adattarne le istruzioni per il proprio pubblico.
Sono anche citati alcuni casi particolari di applicazioni giornalistiche: per esempio come considerare le risposte ricevute per email, per valutare se possono essere adattate per ragioni di chiarezza – come si fa con le interviste raccolte a voce – oppure devono essere rispettate nella loro versione esatta e integrale, come si fa con qualunque testo stampato. Lo Stylebook indica la seconda. E infine, Associated Press ha diffuso delle istruzioni sulla guerra a Gaza tre settimane dopo gli attentati di Hamas, “spiegando il contesto storico, i protagonisti e le ragioni per cui, per descrivere Hamas, “militants” è permesso e “terrorists” no”.


domenica 10 Dicembre 2023

Che succede con Capital

Un articolo sul Foglio di martedì ha rilanciato con grande certezza la notizia circolata già alcuni mesi fa per cui il gruppo GEDI starebbe per vendere la radio Radio Capital alla famiglia Angelucci. L’ipotesi ha una sua credibilità palese perché GEDI – proprietaria dei quotidiani Repubblica Stampa – sta dismettendo in questi anni molte sue proprietà “secondarie”, e al tempo stesso gli Angelucci – già proprietari dei quotidiani Libero Tempo – hanno appena comprato il Giornale e si mostrano molto interessati a rafforzare il gruppo editoriale. Ma l’articolo del Foglio non ha avuto nei giorni successivi nessun’altra conferma o aggiornamento.


domenica 10 Dicembre 2023

Ordinaria titolazione

Nel corso della settimana c’è stata una polemica tra il ministro della Difesa Crosetto e il quotidiano il Giornale, a proposito di un titolo di quest’ultimo. Crosetto ha annunciato una querela per il titolo di prima pagina “Inchiesta su Crosetto” che in effetti si riferiva al fatto che Crosetto era stato ascoltato a proposito di un’inchiesta, ma in cui non è lui l’indagato. Il ministro ha sostenuto pubblicamente che l’intenzione fosse di danneggiarlo e calunniarlo per ragioni politiche (il Giornale sostiene quotidianamente la maggioranza di destra, e il suo editore è un deputato della Lega), quando con tutta probabilità la falsificazione contenuta nel titolo si doveva alla più consueta abitudine dei quotidiani italiani di produrre delle sintesi sbrigative e sensazionaliste, a costo di modificare i fatti descritti negli articoli.
Lo stesso direttore del Giornale, difendendosi, ha sostenuto si trattasse di una “sintesi” e che Crosetto avrebbe dovuto riconoscere e apprezzare le abituali indulgenze e simpatie per lui che ha il quotidiano.

“Guido Crosetto è un ottimo ministro della Difesa e una brava persona. Punto. È che come tutte le persone di carattere ha un pessimo carattere aggravato dal fatto che da oltre un anno vive in un mondo, quello del potere reale, dove l’intrigo, il trabocchetto e il doppiogiochismo sono all’ordine del giorno […] Non pretendiamo che il ministro ci ringrazi per essere stati al suo fianco quando, direi spesso, è stato bersaglio di attacchi, anche personali, di ogni genere (lo abbiamo fatto convintamente, anche in questi casi senza mandanti), ma almeno rimanga agli atti che non siamo strumenti di nessun complotto”.


domenica 10 Dicembre 2023

Nessuno si senta al sicuro

La più illustre vittima dei licenziamenti al New Yorker di cui avevamo detto una settimana fa è Andy Borowitz, autore comico molto popolare e molto noto ai lettori del giornale per la sua rubrica satirica The Borowitz Report, ospitata da dodici anni sul settimanale, che l’aveva acquisita dopo il suo grande successo online iniziato nel 2001. La notizia della chiusura della rubrica è stata data su Facebook dallo stesso Borowitz (tra migliaia di commenti disperati), che l’ha attribuita alle “difficoltà finanziarie” del New Yorker.


domenica 10 Dicembre 2023

Si fa garante di quanto segue

Il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha risposto alla richiesta di maggiori garanzie di autonomia dalle pressioni della pubblicità che la redazione aveva espresso in una sorta di decalogo il mese scorso. La risposta di Molinari è al tempo stesso perentoria nell’accettare le richieste e sfuggente nel definire delle regole, descritte con formulazioni molto fumose e che lasciano zone grigie e discrezionalità. Permettendo, per esempio, questa doppia pagina di promozione della comunicazione di ENI, uscita su Repubblica giovedì senza nessuna indicazione della sua natura pubblicitaria; oppure un articolo di promozione di un’iniziativa del brand di abbigliamento Paul & Shark pochi giorni prima di una pagina pubblicitaria di Paul & Shark.

“In un mercato editoriale in continua evoluzione soprattutto per quanto concerne la piattaforma digitale, la distinzione e separazione trasparenti tra contenuti giornalistici, contenuti giornalistici sponsorizzati (cosiddetti branded contents) e contenuti pubblicitari tout court (cosiddetti native) è principio che impegna la direzione di Repubblica nei confronti della redazione e dei lettori.
A tale scopo, la Direzione di Repubblica, nel riconoscersi pienamente nei principi fissati dalla legge che disciplina la professione, dal codice etico di GEDI e dall’articolo 4 del CNLG (“i messaggi pubblicitari devono essere chiaramente individuabili come tali e quindi distinti, anche attraverso apposita indicazione, dai testi giornalistici (….) / direttori sono garanti della correttezza e della qualità dell’informazione anche per quanto attiene il rapporto tra testo e pubblicità”) e a seguito delle sollecitazioni arrivate dall’assemblea dei giornalisti di Repubblica e dell’interlocuzione avuta con li Cdr e al concessionaria Manzoni, si fa garante di quanto segue:
1. I contenuti pubblicitari nativi saranno chiaramente distinguibili da quelli giornalistici su tutte le piattaforme attraverso segni distintivi quali font diversi da quelli editoriali e diciture quali
“in collaborazione con ..”, “in partnership con…”, “con li contributo di “. Tali da consentire al lettore di riconoscerli con chiarezza.
2. I contenuti giornalistici sponsorizzati (branded content) segnalati dalla concessionaria pubblicitaria saranno valutati esclusivamente dalla direzione editoriale e dai responsabili dei settori che la direzione indicherà perché preposti a immaginarli, costruirli e redigerli, affinché sia garantita la rispondenza dei “branded content” ai criteri di indipendenza e autonomia giornalistica della testata.
3. Al fine di una corretta prassi nella loro necessaria e fisiologica interlocuzione, al concessionaria pubblicitaria avrà quali suoi esclusivi interlocutori al direzione editoriale e, in seconda battuta, i responsabili delle articolazioni che la direzione, se necessario, indicherà, oltre naturalmente, per quanto concerne al quotidiana operatività delle piattaforme cartacea e digitale, irresponsabili dei settori incaricati di gestire gli spazi pubblicitari previsti.
4. I contenuti giornalistici dedicati al consumo, in qualsiasi sua forma, non conterranno link diretti a portali per l’acquisto, aziende produttrici, privati fornitori di servizi tranne i casi ni cui la direzione editoriale e i responsabili dei settori dedicati il ritengano funzionali a informazioni di servizio che possano risultare utili al lettore. Qualora l’indicazione di aziende o fornitori sia prevista da accordi commerciali, al circostanza sarà resa esplicita al lettore”.


domenica 10 Dicembre 2023

Metro dopo Metro

Metro International è una società editoriale svedese che a partire dalla fine degli anni Novanta fondò diverse edizioni nazionali del giornale gratuito (free press) Metro, tra cui quella italiana. L’edizione italiana iniziò a uscire a Roma nel luglio del 2000 e poi a Milano: le redazioni erano costituite da una ventina di giornalisti. Il modello economico di Metro è sempre rimasto fondato sulla circolazione gratuita delle sue copie e sulla vendita delle inserzioni pubblicitarie sulla base della propria rilevante diffusione, dovuta appunto alla gratuità: nei primi 7-8 anni di vita funzionò e vennero aggiunte edizioni in altre città come Torino, Bologna, Firenze, Genova, Bergamo, Monza e nel Veneto, senza mai arrivare nel sud Italia. Tra il 2005 e il 2006 il giornale stampava in media circa un milione di copie quotidiane e ebbe una redazione composta anche da 25-26 persone, tra giornalisti e grafici. In quegli anni in Italia cominciarono a uscire altre free press: nel 2001 aprirono Leggo del gruppo Caltagirone City del gruppo RCS, nel 2004 Epolis, nel 2006 24 Minuti del Sole 24 Ore Anteprima Corsera del Corriere della Sera , e ancora nel 2008 uscì DNews. Molti di questi giornali non ebbero una vita lunga, il mercato era diventato più competitivo e a causa anche di altri fattori (come la diminuzione delle entrate pubblicitarie per i giornali e la crisi economica del 2008 ) il gruppo Metro International decise di vendere l’edizione italiana di Metro .

Nel 2009 la rilevò l’imprenditore romano Salvatore Puzzo tramite la nuova società New Media Enterprise, che poco dopo venne completamente ceduta allo stampatore Mario Farina (che già pubblicava la free press DNews). Farina è proprietario della Litosud, una delle principali aziende italiane specializzate nella stampa. Tra il 2010 e il 2020 il giornale ha continuato a investire nell’edizione cartacea, da cui arriva la stragrande maggioranza delle entrate, e a mantenere un sito marginale rispetto alle strategie della testata. Già dal 2012 i giornalisti della redazione hanno lavorato con varie forme di contratti di solidarietà (contratti che prevedono una riduzione di orari lavorativi e di stipendio) e durante il momento più complicato della pandemia nella primavera del 2020 il giornale e il sito hanno interrotto le pubblicazioni per tre mesi. Nel maggio del 2020 Metro è stato ceduto nuovamente a Salvatore Puzzo. Nella trattativa per la cessione di Metro , Mario Farina non ha però ceduto i giornali tematici che escono in occasione di alcuni eventi (concerti, partite), come MetroStadio MetroWeek : hanno una grafica simile al quotidiano ma appartengono a un’altra proprietà, e, sebbene non abbiano una periodicità, riescono a essere più vantaggiosi economicamente.

Salvatore Puzzo, romano di 66 anni, ha lavorato inizialmente come giornalista e dal 1985 come imprenditore nel campo dell’editoria musicale per poi arricchirsi, come ha spiegato a Charlie, grazie ad «attività di marketing editoriale e di consulenza legale e amministrativa sempre nel campo editoriale, mi sono laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti alla Sapienza di Roma a 22 anni. Nelle mie vite precedenti ho diretto i quotidiani Quigiovani (anni 90) e il sito Nuovo Corriere (2016), diretto tipografie di quotidiani (Nuova Poligraf) e società di distribuzione di giornali (D.P.)». Oggi Metro esce dal martedì al sabato e – stando ai dati forniti da Puzzo – quando escono tutte le cinque edizioni del giornale (nazionale, di Milano, Roma, Bologna e Torino) raggiunge una tiratura di circa 180 mila copie; il sito avrebbe circa 500 mila utenti unici mensili.

Il giornale sta poi cercando una nuova concessionaria pubblicitaria perché il contratto con la concessionaria Manzoni (che fa parte del gruppo GEDI, quello di Repubblica ) terminerà il 1° gennaio 2024. L’editore ha trovato nuove concessionarie pubblicitarie per l’edizione nazionale e per quella milanese, dove il giornale continuerà a uscire in attesa di capire se sarà possibile far ripartire le edizioni in altre città. In questo contesto l’editore ha proposto ai 14 giornalisti rimasti (molti di loro assunti nei primi anni di vita di Metro , una ventina di anni fa) di estendere ancora il contratto di solidarietà fino all’80%, con relativa riduzione di orari e stipendi (in redazione si alternerebbero così ogni giorno circa 2-3 giornalisti). Puzzo ha detto a Charlie che per Metro «non ci sta un piano di dismissione, ma ci sta un piano di resilienza importante. La finalità editoriale è quella di continuare per almeno altri 23 anni [ Metro ha compiuto quest’anno 23 anni], non di chiudere domani» e per questo continuano a non essere previsti licenziamenti.

Il giornale gratuito Metro britannico ha lo stesso nome ma non ha mai fatto parte del gruppo editoriale svedese da cui è nato quello italiano: Metro britannico è il giornale a più alta circolazione nel Regno Unito, ed è pubblicato dallo stesso gruppo del tabloid conservatore Daily Mail.


domenica 10 Dicembre 2023

I giornali spagnoli contro Meta

L’associazione AMI (Asociación de Medios de Información) che riunisce 83 media spagnoli (tra cui gli editori di quotidiani rilevanti e di ampia circolazione come El País ABC La Vanguardiaha intentato una causa da circa 550 milioni di euro nei confronti di Meta, la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp. I soci di AMI ritengono che la concorrenza di Meta nel mercato pubblicitario sia sleale: nel comunicato ufficiale sostengono che il comportamento di Meta «implica che il cento per cento delle entrate del gigante tecnologico derivanti dalla vendita di pubblicità personalizzata sia stato ottenuto in modo illegittimo. L’uso sistematico e massiccio dei dati personali degli utenti delle piattaforme di Meta, tracciati senza il loro consenso nel corso della loro navigazione digitale, avrebbe permesso all’azienda americana di offrire sul mercato la vendita di spazi pubblicitari sulla base di un vantaggio competitivo ottenuto in modo illecito». I membri di AMI sostengono che la maggior parte degli annunci pubblicitari di Meta utilizzi i dati personali degli utenti senza il loro consenso esplicito: questo violerebbe il regolamento sulla protezione dei dati (GDPR) in vigore nell’Unione Europea dal 2018, che prevede che qualsiasi sito web richieda l’autorizzazione a conservare e utilizzare i dati personali. La causa è notevole perché potrebbe essere replicata in qualsiasi altra nazione che fa parte dell’Unione Europea. Si tratta di uno sviluppo che ha dei punti di contatto con quanto visto in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, ma anche delle singolarità legate alle più stringenti norme europee sulla protezione dei dati personali.

 


domenica 10 Dicembre 2023

Charlie, la pubblicità è una cosa

Questa newsletter si occupa spesso (anche oggi) del conflitto di interessi tra informazione e pubblicità nei prodotti giornalistici, perché è uno degli aspetti più vistosi e problematici della crisi di sostenibilità dei prodotti giornalistici stessi in questi anni. Ma è anche importante provare a definire che cos’è che chiamiamo pubblicità, e a spiegarlo a chi legge, o ascolta. Perché anche in questo caso ci sono molte zone grigie, molti “dipende”, e non una linea netta. Per esempio: la recensione di un libro, o di un film, non sono considerati pubblicità, pur essendo contenuti che (nella quasi totalità dei casi) promuovono prodotti commerciali. Il “product placement” in tv anche di una sola bottiglia d’acqua minerale è oggetto di trattative e a volte di critiche e scandalo da parte degli spettatori, ma è invece consueto mostrare la copertina di un libro durante un’intervista con l’autore. Si dice in questi casi che ci siano delle esenzioni per i “prodotti culturali”, ma la definizione è un po’ sfuggente: la compilation di Sanremo è un prodotto culturale? Un cinepanettone? Un documentario su Ilary Blasi? E non vengono da tempo descritte come cultura anche quella del cibo o quella della moda, di cui non è invece accettato che si mostrino e raccontino gratuitamente i prodotti?
E poi capita che i lettori dei giornali a volte contestino la citazione di brand, aziende, prodotti, all’interno degli articoli anche quando i brand, le aziende, i prodotti sono protagonisti di una notizia: l’enorme successo dei “Nutella biscuits” di qualche anno fa meritava di essere raccontato, così come i nuovi orari di lavoro in EssilorLuxottica e Lamborghini di queste settimane, o nuovi sistemi di spedizione di Amazon con i droni. Questa newsletter, che è un prodotto giornalistico, racconta le iniziative di prodotti commerciali quali sono i giornali.

Alla fine, il criterio principale di valutazione dell’autonomia di un prodotto giornalistico non è tanto in una fragile distinzione tra citare prodotti o non citarli, ma è nell’indipendenza delle scelte giornalistiche da eventuali ricavi economici e nella trasparente indicazione ai lettori quando questa indipendenza non c’è. Un giornale libero non è un giornale senza pubblicità o che non cita aziende o prodotti, ma un giornale i cui lettori siano informati con chiarezza su quali contenuti derivino da ragioni commerciali – dirette o indirette – e quali da scelte giornalistiche.

Fine di questo prologo.


domenica 3 Dicembre 2023

I giornali a Natale

Venerdì prossimo la rassegna stampa di Francesco Costa e Luca Sofri, I giornali spiegati bene, sarà a Peccioli, in Toscana, all’interno del festival A Natale libri per te.


domenica 3 Dicembre 2023

Per fare il Post

Il Post aveva pubblicato dieci giorni fa quattro nuove puntate del suo podcast Per fare il Post, in cui chi ci lavora racconta di cosa è fatto il suo lavoro.


domenica 3 Dicembre 2023

Torna Jezebel

Che era un sito americano popolare e stimato di prioritario impegno femminista, di cui era stata annunciata la chiusura un mese fa. La testata è stata acquistata da Paste, uno dei più noti giornali internazionali di musica e cultura.


domenica 3 Dicembre 2023

Sia pur di poco conto

La scrittrice Bianca Pitzorno, una delle più importanti autrici per ragazzi italiane, ha spiegato su Facebook come un titolo di una sua intervista al Corriere della Sera abbia riferito una cosa falsa, forzando – come spesso avviene con i titoli sui quotidiani – quello che lei aveva detto.

“Purtroppo la notizia data dal titolista nella pagina del Corriere è inesatta. Avevo raccontato chiaramente alla intervistatrice due episodi differenti. Il primo relativo a una scuola di Carpi dove una famiglia aveva chiesto di ritirare dalla biblioteca il mio ASCOLTA IL MIO CUORE, accusato di ‘fare propaganda gender’. Ma la scuola, direttore e insegnanti, si era rifiutata ed era stata la famiglia a ritirare il figlio e a trasferirlo altrove. Il secondo episodio, più recente, riguardava un editore inglese che, per pubblicare il mio libro STREGHETTA MIA pretendeva che cambiassi l’età della protagonista, quasi neonata, perché temeva che la vicenda fosse interpretata come una storia di pedofilia, mentre era una storia, umoristica, di avarizia. Anche qui io mi sono rifiutata, ho solo aggiunto una frase per specificare che il protagonista pur di ereditare, avrebbe sposato anche un frigorifero, e il libro è stato tradotto come chiunque può constatare. In definitiva NESSUNO DEI MIEI LIBRI E’ MAI STATO BANDITO DALLE SCUOLE e il tema ‘pedofilia’ si è limitato a uno scambio privato di opinioni tra me e un editore inglese, dove io ho avuto la meglio. Anche queste, sia pur di poco conto, sono ‘fake news'”.


domenica 3 Dicembre 2023

Intanto, al Telegraph

Ultimamente Charlie ha parlato spesso della vendita dell’importante giornale britannico conservatore Daily Telegraph , ed è probabile che si continuerà a parlarne perché ci sono e sono previste, ancora, diverse novità (qui un riassunto di quello che sta accadendo). Venerdì la ministra della Cultura del governo britannico Lucy Frazer ha bloccato qualsiasi trasferimento di proprietà del Telegraph Media Group, che pubblica il Daily Telegraph . Il governo britannico ha voluto quindi limitare la probabile acquisizione del quotidiano da parte del gruppo RedBird IMI, sostenuto da una società degli Emirati Arabi Uniti e da un fondo americano. Che uno dei più importanti e storici quotidiani nazionali venga acquisto da una proprietà di un paese con grandi interessi economici e poca dimestichezza con la libertà di espressione è quello che ha generato le maggiori agitazioni e discussioni in queste settimane. Frazer ha chiesto all’Ofcom (l’autorità di regolamentazione dei media britannici) e al CMA (l’autorità per la regolamentazione della concorrenza nel Regno Unito) di esaminare se l’operazione vìoli la «presentazione accurata delle notizie e la libera espressione delle opinioni nei giornali»; i due enti regolatori avranno tempo fino al 26 gennaio 2024.

RedBird IMI rileverebbe il quotidiano in uno scambio debito per azioni: risarcirebbe il debito (di 1,16 miliardi di sterline) che i proprietari del giornale, la famiglia Barclay, devono al gruppo finanziario Lloyds Bank che aveva messo all’asta il Telegraph Media Group. L’intervento del governo non blocca comunque il risarcimento del debito ma solo lo scambio delle quote: nei prossimi giorni il Lloyds Banking Group otterrebbe l’estinzione di tutti i crediti, il gruppo editoriale dovrebbe uscire dall’amministrazione controllata e la famiglia Barclay diventerà debitrice di RedBird IMI.
Nel frattempo lo stesso giornale sta intervenendo da dieci giorni nella questione, raccontandola ai propri lettori con grande allarme sui rischi della vendita ipotizzata.


domenica 3 Dicembre 2023

Rassegna stampa

Qualche esempio settimanale di contenuti giornalistici in più palese relazione con quelli pubblicitari, a rivelare la quota di dipendenza delle redazioni dalle difficoltà di sostenibilità economica dei giornali. Repubblica ha dedicato sabato un articolo all’azienda Moorer, che aveva comprato una pagina pubblicitaria mercoledì. Il Foglio (il fenomeno riguarda non solo i quotidiani più grandi, che pure raccolgono la grande maggioranza degli investimenti pubblicitari) ha pubblicato sabato un’entusiasta celebrazione di un progetto veneziano della società Generali, che aveva comprato questa settimana due pagine pubblicitarie, una lo stesso sabato e una mercoledì.


domenica 3 Dicembre 2023

Forti con i forti

Un pezzo degli strascichi polemici e diplomatici all’interno della famiglia reale britannica ha a che fare anche con la libertà d’espressione, il diritto di cronaca, la diffamazione, e le rigide regole di quel paese in questi campi.
La storia è, in breve, quella della pubblicazione per errore in un libro olandese dei nomi del re Carlo e della principessa Kate come destinatari delle accuse di razzismo da parte di Meghan Markle: i due nomi sono stati taciuti però nel Regno Unito, proprio per consuetudine col rispetto della privacy e coi rischi di diffamazione.

” Inizialmente i nomi dei due reali non erano stati citati dai giornali e dai tabloid britannici, che hanno notoriamente un accordo non scritto con la famiglia reale per trattare con una certa sobrietà gli scandali che la riguardano. La ritrosia è stata probabilmente motivata anche dal fatto che non è chiaro come siano finiti i due nomi nell’edizione olandese, visto che l’autore e la casa editrice sostengono non ci fossero nell’originale: si tratta quindi di un’accusa al momento senza prove, e che non è nemmeno sostenuta dall’autore del libro. Poi però il famoso conduttore Piers Morgan, noto peraltro per non avere simpatie per Meghan, li ha identificati nel suo programma, rivelando che non si tratta di due membri marginali della famiglia, bensì del re Carlo III e di Kate, principessa del Galles e moglie di William, fratello di Harry e primo erede al trono […]
Anche se i giornali inglesi non avevano ripreso i nomi presenti nella versione olandese, i due membri erano stati identificati come persone di “alto rango” e la notizia aveva avuto grande risalto. Il Daily Mirror per esempio aveva titolato: «Un libro fa il nome dei ‘reali razzisti’», mentre il Daily Mail citava «il libro di Scobie ritirato per aver fatto il nome dei ‘reali razzisti’ per errore». Poi mercoledì sera Morgan, noto per le sue posizioni di destra, aveva detto che chi paga le tasse con cui viene mantenuta la famiglia reale ha il diritto di sapere quello che hanno saputo i lettori olandesi, e aveva quindi identificato Carlo e Kate”.

Ne è nato quindi un sotto-dibattito a proposito dell’eventualità che la famiglia reale denunci Morgan, eventualità che è ritenuta improbabile proprio perché si tratta della famiglia reale.


domenica 3 Dicembre 2023

Una pessima settimana nelle grandi testate americane

Il quotidiano statunitense Washington Post ha annunciato possibili licenziamenti se non saranno raggiunte le 240 uscite volontarie. L’amministratrice delegata provvisoria quello nuovo deve ancora prendere servizio) Patty Stonesifer ha comunicato ai dipendenti che «vogliamo che tutti capiscano che abbiamo bisogno di 240 adesioni per contribuire a ripristinare la salute finanziaria del Post . […] Abbiamo preso la decisione, se non riusciamo a raggiungere questo obiettivo, di attuare i licenziamenti in quelle aree in cui abbiamo già identificato che le posizioni non dovranno essere sostituite, in cui il lavoro può essere riassegnato in modo più efficiente o in cui possiamo in altro modo ottenere risparmi sui costi. Questi licenziamenti offriranno benefici significativamente meno generosi rispetto al pacchetto volontario e saranno coerenti con i precedenti pacchetti di licenziamenti del Post ». Dovrebbero essere 120 i dipendenti che al momento hanno accettato di lasciare il giornale: la direttrice Sally Buzbee ha detto che 36 facevano parte della redazione cioè «circa il 30% del nostro obiettivo in tutto il dipartimento News». Questa notizia si inserisce nel contesto dei problemi che il Washington Post sta affrontando da più di un anno: il giornale chiuderà il 2023 con 100 milioni di dollari di perdite.

Licenziamenti sono in corso anche a Vanity Fair , al New Yorker e in altre proprietà da parte dell’editore Condé Nast; e anche al sito di news Vox , – di nuovo – uno dei progetti di giornali online più apprezzati negli Stati Uniti (la cui azienda, Vox Media, si è estesa a comprendere diverse altre testate, compresa la storica rivista New York).


domenica 3 Dicembre 2023

“Un giornale per ragazzi, non un giornale per stupidi”

La newsletter Mediastorm di Lelio Simi, dedicata “alle industrie dei media e dell’intrattenimento” ha recuperato un affascinante aneddoto che riguarda il Corriere dei Ragazzi, una rivista per ragazzi pubblicata dal Corriere della Sera tra il 1972 e il 1976 come evoluzione del celebre e seguito Corriere dei Piccoli. Era un giornale che ospitava molti fumetti ma si occupava anche di informazione e di attualità da raccontare e spiegare agli adolescenti, e nel 1973 (a proposito di Kissinger) una serie di articoli descrisse con accuratezza e severità il colpo di stato in Cile e l’assassinio del presidente Salvador Allende, difendendo la scelta anche dagli attacchi di alcuni genitori.


domenica 3 Dicembre 2023

Ma noi non ci saremo

C’è stato un altro caso notevole e rivelatore del lavoro di produzione con grande anticipo di ” coccodrilli “, ovvero di articoli di necrologio di personaggi famosi: ne parlammo altre volte. Uno dei due autori dell’articolo che il quotidiano londinese Financial Times ha dedicato alla morte di Henry Kissinger, Malcolm Rutherford, era morto nel 1999.

(invece qui c’è l’autore del necrologio di Kissinger del New York Times che spiega il lavoro che c’è stato di preparazione, con incontri e interviste con Kissinger stesso)


domenica 3 Dicembre 2023

Visto che funziona

I risultati soddisfacenti – dal punto di vista commerciale – delle sempre più frequenti commistioni tra lavoro giornalistico e interessi degli inserzionisti sul Corriere della Sera hanno evidentemente suggerito alla concessionaria pubblicitaria CairoRCS di declinare lo stesso meccanismo anche sulla televisione del gruppo, La7 , in più estese “sinergie”. Lo stesso Corriere della Sera ospitava sabato una pagina promozionale di un programma televisivo andato in onda sabato sera e dedicato all’Intelligenza Artificiale, “in collaborazione con Deloitte”, grande società di consulenza che è frequente inserzionista delle testate del gruppo e a cui il Corriere aveva dedicato un articolo mercoledì nelle pagine dell’Economia.


domenica 3 Dicembre 2023

Santini

Il Corriere della Sera potrebbe avere superato questa settimana ogni primato precedente nella pubblicazione di immagini e dichiarazioni del proprio editore, Urbano Cairo, battendo persino la consuetudine del Sole 24 Ore di tre o quattro articoli settimanali dedicati al proprio editore di fatto, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (questa settimana mercoledìgiovedìvenerdì sabato, esaurendo anche le idee sui titoli). Una foto di Cairo ha avuto spazio sul Corriere per cinque giorni consecutivi da domenica a giovedì, e poi una sesta volta sabato.
Soltanto nelle rispettive edizioni di venerdì, invece, sia Repubblica che Stampa hanno dedicato ben due immagini ciascuna al proprio, di editore, John Elkann (nel caso della Stampa due articoli interi).
La sempre crescente ingerenza degli interessi commerciali e personali degli editori nei giornali è strettamente legata alla debolezza economica dei giornali stessi, come avevamo raccontato qui.


domenica 3 Dicembre 2023

Upday ora chiude proprio, in Italia

Upday è una testata internazionale nata dall’accordo tra il grande editore tedesco Axel Springer e la multinazionale sudcoreana Samsung: è sia un servizio di news che un’app preinstallata sugli smartphone Samsung, gestisce e aggrega le notizie che arrivano da altri giornali (come fa anche il servizio Apple News sugli iPhone) e a un certo punto ha creato piccole redazioni in varie parti del mondo, tra cui l’Italia, che si occupano di creare e aggiungere articoli originali all’offerta. Il gruppo editoriale Axel Springer è l’azienda di media più grande d’Europa, ha una notevolissima influenza in Germania dove possiede il tabloid Bild e il quotidiano Welt , e da diversi anni sta spostando i suoi interessi negli Stati Uniti dopo aver rilevato il sito Business Insider nel 2015 per 400 milioni e il sito Politico nel 2021 per oltre un miliardo di dollari.

L’edizione italiana di Upday era nata nel febbraio 2017 come aggregatore di notizie: il lavoro della redazione (all’inizio formata da cinque giornalisti) era quello di verificare e ripubblicare le notizie selezionate da un algoritmo sviluppato internamente da Axel Springer. Rapidamente però Upday Italia divenne un sito di news online (oltre alla app) che produceva anche notizie originali: la redazione arrivò ad avere 12 giornalisti e una rete di collaboratori; e in alcuni casi riuscì anche ad avere inviati, come al festival di Sanremo, per l’ anniversario dei dieci anni del naufragio della Costa Concordia o per reportage da Lampedusa. La gran parte delle persone continuava a visitare Upday Italia dalla app del cellulare, ma anche il traffico sul sito, inizialmente marginale, stava lentamente crescendo: tra app e sito, a dicembre 2022Upday aveva circa 700mila visitatori quotidiani.

La strategia del gruppo editoriale Axel Springer per Upday inizialmente era di espandersi anche in altre nazioni: nel 2020 Upday era in 16 paesi europei, ed erano organizzazioni giornalistiche che spesso costavano poco e in grado di sostenersi da sole. Upday Italia era diventata economicamente sostenibile dal 2019 e le fonti di guadagno erano principalmente tre: la pubblicità “ programmatic ” (cioè spazi pubblicitari, immagini o video, gestiti da terzi), le partnership e gli articoli sponsorizzati.

Ma da quest’anno gli obiettivi e le priorità di Axel Springer rispetto a Upday sono cambiate: già a giugno l’editore aveva licenziato improvvisamente e in modo drastico diverse persone in molte redazioni, compresa quella italiana e l’ultimo aggiornamento di questa settimana è la chiusura definitiva dell’edizione italiana che avverrà il 5 dicembre, con il licenziamento dei quattro dipendenti rimasti. La motivazione sembra essere il nuovo accordo che Samsung ha concluso con Axel Springer da cui è nato, negli Stati Uniti, Samsung News che ha iniziato a rimpiazzare Upday sugli smartphone. Rispetto ai precedenti accordi per Upday , nel caso di Samsung News il rapporto dovrebbe essere più sbilanciato verso un impegno di Samsung piuttosto che di Axel Springer. Sarà un’app di news ancora più economica: il nuovo servizio sembra non prevedere una produzione giornalistica ma solo la ripubblicazione di articoli da testate con cui sono stati stretti accordi specifici.

Probabilmente Upday ha cominciato ad avere difficoltà a livello progettuale e internazionale da quando, in Axel Springer, sono andate via le due persone che avevano notevolmente contribuito a fondare e far crescere l’app. Una è Peter Würtenberger, dirigente tedesco 57enne e amministratore delegato di Upday dal 2016 al 2021, che è diventato vice-presidente esecutivo di Axel Springer. L’altra è Jan-Eric Peters, anche lui dirigente tedesco, 58 anni, che ha lasciato il gruppo editoriale nel gennaio 2021; aveva lavorato 20 anni per Axel Springer e si era occupato della transizione digitale del quotidiano tedesco Welt.


domenica 3 Dicembre 2023

Sostegno all’editoria

Una delle campagne pubblicitarie più assidue e prolungate sui maggiori quotidiani (e anche su alcuni periodici) è quella di Giorgio Visconti, azienda piemontese di alta gioielleria (ovvero che produce gioielli di lusso), le cui inserzioni occupano pagine intere da diversi mesi a questa parte, decine e decine di pagine (ancora questa settimana è stata cinque giorni su sette su Repubblica) . La campagna promuove in particolare una collezione, IoLuce (girocolli, orecchini, anelli). A Charlie, Andrea Visconti, amministratore delegato dell’azienda, ha spiegato la scelta dell’investimento: «la collezione Io Luce nasce nel 2020 quando abbiamo ottenuto il brevetto per invenzione internazionale in quasi tutti i paesi del mondo. È un brevetto perché al di sotto del diamante centrale abbiamo inserito dei piccoli brillanti, e per farlo abbiamo studiato tutta una serie di rifrazioni che permettessero una doppia funzione: far riflettere più luce e ingrandire il brillante centrale. Crediamo che tutti i media siano importanti per far conoscere non solo il prodotto ma anche il brand Giorgio Visconti. Gli investimenti di marketing per IoLuce sono iniziati nel 2021, e due sono i mezzi principali: sui social media, Facebook e Instagram, la campagna va avanti tutto l’anno, e sulla carta stampata, giornali e riviste, va da fine luglio a Natale. A volte, secondo i nostri dati, i due pubblici, social e giornali, coincidono, ma non sempre; c’è un pubblico magari più veloce dal punto di vista digitale ma anche un pubblico che invece predilige ancora la carta stampata e non i social media. Sono campagne pubblicitarie che valutiamo sul loro impatto a lunghissimo termine: sulla stampa il risultato che cerchiamo è l’ awareness, riuscire a posizionare il prodotto nelle gioiellerie, far conoscere il marchio Giorgio Visconti, e dopo vendere. Sui giornali abbiamo trovato un pubblico diviso quasi al 50%-50% tra uomini e donne: questo perché i gioielli sono un acquisto femminile ma di cui anche l’uomo si interessa per fare un regalo. Sulle riviste, quando sono femminili, invece chiaramente troviamo un pubblico totalmente femminile. Stiamo avendo dei buonissimi risultati all’estero, ma continueremo ovviamente a investire sulla pubblicità in Italia e sui media cartacei, perché l’Italia è il nostro mercato di riferimento. Gli investimenti che facciamo sulla campagna pubblicitaria della collezione di IoLuce è di circa 1,5 o 2 milioni l’anno, dove carta stampata e social la fanno da padrone: su questi due mezzi investiamo il 60-70% del totale. Facendo una stima in un anno sulla carta stampata investiamo tra i 500 e i 750mila euro».


domenica 3 Dicembre 2023

E Businessweek non è più week

Era stato nel Novecento uno dei più importanti newsmagazine settimanali americani, dedicato soprattutto all’economia e alla finanza. Poi era andato in crisi come molti settimanali, subendo effetti maggiori anche dalla crisi finanziaria del 2008, ed era stato acquistato nel 2009 dal grande gruppo Bloomberg (la cui ricchezza si deve al lavoro di fornitura di servizi di informazione finanziaria: molto più di una grandissima e versatile “agenzia di stampa”), che aveva vivacizzato il giornale cambiandogli nome in Bloomberg Businessweek. Ma le difficoltà rimangono, e quindi l’azienda ha annunciato ai dipendenti che dalla fine del 2024 la rivista diventerà un mensile, probabilmente mantenendo lo stesso nome.


domenica 3 Dicembre 2023

La chiusura di Popular Science

Popular Science (conosciuta anche come PopSci) nacque negli Stati Uniti nel 1872 come rivista scientifica mensile che, nonostante il nome, non si rivolgeva a un pubblico profano ma a studiosi e persone che avevano una formazione accademica: nel suo periodo iniziale ospitò anche articoli di Charles Darwin, Louis Pasteur e Isaac Asimov. All’inizio del ‘900 un cambio di proprietà (e un calo di copie vendute) portò la rivista a cambiare il tipo di articoli e a rivolgersi a un pubblico più largo, come scrive il New York Times : «nel corso dei decenni, Popular Science ha esplorato la fotografia, gli aeroscafi, gli autogiri, i voli spaziali e la lotta per ottenere più spazio per le gambe sugli aerei commerciali, il tutto con un occhio di riguardo per i lettori con interessi generici»; e ancora negli ultimi anni ha vinto premi per la divulgazione scientifica e l’attenzione al cambiamento climatico.

Negli ultimi anni però sta attraversando diversi problemi e cambiamenti: già nel 2016, dopo 144 anni, la rivista era passata da mensile a bimestrale; nel 2018 era diventata trimestrale e nel 2020 aveva definitivamente interrotto l’edizione cartacea, pubblicando la rivista solo in formato digitale nel 2021. Nel 2020 Popular Science era stata venduta a North Equity, una società con diversi investimenti nei media, che poi ha lanciato nel 2021 Recurrent Ventures come attività che si occupa specificatamente dei mezzi d’informazione. A novembre Recurrent Ventures ha nominato un nuovo amministratore delegato, che è il terzo in tre anni.

La notizia adesso è che Recurrent Ventures ha deciso di chiudere definitivamente anche la versione digitale della rivista; la chiusura segue la decisione di licenziare tredici persone: secondo il sito di news Axios adesso a lavorare alla rivista “rimangono solo cinque redattori e alcuni membri del team commerciale”, anche se al momento Recurrent Ventures non ha confermato l’esatto numero dei licenziamenti.

Cathy Hebert, direttrice delle comunicazioni di Recurrent Ventures, ha detto al sito di tecnologia The Verge che PopSci deve “evolversi” oltre il prodotto della rivista: il sito continuerà a offrire nuovi articoli, e l’abbonamento “PopSci Plus” garantirà contenuti per soli abbonati e l’accesso all’archivio della rivista. Su LinkedIn l’ ex vicedirettrice Purbita Saha ha commentato la chiusura e i licenziamenti: «sono frustrata, furibonda e sconcertata dal fatto che i proprietari abbiano chiuso una pubblicazione pionieristica che si è adattata a 151 anni di cambiamenti nel giro di una riunione di cinque minuti su Zoom».


domenica 3 Dicembre 2023

Aggiornamento

Il quotidiano la Verità – che ha seguito con molta insistenza polemica il caso – ha riferito venerdì che alcuni ex dirigenti del gruppo Espresso (ora GEDI) avrebbero chiesto il patteggiamento per le accuse di truffa a proposito dei prepensionamenti dell’azienda.


domenica 3 Dicembre 2023

Il governo israeliano contro Haaretz

Haaretz è un giornale israeliano progressista, il più autorevole sul piano internazionale, che da tempo è critico rispetto all’influenza delle politiche più radicali e nazionaliste nel governo del paese, alla gestione della questione palestinese, e alla politica dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu; in un lungo articolo David Remnick, direttore del settimanale americano New Yorker, aveva definito le persone che lavoravano al giornale “i dissidenti”. Tra i collaboratori di Haaretz ci sono stati negli scorsi decenni i più importanti e stimati intellettuali e scrittori israeliani, e il giornale è stato il principale organo dei progetti di convivenza tra israeliani e palestinesi, o almeno di attenuazione delle conseguenze dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Haaretz nacque nel 1919 a Gerusalemme, nel 1922 spostò la sua sede a Tel Aviv e nel 1935 fu acquistato da Salman Schocken, un editore tedesco sostenitore del movimento sionista che si era da poco rifugiato in Palestina. Schocken si era arricchito con una catena di grandi magazzini che fu costretto a cedere al governo tedesco quando i nazisti lo privarono della cittadinanza e aveva avviato diverse imprese editoriali. La famiglia di Schocken controlla tuttora il giornale che, oltre alla pubblicazione in lingua ebraica, ha dal 1997 ha anche un’ edizione inglese. Non è il quotidiano più diffuso in Israele, è al terzo posto molto distante dai primi due e vende alcune decine di migliaia di copie al giorno; ma nel 2021 ha dichiarato 100 mila abbonamenti al giornale digitale, quasi dieci anni dopo l’avvio della campagna degli abbonamenti online.

In queste settimane di guerra tra Israele e Hamas Haaretz è tornato a essere protagonista delle attenzioni internazionali, ma anche delle intenzioni di censura del governo israeliano, che ne è costantemente attaccato: Shlomo Karhi, ministro delle Comunicazioni, ha proposto di applicare delle sanzioni al giornale accusandolo di “menzogna, propaganda disfattista” e “sabotaggio di Israele in tempo di guerra”. La proposta di Karhi mira a cancellare i finanziamenti e gli abbonamenti istituzionali al giornale e a “vietare la pubblicazione di avvisi ufficiali”, che sono una fonte di ricavo. Il 20 ottobre il governo di Israele ha emanato un regolamento che gli permette di chiudere e bloccare temporaneamente (30 giorni alla volta) i media stranieri ritenuti dannosi per il Paese: l’intenzione di questa norma era quella di chiudere il canale televisivo qatariota Al Jazeera , che finora non è stato bloccato anche per il ruolo che il Qatar ha avuto nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Il regolamento ha invece bloccato le trasmissioni della rete libanese Al Mayadeen TV per “motivi di sicurezza”: il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant l’ ha accusata di “essere diventata, in pratica, sostenitrice dell’organizzazione terroristica Hezbollah”, il cui obiettivo è “danneggiare la sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi cittadini”.

Sulle possibili sanzioni del governo, l’editore di Haaretz Amos Schocken ha commentato che: «se il governo vuole chiudere Haaretz, questo è il momento di leggere Haaretz». Il quotidiano israeliano Times of Israel , senza citare la fonte da cui lo ha appreso, ha scritto che però un’azione del governo nei confronti di Haaretz appare «improbabile» e, sempre secondo Times of Israel , il lavoro giornalistico di Haaretz è stato «ampiamente favorevole allo sforzo bellico, anche se molto critico nei confronti del governo che lo conduce».


domenica 3 Dicembre 2023

Articoli più corti

La lunghezza degli articoli sui giornali online è da diversi anni oggetto di cicliche discussioni, nel contesto della diminuita soglia di attenzione dei lettori e della ricchezza di attrazioni concorrenti (sui giornali cartacei si continuano grossomodo a mantenere le tradizioni, definite anche da questioni di spazio disponibile o imposto). A un certo punto venne introdotto il termine “longform” per nobilitare articoli più lunghi dell’ordinario e dare loro un’attrattiva maggiore, ma senza grandi risultati di attenzione. E un equilibrio chiaro tra quanto i lettori vogliano cose veloci e puntuali e quanto vogliano approfondimenti di più studiata confezione e completezza non si è mai trovato: probabilmente solo perché i lettori sono molte cose diverse e vogliono molte cose diverse. Il dibattito è tornato attuale anche al New York Times , a quanto ha raccontato di recente un articolo di Erik Wemple – esperto reporter sui temi del business dei giornali – sul Washington Post. Benché il Times mantenga l’importanza delle proprie inchieste molto lunghe, il direttore Kahn ha raccolto dati sul fatto che molti lettori si annoiano degli articoli che danno troppo contesto alla notizia, e anche sul fatto che chi arriva alla fine di un articolo più facilmente clicca su un altro articolo del sito. La cosa che stanno riconoscendo in molti, appunto, è che sia opportuno essere in grado di rispondere a desideri di genere opposto da parte di generi diversi di lettori.


domenica 3 Dicembre 2023

Charlie, ancora quarto potere

Ben Smith, direttore del sito di news Semafor, ha chiesto alla giornalista Jane Martinson (autrice di un libro sulla famiglia che possedeva il quotidiano britannico Daily Telegraph) perché le vicende della vendita del Telegraph dovrebbero interessare a qualcuno fuori dal parlamento britannico. Martinson ha risposto che una domanda migliore sarebbe perché tanti uomini ricchi vogliono ancora comprare i vecchi giornali tradizionali. E la risposta, dice, non è per farci soldi, ma perché danno ancora il potere di influenzare il parlamento e le persone che lo eleggono.

La risposta suonerà ovvia e non nuova, ma è proprio il suo non essere nuova a renderla utile da ripetere e da tenere presente: in un contesto – quello del giornalismo contemporaneo – in cui sta cambiando di tutto e tanto è già cambiato (come racconta questa newsletter ogni settimana) non è così ovvio che qualcosa di questa importanza continui a mantenersi uguale: la funzione dei quotidiani tradizionali nei meccanismi di potere. O meglio ancora, la percezione del loro potere, che si tramuta comunque in potere. È infatti indubbio, dati e fatti alla mano, che le grandi testate novecentesche hanno perso parte del loro ruolo, tantissime copie cartacee, rilevanza nei nuovi scenari dell’informazione e nella vita delle persone. Ma è anche vero che i luoghi del potere, soprattutto in Europa, continuano a loro volta a essere relativamente poco intaccati dall’innovazione, dal ricambio e dal pensiero contemporaneo. I grandi poteri politici ed economici restano in gran parte novecenteschi, nelle persone, nelle culture e negli approcci, e novecentesca è la loro gerarchia di priorità: questo continua ad attribuire ai grandi quotidiani un potere di influenza assai maggiore di quella che è la loro reale capacità di orientare il consenso (che resta un po’ maggiore nel Regno Unito rispetto all’Italia, come suggerisce Martinson). Possedere un quotidiano oggi quindi resta uno strumento di influenza e visibilità assai più rilevante di quanto i cambiamenti del mondo intorno farebbero pensare (lo dimostra anche l’insistenza con cui gli uffici stampa delle grandi aziende cercano di ottenere spazi per i propri comunicati su pagine che saranno lette da pochissime persone, assai meno di quelle raggiunte da un post su un social network). In questo i ricchi imprenditori che ci tengono a diventarne editori hanno ancora delle ragioni: poi sono rari quelli che sappiano cosa sia gestire un’impresa giornalistica nel 2023, ma di questo già parlammo.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Novembre 2023

Le basi

I più antichi lettori di Charlie sono pazienti con l’insistenza della newsletter nel ripetere alcune informazioni generali o mettere nel contesto le notizie di ogni settimana, a rischio appunto di dare informazioni ridondanti per alcuni. Ma gli iscritti continuano a crescere e ci teniamo a mantenere alta la comprensibilità delle cose che raccontiamo, finendo appunto per ripeterci, a volte. Ma tra le cose che ripetiamo oggi c’è che approfondimenti, contesti e spiegazioni maggiori e utili le trovate senz’altro nel numero della rivista del Post Cose spiegate bene , che si chiama ” Voltiamo decisamente pagina “: più di voi lo avranno letto e meglio ci capiremo.
Ma noi continuiamo a cercare di essere più chiari possibile, dentro questi spazi.


domenica 26 Novembre 2023

Niente vendita di Forbes

La trattativa per la vendita della testata economica americana Forbes – ne avevamo scritto qui – è stata interrotta dopo le polemiche e i timori sul coinvolgimento di un imprenditore russo nell’acquisto.


domenica 26 Novembre 2023

Club

Il Corriere della Sera ha introdotto una sorta di ” programma fedeltà ” per i suoi abbonati, che promette premi e sconti a seconda della loro anzianità di abbonamento.

” Con l’iscrizione acquisisci lo status Club Argento dove poter richiedere i primi vantaggi e avere ancora più contenuti da leggere, ascoltare e vivere.
Dopo 6 mesi di abbonamento attivo diventerai un abbonato Club Oro e potrai ottenere vantaggi per esperienze esclusive.
Al primo anno insieme (12 mesi) raggiungerai il livello più alto Club Platino, esperienze uniche e vantaggi che faranno del tuo quotidiano qualcosa di straordinario!”


domenica 26 Novembre 2023

Il Washington Post riflette sulle foto, ancora

Sono continuate – ne parlavamo su Charlie la scorsa settimana – le discussioni attorno alla pubblicazione di immagini “impressionanti” da parte del Washington Post: il giornale americano sta dedicando una serie di articoli che raccontano le conseguenze dell’uso dei fucili AR-15 negli Stati Uniti. Per farlo ha usato anche delle immagini che mostrano le conseguenze di undici recenti sparatorie.

Il Washington Post è tornato questa settimana sulla pubblicazione delle foto descrivendo la reazione dei lettori. Fred Guttenberg, il padre di una quattordicenne uccisa da un attentatore in una scuola a Parkland in Florida, ha definito le foto «inutili» e «traumatiche per coloro che sono rimasti coinvolti nella violenza delle armi da fuoco». Brett Cross, zio e tutore legale di un bambino di 10 anni ucciso l’anno scorso da un attentatore alla scuola di Uvalde, in Texas, ha scritto sui social media che le immagini erano «inquietanti e veramente scioccanti» ma «spero che siano un pugno allo stomaco» che impedisca all’opinione pubblica di «chiudere un occhio sulla realtà».

Jelani Cobb, giornalista e preside della scuola di giornalismo Columbia, ha detto: «l’intenzione è che ci sia una certa dose di shock che possa scuotere le persone e far loro cambiare idea» ma «vedere quelle immagini non ci dice molto di più rispetto a quello che già sappiamo». In occasione del 20° anniversario della strage alla scuola Columbine, gli attuali studenti hanno iniziato una campagna per invitare le persone a condividere le immagini delle persone uccise da armi da fuoco: in questo caso l’intento è suscitare una reazione emotiva che, secondo loro, potrebbe portare a un cambiamento legislativo sulla regolamentazione delle armi. Jessica Fishman, direttrice di un centro che si occupa del comportamento delle persone all’Università della Pennsylvania, ha detto che le sue ricerche non evidenziano che foto impressionanti possano far cambiare idea sulla politica delle armi in America. Però ha detto anche che dalle sue ricerche non risulta che queste foto siano troppo emotivamente pericolose per il pubblico o che generino indifferenza verso le tragedie.


domenica 26 Novembre 2023

Al Daily Telegraph le cose hanno preso una piega

Ci sono ancora aggiornamenti per quanto riguarda la vendita della società britannica Telegraph Media Group che pubblica, tra le altre cose, l’importante quotidiano conservatore Daily Telegraph e la rivista The Spectator. Riassumendo brevemente: il gruppo editoriale è stato rilevato dalla Bank of Scotland (banca parte di uno dei maggiori gruppi finanziari del Regno Unito, il Lloyds Banking Group), in nome del proprio credito di circa un miliardo di sterline nei confronti del gruppo. La maggioranza delle quote del Telegraph Media Group appartiene alla famiglia Barclay che non è stata in grado di risarcire il debito: da qui la decisione del Lloyds Banking Group di mettere in vendita il gruppo editoriale. Il Daily Telegraph è un giornale considerato quality press (e si differenzia in questo dai tabloid), è da sempre vicino al partito conservatore e nonostante tutto nell’ultimo periodo ha realizzato degli utili: considerando anche le prossime elezioni nel Regno Unito (che dovranno tenersi entro gennaio 2025) diversi imprenditori hanno manifestato interesse nel partecipare all’asta per l’acquisto del giornale.

In questo contesto si inserisce la novità di questi giorni: la vendita del gruppo editoriale è stata sospesa fino al 4 dicembre perché la famiglia Barclay ha accettato di rimborsare entro il primo dicembre 1,16 miliardi di sterline al Lloyds Banking Group. Il debito verrebbe estinto grazie al prestito di RedBird IMI, una joint venture (una collaborazione temporanea fra due imprese) tra il gruppo RedBird e International Media Investments (IMI). Una volta saldato il debito sarebbe RedBird IMI a diventare proprietaria delle testate attraverso lo scambio di debiti per le azioni della famiglia Barclay. A capo della collaborazione RedBird IMI c’è Jeff Zucker, ex presidente della rete televisiva americana CNN , già raccontato da Charlie in questi anni per le vicissitudini di CNN . RedBird è un fondo di investimento statunitense fondato da Gerry Cardinale, ha estesi interessi in molti settori e in particolare nello sport; lo scorso anno ha rilevato la squadra di calcio italiana del Milan, e attraverso una multinazionale americana ha delle quote nella squadra di calcio inglese del Liverpool e nella squadra di baseball americana dei Boston Red Sox. IMI è una società di Abu Dhabi controllata dallo sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan, che possiede la squadra di calcio inglese del Manchester City (recente vincitrice della Champions League, la competizione più importante del calcio europeo). Mansour bin Zayed al-Nahyan è anche il vice primo ministro degli Emirati Arabi Uniti. L’ annuale rapporto dell’organizzazione non governativa Reporter senza frontiere sugli Emirati Arabi Uniti offre una lettura poco incoraggiante sulla libertà d’informazione nel paese: «il governo impedisce ai media indipendenti, sia locali che stranieri, di prosperare, rintracciando e perseguitando le voci dissenzienti. I giornalisti espatriati rischiano di essere molestati, arrestati o estradati». A margine è interessante notare che lo stesso Daily Telegraph sta estesamente seguendo la vicenda.

L’affare è stato contestato da diversi politici britannici: la ministra della Cultura Lucy Frazer ha detto mercoledì di essere “intenzionata a sottoporre il caso” all’autorità di regolamentazione dei media britannica, Ofcom, per motivi di interesse pubblico. Frazer ha aggiunto che questa azione rientra nelle: «preoccupazioni che nutro sul fatto che ci possano essere considerazioni di interesse pubblico […] e che tali preoccupazioni giustifichino ulteriori indagini». RedBird IMI dovrebbe garantire al governo il mantenimento dell’indipendenza editoriale delle testate: un portavoce di RedBird IMI ha detto che se l’affare si concludesse positivamente «ci impegneremo a mantenere l’attuale team editoriale delle pubblicazioni e crediamo che l’indipendenza editoriale di queste testate sia essenziale per proteggere la loro reputazione e la loro credibilità». Jeff Zucker, che sta gestendo l’operazione, ha messo in dubbio le intenzioni delle contestazioni: «C’è una ragione per cui la gente getta fango e lancia delle frecciate: è perché vogliono possedere questi asset. E hanno le risorse mediatiche per cercare di danneggiarci». Uno dei principali giornali britannici, il progressista Guardianha proposto una riflessione più sfaccettata:

“C’è un sentore di nazionalismo o qualcosa di peggio in alcune delle obiezioni alla possibilità che un membro della famiglia regnante di Abu Dhabi assuma il controllo di una testata nazionale. Tuttavia, questo non dovrebbe oscurare il fatto che ci sia una reale preoccupazione per il fatto che qualsiasi stato nazionale possieda un giornale britannico, per non parlare di uno stato che ha una visione così severa dei giornalisti in patria. […]
Gli investitori globali si sono accaparrati molti beni britannici importanti. Eppure nessun’altra azienda, nemmeno le squadre di calcio, ha lo stesso potere di influenzare l’opinione pubblica come i giornali. Chiunque sostenga che nessuno legge o si preoccupa di un giornale, “carta straccia”, dovrebbe chiedersi perché così tanti uomini molto ricchi vogliono ancora possederne uno”.


domenica 26 Novembre 2023

Mandanti

E ancora a proposito di notizie sbagliate e scellerate che generano conseguenze gravi, molti siti di bassa qualità hanno diffuso l’informazione che la famiglia di Filippo Turetta (accusato di avere ucciso dieci giorni fa la sua ex fidanzata Giulia Cecchettin) possedesse un ristorante, indicandone il nome e l’ubicazione. E causando una serie di aggressioni – online e di persona – nei confronti dei gestori, che sarebbero state inaccettabili e disumane anche se l’informazione fosse stata vera. Ma era falsa: il ristorante era stato venduto diversi anni fa. Ed è stata ripresa anche da alcune testate giornalistiche (alcune la mantengono ancora al momento in cui spediamo questa newsletter): esplicitamente, o con titoli allusivi, o che suonano come un invito ad andare a cercare i genitori in questione.


domenica 26 Novembre 2023

“Scatenando la psicosi”

Un particolare sviluppo di notizie false promosse dai giornali è quello che si verifica quando le notizie false vengono smentite piuttosto presto, costringendo i giornali che le hanno pubblicate non solo a rammendi poco credibili ma offrendo loro l’opportunità di spostare l’attenzione sulle conseguenze della notizia falsa tacendone la propria responsabilità. Uno degli esempi più gravi e drammatici nella storia giornalistica italiana degli ultimi anni è quello del “panico” e della “psicosi” rispetto ai pericoli di un vaccino influenzale – termini che occuparono nel 2014 le prime pagine di tantissimi quotidiani – e che erano stati indotti dalle notizie pubblicate dagli stessi giornali.
Una cosa simile è capitata – su un caso più limitato e più passeggero – mercoledì sera. Molti giornali online hanno immediatamente raccolto e dato per certe delle vaghe ipotesi di “attentato terroristico” per un incidente capitato nello stato di New York (ipotesi poi del tutto smentite): alcuni di questi hanno poi corretto le loro versioni parlando di una “psicosi” generata dalla notizia.
(per il sito di Panorama è ancora un “attentato”, mentre spediamo questa newsletter)


domenica 26 Novembre 2023

Il famigerato e vincente TMZ

Quando lo scorso ottobre è morto Matthew Perry, attore noto soprattutto per aver interpretato Chandler Bing nella serie televisiva americana Friends , il primo mezzo di informazione a dare la notizia è stato TMZ, un sito di news scandalistico solitamente bene informato ma noto per le sue pratiche eticamente discutibili: può essere assimilato ai tabloid britannici e statunitensi.

TMZ è l’acronimo di “ Thirty Mile Zone ”, un’espressione risalente agli anni ‘50-’60 del secolo scorso che indicava i confini dell’area delle produzioni cinematografiche di Hollywood, a Los Angeles. Il sito è stato fondato da Harvey Levin, che oggi ha 73 anni, è nato a Los Angeles e ha insegnato legge all’università a Miami e Los Angeles: negli anni da insegnante si è interessato ai principali giornali scandalistici americani. Levin ha poi lavorato come reporter televisivo occupandosi in modo aggressivo di celebrità e di casi di cronaca nera e fondando TMZ nel 2005. Il sito pubblica soprattutto pettegolezzi e articoli imbarazzanti sulle celebrità, ma a volte anche notizie rilevanti e in anteprima, approfittando anche della maggior prudenza nelle verifiche da parte delle testate maggiori: nel 2009, per esempio, fu il primo a scrivere della morte di Michael Jackson. I modi in cui TMZ ottiene le notizie è tornato al centro di dibattiti in queste settimane: le fonti parlano con il sito spesso: «perché sono eccitate o perché sono arrabbiate. Altre vogliono un compenso, che può variare da poche centinaia di dollari a cifre molto più alte. Un ex collaboratore di TMZ ricorda che non esiste un tetto massimo per i pagamenti: “hanno un capitale pazzesco per fare questo tipo di cose”».

TMZ – che nel 2021 è stato acquistato per circa 50 milioni di dollari dal gruppo Fox Corporation di Rupert Murdoch – ha molte fonti tra la polizia e gli agenti della sicurezza e in luoghi frequentati da celebrità: aeroporti, alberghi, negozi, casinò. I compensi per le fonti possono andare da poche decine fino a migliaia di dollari: nel 2014 il tabloid New York Post scrisse che il filmato dell’ascensore in cui Solange Knowles (sorella di Beyoncé) aggrediva il cognato Jay-Z era stato acquistato da TMZ per 250.000 dollari.

Nel caso dell’ incidente in elicottero in cui morirono il giocatore di basket Kobe Bryant e sua figlia Gianna, un ufficiale delle forze dell’ordine informò TMZ prima che la moglie e madre Vanessa Bryant ne venisse a conoscenza. Proprio queste pratiche la consuetudine di pagare le fonti sono le caratteristiche del sito che più vengono criticate da altri giornalisti: in passato la Society of Professional Journalists, un’organizzazione che tutela i diritti dei giornalisti americani, ha sostenuto che questo modo di lavorare «minaccia di corrompere il giornalismo».


domenica 26 Novembre 2023

Embedded

Il Post ha raccontato la storia del giornalismo “embedded” e che cosa vuol dire.

“Negli ultimi trent’anni andare embedded è stato spesso l’unico modo per i giornalisti di vedere il fronte di guerra, o comunque le battaglie in situazioni in cui l’accesso a quei territori era bloccato o implicava grossi rischi. Il giornalismo embedded è però anche una pratica che ha diversi limiti: per esempio restringe la libertà di azione dei giornalisti e può condizionare il loro racconto dei fatti, visto che presuppone che il giornalista guardi le cose che stanno succedendo insieme a una delle parti coinvolte in quella guerra”.


domenica 26 Novembre 2023

Sovvenzioni canadesi

Il governo canadese ha approvato una serie di sovvenzioni per i giornali, interessante in anni di dibattiti sulle necessità e sui limiti dei contributi pubblici all’informazione. I giornali coinvolti potranno avere esenzioni fiscali equivalenti fino al 35% degli stipendi dei loro dipendenti che non superino gli 85mila dollari annui (le esenzioni esistevano già ma sono state aumentate). Ad averne diritto sono, secondo le norme, le testate “dedicate alla produzione di news originali” e “concentrate prioritariamente su argomenti di interesse generale e di attualità, compresa la copertura delle istituzioni e dei processi democratici”. Non esistendo in Canada (e in molti paesi del mondo) la qualifica ufficiale di “giornalista” come in Italia, i beneficiari sono indicati come “chi lavori almeno 26 ore settimanali e dedichi almeno il 75% del suo lavoro quotidiano a raccolta, reporting, scrittura o ricerca di notizie”.

In Canada governo e giornali maggiori si sono trovati solidali nei mesi scorsi contro la decisione di Meta di sospendere la diffusione dei contenuti giornalistici su Facebook e Instagram in reazione al progetto di una legge che obblighi le piattaforme a maggiori compensi per i giornali stessi (Google ha annunciato la stessa scelta se la legge sarà approvata).


domenica 26 Novembre 2023

Il problema delle dipendenze

Il sito britannico PressGazette – che si occupa di giornali e aziende giornalistiche – ha raccolto una serie di informazioni sul fatto che nuovi interventi sull’algoritmo di Google avrebbero ulteriormente danneggiato a ottobre e novembre la presenza dei siti di news sulle pagine di ricerca di Google e sul suo servizio di news Discover. I responsabili di alcuni giornali online italiani avevano già raccontato a Charlie i loro cali di traffico a settembre attribuendoli agli aggiornamenti di Google.


domenica 26 Novembre 2023

Sinergie

Malgrado il benintenzionato decalogo proposto dai propri giornalisti e giornaliste sull’autonomia dalla pubblicità, sabato Repubblica ha dedicato una pagina al nuovo negozio milanese del brand del lusso Chanel, illustrandola con un’immagine dello stesso prodotto mostrato dalla pubblicità che Chanel aveva comprato sul giornale il giorno stesso per promuovere il proprio nuovo negozio milanese.

ENI, ovvero l’azienda che è forse la maggiore contribuente tra gli inserzionisti pubblicitari dei quotidiani maggiori, questa settimana ha di nuovo comprato spazi quasi ogni giorno sul Corriere della Sera per due sue diverse campagne: ottenendo nella stessa settimana un articolo di una pagina intera su una visita americana del suo amministratore delegato, una estesa segnalazione dei propri progetti in un articolo che parlava d’altro (con foto dello stesso amministratore delegato), una ” fotonotizia ” priva di informazioni o notizie su una visita africana sempre dello stesso amministratore delegato.

Martedì, nei giorni più drammatici delle notizie sull’omicidio di Giulia Cecchettin, il Corriere della Sera ha pubblicato a pagina 5 una pagina dedicata ai “campanelli d’allarme” rispetto ai rischi di violenza contro le donne da parte dei loro partner. Dopo poche righe erano descritte la genesi dell’articolo e la provenienza del suo contenuto: “Dal 2021 D.i.Re. è partner italiana della campagna globale di sensibilizzazione, promossa da Yves Saint Laurent Beauty, proprio sul riconoscimento dei segnali dell’abuso. Il beauty brand, in sostanza, ha ideato e sviluppato il progetto «Abuse is not Love» contro la violenza nelle relazioni intime”. Lo stesso progetto aveva anche comprato una pagina pubblicitaria uscita sabato.

Repubblica ha dedicato al proprio editore e alla promozione del suo business principale – l’azienda automobilistica Stellantis – due pagine, annunciate in prima pagina, venerdì. Lo stesso giorno un articolo nello sport riprendeva la difesa delle scelte dei dirigenti della Juventus, squadra di calcio appartenente allo stesso gruppo (l’amministratore delegato è lo stesso di Repubblica; e il presidente dell’altra squadra torinese è l’editore del Corriere della Sera). In entrambi i casi gli articoli contenevano un inciso che informava sulla coincidenza di interessi.


domenica 26 Novembre 2023

La vendita di i-D

i-D è una rivista britannica bimestrale di moda e di cultura giovanile e fu fondata nel 1980 da Terry Jones, che era stato direttore artistico dal 1972 al 1977 dell’edizione britannica del magazine di moda Vogue.

i-D (il nome viene da “Instant design”) nacque come una rivista amatoriale (una “fanzine”): il primo numero aveva 40 pagine, costava mezza sterlina, ogni copia era spillata con tre punti metallici e i testi erano scritti con la macchina da scrivere. Furono vendute cinquanta copie, e si racconta che gli edicolanti si fossero lamentati della spillatura perché le persone che acquistavano il numero si bucavano le dita e facevano gocciolare il sangue sulle altre riviste. Jones spiegò così la nascita di i-D: «si trattava dell’idea che si potesse fare da sé invece che farsi imporre da una rivista di moda cosa indossare. Era il periodo in cui il post-punk, la vita nei club e la scena musicale si stavano unendo. Si trattava di espressione personale fai-da-te».

i-D è diventata nel tempo una rivista conosciuta a livello internazionale per l’attenzione alla moda giovanile e allo streetwear: Terry Jones ha ceduto la pubblicazione a Vice Media (il gruppo editoriale che pubblica, tra le altre cose, Vice News Motherboard ) nel 2012. Ma nei giorni scorsi i-D è stato acquistato dall’imprenditrice e modella Karlie Kloss, dopo che il gruppo Vice Media aveva attraversato una lunga crisi e dichiarato bancarotta. Kloss è diventata anche amministratrice delegata di i-D e l’acquisizione segue quella del 2020 quando Kloss, con altri investitori, aveva rilevato la rivista di moda americana W.

La professoressa di comunicazione Karen North, che insegna alla scuola di giornalismo della University of Southern California, ha detto al Guardian che: «stiamo assistendo all’arrivo di nuove cose – imprenditori di diverse estrazioni sociali, di diversi settori industriali, che cercano di capire se c’è un modo per, invece di iniziare con una startup, prendere qualcosa che già esiste, che ha già goduto di un certo successo, e guidarlo in una nuova direzione». Karlie Kloss è sposata con Joshua Kushner, fratello di Jared Kushner che è il marito di Ivanka Trump, figlia di Donald Trump. Kloss ha però appoggiato la democratica Hillary Clinton alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e Joe Biden nel 2020.


domenica 26 Novembre 2023

Nuove accuse sui prepensionamenti al gruppo Espresso

Un articolo sul quotidiano La Verità ha riassunto e aggiornato la questione giudiziaria che riguarda la gestione dei prepensionamenti al gruppo Espresso (quello che ora si chiama GEDI): qui Charlie ne aveva scritto l’anno scorso. Ci sarebbe ora un’indagine della Corte dei conti.


domenica 26 Novembre 2023

Le vicende di BuzzFeed hanno ancora qualcosa da dire

Prosegue il ridimensionamento delle ambizioni di BuzzFeed, il sito che fu tra i progetti più sovversivi e studiati della nuova informazione online dello scorso decennio e che produsse anche un’estensione giornalistica di qualità (BuzzFeed News) capace di vincere premi Pulitzer e adesso di fatto smantellata. Lo storico sito del settore pubblicitario Adweek ha raccontato i nuovi progetti della società di BuzzFeed , che possiede anche lo HuffPost e altri siti, che sono interessanti soprattutto come lettura di tendenze più generali: secondo il management, infatti, sarebbero finiti i tempi in cui a premiare sono le grandi aggregazioni di molte testate che generano insieme grandi quote di traffico. I ricavi della pubblicità display (i banner, principalmente) sono diminuiti e anche la sua attrattività per gli inserzionisti, e ora che la profilazione degli utenti è stata limitata (vedi sopra) l’interesse si sta spostando verso l’individuazione di comunità specifiche legate a siti specifici. In questo senso, dice l’articolo, diventerà più utile investire sull’identità di ciascun sito e sulla sua autonomia commerciale piuttosto che su progetti comuni e indistinti che riguardino siti diversi, e in questo senso si vuole muovere l’azienda di BuzzFeed.
La publisher del gruppo, Dao Nguyen, lascerà dopo 11 anni e l’ha spiegata così:
«Quello che è successo nei due anni passati è che la frammentazione delle audience, le sfide del mercato pubblicitario e la stretta da parte delle piattaforme digitali, il valore del network e in particolare delle distributed-only audiences [i pubblici raggiunti solo attraverso le piattaforme come Google e Facebook, ndr] è diminuito rapidamente e si sta avvicinando zero, anzi qualcuno potrebbe sostenere che il suo valore sia in realtà negativo».
Il fondatore Jonah Peretti dice che «ci concentreremo sui singoli brand e daremo priorità agli aspetti che rendono unico ciascun brand. L’approccio brand-centrico sarà la chiave per stabilizzare il nostro business e tornare a crescere».


domenica 26 Novembre 2023

Separare e far convivere

La newsletter americana The Rebooting di Brian Morrissey (lo abbiamo citato altre volte, fu il fondatore del sito di media e marketing Digiday) ha intervistato Bridget Williams, che è da sei anni la responsabile della strategia commerciale di Hearst, uno dei più grandi gruppi editoriali internazionali (in Italia pubblica le edizioni nazionali di ElleCosmopolitanEsquireMarie Claire, oltre che Gente) che negli Stati Uniti possiede molti quotidiani locali di grandi e piccole città. Williams riesce a essere abbastanza credibile nel sostenere che la sua priorità è la sostenibilità commerciale dell’azienda senza limitare l’identità e l’integrità dei contenuti giornalistici: e spiegando che l’approccio più sicuro in questo senso è quello che progetta attività economicamente proficue parallele a quelle del giornale.

«un approccio pratico verso il guadagno, che realizzi che gran parte del lavoro sulle news nella stampa locale – indagare la corruzione nelle amministrazioni pubbliche, seguire le attività scolastiche – non è economicamente sostenibile e ha bisogno di essere sovvenzionato da altro: i giochi, le recensioni dei parchi, le informazioni sugli sconti e sui saldi. Siamo consapevoli che serva ogni genere di servizi e intrattenimenti per guadagnare in molti modi diversi, ma quei guadagni li useremo per sostenere le news […]
Le vite della gente comune non sono tutte prese dall'”emergenza ai confini” e dalle battaglie culturali. Le persone vogliono sapere del nuovo parco accessibile ai cani. Il quotidiano locale è sempre stato un aggregato di informazioni semplici e familiari – io da ragazzina leggevo sul 
Philadelphia Inquirer Ann Landers che si dedicava con insistenza alla impegnativa questione degli uomini che lasciano la tavoletta del water sollevata – che sono sia popolari che redditizie. Questo approccio deve essere adattato ai tempi nuovi, e – sia chiaro – rimuovendo molte delle consuetudini tradizionali a cui i giornali locali si sono appoggiati per anni e che hanno finito per creare business fossilizzati e ostili alla transizione digitale».

Morrissey aggiunge una considerazione non nuova ma che ha un valore generale e non è ancora entrata tanto nel modo di pensare di chi continua ad aspettarsi soluzioni universali che “salvino” questo o quel settore messo in crisi dai cambiamenti digitali.

«Mi piace questo concetto perché è realistico. Spesso chi ci lavora si arrende di fronte alle sfide che riguardano l’informazione locale, rivolgendosi invece verso sogni di bacchette magiche o soluzioni universali tipo miliardari generosi, elargizioni pubbliche, contributi dalle piattaforme digitali e cose del genere. Io sospetto che la “soluzione” per i problemi dell’informazione locale somiglierà al modo in cui negli Stati Uniti è gestito il funzionamento della sanità: un confuso patchwork di approcci i più vari che in maniere imperfette porteranno a casa risultati parziali e faticosi».


domenica 26 Novembre 2023

Fatti di Moda

Il Fatto Quotidiano ha annunciato, con un’intervista del proprio vicedirettore al designer di Valentino Pierpaolo Piccioli (nel giorno in cui a Valentino erano dedicate anche le pagine di apertura della moda su Repubblica Corriere della Sera), la creazione di una nuova sezione fissa dedicata alla moda. Progetto motivato – a ragione – con la centralità della moda nell’economia e nella società: ma che nasce soprattutto, come per le altre testate che se ne sono sempre occupate, dalle opportunità di raccolta pubblicitaria offerte dal settore, uno dei maggiori inserzionisti sulla stampa cartacea, e da cui il Fatto è stato finora escluso.

“Da oggi ogni quindici giorni, il nostro giornale dedicherà una pagina ai Fatti di Moda. Ci occuperemo di stili di vita, di personaggi che hanno fatto grande l’abbigliamento italiano, di creatività e di cultura. Abbiamo deciso di farlo perché la moda rappresenta un settore che coinvolge più di un milione di lavoratori e perché influenza i comportamenti di intere generazioni. Il compito dei giornalisti è descrivere il mondo dalla A alla Z. Così da oggi nell’alfabeto del Fatto c’è pure la M. Ma raccontata a modo nostro”.


domenica 26 Novembre 2023

Profilare a valle

Proseguono le discussioni e le ipotesi, nel settore della pubblicità internazionale, su come affrontare le limitazioni introdotte e progettate sulla profilazione degli utenti online: limitazioni pensate per proteggere maggiormente la privacy e i dati degli utenti, ma che riducono di molto l’efficacia e il valore delle inserzioni pubblicitarie e la loro capacità di raggiungere i destinatari più appropriati. Questa settimana i responsabili commerciali del quotidiano inglese Guardian hanno presentato un proprio progetto di gestione delle inserzioni che attenui questa complicazione facendo in modo che i banner e le pubblicità – se non possono essere associati agli utenti – siano più associati agli argomenti a cui gli utenti si interessano, ovvero alle pagine che visitano. Oggi la pubblicità ” programmatic ” (quella gestita da grandi piattaforme dedicate, a cominciare da Google) compare spesso indistintamente sulle pagine più diverse di un giornale online: il Guardian promette agli inserzionisti che i banner sui prodotti tecnologici siano piuttosto concentrati attorno alle notizie di tecnologia, e così via.


domenica 26 Novembre 2023

Charlie, coinvolti

La responsabilità sociale di cui molte aziende – soprattutto le grandi aziende – sostengono di essersi investite negli ultimi anni riguarda, nelle loro comunicazioni, un impegno sull’ambiente, sui diritti delle donne e delle minoranze, sulla tutela del lavoro, sulla sostenibilità. Ovvero i temi più presenti nelle richieste di gran parte dei loro clienti, e nel dibattito sul progresso civile.

Un altro tema molto presente nel dibattito sul progresso civile di questi anni è quello dell’informazione, sia a proposito dei suoi contenuti che delle sue forme. La cattiva informazione, le “fake news”, sono citate quotidianamente come un pericolo per la democrazia e la convivenza. E contemporaneamente sono citati quotidianamente come un pericolo per la democrazia e per la convivenza i toni violenti promossi dalle modalità dei social network, i discorsi d’odio, la propaganda divisiva e che addita per suo interesse capri espiatori, il negazionismo rispetto a verità evidenti e dimostrate.

Ma per le aziende che investono in pubblicità questi aspetti delle proprie responsabilità non sembrano in agenda: però non è più credibile l’alibi del disinteresse rispetto a quello che i loro investimenti sostengono. Attraverso la pubblicità “programmatic” su internet molte aziende grandi e piccole finanziano siti web pieni di falsificazioni o che peggiorano il discorso pubblico: ma controllare dove finiscono le inserzioni anche di questo genere è possibile, con un impegno assai relativo. E molte aziende anche importanti e di scala nazionale sostengono coi loro investimenti testate giornalistiche che propongono quotidianamente negazionismi sulle questioni scientifiche (sui vaccini, sul cambiamento climatico) e sulle questioni dei diritti (negando la violenza maschile contro le donne, sobillando la paura e l’odio per gli stranieri), che diffondono falsificazioni e discorsi d’odio in genere, peggiorando la convivenza e il funzionamento della democrazia. Tutte attività contemplate dalla libertà d’espressione – anche la menzogna è lecita, nei limiti della legge – ma che non per questo devono essere persino aiutate e incentivate da chi vuole presentarsi come consapevole e solidale con le comunità in cui opera. C i sono aziende che promuovono sui giornali obiettivi ambientali poche pagine più in là di articoli che negano i problemi ambientali, o sostengono di difendere i diritti delle donne poche pagine più in là di articoli che definiscono sopravvalutati i pericoli per le donne. La “Responsabilità sociale d’impresa” non può escludere un fattore prioritario dello sviluppo civile, quello dell’informazione delle persone e della qualità del dibattito pubblico. Meno che mai perdonare che chi se ne sente investito, di questa responsabilità, sia finanziatore e complice della trasmissione di messaggi opposti, e tale appaia pubblicamente.

Fine di questo prologo.


domenica 19 Novembre 2023

Corrige

Nei primissimi invii della newsletter di domenica scorsa il link al conteggio sui “14 miliardi” che Google e Facebook “dovrebbero” ai giornali statunitensi era sbagliato, scusate. È stato rapidamente sistemato ma lo rimettiamo anche qui.