Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 28 Gennaio 2024
Dopo essere stato tra i protagonisti di un promettente successo dei nuovi progetti di informazione online nel primo decennio di questo secolo, il sito americano che si chiama HuffPost (da quando è stato condensato il nome originale di Huffington Post, legato alla fondatrice Arianna Huffington) è stato anche tra le vittime del declino di molti di quei progetti. Il più famoso di quelli, BuzzFeed, anch’esso in difficoltà, aveva acquistato lo HuffPost nel 2020, e chiuso diverse delle sue edizioni non americane, che erano state create nel periodo della massima espansione (quella italiana, pubblicata in partnership, era stata invece ceduta del tutto al gruppo GEDI nel 2021). Ma anche le sei rimaste hanno perso ruolo e visibilità nei rispettivi paesi, e per esempio quella britannica avrebbe problemi di cassa: lo ha raccontato il sito Press Gazette, indicando che HuffPost UK avrebbe allungato a sessanta giorni la scadenza dei pagamenti ai giornalisti freelance, e che questo stesso limite sarebbe però molto poco rispettato (la lunghezza delle attese per i propri compensi è una questione che riguarda, tra altre precarietà, anche i rapporti dei freelance con diverse testate italiane).
domenica 28 Gennaio 2024
Questi sono i dati di diffusione comunicati per il mese di novembre 2023 dai settimanali italiani iscritti al sistema di certificazione ADS. Nella seconda colonna ci sono gli stessi dati relativi a giugno (quelli più coerenti con cui fare un confronto a distanza), e nella terza la variazione percentuale in questi cinque mesi. Sono dati di diffusione “grossolana” che comprendono anche le copie promozionali e omaggio (53mila per Sportweek, 30mila e 8mila per Donna Moderna e Panorama del gruppo editoriale del quotidiano La Verità: quasi tutte copie digitali), quelle a prezzi scontatissimi (50mila ciascuno per Sette e IoDonna ) o quelle vendute in quantità “multiple” ad aziende o istituzioni. Naturalmente alcuni settimanali beneficiano rispetto ad altri dell’essere venduti allegati a un quotidiano.
(l’immagine si ingrandisce cliccandoci sopra)
domenica 28 Gennaio 2024
Il mese scorso il sito della Radio Svizzera di lingua italiana ha pubblicato una lunga indagine su cosa ci sia “dietro” alle inserzioni pubblicitarie che compaiono su social network e siti web e che promuovono notizie false attribuendole a testate note, compresa RSI.
“Roger Federer denunciato perché ha divulgato un trucco per arricchirsi senza sforzo; la conduttrice italiana Bianca Berlinguer che si trova in un contenzioso con la BNS per lo stesso motivo e il Consiglio federale che ha sviluppato una “speciale piattaforma” per “permettere ai residenti di saldare i propri debiti in un mese”. Notizie strampalate che circolano sui social e che hanno alcuni aspetti in comune: parlano di soldi e sembrano pubblicate dai profili social e dal sito della RSI. Ma attenzione: sono tutte false.
Ne abbiamo già parlato: si tratta di post su Instagram e Facebook che copiano la nostra identità grafica e che, se cliccati, portano a un sito, anche questo farlocco, che sembra essere il nostro.
Per fortuna la grande maggioranza degli utenti capisce subito che si tratta di riproduzioni. Ma c’è anche chi ci chiede se siamo noi a divulgare queste informazioni. Lo ribadiamo: no. Ma truffe e i raggiri online corrono sempre più veloci: per questo, per fare chiarezza, abbiamo deciso di tentare di riavvolgere il filo di questi contenuti “fake””.
domenica 28 Gennaio 2024
Non passa mai tanto tempo senza una notizia che riguardi il settimanale L’Espresso, che non è mai un buon segno: dopo i successivi passaggi di proprietà si è dimesso il direttore Alessandro Mauro Rossi, dopo appena un anno. Il nuovo direttore è Enrico Bellavia, 58 anni, che era vicedirettore finora.
L’Espresso era stato ceduto una prima volta a primavera del 2022 dall’editore GEDI, nell’ambito delle molte dismissioni del gruppo che un tempo si chiamava proprio “gruppo Espresso” per via di una delle sue testate più importanti, e che è stato acquistato dalla famiglia Agnelli Elkann nel 2019. Il sito Professione Reporter ipotizza che le copie vendute dal settimanale siano oggi circa 10mila: fino a settembre, quando era venduto in edicola insieme a Repubblica, l’istituto ADS certificava circa 110mila copie.
domenica 28 Gennaio 2024
La crisi del Los Angeles Times, il più importante quotidiano “locale” degli Stati Uniti, ha avuto uno sviluppo drastico: saranno licenziate almeno 115 persone nella redazione, ovvero più di un quinto del totale. Il giornale perde tra i 30 e i 40 milioni di dollari l’anno, ha detto il suo proprietario, che è in conflitto col sindacato dei giornalisti che la settimana scorsa aveva organizzato un giorno di sciopero (scelta piuttosto rara nei giornali americani).
domenica 28 Gennaio 2024
Il Tirreno è lo storico quotidiano di Livorno e della costa toscana: riadottò il suo nome negli anni Settanta del secolo scorso, dopo fusioni e alternanze con quello del Telegrafo. Nello stesso periodo fu acquisito dal gruppo Espresso e per quarant’anni ha fatto parte della ricca offerta di quotidiani locali di quell’editore: con il cambio di proprietà del gruppo è stata una delle prime cessioni della nuova azienda GEDI ed è stato comprato nel 2019 da una società costruita apposta intorno a un imprenditore, Alberto Leonardis, che aveva già avuto una breve esperienza da editore col quotidiano pescarese Il Centro.
Questi quattro anni sono stati abbastanza tormentati: con insoddisfazioni della redazione, progetti poco chiari o poco convinti, e una perdita di copie superiore alla media dei quotidiani locali (nei dati più recenti, -22% rispetto a un anno prima). Adesso c’è un nuovo cambio di direzione: il nuovo direttore è Cristiano Marcacci, 53 anni, già vicedirettore e con una lunga carriera all’interno del giornale, che sostituisce Luciano Tancredi, nominato dalla proprietà due anni fa e che ora sarà “direttore editoriale” di tutto il gruppo (che possiede anche tre quotidiani emiliani e uno sassarese).
domenica 28 Gennaio 2024
Intanto che si aspettano sviluppi concreti sui suoi cambi di proprietà (ma si annunciano altri rinvii), il Daily Telegraph sta provando a rinnovare il suo ruolo di giornale di riferimento del partito Conservatore britannico, secondo un articolo del Guardian (il suo concorrente progressista): approfittando del momento di grave crisi del partito stesso, e della imprevedibilità delle sue prospettive. Secondo l’articolo il Telegraph considera inevitabile il fallimento dell’attuale Primo ministro Sunak nel guidare il partito verso le elezioni di quest’anno, e avrebbe quindi deciso di sostenere i suoi oppositori e farsi “king maker” della fase successiva. Questa settimana il Telegraph ha pubblicato un discusso articolo di un ex ministro conservatore che chiedeva di fatto le dimissioni di Sunak, e ha molto promosso i risultati di un sondaggio contro di lui. Si tratterebbe, conclude l’articolo del Guardian , di un tentativo da parte del quotidiano di reimpadronirsi del suo ruolo messo in crisi dall’uso dei social network e dalla tv di destra GB News, nata sul modello dell’americana Fox News.
domenica 28 Gennaio 2024
Sembra che non si sia mai interrotto, da quando esiste Charlie, il periodo di “crisi dei giornali americani”, che è un tema ricorrente di queste cronache e che rischia ripetizioni, ma dà anche occasioni di raccontare casi diversi e notevoli, storie di giornali importanti, questioni particolari di quello che sta succedendo al giornalismo in tutto il mondo.
Questi ultimi giorni però hanno effettivamente ospitato una concentrazione eccezionale di nuove complicazioni e sintomi di difficoltà: grosse quote di licenziamenti hanno riguardato testate le più diverse per storia e natura, il Los Angeles Times, Sports Illustrated, Forbes, Time; le crisi stanno generando frequenze di scioperi mai viste nelle redazioni statunitensi; altre testate locali o online vengono chiuse. Tanto che, insieme ai quotidiani report su questi singoli sviluppi, nei giorni scorsi sono stati pubblicati allarmati bilanci generali su due testate importanti come il New York Times e il New York Magazine.
“The recent bad news is, in some ways, a continuation from last year. In 2023, Business Insider, The Los Angeles Times and NPR cut at least 10 percent of their staffs; the news division of BuzzFeed was shut down; News Corp cut 1,250 people; National Geographic laid off its remaining staff writers; Vox Media went through two rounds of layoffs; Vice Media filed for bankruptcy; Popular Science shut its online magazine; and ESPN, Condé Nast and Yahoo News all cut jobs”.
Intanto Ben Smith, il fondatore del sito Semafor e probabilmente il più noto giornalista che si occupa di giornali nel mondo, ha intervistato il nuovo CEO del Washington Post – Will Lewis, che abbiamo già citato nel prologo – il quale propone un nuovo ordine di idee di maggiori sperimentazioni per raccogliere il contributo economico dei lettori, perché secondo lui il modello delle “subscriptions” così com’è non è già più sufficiente.
domenica 28 Gennaio 2024
Dopo che l’invasione russa dell’Ucraina era stata raccontata come “la prima guerra sui social network” per il ruolo iniziale che avevano avuto video e informazioni diffuse online non solo dai giornali, quello che da tre mesi sta avvenendo a Gaza è stato a lungo analizzato e commentato per l’impegno enorme di propaganda che sia Hamas che Israele stanno dedicando a ottenere preziose attenzioni e indulgenze per le loro azioni: e molti articoli sono stati già scritti sulla diffusione di notizie false e sulla difficoltà di verificarle, con fallimenti che hanno riguardato anche le maggiori testate giornalistiche.
Questa settimana il sito della rivista americana Atlantic ha spiegato invece alcuni esempi in cui alle falsificazioni ha concorso un misto di sbadatezze giornalistiche e inadeguatezze nell’affrontare delle lingue poco conosciute dai media occidentali come quelle usate in Israele e a Gaza. Alcuni virgolettati errati o non compresi, attribuiti a membri del governo israeliano, sono arrivati ad avere conseguenze nel dibattito politico internazionale e nello stesso procedimento che riguarda l’accusa di genocidio contro Israele.
“Queste omissioni e cattive interpretazioni non sono solo formali: hanno ingannato lettori, giudici e politici. Non doveva succedere. La buona notizia è che in futuro possono essere evitate assicurandosi di controllare le traduzioni alla fonte; chiedendo ai giornalisti di linkare le fonti originali quando è possibile; e mettendo nel contesto i riferimenti alle scritture religiose di ciascuna fede.
[…] Principi neutrali come questi non risolveranno le profonde questioni morali e politiche poste dalla guerra tra Hamas e Israele. Non basteranno a dire ai lettori cosa pensare di questa devastazione. Ma garantiranno che qualunque conclusione a cui i lettori arrivino sia basata sui fatti, non su invenzioni: che è, in fondo, l’obiettivo del giornalismo”.
domenica 28 Gennaio 2024
È una importante storia sui media americani, che sono spesso modello di sviluppi che riguarderanno anche gli altri paesi del mondo, ma racconta anche un’antica apparente contraddizione nel rapporto tra testate giornalistiche e politica. La contraddizione è questa: più popolari e più inaccettabili diventano le posizioni dei leader politici che un giornale si sceglie come “avversari”, più quel giornale vede opportunità favorevoli e si impegna per sfruttarle commercialmente. Gli esempi anche italiani sono molti, pure nell’attualità di questi giorni, ma uno dei più noti è la lunga convivenza – di reciproche soddisfazioni – del successo politico di Silvio Berlusconi e del successo commerciale dei giornali che più lo contestavano (il mercato dei giornali non ha bisogno di maggioranze, come la politica: una cospicua e sconfitta minoranza è già un bacino sufficiente per un successo).
Ma la storia americana attuale è questa, deludente e teatrale al tempo stesso: le maggiori testate americane hanno conosciuto un periodo di “rinascita” negli anni della presidenza Trump, grazie alle eccitazioni e agitazioni quotidiane che Trump immetteva sulla scena pubblica, e ai bellicosi confronti che generava. Soprattutto le testate che hanno scelto di criticare di più la sua amministrazione, e di farne una “linea” (entrando in irrisolti tormenti su quanto spazio dare alle sue boutade e alle sue falsificazioni, incapaci di sottrarsene). Quel periodo di attenzione – a cui ha concorso anche la maggiore richiesta di informazione nel primo periodo della pandemia – è stato sfruttato dalle aziende giornalistiche spingendo i nuovi modelli di abbonamento, con confortanti crescite per diverse di loro.
Quel periodo si è però interrotto, o ha molto rallentato, negli scorsi due anni: c’entrano anche molto una “stanchezza” dei lettori di cui si è molto parlato, e una parziale saturazione del bacino di lettori disposti a pagare per informarsi. Ma il cambio di scenario politico non ha aiutato: tre anni di amministrazione Biden (e anche di allontanamento di Trump da Twitter) hanno “calmato” molto il dibattito politico e pubblico, e disarmato i giornali e le tv. Che quindi – anche quelli più anti trumpiani – investivano e investono molto in questo 2024 di campagna presidenziale col ritorno di Trump e tutto quello che implica. Il problema è che questo 2024 – di fatto senza competizione dal lato delle primarie Democratiche – sembra già avere sgonfiato le curiosità e le attese sul lato Repubblicano: e rimandato le “speranze” a dopo l’estate e le convention, ma senza che il confronto con Biden si annunci già eccezionalmente vivace.
” Non era un segreto che l’ascesa di Trump, pur con i suoi attacchi contro i giornali e le accuse dei giornali per le sue minacce alla democrazia, avesse salvato i loro abbonamenti e affari pubblicitari. Come disse il presidente di CBS Les Moonves agli investitori nel febbraio 2016, «Non farà bene all’America, ma farà benissimo a CBS».
I dirigenti dei media stanno cominciando a fare i conti con il fatto che la campagna del 2024 non porterà un “Trump bump” che salvi i bilanci pubblicitari o recuperi lettori, ascoltatori e spettatori. In un incontro pubblico a Davos la settimana scorsa, il nuovo CEO del Washington Post Will Lewis ha spiegato che il quotidiano, che ebbe un boom durante la prima era Trump, dovrà cercare altrove i suoi abbonati”.
Fine di questo prologo.
domenica 21 Gennaio 2024
Ancora una volta l’autore e disegnatore di fumetti Zerocalcare ha contestato il virgolettato usato per titolare una sua intervista su Repubblica (con un cui articolo c’era stata una recente polemica): ancora una volta provando a mettere in discussione una consuetudine di virgolettati inventati che sui quotidiani è quotidiana.
domenica 21 Gennaio 2024
C’è stata una polemica intorno all’annuncio dei risultati delle primarie Repubblicane in Iowa, la cui vittoria è stata attribuita dalle televisioni a Donald Trump quando ancora in alcuni caucus le persone stavano aspettando di votare. Tutto perché la società incaricata degli “entrance poll” – ovvero i sondaggi all’ingresso dei seggi sulla base dei quali sono state fatte le stime ed elaborazioni del voto fornite alle televisioni – ha ritenuto di avere dei dati certi quando appunto non si erano ancora concluse le scelte in ogni seggio, e di darne informazione alle tv. Le quali a quel punto hanno comunicato i risultati, anche per non essere superate da nessuna delle concorrenti. L’effetto è stato di togliere spettacolarmente valore al voto di molti elettori che erano ancora in attesa di votare: la società di sondaggi si è difesa dalle accuse (provenienti soprattutto dai dirigenti del partito Repubblicano) sostenendo che, se si fosse comportata diversamente, avrebbe potuto invece essere accusata di nascondere delle informazioni al pubblico.
domenica 21 Gennaio 2024
Un articolo del New York Times ha elencato le difficoltà di tre grandi e illustri testate statunitensi che a un certo punto erano sembrate avere delle prospettive migliori grazie ai grandi investimenti ricevuti dai loro nuovi proprietari, miliardari con ricchezze acquisite in altri settori: il Washington Post, il Los Angeles Times e Time. L’articolo, e il suo titolo, ne concludono che questa condizione non sia sufficiente a ricostruire una sostenibilità delle aziende giornalistiche, ma nella seconda parte è costretto a ricordare che ci sono invece anche casi positivi: quello dell’ Atlantic acquistato da Laurene Powell (vedova di Steve Jobs) e quello del Boston Globe acquistato dal businessman John W. Henry, proprietario della squadra di baseball dei Red Sox e di quella di calcio del Liverpool.
domenica 21 Gennaio 2024
Charlie aveva segnalato due mesi fa la nuova sezione settimanale del Fatto dedicata alla moda, alludendo alle possibili opportunità di ricavi pubblicitari per i giornali che si occupano di quel settore. Come raccontano spesso gli esempi citati da Charlie, è una copertura che sui quotidiani maggiori ha una modesta quota di giornalismo convenzionale al servizio di chi legge e una grande quota di attività promozionale a favore dei brand, proprio in ragione delle dipendenze dalle loro inserzioni a pagamento. Il Fatto invece si sta muovendo per ora con apparente indipendenza, e sabato si è spinto a criticare una contraddizione nella comunicazione nientemeno che del brand Dolce e Gabbana, che è uno dei più grossi investitori pubblicitari del settore e che ha dato spesso in passato esempi di insofferenza nei confronti delle critiche.
(Aggiungiamo qui: sabato lo youtuber Alessandro Masala, autore del progetto di informazione Breaking Italy, aveva messo online la puntata del suo “talk show” in un teatro di Milano che aveva avuto come protagonista il direttore del Fatto Marco Travaglio).
domenica 21 Gennaio 2024
Mercoledì un articolo nelle pagine di economia su Repubblica ha presentato con le parole e le comunicazioni dell’azienda la nuova banca “Mediobanca Premier”: giovedì il giornale ha ospitato un’inserzione pagata da “Mediobanca Premier”. Sia Repubblica che il Corriere della Sera hanno promosso con articoli l’apertura di un negozio “Rolex e Rocca” a Milano: la stessa apertura era stata pubblicizzata con pagine a pagamento su entrambi i quotidiani nei giorni precedenti.
domenica 21 Gennaio 2024
Questa settimana ha chiuso Artifact, un’app ” aggregatore ” di news: uno dei molti progetti nati negli anni passati per offrire agli utenti una selezione di articoli provenienti da varie testate, immaginando che la ricchezza e invadenza dell’offerta contemporanea di news creino un desiderio e una domanda di selezione personalizzata. Ma come ha scritto la newsletter The Rebooting di Brian Morrissey (ex direttore del sito di media e pubblicità Digiday), nessuno di questi progetti finora è riuscito a creare una sostenibilità economica: secondo Morrissey è un’utile lezione per capire che non necessariamente l’esistenza di una domanda implica l’esistenza di una disponibilità a pagare, per soddisfare quella domanda, quanto serve a tenere in vita l’operazione.
domenica 21 Gennaio 2024
Le critiche più frequenti che vengono fatte ai giornali italiani dai lettori (o anche dai non lettori) implicano quasi sempre una responsabilità di tutti i giornalisti che lavorano nelle redazioni di quei giornali. In realtà molte di quelle critiche sono condivise da molti degli stessi giornalisti: alcuni di loro sono semplicemente irresponsabili delle scelte di chi ha i ruoli di potere nelle redazioni, mentre altri si adeguano a quelle scelte o ai canoni del giornalismo italiano tenendo per le conversazioni private il loro dissenso. Ogni tanto vengono invece pubblicate rare eccezioni di espressioni di critica rispetto agli approcci consueti: di solito questa critica è indiretta, e leggiamo su un giornale un articolo di commento contro scelte che di fatto sono quelle compiute in tutte le pagine circostanti, con effetti spiazzanti. Ma le allusioni sono altre volte più palesi, e venerdì Ernesto Assante – storico giornalista di Repubblica che si occupa soprattutto di musica – ha scritto sul suo giornale una critica che contesta di fatto tutto un quotidiano modo di trattare quello che avviene “sul web” da parte del suo e di altri giornali (con una scelta di titolazione piuttosto fuorviante).
“Di che parliamo, dunque, quando citiamo con estrema, troppa, leggerezza “il popolo del web”, o “la protesta social”, o il “bullismo digitale”? Di qualche decina di migliaia di persone, quando il ‘caso’ diventa davvero social. Spesso molti di meno. Ma anche se si trattasse di un milione di utenti singoli e attivi di Facebook su 29 milioni, tanto per fare un esempio, sarebbe un ventinovesimo degli utenti del social network. Una cifra che, sempre in termini giornalistici, andrebbe definita come ‘largamente minoritaria’. A dargli rilevanza con frasi del genere “il web in rivolta”, o “la protesta social” siamo noi, i giornalisti, che invece di derubricare molte di queste ‘rivolte’ o ‘proteste’ come ‘non notizie’, siamo i primi a dargli spazio, visibilità, amplificazione. Il ‘popolo del web’ esiste solo nelle redazioni dei giornali, delle radio, delle televisioni, che danno peso alle idiozie di gruppi di esaltati, fanatici, repressi, che usano i social network per aggredire, insultare, attaccare gli altri. Una pallida minoranza, estremamente fastidiosa, molto rumorosa, certamente molto pericolosa, ma che come tale andrebbe trattata. Così come gli ultras allo stadio non rappresentano i milioni di persone che seguono pacificamente e allegramente il calcio, allo stesso modo chi utilizza le tastiere dei propri personal media come strumento per insultare gli altri non rappresenta alcun “popolo del web”, non è la maggioranza. La maggioranza, la stragrande maggioranza, quella che usa i social come strumento di comunicazione, come forma di contatto con amici, parenti, colleghi, o anche semplicemente con persone sconosciute con le quali condivide passioni o manie, sfortunatamente non conta, non fa notizia, non è “il popolo del web” per i giornali o il mondo dell’informazione”.
domenica 21 Gennaio 2024
Non abbiamo più aggiornato sulle tormentate vicende del Daily Telegraph, uno dei più importanti quotidiani britannici, solo perché non ci sono stati sviluppi. Si è ancora in attesa delle valutazioni del governo e delle istituzioni interessate sull’ipotesi di acquisto da parte di un fondo arabo, che in molti – compresa la redazione – considerano pericolosa per la libertà di informazione e per l’ingerenza possibile nel dibattito pubblico del paese. Il sito PressGazette ha un lungo riepilogo di tutto quello che è successo finora.
domenica 21 Gennaio 2024
Anche quest’anno il sito Valigia Blu ha chiuso la campagna di raccolta donazioni raggiungendo e superando il suo obiettivo di raccolta di contributi da parte dei lettori (60mila euro): 2074 persone hanno partecipato a una raccolta di oltre 66mila euro. Valigia Blu è un sito di news nato come emanazione del Festival del Giornalismo di Perugia, ma che da anni si è preso uno spazio e una visibilità online raccogliendo apprezzamenti legati soprattutto al lavoro di verifica e “debunking” delle notizie false, alle riflessioni sull’informazione e al “giornalismo esplicativo”. Si sostiene con i contributi dei lettori, promuovendo ogni anno campagne puntuali di contributo e raccogliendo poi donazioni durante tutto l’anno.
Nei giorni scorsi il sito aveva pubblicato una riflessione e guida a come i giornali dovrebbero affrontare le notizie che parlano di suicidi (dello stesso tema, tornato attuale questa settimana, aveva scritto a suo tempo anche il Post).
domenica 21 Gennaio 2024
Mercoledì la società SEIF (Società Editoriale Il Fatto), che possiede il giornale cartaceo e il sito del Fatto Quotidiano, ha presentato un progetto chiamato “Community Web 3”: che appare un modo sia per incentivare i lettori a una maggiore partecipazione e registrazione alle attività del Fatto Quotidiano, sia per diversificare i ricavi del giornale.
Alla base della partecipazione e dell’assegnazione di diversi “status” ci sono dei “crediti” che si possono acquistare – 1 credito vale 1 euro – o guadagnare con alcune attività: per esempio la condivisione degli articoli sui social, la registrazione al sito, la firma di petizioni. Luca D’Aprile, che si occupa di innovazione per SEIF, ha detto a Charlie che il progetto «nasce per fidelizzare al meglio la nostra community. Abbiamo una community molto forte che però può essere ancora più valorizzata: l’idea è di rendere sempre più bidirezionale il nostro rapporto con i lettori, favorendo la loro partecipazione attiva alle iniziative che avvieremo. Su questa nuova piattaforma è già possibile prenotarsi per partecipare come pubblico alle nostre trasmissioni televisive, ai backstage, alle anteprime dei documentari, proporre petizioni, scrivere su una sezione del sito dedicata: vogliamo sempre più mettere la comunità al centro».
Il progetto “Community Web 3” è realizzato con l’appoggio tecnologico di alcune società esterne al Fatto Quotidiano, come la società digitale di servizi bancari e finanziari Tinaba (il cui presidente è Matteo Arpe, finanziere da anni interessato alle imprese giornalistiche: fu editore del sito Lettera43 e di Rivista Studio ) e due società che si occupano di blockchain: Mangrovia Blockchain Solutions e Knobs. D’Aprile ha spiegato che: «È un progetto che abbiamo costruito a tavolino e a cui stiamo lavorando da oltre un anno, perché dietro c’è anche un contenuto tecnologico non banale, imperniato sulla blockchain, per quanto totalmente scollegata da meccanismi crypto e speculativi. Infatti, i crediti che attribuiamo ai nostri utenti non sono scambiabili e non possono perdere o acquisire valore, a questo aspetto teniamo tantissimo, sono semplicemente un mezzo per partecipare da protagonisti alla vita della community. E al di là delle prime esperienze, già presenti in piattaforma, si moltiplicheranno le attività che offriremo agli utenti e che loro stessi potranno proporre a noi».
Il progetto rientra dentro gli approcci di ” gamification ” di diverse attività in cerca di nuovi modelli di business, ma aggiorna anche una tradizione più antica di “club” di lettori. Anche se, dice D’Aprile, per l’aspetto dei ricavi «è veramente difficile fare previsioni oggi, perché quando sei il primo a farlo non c’è uno storico, non solo al nostro interno ma in generale nel panorama editoriale italiano, e probabilmente anche europeo, per quello che abbiamo visto. Però, certamente, l’aspettativa è quella di avere anche nuovi lettori, allargare la community e, come conseguenza, generare dei ricavi aggiuntivi».
domenica 21 Gennaio 2024
Il Post ha raccontato più estesamente le critiche recenti nei confronti della piattaforma di newsletter Substack, che negli ultimi anni ha creato le opportunità per moltissimi nuovi progetti di informazione, alcuni di grande successo.
“Substack è una piattaforma fondata nel 2017 che permette a qualsiasi azienda o singolo autore di creare una newsletter e chiedere soldi ai lettori per finanziarla su base mensile o annuale, trattenendo il 10 per cento delle entrate. I giornalisti che hanno smesso di usarla lo hanno fatto tutti per lo stesso motivo: a dicembre un articolo dell’Atlantic ha mostrato che su Substack ci sono decine di newsletter neonaziste, o che incitano all’odio in un modo o nell’altro, anche con molti lettori e iscritti paganti.
Secondo una recente analisi alcuni personaggi di estrema destra guadagnano anche centinaia di migliaia di dollari l’anno grazie alle proprie newsletter sulla piattaforma. Poco meno di 250 persone che pubblicano la propria newsletter su Substack hanno scritto una lettera all’azienda per chiederle di chiarire la propria posizione sul tema: molti, tra cui Broderick e Newton, hanno trovato insoddisfacente la risposta ricevuta”.
domenica 21 Gennaio 2024
In coda a ogni articolo dedicato a indagini, accuse, arresti, i l sito di news della provincia di Viterbo Tusciaweb pubblica un testo di poche righe che ricorda ai lettori il principio della presunzione di innocenza:
«Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della Costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”».
L’idea è del direttore di Tusciaweb Carlo Galeotti, giornalista di 65 anni originario di Viterbo. Galeotti ha detto a Charlie che: «abbiamo introdotto questa pratica credo cinque anni fa, e siamo stati i primi in Italia. Lo facciamo per una questione di garantismo: all’inizio nella redazione c’è stata qualche resistenza, perché non era una consuetudine che esisteva in altri giornali, ma volevo ricordare ogni volta ai lettori quello che viene detto nella Costituzione, cioè che fino al terzo grado di giudizio si è innocenti. La mettiamo in ogni articolo in cui c’è qualche indagato con nome e cognome. I diritti di ciascun cittadino sono i diritti di tutti».
Galeotti ha fondato Tusciaweb nel 2003: «ho lavorato sempre in giornali popolari locali: sono diventato pubblicista in un piccolo settimanale gratuito chiamato Sottovoce che faceva soprattutto informazione politica, e giornalista professionista lavorando al Corriere di Viterbo. Poi per motivi personali mi spostai a Varese dove cominciai a interessarmi al web e dove, insieme ad altre persone, fondammo VareseNews, che esiste ancora oggi, è tra i principali giornali online locali d’Italia ed è diretto dal mio compagno di liceo Marco Giovannelli. Poi tornai di nuovo a Viterbo dove fondai Tusciaweb: arriviamo anche in parte dell’Umbria, a Roma, Civitavecchia, Grosseto. Aggiungiamo una cronaca nazionale e internazionale che non può competere ovviamente con quella, per esempio, di Repubblica, ma raccontiamo le notizie essenziali che potrebbero essere utili al lettore. Non siamo registrati ad Audiweb, ma i dati di Google Analytics dicono che raggiungiamo circa 100 mila visitatori unici giornalieri, e in un mese oltre 500 mila. Ci sosteniamo interamente attraverso la pubblicità di Google Adsense e quella che riusciamo a trovare noi, attraverso accordi con le aziende del territorio e nazionali. Il modo in cui abbiamo organizzato graficamente il sito in questi anni è diventato però un problema: vorremmo rinnovare il layout e renderlo responsive ma non riusciamo a trovare l’impaginazione giusta. Ci stiamo lavorando da un po’ di tempo ma è un grosso problema che mi sta sfibrando».
La redazione di Tusciaweb, oltre che dal direttore Galeotti, è composta da due giornalisti assunti, una persona per la parte amministrativa e una decina di collaboratori retribuiti. «Da diversi mesi stiamo anche cercando di sperimentare l’Intelligenza Artificiale: per esempio, prendiamo una delibera di un comune per farla riassumere dall’AI, poi l’articolo viene controllato da un nostro giornalista che decide se pubblicarlo».
domenica 21 Gennaio 2024
La storia dei contributi pubblici ai giornali Charlie ha cominciato a raccontarla da subito e ci siamo tornati spesso. Questo è un riassunto di come nel 2020 avevamo spiegato gli sviluppi fino ad allora:
“[Nel 2018] fa l’allora sottosegretario Crimi sostenne e ottenne l’abolizione della legge che regola i suddetti contributi, all’interno di un generale atteggiamento repressivo del M5S nei confronti dei giornali, che aveva reso la scelta del taglio non limpidissima. La nuova legge prevedeva che i contributi sarebbero stati progressivamente diminuiti fino ad estinguersi nel 2022. Due decreti sostenuti dal successivo governo hanno poi sospeso quell’intervento e differito le scadenze: ma dal 2021 la riduzione avrebbe dovuto iniziare. Invece nel decreto “Ristori” [fu] inserita una nuova proroga che garantisce la totalità dei contributi fino al 2022 (ovvero la quota relativa all’anno 2021).
[…] In questo contesto nei giorni scorsi ci sono state trattative e baratti che hanno permesso al sottosegretario Martella di ottenere la nuova proroga dei contributi integrali ma solo di due anni, con il M5S che non ha voluto consentire prolungamenti maggiori”.
Adesso siamo di nuovo arrivati a una scadenza di quel differimento, e alcuni parlamentari della maggioranza hanno presentato degli emendamenti al cosiddetto “decreto milleproroghe” per rinnovare quella proroga fino al 2027, ovvero per rinviare l’applicazione della legge e mantenere ancora i contributi e la loro applicazione. Nei giorni scorsi il differimento era stato chiesto sul Manifesto, uno dei quotidiani beneficiari dei contributi (solitamente gli altri preferiscono non parlarne, considerata l’impopolarità dei contributi stessi e dei loro criteri di erogazione). È immaginabile che, considerati i precedenti, il governo deciderà in questo senso.
domenica 21 Gennaio 2024
Anche in Italia, fatte le dovute proporzioni, non esisterà più una testata periodica “storica”: l’editore Cairo ha annunciato la chiusura di Airone , mensile di ambiente, viaggi e natura creato nel 1981 dal giornalista e appassionato naturalista Egidio Gavazzi avendo come modello la celebre rivista americana National Geographic. Tutta l’azienda che pubblicava Airone e altre riviste – che si chiamava Giorgio Mondadori – fu acquisita nel 1999 dalla Cairo Communication (che oggi è il gruppo che pubblica tra le altre cose il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport, oltre a possedere la tv La7 ) e negli anni successivi di crisi per i periodici Airone fu profondamente trasformato, diventando tutt’altro.
Insieme ad Airone sarà chiuso anche Bell’Europa, mensile che nacque dopo il successo di Bell’Italia , a sua volta creata da Giorgio Mondadori nel 1986. E anche In viaggio , Antiquariato e For Men. L’editore Urbano Cairo ha precisato che non ci saranno licenziamenti, e ha risposto così alle preoccupazioni del Comitato di redazione:
“La situazione di mercato dei periodici ed in particolare dei mensili è nota. Il calo delle vendite, la forte contrazione del mercato pubblicitario del settore e l’incremento dei costi hanno inciso sul risultato delle cinque testate che hanno perduto oltre 15 milioni negli ultimi dieci anni e non hanno avuto complessivamente margini positivi dal 2009.
Gli interventi fatti per svilupparle e per ridurre i costi non sono stati sufficienti. Cairo Editore finora non ha mai, unica azienda del settore, fatto ricorso a interventi di riduzione del perimetro delle testate.
Purtroppo la situazione non è più sostenibile e a malincuore siamo stati costretti a sospendere le pubblicazioni dei cinque mensili, per focalizzare l’attività sulle altre testate aziendali.
Confidiamo che, con il contributo di tutti, questo momento potrà essere superato, con l’auspicio di ricollocare tutto il personale interessato utilizzando i prepensionamenti”.
domenica 21 Gennaio 2024
Tra le varie notizie esemplari delle crisi delle aziende giornalistiche americane che arrivano ogni settimana, quella più grossa degli ultimi giorni è stata il licenziamento di gran parte dei giornalisti e dipendenti di Sports Illustrated, rivista di sport tra le più importanti nel mercato e nella cultura popolare del Novecento statunitense.
Sports Illustrated è in crisi da diversi anni: il suo editore originale, ovvero il grande gruppo che pubblicava il settimanale Time, era stato acquistato nel 2017 da una società che aveva venduto SI a un’altra azienda, interessata a sfruttare il suo brand, la quale a sua volta aveva affidato la pubblicazione della rivista a un gruppo editoriale minore, Arena Group. Nel frattempo Sports Illustrated, che era stata dagli anni Cinquanta la rivista di riferimento per gli appassionati di sport e di fotografia sportiva, aveva subito le crisi dei periodici ed era stata ridimensionata da settimanale a mensile.
Nelle scorse settimane Arena Group – a sua volta in grosse difficoltà – non aveva pagato la sua licenza di pubblicazione alla società proprietaria, che gliel’ha quindi revocata. Da qui l’annuncio dei licenziamenti, e una vaga promessa di continuare a far vivere il giornale online cercando nuovi investitori.
domenica 21 Gennaio 2024
Un anno e mezzo fa il New York Times pubblicò una spiegazione su come il giornale sceglie i protagonisti dei suoi “obituaries”, i necrologi che raccontano le biografie di persone morte di recente. L’articolo era interessante perché rispondeva anche più in generale alla domanda su come i giornali scelgono di quali notizie occuparsi, sulla quale i lettori spesso immaginano criteri assoluti e universali quando sono invece in gran parte arbitrari e frutto di sensibilità e valutazioni le più varie, e di cui i giornali si prendono responsabilità e titolo. E molti giornali – altri no – lo fanno in nome di quello che i fatti sembrano raccontare, e non per dare loro un valore a scapito di altri. Quello che dice il New York Times (basta sostituire le persone con i fatti nel testo) è che la scelta è una scelta professionale che un’azienda fa rispetto al tipo di prodotto che vuole offrire ai suoi clienti e a quello che decide sia il senso del proprio lavoro, come avviene in altri settori.
“Indaghiamo, studiamo e chiediamo in giro prima di decidere. A qualcuno può sembrare un processo supponente: chi ha dato a un gruppo di giornalisti il titolo di individuare chi meriti di essere ricordato, questo sì, questo sì, questo no?
La risposta è che non ce lo ha dato nessuno, perché non è sui meriti che decidiamo. Non diamo giudizi, né morali né di altro tipo, sul valore delle persone. Quello che cerchiamo di valutare invece è il valore delle notizie, che è tutta un’altra materia. Su cui non ci sono formule, sistemi di misurazione o caselle da spuntare. Bisogna ricordare che il nostro obiettivo non è rendere onore ai morti, lavoro che lasciamo agli elogi funebri. Noi cerchiamo solo di dare notizia delle morti e di riassumere le vite, mostrando perché – a nostro giudizio – quelle vite siano state significative. La spiegazione dell’articolo è nella storia che racconta”.
Fine di questo prologo.
domenica 14 Gennaio 2024
Alla vigilia di Natale il Post aveva pubblicato un “editoriale” di consuntivo sulla sua quattordicesima fine d’anno.
“Ma la crescita degli abbonamenti non è solo una crescita delle garanzie di risorse economiche, per quanto indispensabili: è anzi soprattutto, per il Post e per i suoi abbonati, una crescita di forza e di consenso intorno a un progetto di informazione diverso e a un tentativo di cambiare un po’ in meglio le cose. Il fatto che ogni giorno, e ogni anno, siamo più numerosi e numerose a condividerlo e a lavorarci, è il successo maggiore di cui congratularsi, in tempi in cui i progetti collettivi sembrano sempre più infrequenti e difficili da costruire”.
domenica 14 Gennaio 2024
La storia principale tra le grandi testate giornalistiche americane nel 2023 è stata la crisi del Washington Post: crisi di mancata crescita, con licenziamenti e nuovi ruoli dirigenziali, e agitazioni all’interno della redazione. Uno sviluppo piccolo ma che ha complicato le cose e offerto una pessima impressione della gestione della crisi, alla vigilia di Natale, è stata una lettera di saluto, ricevuta da alcuni dipendenti che avevano accettato degli incentivi all’uscita, in cui si proponeva loro di passare dal negozio del giornale per comprare dei ricordi prima di lasciare la sede.
“Before your last day at The Post, make sure you stop by The Post Store to take advantage of special employee pricing on products, including alumni gear. You will not be able to access discounted rates after your last day at The Post”.
domenica 14 Gennaio 2024
Il Corriere della Sera ha dedicato al suo proprietario, Urbano Cairo, tre articoli martedì, giovedì e venerdì.
(nei giorni prima di Natale il sito di media e pubblicità Prima Comunicazione aveva intanto riferito che Cairo avesse confermato nel suo ruolo il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, smentendo così di nuovo le cicliche e ormai decennali voci sulla sua sostituzione – che ancora una volta indicavano il giornalista Aldo Cazzullo come suo successore – che erano state molto intense e riprese nelle settimane precedenti)
domenica 14 Gennaio 2024
Alla fine di dicembre l’Agcom (che si chiama “Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” ed è un’istituzione pubblica che si occupa di controllo delle regolarità di mercato e giuridiche nel settore dell’informazione e delle comunicazioni) ha pubblicato il suo ricco rapporto trimestrale sul settore stesso con diversi consuntivi sui primi nove mesi del 2023. Per quello che interessa a questa newsletter (dal punto 2.7) il rapporto utilizza i dati ADS che sono quelli abitualmente citati da Charlie, e dice tra l’altro che:
– dal 2019 le vendite dei quotidiani sono calate di un terzo;
– c’è stato in quattro anni un esiguo aumento delle copie digitali (+17%), che oggi costituiscono un settimo del totale;
– le perdite percentuali maggiori tra i quotidiani “generalisti” (non sportivi o economici) riguardano le cinque testate maggiori (Avvenire, Corriere della sera, Messaggero, Repubblica, Stampa)
– queste ultime hanno aumentato gli abbonamenti digitali del 22,4% in quattro anni e del 4,6% nell’ultimo anno (probabilmente grazie soprattutto alle grandi politiche di sconti, ndr);
– le perdite di copie più gravi quest’anno sono quelle del gruppo GEDI, editore di Stampa e Repubblica e di alcuni quotidiani locali (-11,8%), e poi di Monrif, editore del Giorno, della Nazione e del Resto del Carlino (-11,7%);
– rispetto al totale più ristretto delle copie vendute, il Corriere della sera è quello che ha aumentato più sensibilmente la propria quota (+2,91% dal 2019), Sole 24 Ore e Repubblica quelli che l’hanno più diminuita (-8,95 e -2,52%).
domenica 14 Gennaio 2024
Il giornale online IrpiMedia ha pubblicato una lunga rassegna di esperienze e racconti di difficoltà professionali e retributive dei giornalisti italiani.
“Dall’indagine realizzata da IrpiMedia attraverso un questionario anonimo distribuito a 558 giornalisti, i compensi troppo bassi sono considerati il fattore più impattante sul benessere psicologico della categoria: l’85% dei rispondenti dichiara che i bassi compensi incidono «abbastanza» o «molto» sulla propria salute mentale. La percentuale varia in base al genere, al tipo di giornalista, ma soprattutto per fascia d’età: è ancora più alta nelle donne (88%), tra i giornalisti freelance, i filmaker e fotogiornalisti (89%) e tra gli under 35 (91%, contro il 46% degli over 65).
domenica 14 Gennaio 2024
Sul piccolo tema degli articoli determinativi da usare quando si citano le testate straniere negli articoli italiani, un caso dei giorni scorsi suggerisce un’aggiunta: Bunte è un settimanale tedesco (non un quotidiano, come spesso si scrive qui) di gossip e cronache “rosa”, di proprietà del grande gruppo editoriale Burda. La parola “bunt” è un aggettivo e in tedesco vuol dire colorato, variopinto; “bunte” può essere il suo femminile o il suo plurale, ma i tedeschi chiamano il giornale “die Bunte”, e la consuetudine è che da noi si dica quindi “la Bunte”, come si fa con “la Bild” o “la Zeit”.
domenica 14 Gennaio 2024
Sul quotidiano Repubblica c’è stato un sensibile incidente giornalistico lo scorso 19 dicembre, generato da una quasi omonimia che ha portato il giornale a pubblicare un articolo di accuse contro un’addetta consolare russa a Palermo: lo sbaglio è stato severamente contestato dall’ambasciatore russo in Italia, al quale ha risposto l’autore dell’articolo con argomenti piuttosto particolari (e commentati anche nell’articolo del Manifesto già citato in questa newsletter: « l’incredibile caso di sostituzione di persona reso pubblico ieri da Repubblica, laddove abbiamo appreso che il silenzio assenso è uno strumento dell’inchiesta giornalistica»).
” Prendo atto dell’omonimia e del disguido, che poteva essere evitato se solo l’ambasciata di Russia avesse risposto entro le 48 ore indicate, come è stato chiesto nella email che ho inviato nella richiesta in cui si riportavano domande precise con il relativo nome di Anastasia Vladimirova Shapoval, segnalata pure come giudice del tribunale della città di Feodosia. Tutto è stato fatto secondo i liberi canoni giornalistici, peccato che non abbiate risposto, perché in questo modo avete contribuito ad indurci in errore”.
L’articolo con le informazioni successivamente smentite è tuttora online, e né la lettera di smentita né la risposta sono state pubblicate sul sito di Repubblica.
domenica 14 Gennaio 2024
Il Mattino, quotidiano con sede a Napoli, ha aumentato di molto i visitatori al proprio sito: a novembre 2023 sono stati 825mila, quasi il doppio rispetto a un anno prima (416mila) e in crescita anche rispetto al mese precedente (erano stati 537mila). Il caposervizio e responsabile della redazione internet del Mattino dal 2017 è Alessio Fanuzzi, che ha detto a Charlie che la crescita dei visitatori «molto spesso non riusciamo a spiegarcela. Noi proviamo a lavorare sempre nello stesso modo, qualche volta riusciamo meglio qualche volta peggio, però l’impostazione del lavoro è sempre la stessa. Magari in un anno possiamo apportare migliorie ma non di mese in mese, quindi la crescita è complessa da spiegare, anche perché è un’altalena. Per esempio, dopo la crescita di novembre, a dicembre sappiamo già di aver perso un po’ di traffico, ma a gennaio siamo partiti ancora meglio di novembre. Questo è un mese tradizionalmente positivo per il Mattino perché la notte di capodanno a Napoli è sempre molto movimentata (quest’anno purtroppo c’è stato anche un morto). Noi abbiamo raccontato la notte in tempo reale, compresi i fatti di cronaca più grossi, ed è un lavoro che in genere premia: tra il 3 e il 4 gennaio siamo stati il quinto sito di news italiano perché la notizia di cronaca è quella che più interessa al nostro lettore abituale. Siamo un sito nazionale ma con un fortissimo radicamento sul territorio campano, e novembre non ha avuto grosse notizie o fatti di cronaca che incidono sul risultato del mese. Abbiamo fatto grandi risultati andando a raccontare anche cose che arrivavano da fuori Italia, riprendendo storie particolari da Reddit o dal Daily Mail, traducendole e riportandole sul sito. Per esempio, la notizia “ Suocera gelosa installa una telecamera nella stanza della nuora e del figlio e condivide il video: tradita dai commenti dei vicini di casa ” è stata tradotta e riportata e ha raggiunto un milione e mezzo di visitatori unici; la notizia “ Farmaci per il raffreddore, allarme in Francia: «Rischio ictus e infarti». Ecco quali sono ” è stata vista da quasi 2 milioni di visitatori unici».
«La crescita di novembre poi può essere dovuta anche al fatto che stiamo raccogliendo i frutti di un percorso iniziato un po’ di tempo fa nel cercare di sviluppare in maniera diversa le notizie e lavorare più in chiave Seo: la redazione digitale però è sempre la stessa, non ci sono stati nuovi investimenti. Un fattore su cui abbiamo scarso controllo invece è Google Discover, che può fare la differenza per la crescita dei visitatori, mentre novembre è stato un mese buono per le AMP». AMP è un sistema che carica più velocemente versioni più “leggere” delle pagine web sugli smartphone, sviluppato da Google.
domenica 14 Gennaio 2024
La società di rilevazione Audicom ha pubblicato i dati di traffico sui siti web a novembre. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).
In cima alla classifica, per il secondo mese consecutivo, il sito del Corriere della Sera supera quello di Repubblica (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto: questi sorpassi possono non avere a che fare con i singoli siti delle due testate). Mentre continuano a essere molto variabili i dati di Fanpage. La variazione più vistosa, in positivo, riguarda il Mattino, della quale scriviamo sotto.
Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito MyMovies, seguito da Ticonsiglio; i numeri del sito del Corriere comprendono anche quelli di IoDonna e di Oggi), come abbiamo spiegato altre volte.
(la tabella si ingrandisce cliccandoci)
domenica 14 Gennaio 2024
Si è dimesso il direttore del Los Angeles Times, Kevin Merida. Il Los Angeles Times è il più grande e importante tra i “quotidiani locali” statunitensi (sono considerati nazionali, ricordiamo, solo il New York Times, il Wall Street Journal, il Washington Post e USA Today) e Merida ne aveva preso la direzione solo due anni e mezzo fa: secondo molte interpretazioni la ragione sarebbe il rapporto con l’editore Patrick Soon-Shiong (miliardario dalla storia unica, ne avevamo scritto allora), insoddisfatto dell’incapacità di Merida di attenuare i grossi problemi economici del giornale, che nel 2023 aveva licenziato decine di giornalisti e aveva molto subito il calo di investimenti pubblicitari provenienti dall’industria cinematografica, per via dello sciopero di Hollywood.
Nei mesi scorsi di Merida era anche stata molto contestata – secondo il New York Times anche dallo stesso editore – la decisione di vietare di fatto ai giornalisti che se ne occupano di prendere posizioni sulla guerra a Gaza.
domenica 14 Gennaio 2024
Il Reuters Institute (un’istituzione dell’università di Oxford per lo studio del giornalismo) ha pubblicato il suo tradizionale rapporto di previsioni sulle prospettive del giornalismo per l’anno che è iniziato, aggregando i pareri e le risposte di molti giornalisti e dirigenti assieme alle proprie valutazioni. Il documento è molto ricco, si può leggere qui.
“Just half (47%) of our sample of editors, CEOs, and digital executives say they are confident about the prospects for journalism in the year ahead, with around one-tenth (12%) expressing low confidence. Stated concerns relate to rising costs, declining advertising revenue, and a slowing in subscription growth – as well as increasing legal and physical harassment. Reasons to be cheerful include the hope that closely fought elections in the US and elsewhere could boost consumption and interest, albeit temporarily and with the potential for further damage to trust”.
domenica 14 Gennaio 2024
Anche in relazione a queste palesi e quotidiane commistioni Francesco Costa ha parlato giovedì nel podcast Morning della parzialità interessata e colpevole con cui alcuni quotidiani hanno riferito questa settimana delle ” nuove regole ” indicate dall’Agcom per il lavoro degli influencer. Non soltanto, come ha spiegato Costa (dopo il minuto 12.40 qui, per gli abbonati al Post), quasi tutte queste regole sono quotidianamente violate dalle stesse testate giornalistiche a cui l’Agcom vuole omologare gli influencer, ma è anche utile conoscere cosa ci sia in ballo nella copertura di questo argomento: gli influencer sono stati – piaccia o no – la maggiore novità nel mercato pubblicitario degli ultimi anni, facendo una forte concorrenza ai giornali e indebolendo la loro capacità di attrarre investimenti da parte degli inserzionisti. Di conseguenza va un po’ presa con le pinze la narrazione sulla “crisi degli influencer” e sul ritorno degli inserzionisti verso le più affidabili testate tradizionali: potrà forse prendere fondamento, ma a raccontarla così è anche uno spin interessato.
domenica 14 Gennaio 2024
Nei giorni scorsi c’è stato un tradizionale evento commerciale del business della moda a Firenze, seguito dall’inizio delle sfilate maschili a Milano, e questo ha creato – come sempre avviene – casi più frequenti di sovrapposizione tra lavoro giornalistico e pubblicità nei tre maggiori quotidiani nazionali, destinatari della quota principale degli investimenti pubblicitari. Per esempio il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo sul brand Ciesse Piumini il giorno prima di ospitare una pubblicità di Ciesse Piumini; e ancora il Corriere ha dedicato un articolo a una mostra milanese del brand Kiton, mostra promossa da una pubblicità poche pagine dopo. Sia il Corriere della Sera che Repubblica hanno accolto costose inserzioni pubblicitarie del brand Gucci, alla cui sfilata hanno dato ampia copertura l’indomani. E il Sole 24 Ore ha scritto dei progetti del brand Corneliani il giorno dopo avere ospitato un’inserzione del brand Corneliani, e venerdì ha pubblicato sia una pagina a pagamento di Jacob Cohen che un articolo su Jacob Cohen.
Ma sempre il Corriere della Sera ha anche celebrato con un articolo nelle pagine dell’Economia i risultati di MSC il giorno dopo la pubblicazione di una pagina pubblicitaria pagata da MSC. Su Repubblica invece l’azienda IMA ha acquistato una pagina pubblicata mercoledì e lo stesso giorno il quotidiano ha intervistato con grande visibilità il suo amministratore delegato, tornando poi con un altro articolo sui successi dell’azienda, due giorni dopo.
Prima di Natale il Fatto aveva raccontato come il quotidiano sassarese La Nuova Sardegna (di proprietà di un gruppo di imprenditori che negli anni passati ha comprato diverse testate locali dal gruppo GEDI) avesse venduto dei contenuti giornalistici – pubblicati sul giornale – ad alcune amministrazioni pubbliche per diverse decine di migliaia di euro, senza informare i lettori della natura di quei contenuti. Il Fatto è tornato sabato sulla questione, criticando un intervento dell’Ordine dei giornalisti ritenuto troppo elusivo.
domenica 14 Gennaio 2024
C’è stato questa settimana un caso piuttosto esemplare di rappresentazione di uno sviluppo giudiziario in vistosa contraddizione con lo spirito della notizia e con la presunzione di innocenza. La notizia era che un’ipotesi di accusa nei confronti di una persona per un famoso delitto avvenuto a Roma trent’anni fa era stata accantonata dalla procura perché troppo fragile. Molte testate però hanno dato lo spazio e la visibilità maggiore all’accusa accantonata, comunicandone così una grande credibilità a dispetto delle conclusioni della procura. La questione è stata raccontata per esempio sul sito Professione Reporter:
“La proverbiale cautela dell’Ansa non c’è più. Almeno negli ultimi sviluppi del caso di via Poma, l’omicidio irrisolto di Simonetta Cesaroni, uccisa, a neanche 21 anni, il 7 agosto del 1990.
Venerdì 5 gennaio alle 22,37, la prestigiosa agenzia scrive: L’assassino di via Poma? E’ il figlio del portiere, Pietro Vanacore. Notizia clamorosa, dopo trentatré anni e mezzo di misteri, accuse, scagionamenti, depistaggi. A legger bene, però, nel sommario si dice: Informativa dei carabinieri ai Pm, ma la Procura ha già chiesto l’archiviazione. E il testo precisa che ad accusare Mario Vanacore “nero su bianco, sono i carabinieri in una corposa informativa consegnata nelle mani dei magistrati della Procura di Roma che, però, parlano di ‘ipotesi e suggestioni’ che ‘non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato’”. Per questo lo scorso 13 dicembre hanno chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto due anni fa in seguito ad un esposto della famiglia di Simonetta.
Nulla di fatto, si direbbe: i carabinieri ipotizzano, i magistrati non ritengono di battere oltre la pista. Oltre venti giorni dopo l’archiviazione, si dà notizia dell’informativa dei carabinieri”.
Usando la stessa inversione che ha privilegiato la notizia a effetto, e il sospetto, hanno titolato anche diverse altre testate.
domenica 14 Gennaio 2024
Nelle settimane in cui Charlie si era presa una vacanza si è sviluppata su alcuni quotidiani (soprattutto su Repubblica e sul Fatto) una campagna molto critica nei confronti di un emendamento approvato alla Camera che chiede al governo di intervenire su un articolo del codice di procedura penale che riguarda la pubblicazione sui giornali di alcuni atti di indagine: la questione la trovate spiegata in questo articolo. Viceversa la norma è stata difesa dal Foglio e anche da un articolo sul Manifesto (mentre è stata molto attaccata dal sindacato unico dei giornalisti). Il direttore del Post Luca Sofri ha spiegato sul suo blog un elemento che nella discussione è spesso taciuto.
“quello che propone oggi l’emendamento discusso, è di fatto che il governo decida l’annullamento di questa aggiunta di sette parole avvenuta sei anni fa da parte di un altro governo, e il ritorno all’articolo del Codice di procedura penale come era stato fino ad allora, approvato nel 1988 con decreto del Presidente della Repubblica”.
domenica 14 Gennaio 2024
Le discussioni e le prospettive intorno all’uso delle “intelligenze artificiali” nelle aziende giornalistiche proseguono con intensità, ma la storia più visibile di questo panorama è diventata dalla fine di dicembre la causa contro OpenAI – la società più nota tra quelle impegnate nel settore, quella che produce ChatGPT – da parte del New York Times per violazione del copyright nella raccolta e nell’uso dei suoi contenuti giornalistici.
“Le cosiddette intelligenze artificiali generative, come ChatGPT sviluppata da OpenAI, si servono di grandi quantità di testi scritti e di immagini per elaborare dei sistemi capaci di produrre nuovi testi e immagini. Secondo il New York Times, che è uno dei giornali più letti al mondo, i sistemi di intelligenza artificiale addestrati con i suoi testi starebbero sottraendo visitatori al suo sito “.
domenica 14 Gennaio 2024
Nelle ultime settimane sono tornate a essere visibili le agitazioni dentro Repubblica, anche se ormai le stesse agitazioni sembrano diventate parte della vita del giornale nella sua nuova epoca, quella iniziata con l’acquisto da parte del gruppo Exor della famiglia Agnelli-Elkann. L’impressione è che crisi di vendite, vaghe o sfuggenti prospettive o progetti editoriali, indifferenza ai cambiamenti in corso nell’informazione e insoddisfazione e delusione di una parte della redazione, siano per la proprietà e la direzione una sorta di contesto accettato.
Così, nelle settimane scorse ci sono state ben tre aperte contestazioni da parte dei giornalisti. La prima in una mail scritta dal Comitato di redazione il 28 dicembre, che accusava l’azienda di trascurare la testata maggiore nei suoi progetti ed esperimenti.
“Care colleghe e cari colleghi,
abbiamo letto con interesse la notizia secondo cui il sito “Cronache di spogliatoio”, di cui recentemente il gruppo Gedi è diventato azionista con un ruolo di primo piano, ha ottenuto i diritti per la trasmissione in streaming della Supercoppa spagnola. E questo dopo aver trasmesso il Mondiale per club.
Ecco un buon esempio di cosa si intende per politica di investimenti che si vorrebbe applicata anche a Repubblica. Invece, assistiamo a una politica di vasi comunicanti in cui ci sono iniziative – e anche in conflitto tra di loro – dove si investe ed altre in cui si taglia.
Finché non ci sarà e non verrà spiegato il disegno complessivo cui tende il gruppo Gedi, il Cdr di Repubblica – come da mandato dell’assemblea – non può che rimarcare e denunciare le iniziative che tendono a mettere in competizione le testate del gruppo.
Cogliamo l’occasione di questa nota per esprimere uno sconcerto diffuso in redazione per l’intera pagina di pubblicità, nell’edizione di ieri, dedicata a una promozione commerciale di Repubblica e legata alla vincita di un kit della Juventus, squadra di proprietà del nostro editore. Pubblicità che era già apparsa online nelle settimane scorse.
Non siamo esperti di marketing ma giornalisti, per questo abbiamo chiesto un parere a un importante player del settore, anche nel mondo editoriale, che non nominiamo affinché non sia coinvolto in vicende sindacali interne: «Nell’informazione il ruolo che svolge un quotidiano è quello di una “agenzia di senso” che permetta ai lettori di muoversi nella complessità. Ma la strategia di marketing in questione non si rivolge a un campo culturale, che è quello classico di un quotidiano come il vostro, piuttosto a una nicchia che esprime valori esclusivamente di tipo sportivo. L’altra cosa anomala è l’esplicita connessione tra l’editore-proprietario del club e il ruolo del giornale come “agenzia di senso”: è come se un arbitro volesse giocare il proprio ruolo in due campi diversi. Ciò disorienta lettori e osservatori e fa perdere di status il giornale. Tecnicamente parlando, questo tipo di marketing mette in crisi l’identità del brand Repubblica e chi ha elaborato una strategia di questo tipo temo pecchi di incapacità o non conoscenza del prodotto e della sua peculiarità storica e culturale».
Buon 2024 a tutte e tutti”.
La seconda in un’altra mail scritta dal Comitato di redazione l’ultimo giorno dell’anno.
“Il nostro giornale continua a perdere copie, abbonamenti e non riesce a trovare una strada nel digitale. E questo, a nostro avviso, per la mancanza di una chiara strategia di investimenti, marketing, obiettivi, collocazione nel panorama editoriale. Nonostante gli sforzi titanici di tutti noi. La difesa dell’identità di Repubblica (che sembra importare solo a noi giornaliste e giornalisti che amiamo questo quotidiano e il lavoro che facciamo) ci ha impegnato in un anno che ha segnato la per noi traumatica disgregazione di quello che era il più importante gruppo editoriale del nostro Paese, smembrato e dismesso da un editore il cui progetto resta per noi incomprensibile, oltre che frutto di preoccupazione […] Vedere Repubblica che viene abbandonata come una nave che affonda è motivo di particolare amarezza in questi mesi. Ma dobbiamo pensare a noi che restiamo e al futuro del giornale, certi che solo l’unione in questo frangente può fare la forza”.
La terza in conseguenza delle dimissioni del giornalista Raffaele Oriani da una collaborazione col Venerdì (il settimanale di Repubblica) che durava da dodici anni, per dissenso con le scelte del giornale a proposito della guerra a Gaza.
“Care e cari tutti,
di fronte alla lettera del collega Raffaele Oriani, sentiamo la necessità di esprimere la nostra amarezza per la perdita di questo collaboratore che purtroppo si inserisce nella scia delle altre uscite di quest’anno.
Diverse giornaliste e giornalisti di Repubblica avvertono lo stesso disagio così chiaramente descritto nel saluto collettivo che ci ha inviato Oriani.
Un disagio della redazione che si è acuito negli ultimi tre mesi e che abbiamo più volte comunicato anche alla direzione e all’assemblea negli scorsi mesi, senza particolari riscontri.
Salutiamo il collega Oriani e ci riserviamo di affrontare il tema di coloro che ci hanno lasciato negli ultimi mesi e anni nel prossimo incontro con la direzione e l’azienda, il 10 gennaio.
Il Cdr”.
(a margine di quest’ultimo sviluppo il Cdr ha anche smentito “una bufala che infanga il lavoro dei colleghi inviati di guerra e di tutte e tutti noi”).
domenica 14 Gennaio 2024
La stessa settimana in cui venne spedita per la prima volta questa newsletter, il Post aveva pubblicato un articolo sul successo di una nuova piattaforma dedicata alla progettazione, invio e monetizzazione di newsletter, Substack. Quel successo è proseguito e Substack ha favorito la nascita di moltissime newsletter in tutto il mondo e la creazione di notevoli fortune economiche, con una strategia molto attiva di arruolamento degli autori più promettenti o noti e di promozione dei loro contenuti, che aveva rimesso in discussione le irrisolvibili questioni sulla differenza tra piattaforme ed editori.
Negli ultimi mesi, però, le difficoltà di Substack – tipiche di ogni piattaforma e del suo tentare di non essere “editore” – nella moderazione e selezione dei contenuti d’odio e razzismo sono diventate un caso grosso. Molti autori importanti hanno protestato perché Substack non solo “ospita” newsletter di questo genere e consente loro di raggiungere i loro pubblici, ma perché finisce per promuoverle e mostrarle a pubblici nuovi, favorendone la crescita e aumentando la diffusione dei loro riprovevoli contenuti. La risposta di Substack a queste accuse è stata piuttosto goffa e ondivaga, e diversi autori e articoli stanno parlando di una “crisi”: che è di sicuro una grave crisi di immagine (alcuni autori importanti stanno cambiando piattaforma di newsletter), sarà da vedere quanto influirà sul funzionamento e i successi di una rete enorme come quella costruita in questi quattro anni. L’ultimo consuntivo della storia è in questo articolo dell’ Atlantic, mentre qui Casey Newton – esperto e seguito giornalista di tecnologia – spiega perché ha deciso di abbandonare Substack con la sua newsletter Platformer, che ha 170mila iscritti.
domenica 14 Gennaio 2024
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di novembre 2023. Se, come facciamo ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” totale, i risultati sono quelli che seguono: che non tengono conto delle copie distribuite gratuitamente, di quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui entra tutto (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa).
Corriere della Sera 167.999 (-4,6%)
Repubblica 91.509 (-14%)
Stampa 67.853 (-12%)
Sole 24 Ore 54.549 (-9%)
Resto del Carlino 51.998 (-13%)
Messaggero 46.017 (-10%)
Fatto 40.640 (-6%)
Gazzettino 34.474 (-5%)
Nazione 34.035 (-13%)
Dolomiten 28.011 (-6%)
Giornale 27.588 (-6%)
Messaggero Veneto 25.026 (-8%)
Eco di Bergamo 22.722 (-8%)
Unione Sarda 22.515 (-4%)
Verità 21.348 (-24%)
Altri giornali nazionali:
Libero 28.960 (-12%)
Avvenire 14.682 (-10%)
Manifesto 12.906 (+2,3%)
ItaliaOggi 8.481 (-19%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Rispetto al calo grossomodo medio del 10% anno su anno delle copie effettivamente “vendute”, cartacee e digitali (queste ultime in abbonamento), a cui siamo abituati, questo mese continua ad andare meglio il Corriere della Sera, che dopo il mese scorso riporta le sue perdite sotto il 5%. Hanno invece ancora cali superiori alla media Repubblica e Stampa (già dal mese scorso Repubblica era scesa sensibilmente sotto le 100mila copie). Ci sono poi due inversioni di posizione: la Nazione è scesa dietro al Gazzettino, e Dolomiten è tornato davanti al Giornale. Questo benché il Giornale abbia un po’ attenuato le perdite negli ultimi tre mesi della nuova proprietà e nuova direzione (Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri si sono insediati l’8 settembre, provenienti da Libero), evidentemente ai danni di Libero. Continuano a calare molto le vendite della Verità , che è stata superata dai quotidiani locali di Bergamo e Cagliari. Restano ammirevolmente stabili, anzi in piccola crescita, i numeri del Manifesto.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 50mila, il Sole 24 Ore più di 34mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 43.233 (+169)
Repubblica 23.113 (-114)
Sole 24 Ore 22.873 (+373)
Fatto 19.723 (-12)
Stampa 8.767 (-192)
Manifesto 6.520 (+79)
Gazzettino 6.189 (+117)
Rimane molto esigua la quota di abbonamenti alle edizioni digitali per alcune testate nazionali (soprattutto quelle con un pubblico più anziano) in un tempo in cui quella è la direzione più promettente per la sostenibilità di molti giornali: 1.744 abbonamenti digitali (pagati almeno il 30%) per Avvenire, 1.459 per Libero, 1.439 per il Giornale, 1.052 per la Verità (che ne ha persi 282 in due mesi), 2.219 per la Gazzetta dello Sport (che però ne ha più di 11mila a meno del 30% del prezzo). I tre quotidiani Monrif ( Giorno, Resto del Carlino, Nazione) ne dichiarano complessivamente 1.572 (500 persi in due mesi, passati evidentemente a offerte più scontate promosse dalle stesse testate).
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono soprattutto del Tirreno (-22%); e poi ancora del Giornale di Vicenza (-15%) e dell’ Arena (-14%), entrambi del gruppo Athesis.
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà una cifra complessiva di valore un po’ grossolano, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui. Un esempio delle differenze con i dati che abbiamo raccontato qui sopra è il risultato positivo di Repubblica, che cresce dell’11,8% rispetto all’anno scorso grazie all’aggiunta di una grande quota di copie promozionali e omaggio da gennaio di quest’anno (erano 1.123 a settembre 2022, ora sono 32.751).
( Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
domenica 14 Gennaio 2024
James Bennet è un giornalista americano di 57 anni con una ricca e varia carriera finora: adesso è il titolare di una storica rubrica sulla politica statunitense sul settimanale britannico Economist (la rubrica si chiama Lexington), ma prima è stato il capo della sezione delle opinioni del New York Times e il direttore del mensile Atlantic, e prima ancora inviato e reporter del New York Times in ruoli diversi. Tra le altre cose, alla Casa Bianca, a Pechino, a Gerusalemme.
Ma la sua fama più recente si deve a una drammatica polemica, di cui i lettori di Charlie si ricorderanno: nel 2020 fu costretto a dimettersi da direttore della sezione dei commenti ed editoriali (che fino a due anni fa si chiamava sezione Op-Ed) del New York Times dopo la pubblicazione di un articolo di un consigliere del presidente Trump che approvava l’intervento dell’esercito per reprimere illegalità e crimini durante le proteste pubbliche che stavano avvenendo in quei mesi negli Stati Uniti. L’articolo e la sua pubblicazione furono violentemente contestati all’interno della redazione “news” del giornale – oltre che da molti lettori – che è separata dalla redazione che si occupa dei commenti e degli editoriali.
Il mese scorso Bennet ha pubblicato sul magazine dell’ Economist – 1843 – un lunghissimo resoconto dal suo punto di vista di quella vicenda, all’interno di una più estesa riflessione su quello che secondo lui sarebbe cambiato al New York Times e sui modi diversi di intendere il ruolo del giornalismo. L’articolo di Bennet è molto dignitoso pur togliendosi molti sassolini dalle scarpe, ed è assai avvincente nelle questioni che pone: ma è anche un racconto molto interessante di come si svolge il lavoro al New York Times , dalla grande alla piccola scala.
Tra gli altri passaggi interessanti ce n’è uno che attribuisce all’ex direttore del giornale Dean Baquet un pensiero non nuovo per i lettori di Charlie e di Voltiamo decisamente pagina, sull’avere “come unici padroni i lettori”.
“Perception is one thing, and actual independence another. Readers could cancel their subscriptions if the Times challenged their worldview by reporting the truth without regard to politics. As a result, the Times’s long-term civic value was coming into conflict with the paper’s short-term shareholder value. As the cable networks have shown, you can build a decent business by appealing to the millions of Americans who comprise one of the partisan tribes of the electorate. The Times has every right to pursue the commercial strategy that makes it the most money. But leaning into a partisan audience creates a powerful dynamic. Nobody warned the new subscribers to the Times that it might disappoint them by reporting truths that conflicted with their expectations. When your product is “independent journalism”, that commercial strategy is tricky, because too much independence might alienate your audience, while too little can lead to charges of hypocrisy that strike at the heart of the brand.
It became one of Dean Baquet’s frequent mordant jokes that he missed the old advertising-based business model, because, compared with subscribers, advertisers felt so much less sense of ownership over the journalism”.
domenica 14 Gennaio 2024
Sono passati tre anni e mezzo da quando nacque questa newsletter, che in quei primi mesi si dedicò molto a raccontare la transizione in corso nelle maggiori testate internazionali da un modello di sostenibilità economica basato sulla pubblicità a uno che ha come priorità il contributo degli abbonati. Questa transizione è tuttora in corso: per alcuni giornali è ormai in fase avanzata e la seconda fonte di entrate è diventata prevalente e ha addirittura ribaltato positivamente le fortune di quei giornali, per altri è cominciata tardi e con meno convinzione, e più passa il tempo più diventa difficile costruirne la riuscita, per affollamento e saturazione del campo e ritardo nella costruzione del know how e del pensiero necessario.
Anche perché le cose continuano ad accelerare e il ritardo si aggrava: il 2024 è atteso dai più esperti e avveduti sul tema come l’anno in cui questa transizione dovrà avere ancora maggiori accelerazioni e al tempo stesso mantenersi duttile rispetto all’imprevisto, che si è rivelato una condizione inevitabile di questi anni. Una serie di nuove regole e di scelte da parte delle grandi piattaforme e degli inserzionisti dovrebbe diminuire ulteriormente gli investimenti pubblicitari sui giornali, con grandi preoccupazioni ma anche opportunità – obbligate – per le testate che sappiano spostare il loro valore dalla quantità alla qualità. Ovvero che abbiano da vendere agli inserzionisti non tanto i numeri delle loro copie o del loro traffico ma un’identità qualificante e un pubblico mobilitabile, e i cui dati siano in possesso delle singole testate e non consegnati a Google, Meta o altri intermediari.
Sono solo accenni di un contesto generale che, come dicevamo, sarà suscettibile di agitazioni le più varie. Potenzialmente, persino di un ritrovato valore della pubblicità, se qualcuno si inventa modi nuovi per attrarla e sfruttarla. Quelli vecchi è difficile che tornino promettenti: nel migliore dei casi declineranno più lentamente, la stessa cosa che sta avvenendo con le vendite delle copie cartacee.
Fine di questo prologo.
domenica 17 Dicembre 2023
Per premura lo ripetiamo qui: le prossime domeniche Charlie sarà in vacanza. La newsletter tornerà ad arrivare regolarmente il 14 gennaio. Nel frattempo, potete dedicarvi a leggere i maggiori approfondimenti sul dannato futuro dei giornali raccontati nello scorso numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post. O provvedere rapidamente a necessità natalizie dell’ultimo momento regalando un abbonamento al Post. E auguri.
domenica 17 Dicembre 2023
Saranno licenziati 15 giornalisti dell’agenzia di stampa Dire (di cui avevamo scritto più estesamente a ottobre ) dopo il mancato accordo tra editore, comitato di redazione e associazioni sindacali. La FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana, il sindacato nazionale dei giornalisti) ha pubblicato una nota in cui scrive che i licenziamenti avverranno: «nonostante le risorse che [l’agenzia] riceverà dal governo. All’agenzia, infatti, dal 2024 arriveranno oltre 2 milioni di euro l’anno per un triennio, grazie al decreto per i servizi d’informazione da parte della pubblica amministrazione».
domenica 17 Dicembre 2023
Una newsletter del sito americano GQ ha riflettuto sui nuovi destini delle riviste, che in molti casi stanno spostando le loro attrattive verso la propria qualità di prodotto estetico piuttosto che contenitore di letture, e venendo acquistate più per essere esposte quasi come duraturo oggetto di arredamento che come passeggero veicolo di informazione. Il fenomeno delle “belle riviste” naturalmente esiste da decenni, come esistono da decenni i suoi ammiratori, ma la crisi di ruolo dei magazine ha reso questo aspetto ancora più rilevante.
“Le riviste ora sono prodotti: simboli di buon gusto, da essere esibiti sul tavolino del soggiorno o sulla scrivania per mostrare a chi passa che non sei il tipo che passa tutto il proprio tempo a scorrere lo smartphone. Lo stesso processo che ha riportato di moda i vinili quando erano stati dati per morti da un pezzo adesso sta spingendo le riviste”.