Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 3 Novembre 2024

Napoli

Il Post ha tenuto sabato scorso a Napoli una nuova edizione delle sue giornate di incontri con i lettori e gli abbonati, Talk, la prima in una città del Sud: con l’intenzione di attenuare la prevalenza di attenzioni e seguito di cui gode finora nelle città del Nord. Il risultato è stato eccellente, con le prenotazioni che erano andate esaurite in poche ore, un seguito molto appassionato, e progetti di proseguire in questa direzione (letteralmente).


domenica 3 Novembre 2024

Parte del pacchetto

Ogni tanto un promemoria sulle settimanali sovrapposizioni di pubblicità e articoli sui maggiori quotidiani italiani, soprattutto nelle pagine dedicate alla Moda e dell’Economia. Sabato, per esempio, Repubblica ha dedicato articoli ai prodotti Woolrich Geox, che avevano comprato pagine sul giornale per promuoverli nei giorni precedenti, e un articolo al brand Falconeri, associato a una pubblicità di Falconeri l’indomani. Giovedì invece il giornale ospitava una di molte pagine acquistate nelle settimane scorse dalla società Edison e un articolo celebrativo dei successi di Edison stessa.


domenica 3 Novembre 2024

Il filtro ENI

Le assidue attenzioni che i maggiori quotidiani hanno nei confronti dell’azienda ENI – ovvero uno degli inserzionisti pubblicitari che più contribuiscono alle entrate dei quotidiani in questione – si risolvono abitualmente in frequenti accoglienze di comunicati promozionali di ENI nella pagine dell’Economia, in adesione alla propaganda di greenwashing dell’azienda e in rinuncia a occuparsi delle vicende internazionali che mettono in cattiva luce alcune più discutibili attività di ENI (una legittima impresa che fornisce energia, ricordiamolo, per quanto di dimensioni e poteri eccezionali). Queste sostanziose omissioni hanno preso una scala maggiore del solito questa settimana, quando ENI è entrata tra i protagonisti della notizia più grossa raccontata dai quotidiani: le attività presunte illecite di “spionaggio” dell’azienda Equalize, accusata di compravendita di dati e informazioni ottenuti illegalmente con violazione di database di diverso genere. Nell’inchiesta relativa uno degli indagati è il capo degli uffici legali di ENI, e diverse intercettazioni alludono a rapporti tra ENI e Equalize sui quali i magistrati avrebbero sospetti di illegalità.
Tutte accuse da dimostrare, naturalmente, e ancora piuttosto fumose: ma giornalisticamente rilevanti in quanto ipotesi di accusa.

Questo ruolo di ENI nella notizia è stato però molto nascosto, o persino taciuto, all’interno degli articoli che all’inchiesta hanno dedicato i quotidiani nazionali più importanti (per il Corriere della Sera ne ha scritto martedì Luigi Ferrarella, ma il suo pezzo è rimasto solo sul sito: il quotidiano lo stesso giorno e i successivi ospitava una pagina pubblicitaria di ENI): riferendo che le aziende coinvolte sarebbero molte o dando maggior rilievo alle comunicazioni difensive di ENI, per esempio. I quotidiani che più ne stanno riferendo – dando pure l’impressione di sbilanciamenti in senso opposto e di avere in questo senso individuato una possibile opportunità – sono Domani e il Fatto, che già in passato avevano ospitato altri articoli meno graditi per ENI, e a cui ENI pare avere sottratto gli investimenti pubblicitari che destina a molte altre testate.


domenica 3 Novembre 2024

I destini dell’Observer

Le trattative per la vendita al gruppo Tortoise Media del settimanale Observer, storica testata britannica che oggi è il “domenicale” del quotidiano Guardian, proseguono, ma ci sono state proteste e allarmi da parte della redazione e di diversi loro colleghi in altre testate. La CEO dell’azienda ha quindi avvisato la redazione stessa che questo accordo potrebbe essere l’unico per salvare il giornale, e che se non si realizzasse le alternative sarebbero assai più minacciose.


domenica 3 Novembre 2024

Lobbisti di se stessi

Un articolo sul Foglio di sabato (un po’ disordinato nell’esposizione) sosteneva che l’estensione della “web tax” ipotizzata da parte del governo sarà cancellata, sostanzialmente per le proteste dell’onorevole leghista Antonio Angelucci, proprietario dei quotidiani LiberoGiornale Tempo. Il progetto presentato dal ministero dell’Economia è di obbligare qualunque impresa che guadagni attraverso la vendita della pubblicità online a pagare la tassa finora destinata solo alle grandi piattaforme digitali, e la federazione degli editori dei giornali l’aveva immediatamente contestato.


domenica 3 Novembre 2024

“La rivista New York”

Il New York magazine è una storica e importante rivista statunitense, oggi parte del gruppo Vox Media (che possiede molti siti di informazione, tra cui The Verge Vox). Il nome della rivista è “New York”, in effetti, ma spesso viene indicato anche come “magazine” per evitare equivoci con quella cosa che più spesso tutti chiamiamo New York.
Un mese fa il sito ha introdotto una nuova newsletter a termine dedicata alle proprie scelte di stile e linguaggio, che questa settimana ha affrontato lungamente proprio la questione del nome della testata e di come scriverlo (spoiler: la risposta alla fine è “liberi tutti”).

Su come trattare i nomi dei giornali internazionali avevamo scritto su Charlie tre anni fa.


domenica 3 Novembre 2024

«Perché non ne parla nessuno?»

Tra le contestazioni che arrivano da parte dei lettori – soprattutto sui social network – una delle più familiari nelle redazioni è “perché di questa cosa non parla nessuno?”: e nella stragrande maggioranza dei casi è una notizia di cui si è abbondantemente scritto su molte testate, in realtà. La newsletter americana Embedded ha intervistato Max Tani – il media reporter del sito di news Semafor – su questo fenomeno, e la lettura è molto interessante. Tani dice di esserne affascinato, e che se lo spiega con diversi fattori: il principale è che le persone sono sempre più abituate a immaginare che il mondo sia la loro timeline sui social network, e che quello che non vedono lì non esista. Quasi mai chi ha quest’impressione – chi si convince che “non si stia dando questa notizia” – ha guardato le prime pagine dei quotidiani o le homepage dei siti di news.
In più, lo dicevamo la settimana scorsa, non ci sono più notizie che raggiungono tutti, ma ognuno vive dentro una propria comunità di informazioni indipendente dalle altre e tende a sopravvalutare le notizie che l’algoritmo gli offre. Tani aggiunge anche che da quando Facebook ha ridotto drasticamente la promozione di news di attualità, sono ulteriormente diminuite le notizie che “conosciamo tutti” perché raggiungono tutte le timeline.
(Specularmente, siamo in tempi in cui continuamente qualcuno intorno a noi ci dice che di qualcosa “parlano tutti” o che “è ovunque”, e noi non abbiamo idea di cosa sia).

Questa ingannevole impressione di omertà sulle notizie genera un’ulteriore perdita di fiducia nei mezzi di informazione, e la conversazione con Tani si conclude con una riflessione accessoria che ha anch’essa a che fare con quello che sta succedendo al Washington Post:

“It’s like, people basically want you to put like, “and that’s bad” at the end. There are conflicting desires among people who are like, “why is the media so biased in certain regards?” But there are also a lot of people who wish that the media would go further and would say, “It’s a fact that Donald Trump is a fascist.” It’s a much more complicated thing to write if you are someone who’s at a major mainstream media organization than it is if you are someone on the street or if you’re a political figure or if you’re not someone whose job really only exists to bring news to people”.


domenica 3 Novembre 2024

Le ipotesi di vendita di Repubblica

Nei giorni dello “showdown” a Repubblica, un mese fa, a cui era seguita la nomina del nuovo direttore Mario Orfeo, erano circolate nuove ipotesi sull’intenzione dell’editore di vendere il giornale. Ipotesi realistiche anche solo intuitivamente: da quando la famiglia Agnelli Elkann ha comprato il gruppo GEDI che pubblica Repubblica le sue scelte sono sempre sembrate poco interessate alle prospettive del giornale, e per contro ne ha ricevuto frequenti contestazioni e seccature (salvo avere una testata simpatizzante per gli interessi economici della propria azienda Stellantis), fino ai due giorni di sciopero conseguenti alla vendita di articoli nell’ambito di un evento pubblico torinese.

Stando a un articolo pubblicato sul Giornale venerdì, la ricerca di un acquirente sarebbe non solo un pensiero possibile ma un fatto concreto, anche se l’articolo stesso non riferisce elementi o fonti più sostanziate di un “secondo quanto risulta al Giornale“.

“Secondo quanto risulta al Giornale, di recente sarebbe stata incaricata un’importante banca d’affari straniera per trovare un destinatario finale al giornale fondato da Eugenio Scalfari. L’input è di arrivare alla cessione di Repubblica e della concessionaria pubblicitaria Manzoni, oltre ad assottigliare la scuderia di testate cartacee controllate della holding Gedi fino a tenere solo La Stampa. Il dossier è stato proposto già ai primi editori europei, ma in ogni caso non c’è fretta. L’identikit dell’interlocutore ideale è di un gruppo di livello (in passato era circolato il nome di Vivendi), ma si valuta anche l’ipotesi di mettere insieme una cordata di imprenditori italiani vicini all’area dem, in sintonia con la linea storico del quotidiano. Né va escluso che la cordata alla fine possa avere una dimensione mista, italo-estera”.


domenica 3 Novembre 2024

Cosa vogliono i lettori

Su quello che è successo al Washington Post stanno scrivendo tantissimi, negli Stati Uniti, con grande varietà di riflessioni. Quella più acuta e interessante forse si deve ancora a Ben Smith, direttore del sito Semafor. Ed è che la perdita di abbonati del giornale dimostra soprattutto che c’è una grande quota di lettori che dal proprio giornale vuole vedere confermate le proprie opinioni e sventolata la bandiera della propria appartenenza e partigianeria, più ancora che un buon prodotto di informazione (di certo i 250mila che hanno cancellato l’abbonamento non sarebbero stati trattenuti dalla pubblicazione di un endorsement a favore di Donald Trump). E una grande quota di lettori paga per avere questo e smette di pagare se non riceve questo: il mancato endorsement di Kamala Harris sul Washington Post è probabilmente un millesimo di quello che il giornale pubblica in una settimana, e il resto dei suoi contenuti continua a essere lo stesso, apprezzato, vincitore di premi, citato come il prodotto di una delle più autorevoli testate americane: e ancora fortemente antitrumpiano, tra l’altro. Ma 250mila abbonati hanno detto di non essere disposti a pagare per tutta questa offerta, se il giornale non scrive una volta di più da che parte sta. Dalla loro.

E questa relazione è stata molto incentivata dal Washington Post (che intorno all’opposizione a Trump ha costruito una campagna di marketing), ma anche da molte altre testate internazionali, qualunque “parte” abbiano deciso di rappresentare: è illuminante che in questi giorni molte di queste siano corse a pubblicare o rivendicare i loro endorsement, per comunicare ai lettori di essere diverse dal Washington Post, e a raccogliere i frutti di questa comunicazione.

E tutto questo conferma come l’indipendenza giornalistica dei giornali non sia messa in pericolo solo dagli interessi degli editori e da quelli della pubblicità, ma anche da quelli dei lettori. Tutti e tre – lo avevamo messo in ordine un anno fa – hanno spesso altre motivazioni che non sono quelle della buona informazione.

“I giornali in cerca di fonti di ricavo sono meno autonomi rispetto alla soddisfazione e al consenso dei propri lettori paganti (o destinatari di pubblicità), e questo condiziona il lavoro giornalistico: dire ai propri “clienti” quello che vogliono sentirsi dire, non scontentarli e non contrariarli (in tempi in cui c’è una grandissima inclinazione di tutti a scontentarsi e contrariarsi) è una necessità ineludibile per non perdere il loro contributo economico e il loro valore anche in termini pubblicitari”.


domenica 3 Novembre 2024

A che punto è il guaio del Washington Post

È una delle più grosse ed esemplari storie dell’anno, intorno al business dei giornali, esemplare e illuminante di diversi aspetti che non riguardano solo il Washington Post, quindi in Charlie di oggi ce ne occupiamo più diffusamente. Il riassunto è questo.
Il CEO dell’azienda Will Lewis ha bloccato la pubblicazione di un articolo di endorsement a favore di Kamala Harris, dieci giorni prima delle elezioni, sostenendo con la redazione che la nuova linea è di non pubblicare endorsement. L’intervento così tardivo e inatteso ha spinto la redazione del giornale e molti lettori a pensare che il proprietario dell’azienda, Jeff Bezos, abbia voluto attenuare il rischio di ritorsioni da parte di Donald Trump, se fosse eletto. Ci sono state dimissioni, articoli e proteste su tutti i giornali statunitensi (anche sullo stesso Washington Post), molto concordi nell’accusare la scelta di pavidità sciagurata a fronte della delicatezza e dei rischi di queste elezioni. E soprattutto, ci sono state cancellazioni di abbonamenti, tantissime. Il Washington Post ha confermato in un articolo che sarebbero state circa 250mila in pochi giorni, un numero enorme.
Bezos ha pubblicato sul giornale un suo articolo, spiegando che la cancellazione degli endorsement presidenziali (il giornale ne ha pubblicati altri, invece) servirebbe a dare ai lettori un senso di maggiore affidabilità e minore partigianeria della testata, ma gli argomenti sono sembrati fragili a tutti, considerate le modalità della decisione e le sue contraddizioni (vedi il Prologo qui sopra).

Due aspetti della storia così come sono stati raccontati inizialmente hanno raccolto nei giorni successivi degli scetticismi: non tutti sono convinti della facile versione per cui Bezos avrebbe voluto stare attento ai suoi interessi in caso di una vittoria di Trump, perché il giornale continua a essere schierato contro Trump in modo libero e indefesso, e perché Trump stesso non è il tipo che si fa addolcire da un endorsement in meno, nelle sue minacce contro i giornali nemici. Le critiche di Bezos ai rischi degli endorsement, per quanto superficiali e contraddittorie (e gli altri endorsement pubblicati dal giornale? e si dovrebbero vietare tutti gli articoli di opinione, per evitare impressioni di partigianeria?) potrebbero essere in buona fede. E l’altro dubbio che è molto circolato riguarda l’opportunità da parte degli abbonati scontenti di boicottare proprio il giornale e la redazione che sono le vittime e i primi critici della scelta di Bezos, indebolendoli ulteriormente (“i delusi dovrebbero cancellare gli abbonamenti a Prime e boicottare Amazon, piuttosto”, si è detto molto).


domenica 3 Novembre 2024

Charlie, un altro mestiere

«Vorrei che avessimo fatto questo cambiamento prima, in un momento più lontano dalle elezioni e dalle emozioni che le circondano. È stata una pianificazione inadeguata, e non una qualche strategia deliberata». L’articolo di Jeff Bezos per spiegare da parte dell’editore il guaio combinato al Washington Post – di cui la settimana passata hanno parlato molto anche i media italiani – avrebbe dovuto limitarsi a queste poche righe, e forse con una scelta di termini meno autoindulgente. L’unico metro importante con cui giudicare quello che è successo è questo: tutte le accettabili e ben esposte motivazioni per rinunciare all’endorsement in favore di Kamala Harris perdono qualunque valore se quella rinuncia avviene goffamente e prepotentemente quando l’endorsement è già pronto e mancano dieci giorni alle elezioni. E quella scelta ottiene il risultato opposto a quello che Bezos sostiene sia l’intenzione, ovvero evitare di essere percepiti come partigiani e non indipendenti. Che è un’intenzione che può anche essere sostenuta, assieme alla tesi per cui gli endorsement non servono a niente, e al ricordare che la posizione del giornale su Trump resta chiarissima ogni giorno senza bisogno di un endorsement. Ed è vero che fino a oggi Bezos – come scrive – è stato percepito e raccontato come un editore che ha lasciato indipendenza al giornale. Anche per questo il disastro che ha creato questa scelta – di cui è corresponsabile se non autore – è ancora di più un fallimento che andrebbe giudicato dai risultati (ne scriviamo sotto): catastrofici. E da qui avrebbe dovuto discendere non un elenco di rivendicazioni della propria correttezza ma un’ammissione di errore meno autoassolutoria, se si fossero voluti limitare i danni. La lezione più universale che se ne può trarre è, anche in questo caso, che gli imprenditori di altri successi che comprano i giornali non sono solo un problema per le loro ingerenze, ma soprattutto per le loro incompetenze.

Fine di questo prologo.


domenica 27 Ottobre 2024

Drive time

Il Post ha rinnovato la sua app, e tra le molte cose aggiunte per rispondere alle richieste dei suoi utenti c’è la compatibilità coi sistemi in uso su molte automobili, CarPlay di Apple e Android Auto.

“E poi la nuova versione dell’app permette di ascoltare gli episodi di un podcast “a cascata”: al termine dell’ascolto di un episodio, fa partire automaticamente l’episodio successivo dello stesso podcast. Infine abbiamo aggiunto il cosiddetto “sleep mode”: quello che permette di programmare lo spegnimento automatico dell’app dopo un certo tempo e che è usato di solito da chi ascolta i podcast prima di addormentarsi”.


domenica 27 Ottobre 2024

Siamo critici dei giornali, ma ci beviamo tutto

Una piccola falsificazione per prendere in giro il Post e chi l’ha creduta vera, pubblicata su Twitter, è stata in effetti istruttiva per osservare ancora una volta la nostra inclinazione di lettori a credere alle cose pubblicate sui social senza nessuna attitudine critica. Un refuso mai comparso sul Post, costruito con l’estrema facilità con cui è facile costruire un titolo falso, è stato commentato come vero da molti lettori, con divertimento o indignazione, senza nessun dubbio o verifica (che sarebbe stata facile) sul fatto che fosse stato mai effettivamente pubblicato. Il nostro scetticismo è ancora lontano da proteggerci dalle informazioni false, comprese quelle assai più serie di questa.


domenica 27 Ottobre 2024

Un po’ troppo

Il quotidiano americano Washington Post ha riferito la critica del New York Times e del giornale d’inchiesta online ProPublica nei confronti del celebre romanziere John Grisham, che per la stesura del suo ultimo libro – una raccolta di storie di errori giudiziari intitolata Framed – avrebbe copiato senza le opportune citazioni ampie parti del lavoro di Pamela Colloff, giornalista delle due testate per le quali aveva pubblicato dal 2018 una serie di storie di persone condannate ingiustamente, intitolata Blood Will Tell.
I due giornali stanno discutendo con l’editore del libro di Grisham per ottenere alcune modifiche che diano più credito al lavoro di Colloff, spostando la citazione del suo lavoro dalla sezione dei riferimenti in coda al libro all’inizio del capitolo che Grisham è accusato di aver copiato, in cui racconta un caso di omicidio avvenuto in Texas.
Grisham è impegnato da molto tempo sui rischi degli errori giudiziari e contro la pena di morte: interpellato dal Washington Post, ha ammesso di avere consultato articoli e testi sul caso per scriverne, ma ha sostenuto che la citazione finale delle fonti sia sufficiente, malgrado nel suo libro siano stati notati alcuni passaggi identici a quelli contenuti nel lavoro di Colloff.


domenica 27 Ottobre 2024

Ancora cambiamenti ai quotidiani SAE

Davide Berti è il nuovo direttore della Gazzetta di Modena, della Gazzetta di Reggio e della Nuova Ferrara, le tre testate locali emiliane di proprietà del Gruppo SAE, che le ha acquistate quattro anni fa da GEDI. Berti ha quasi 46 anni, ha iniziato la sua carriera come giornalista sportivo e ha cominciato a collaborare con la Gazzetta di Modena 27 anni fa. Nel 2023 l’editore aveva deciso di accorpare i tre giornali sotto un’unica direzione, Davide Berti era diventato vicedirettore a maggio del 2024 e oggi ha preso il posto di Cristiano Meoni, che era stato nominato direttore poco più di un anno fa e che andrà a occuparsi dei “grandi eventi” del gruppo.

SAE è un piccolo gruppo editoriale nato con lo scopo di comprare alcuni quotidiani locali appartenuti all’ex gruppo Espresso, allora assai numeroso, e poi ceduti dal nuovo editore GEDI, dal quale SAE ha acquistato i tre giornali emiliani, la Nuova Sardegna di Sassari e il Tirreno di Livorno.
Durante questi primi anni il gruppo ha spesso mostrato incertezza nelle visioni e nella gestione dei giornali, in un periodo storico particolarmente difficile per le testate locali. Pochi mesi fa la redazione della Gazzetta di Reggio aveva scioperato per protestare “contro la mancanza di dialogo” da parte della proprietà, in particolare nelle decisioni sulle riduzioni del personale, e altre contestazioni ci sono state in più occasioni al Tirreno: dove in questi giorni è in corso un altro confronto sul progetto dell’azienda di trasferire a Sassari (dove ha sede la Nuova Sardegna) il reparto dei poligrafici.


domenica 27 Ottobre 2024

Paologrisèri, uno bravo

È morto a 67 anni, per un infarto, Paolo Griseri, e ne hanno scritto questa settimana molti giornali siti di news, perché era un giornalista molto stimato e amato tra chi lo conosceva e da molti dei suoi colleghi. Lavorava alla Stampa, dove era stato vicedirettore, e prima era stato a lungo a Repubblica e al Manifesto, occupandosi soprattutto di lavoro, di sindacati e di cambiamenti nell’industria, in particolare a Torino, la sua città. Griseri era marito di Stefania Aloia, che proprio questa settimana era stata nominata vicedirettrice a Repubblica, giornale dove è tornata dopo un breve periodo alla direzione del Secolo XIX di Genova, che il gruppo GEDI ha da poco venduto.


domenica 27 Ottobre 2024

Non bene i quotidiani

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (nota come Agcom) ha pubblicato la sua relazione trimestrale che chiama “Osservatorio sulle comunicazioni” e che ha un capitolo (da pagina 21) dedicato all'”editoria quotidiana” e basato sui dati di diffusione ADS, che sono quelli che Charlie cita nei suoi report mensili. Alcuni dei dati più significativi sono questi:
– il totale delle copie vendute dei quotidiani è calato del 9,2% dal primo semestre dell’anno passato (nei report di Charlie spesso ci riferiamo infatti a una perdita media del 10% anno su anno).
– un dato molto preoccupante è che nello stesso periodo sono calate dell’8,7% anche le copie digitali, ovvero quelle su cui dovrebbero auspicabilmente spostarsi lettori e abbonamenti. Ma il declino è minimo per le 5 testate generaliste maggiori* (-0,1%), che comunque non crescono.
– dallo stesso periodo del 2020 la perdita complessiva è del 29,4% e del 6,4% sulle copie digitali.
– le copie digitali costituiscono ancora solo un sesto di quelle cartacee.

*Corriere della SeraRepubblicaStampaAvvenireMessaggero.


domenica 27 Ottobre 2024

Pinco Pallino

Tantissimi siti di news italiani ( Corriere.itVanity FairOpen, hanno scritto nei giorni scorsi delle denunce per abusi sessuali contro il musicista P. Diddy, citando una donna che si è aggiunta alle accusatrici e che – stando agli articoli – si chiamerebbe “Jane Doe”. Il fatto è che “Jane Doe” (come il suo analogo maschile “John Doe”) è in realtà il nome fittizio usato di norma nelle pratiche giudiziarie americane per indicare persone di cui non si vuole rivelare l’identità.
In questi anni in cui nelle redazioni tutti si trovano spesso a occuparsi di tutto, anche senza grandi competenze, e ci sono raramente riletture e verifiche di quello che viene pubblicato, è più facile che capitino incidenti di questo genere (al Corriere era già capitato in passato).


domenica 27 Ottobre 2024

Un po’ del New York Times con il Corriere, per un po’

Il Corriere della Sera ha annunciato una promozione in cui verrà regalato a chi si abbona al giornale un abbonamento di un anno alla sezione News del New York Times.
L’iniziativa si chiama tecnicamente “operazione a premi” (“Promo Special October Tutto Corriere della Sera”), in cui il valore del premio è di circa venti euro, cioè il costo di partenza di un abbonamento annuale al New York Times di questo genere .

Il Corriere della Sera ha diverse offerte di abbonamenti, con accessi parziali o totali ai contenuti del sito, all’edizione digitale del giornale, alla sua anteprima disponibile poco dopo la mezzanotte: quella che permette l’offerta del New York Times si chiama “Tutto” e comprende l’accesso al sito e all’applicazione senza “pubblicità invasiva”, e all’edizione digitale del Corriere . Il costo è di cinque euro per i primi sei mesi, poi tre mesi a 14,99€ e infine tre mesi a 24,99€.
Chi sottoscriverà questo abbonamento entro l’11 novembre 2024 riceverà per email un codice valido per abbonarsi gratuitamente per 52 settimane a New York Times News, cioè al sito e all’applicazione del New York Times in cui vengono pubblicate le notizie, le interviste e gli approfondimenti culturali. Sono escluse da questo piano tutte le altre sezioni del giornale: ovvero i podcast, la sezione Food, i giochi (tra cui il popolare Wordle), la sezione sportiva The Athletic e quella di prodotti e acquisti Wirecutter.

Il New York Times offre diversi tipi di abbonamenti. Il più completo si chiama “All Access” e comprende New York Times News e tutte le altre sezioni. “All Access” al momento ha due opzioni di tariffa: la prima è di due euro al mese per il primo anno, che diventano poi dodici euro al mese. La seconda tariffa è di venti euro per un anno che diventano poi novanta, ed è a questa offerta che fa riferimento l’iniziativa del Corriere della Sera.

 


domenica 27 Ottobre 2024

Ci mancava la web tax

Il governo ha comunicato un cambiamento previsto per la cosiddetta “web tax”, cambiamento che coinvolgerebbe nel pagamento della tassa in questione anche i ricavi pubblicitari delle “imprese digitali” che siano di dimensioni minori rispetto alle grandi piattaforme internazionali (finora c’era una soglia di 750 milioni di fatturato): e quindi anche i siti di news e i giornali online. Questa prospettiva ha generato molte agitazioni e proteste da parte della FIEG – la federazione degli editori di giornali – e su diversi quotidiani.


domenica 27 Ottobre 2024

Lo sciopero ai quotidiani Monrif

Il 19 ottobre le redazioni dei giornali controllati dal Gruppo Monrif – di proprietà della famiglia Riffeser Monti e che possiede Resto del CarlinoNazioneGiorno e la testata nazionale QN – hanno scioperato contro la proposta fatta dall’azienda ai giornalisti di “autoridursi lo stipendio” e di prendersi quindi tre giorni a testa di permesso non retribuito al mese.
Il Gruppo Monrif affronta da più di dieci anni una crisi dei ricavi e delle vendite dei giornali. La proposta ha l’obiettivo di far risparmiare all’editore due milioni e mezzo di euro nel bilancio del 2025 e fa parte di una strategia assai diffusa in questi anni di crisi, che si concentra molto sulla riduzione del costo del lavoro, anche attraverso iniziative più strutturali come prepensionamenti, riduzione del personale e riduzione degli orari di lavoro.

Le tensioni tra i comitati di redazione (Cdr) e l’editore sono state raccontate nel dettaglio in un articolo sul sito Professione Reporter: secondo i Cdr una proposta del genere non è conforme alle norme previste dal Contratto collettivo e la violazione potrebbe creare un precedente. Il presidente e amministratore delegato del gruppo, Andrea Riffeser Monti, è anche presidente della FIEG, l’associazione di categoria che rappresenta gli editori di giornali in Italia.
In una nota diffusa dall’azienda l’editore ha accusato i sindacati di non essere abbastanza collaborativi e di ostacolare la continuità aziendale, aggiungendo che dopo lo sciopero “non possiamo fare altro che intraprendere un percorso non condiviso”. Nel frattempo la proprietà ha avviato un’operazione per riacquistare le quote degli altri azionisti attraverso un’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA), per avere maggiori libertà di intervento all’interno gruppo editoriale.


domenica 27 Ottobre 2024

L’editore del Los Angeles Times si allarga

La responsabile degli editoriali del quotidiano americano Los Angeles Times Mariel Garza si è dimessa dopo che il proprietario del giornale, Patrick Soon-Shiong – medico e imprenditore nel settore delle biotecnologie – aveva deciso di bloccare l’endorsement del quotidiano a favore di Kamala Harris per le elezioni presidenziali di novembre. Nella lettera di dimissioni, pubblicata dal sito di informazione online Columbia Journalism Review, Garza ha espresso grande preoccupazione per le conseguenze di questa decisione sulla credibilità del giornale e sulla campagna elettorale, dopo che Donald Trump aveva definito la decisione del giornale di accantonare l’endorsement “il colpo di grazia” per Kamala Harris, sostenendo che “perfino i suoi compatrioti californiani sanno che non è adatta al ruolo”.
Giovedì altri due giornalisti della redazione degli editoriali si sono dimessi, e nel frattempo altri 200 giornalisti avevano firmato una lettera di protesta.

Patrick Soon-Shiong è proprietario del Los Angeles Times dal 2018, quando salvò il giornale da una crisi economica, e da allora i rapporti con la redazione sono notevolmente peggiorati a causa dell’insofferenza dei giornalisti nei confronti dei suoi interventi. Il giorno seguente le dimissioni di Garza, Soon-Shiong ha pubblicato un post su Twitter per chiarire la propria posizione, dicendo di aver proposto alla redazione di pubblicare un’analisi imparziale di entrambi i candidati, rifiutata dalla direzione editoriale “che ha scelto di tacere”. Sia Garza sia la rappresentanza sindacale dei giornalisti del Los Angeles Times hanno negato questa versione dei fatti.
Venerdì poi la figlia 31enne di Soon-Shiong ha diffuso una dichiarazione sostenendo che la famiglia avesse scelto di non sostenere Harris a causa delle sue posizioni giudicate troppo indulgenti nei confronti dell’invasione israeliana di Gaza; ma un portavoce di suo padre ha smentito, indicandola come un’opinione personale.

La questione degli endorsement da parte dei giornali è discussa da molto tempo e molti giornali hanno rinunciato a questa pratica negli ultimi anni, un po’ per il rischio di perdere credibilità presso i propri lettori, un po’ perché quasi tutte le analisi li ritengono incapaci di modificare effettivamente le scelte degli elettori. Il Los Angeles Times, che è il quotidiano locale a maggior diffusione degli Stati Uniti, pubblicava il proprio endorsement in modo continuativo dal 2008, quando aveva sostenuto Barack Obama (riprendendo l’abitudine interrotta negli anni ’70 dopo l’appoggio a Richard Nixon e lo scandalo del Watergate). Nel 2020 Soon-Shiong aveva già bloccato un endorsement per le primarie dei Democratici, permettendo che in seguito il giornale sostenesse la candidatura di Joe Biden. Ma per molte ricostruzioni uscite a seguito della sua decisione di questi giorni, anche nel suo caso ci sarebbero interessi economici che rischiano di essere minacciati in caso di ritorsioni da parte di Donald Trump, se venisse eletto.


domenica 27 Ottobre 2024

Grosso guaio al Washington Post

Negli ultimi due giorni è successo un grosso guaio al Washington Post – uno dei tre più autorevoli quotidiani statunitensi -, proprio mentre sembrava che l’azienda provasse a uscire dal guaio precedente in cui si era messa. Breve riassunto: una crisi di abbonati e ricavi – dopo entusiasmi e illusioni negli anni intorno alla pandemia – aveva portato il proprietario Jeff Bezos (quello di Amazon) a un ricambio della dirigenza, con la nomina di un esperto CEO di ricco curriculum, Will Lewis, che però era entrato con eccessiva prepotenza nelle prospettive della redazione, spingendo la direttrice alle dimissioni e la redazione stessa a una vivace contestazione. Bezos e Lewis avevano cambiato tono, e avevano lasciato che la cosa sbollisse per qualche mese, prima di annunciare con maggiore diplomazia nuovi piani nelle scorse settimane.

E poi è successo il guaio. Venerdì il Washington Post ha annunciato con un articolo di Lewis la sua inattesa decisione di non pubblicare nessun endorsement per le elezioni presidenziali, per la prima volta dal 1988, pur avendo finora sostenuto apertamente Kamala Harris ed essendo da anni la più critica verso Donald Trump tra le testate più importanti. E rapidamente si è saputo che la decisione era stata presa da Lewis con l’articolo di endorsement già scritto e pronto da parte della redazione che si occupa degli editoriali. E altrettanto rapidamente sono circolate versioni che attribuivano la decisione a Bezos, o quanto meno implicavano il suo consenso, e ricostruzioni piuttosto realistiche sui timori di Bezos per le sue molte attività legate alle istituzioni e al governo nel caso Trump vincesse le elezioni e mettesse in pratica gli interventi che va minacciando da mesi contro i giornali che lo hanno attaccato. Lewis ha negato che Bezos avesse letto l’endorsement preparato.

La decisione ha generato indignazioni e scelte drastiche nella redazione: si è dimesso un importante autore del giornale, Robert Kagan. Diciotto autori della sezione delle opinioni hanno firmato un articolo che parla di un “terribile errore”. I due famosi giornalisti autori delle inchieste sul caso Watergate – Bob Woodward e Carl Bernstein – hanno diffuso un testo in cui definiscono la scelta di non pubblicare un endorsement contro Trump “sorprendente e deludente”. Marty Baron, ammirato ex direttore del giornale, ha parlato di “codardia”. L’altrettanto stimato direttore del New Yorker, David Remnick, l’ha chiamato un “triste presagio”. Il sito Semafor ha riportato – con qualche dubbio – l’informazione secondo cui subito dopo la decisione almeno duemila abbonati al Washington Post avrebbero disdetto l’abbonamento.
In molti hanno commentato come la censura sull’endorsement già pronto contraddica il motto che lo stesso Washington Post aveva introdotto sotto la testata dopo la vittoria di Trump del 2016: “La democrazia muore nelle tenebre”.

Tutto questo nel contesto di un guaio simile appena capitato al grande quotidiano californiano Los Angeles Times (vedi sotto) e alla vigilia invece di una scelta meno pavida da parte dello storico rivale New York Times, che aveva scelto di sostenere Harris un mese fa e che sabato lo ha ricordato ai lettori, pubblicando in più una specie di ulteriore endorsement molto forte – e molto creativo nella sua versione digitale – contro Donald Trump.
“Se vogliamo farci un’idea di come Trump limiterà la libera stampa se eletto presidente, possiamo vederlo da quello che già succede ancora prima che lo diventi”, ha commentato Kagan.


domenica 27 Ottobre 2024

Charlie

Il “pluralismo” creato da internet è stato assai analizzato, discusso, apprezzato. Le fonti di informazione si sono moltiplicate, gli spazi di confronto anche, si sono creati milioni di piccole comunità digitali intorno alle occasioni, gli argomenti e le relazioni più diverse.
Oltre a scardinare un novecentesco sistema verticale e unilaterale di diffusione delle informazioni, tutto questo ha però atomizzato e isolato le condivisioni di informazioni, cancellando anche una sorta di conoscenza comune tipica del secolo scorso. I livelli di informazione e conoscenza erano molto variabili, tra la popolazione, ma le informazioni e la conoscenza erano simili, in gran parti condivise.
Adesso è come se tutti sapessero cose diverse: dove prima eravamo società di cerchi concentrici, in cui quello centrale sapeva molte cose e quelli attorno ne sapevano via via sempre meno, ma delle stesse cose, adesso siamo società di “bolle”, ognuna con una sua conoscenza, ognuna parzialmente sovrapposta ad altre ma estesamente autonoma.
Il sintomo più visibile di questa autonomia è l’incredulità con cui ciascuno di noi vive le opinioni o pretese conoscenze di altre bolle. E una conseguenza visibile è la capacità di costruire successi – politici, personali, commerciali – e bolle anche di grandi dimensioni, da parte di narrazioni e comunicazioni che in altre bolle sono completamente sconosciute o totalmente disprezzate.
Certo che c’entra, coi giornali, col loro ruolo, e che c’entra anche con chi glielo ha preso – Donald Trump potrebbe vincere le prossime elezioni avendoli quasi tutti contro – e con tutto quello che possiamo chiamare “giornali” oggi.

Fine di questo prologo.


domenica 20 Ottobre 2024

Contributi

Questa settimana Charlie è stata prodotta con la collaborazione dei partecipanti al workshop del Post di formazione giornalistica, sostenuto dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.


domenica 20 Ottobre 2024

Ancora dieci

A partire dal 12 novembre il Post terrà una nuova edizione delle sue “10 lezioni sul giornalismo“, una serie di incontri online per condividere parte delle cose imparate in questi quindici anni di informazione online da parte del Post. Le “10 lezioni sul giornalismo” furono create nelle prime settimane della pandemia, all’inizio del 2020, per ovviare alla sospensione dei corsi in presenza che il Post teneva assieme alla scuola Belleville di Milano, e da allora hanno registrato altissimi interesse e partecipazione, e sono state seguite da oltre duemila persone.

“Sono dieci lezioni, più un prologo da parte del direttore del Post, pensate per chiunque sia interessato a conoscere o capire meglio i meccanismi dell’informazione e le notizie che riceve. Durante gli incontri si parlerà di come è cambiato il giornalismo in questi anni di crisi globali e di come si fa a capire cosa sia una notizia. Dei nuovi modi con cui si fa informazione e ci si informa attraverso i social network e le immagini. Di come si cercano e scelgono le fonti, ma anche dei diversi modi di scrivere e di raccontare la cronaca giudiziaria, la politica, le questioni di genere”.


domenica 20 Ottobre 2024

Due anni di Semafor

Il sito americano Semafor ha compiuto due anni, e che per ora sia sempre lì e senza segni di crisi è già una notizia, con l’aria che tira per i progetti di informazione online. Semafor aveva avuto subito grandi investimenti di fiducia (investimenti economici) nei confronti dei due fondatori, Ben Smith e Justin Smith (non parenti), entrambi con precedenti da protagonisti nelle trasformazioni del giornalismo.
E aveva elementi reali di novità: una dichiarata intenzione di sperimentare col formato degli articoli (l’impressione è che sia stata meno decisiva di quanto annunciato), una priorità alle newsletter, un’idea di eventi e contenuti sponsorizzati come modello di business maggiore.
E nel celebrare i due anni, i suoi fondatori si congratulano dell’autorevolezza effettivamente costruita e del ruolo occupato, ma danno meno informazioni sui bilanci a questo punto.


domenica 20 Ottobre 2024

“Aberrante”

Abbiamo scritto spesso su Charlie della dipendenza di molti giornali dalle opinioni dei propri lettori, e dell’obiettivo quotidiano di soddisfarle, per non rischiare di perdere quote dei preziosi ricavi che oggi arrivano dagli abbonamenti digitali e anche dagli acquisti in edicola, ancora. Tra i quotidiani italiani, il Fatto è sicuramente uno di quelli che più lavora su campagne e interventi che tengano viva l’indignazione dei suoi lettori, quindi sono da notare i due interventi di oggi, domenica, da parte del direttore che scontentano i fedeli lettori autori di due lettere sulla “gestazione per altri”, con toni sprezzanti e definitivi (quelli, invece, non usuali alle espressioni del direttore stesso).


domenica 20 Ottobre 2024

Molto molto Amato

A febbraio Charlie aveva segnalato l’assiduità – quasi una rubrica – con cui il quotidiano Repubblica manda una propria giornalista a intervistare l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, che oggi ha 86 anni. La frequenza da allora si è un po’ attenuata, ma il legame prosegue: con un’altra intervista ad aprile, e una di nuovo domenica scorsa.


domenica 20 Ottobre 2024

BBC licenzia

L’azienda britannica BBC – che è la rete televisiva pubblica del paese e che ha esteso le sue attività al web e al digitale – ha annunciato che eliminerà 155 posti di lavoro, nel contesto di una strategia di riduzione dei costi per cercare di uscire da una crisi che dura ormai da tempo. L’operazione dovrebbe far risparmiare 24 milioni di sterline, a fronte di un obiettivo complessivo di risparmio di 700 milioni entro il prossimo anno.
La riduzione dei posti di lavoro comprende la chiusura del programma di interviste HARDtalk e del servizio di informazione dedicato alla popolazione di origine asiatica sul suo canale Asian Network, e riguarda 130 posizioni giornalistiche nella redazione e 25 ruoli tecnici: a tutti i settori è stato richiesto di ridurre la creazione di contenuti di un quinto.

BBC sta avendo difficoltà a coprire i costi dei suoi numerosi servizi, a trovare nuove strategie di finanziamento e a rispondere alle esigenze della parte più giovane del suo pubblico, che cerca contenuti digitali differenti. Il presidente Samir Shah ha detto che negli ultimi dieci anni BBC ha perso quasi un terzo delle proprie entrate.
Le trattative con il precedente governo del Regno Unito – guidato dal partito Conservatore, che è da anni molto critico nei confronti di BBC – avevano portato a fissare per due anni il canone a 169,50 sterline per nucleo familiare, nonostante l’aumento dell’inflazione. Oltre alla riduzione delle entrate causata dal prezzo fisso, nel 2023 mezzo milione di nuclei familiari ha smesso di pagare il canone. Shah ha detto di non voler passare a modelli di business come la pubblicità o gli abbonamenti, considerandoli incompatibili con l’identità di BBC come servizio pubblico.


domenica 20 Ottobre 2024

“Ladri di giornali”

Lunedì scorso il quotidiano Il Giornale ha dedicato lo spazio maggiore della sua prima pagina a un articolo che denunciava la distribuzione illecita online dei giornali italiani in formato pdf, per aggirare i paywall e fruire gratuitamente dei loro contenuti, contribuendo – a detta del Giornale – al calo delle vendite dei quotidiani, e danneggiando la loro sostenibilità economica. Sempre in prima pagina, un editoriale del direttore commentava la questione.
(Lunedì è il giorno in cui alcuni quotidiani sono preparati con notizie “fredde” nei giorni precedenti al weekend festivo, quando invece la redazione è più sguarnita).

Le copie digitali di cui parla l’articolo vengono distribuite condividendo le credenziali di accesso per abbonati su canali social creati appositamente per questo, in particolare su Telegram. Secondo Francesco Boezi, autore dell’articolo, «l’aspetto forse più sorprendente è che a compiere il reato sono in prima battuta onorevoli e senatori della Repubblica italiana e poi ministri e portaborse e da lì la catena dello spaccio prosegue […] fino ad arrivare a ogni angolo del Paese». Il danno causato ai bilanci delle case editrici da queste pratiche è stimato da Boezi in 350 milioni di euro ogni anno, senza però che siano fornite spiegazioni sulla genesi di questo conteggio (spesso poi, nel denunciare la pirateria sui giornali, gli interessati considerano che chiunque scarichi o legge giornali gratis, senza questa opportunità li acquisterebbe pagandoli).

“Nell’arco di una mattinata, chiedendo a un singolo conoscente quali rassegne ricevesse al mattino, abbiamo avuto accesso a cinque tipi: quella dei parlamentari, quella del ministero dell’Interno, quella del Movimento sindacale autonomo di polizia, quella del Movimento poliziotti democratici e riformisti e quella del Dipartimento di pubblica sicurezza. Poi c’è Telegram, che la Fieg ha chiesto di sospendere già nel 2020. Su Telegram, gruppi che cambiano nome di continuo offrono, sempre gratis, giornali interi (ma anche riviste, libri e fumetti). Soltanto ne «Il Santo è in Chiesa» si contano 30mila e 700 iscritti. L’effetto esponenziale fa il resto. Già nella notte delle chiusure redazionali, partono i primi messaggi. Di solito i primi quotidiani che compaiono sulla chat sono i locali. C’è un ricircolo: gruppi che si spengono, gruppi che si accendono. «Edicola Download», da 56mila membri, chiede l’iscrizione ad altri due canali. Subito dopo questi passaggi, scaricare il quotidiano desiderato (o i quotidiani) diventa fattibile”.


domenica 20 Ottobre 2024

Bernardo Valli su Repubblica

Bernardo Valli è stato uno dei più importanti e ammirati inviati della storia del giornalismo italiano, prima al Corriere della Sera e poi per diversi decenni a Repubblica: oggi ha 94 anni, e quattro anni fa aveva fatto notizia il suo abbandono di Repubblica a seguito di un intervento dell’allora nuovo direttore, Maurizio Molinari, e in un momento in cui molti importanti autori e collaboratori di Repubblica lasciavano criticamente il giornale da poco acquistato dalla famiglia Elkann.
Per questo è significativo che dieci giorni dopo la sostituzione di Molinari alla direzione del giornale – con Mario Orfeo – Repubblica abbia pubblicato un intervento di Valli scritto per una celebrazione parigina del fondatore del giornale, Eugenio Scalfari.


domenica 20 Ottobre 2024

L’algoritmo della homepage del New York Times

Da pochi mesi il New York Times ha introdotto un nuovo algoritmo che gestisce la sua homepage, creando una distribuzione personalizzata degli articoli per ciascun lettore, così da spingerlo a rimanere più tempo possibile sul sito offrendogli solo i contenuti che dovrebbero interessargli. Il New York Times produce 250 articoli al giorno ma la homepage ne può ospitare solo 70.
Il nuovo algoritmo è stato realizzato da un gruppo di ingegneri informatici in collaborazione con la redazione, con l’idea di creare dei parametri che permettessero di valorizzare l’offerta del giornale.
All’inizio l’algoritmo analizza tutti gli articoli che possono apparire in una sezione della homepage. Per determinare poi quali articoli appariranno nella sezione e in quale ordine, stila una classifica sulla base di parametri personalizzati oppure generali, come l’importanza editoriale attribuita loro dalla redazione. Per dare priorità alle storie che la redazione considera significative, a ogni articolo è associato un valore di importanza editoriale, basato su un punteggio dato all’articolo dai redattori stessi. Se quindi un articolo è considerato dalla redazione di grande importanza, è più probabile che venga presentato in homepage anche a prescindere dagli interessi personali dell’utente.
Prima della pubblicazione, la classifica subisce degli aggiustamenti, per creare una homepage dinamica – cioè con contenuti che variano spesso e che interessano all’utente – ma che risponda anche alle priorità decise dal giornale. Uno strumento usato è l’ exposure boosting, che permette alla redazione di fissare in cima alla classifica un articolo, che gradualmente scenderà di posizione, secondo dei tempi ben definiti dalla stessa redazione. Contemporaneamente, dei filtri automatici sostituiscono gli articoli che un utente ha già letto, oppure che ha già avuto davanti più volte ma continua a non aprire, con altri nuovi.
Ogni articolo deve comunque apparire un numero minimo di volte sulle homepage dei lettori prima di essere gestito dall’algoritmo, in modo che i suoi risultati di interesse da parte dei lettori siano basati su sufficienti visualizzazioni.
Il nuovo algoritmo è utile agli editori del New York Times anche per la copertura di grandi eventi e di breaking news, perché permette di generare automaticamente un set variabile di notizie secondarie di approfondimento, per garantire ai lettori una maggiore copertura.


domenica 20 Ottobre 2024

Cancellare easily

Dentro Charlie abbiamo parlato diverse volte della pratica, diffusa tra i giornali internazionali, di rendere la cancellazione degli abbonamenti digitali molto complessa con l’obiettivo di scoraggiarla. Oltre ad essere una pratica scorretta nei confronti dei consumatori, è anche rischiosa: presuppone che quel che si ottiene sia più di quello che si perde in termini di insoddisfazione e sfiducia da parte degli abbonati.

L’agenzia americana Federal Trade Commission (FTC), che ha il compito di tutelare gli interessi dei consumatori, negli ultimi anni ha messo in atto varie misure per contrastare la pratica dei dark patterns, cioè meccanismi ingannevoli creati online per indurre gli utenti a scelte diverse da quelle nei loro interessi. Nel 2021 aveva vietato qualsiasi pratica volta a trattenere gli abbonati contro la loro volontà, specificando che la cancellazione di un abbonamento doveva essere facile almeno quanto la sua sottoscrizione. Nel 2023 aveva ribadito l’obbligo di semplicità della procedura di disiscrizione e aveva ordinato ai giornali di inviare un promemoria agli abbonati prima del rinnovo automatico. In questi giorni la FTC ha approvato una nuova norma per semplificare la cancellazione, e ha imposto alle aziende di fornire informazioni “chiare e veritiere” in merito agli abbonamenti e al consenso da parte di chi li sottoscrive.
Le proteste dei consumatori nei confronti delle difficoltà ad annullare i propri abbonamenti online non riguardano solo gli Stati Uniti (il 1° giugno 2023 il governo francese ha emanato un decreto di “annullamento online dei contratti in tre clic”). In Italia molti giornali rendono la procedura di annullamento degli abbonamenti online molto macchinosa. A settembre 2023 il sito Professione Reporter aveva pubblicato una breve analisi delle procedure di annullamento di alcuni giornali italiani: per Repubblica Stampa gli abbonamenti si potevano annullare tramite una telefonata a un centralino o con l’invio di una PEC. Per il Corriere della Sera era prevista una terza opzione: inviare un fax. Il 5 settembre scorso le testate del gruppo editoriale GEDI hanno introdotto un sistema di semplificazione delle pratiche di cancellazione degli abbonamenti, per cui ora nell’area “Abbonamenti” nel profilo personale dell’utente è presente un pulsante di cancellazione. Anche il Corriere della Sera ha semplificato nell’ultimo anno la procedura di disiscrizione, che è diventata tutta online nonostante sia rimasta piuttosto lunga.


domenica 20 Ottobre 2024

Non è vero!

Nell’ultima settimana due autorevoli testate americane, il New York Times e l’ Atlantic, hanno scelto di intervenire pubblicamente per  smentire delle accuse ricevute sui social network.

Il 9 ottobre il New York Times aveva pubblicato un articolo di Feroze Sidhwa, medico chirurgo, che dal 25 marzo all’8 aprile di quest’anno era andato come volontario nella città palestinese di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Nell’ articolo erano citate dichiarazioni di sessantacinque tra medici, infermieri e soccorritori statunitensi che negli scorsi mesi avevano lavorato negli ospedali di Gaza. Quarantaquattro di loro avevano dichiarato di aver visto e soccorso diversi bambini palestinesi con ferite d’arma da fuoco al petto o alla testa: ferite che, sempre secondo le testimonianze, sembravano essere il risultato di azioni deliberate da parte di tiratori scelti israeliani. A supporto delle testimonianze nell’articolo erano pubblicate tre fotografie di lastre ai raggi X, lastre che mostravano le teste di tre bambini perforate da proiettili.
Dopo la pubblicazione alcuni utenti di Twitter avevano messo in dubbio l’autenticità delle radiografie, sostenendo che i proiettili utilizzati dall’esercito israeliano non fossero compatibili con le ferite ritratte nelle lastre.
Vista la discussione e le accuse di non verificare le proprie fonti, il 15 ottobre il New York Times ha pubblicato una risposta che ribadisce l’autenticità di quanto scritto e spiega come ogni dichiarazione sia stata verificata attraverso un’analisi delle credenziali degli intervistati e ogni radiografia, prima di essere pubblicata, sia stata sottoposta all’analisi di esperti in ferite d’arma da fuoco, radiologia e pediatria, oltre ad essere confrontata con le fotografie dei corpi per verificarne la compatibilità con le ferite (fotografie che il giornale ha deciso di non pubblicare).

Il 10 ottobre l’ Atlantic ha dichiarato di sostenere Kamala Harris come candidata alla presidenza degli Stati Uniti. Dopo l’annuncio, ha iniziato a circolare sui social network uno screenshot che sembrava mostrare un articolo del giornale intitolato “Per difendere la democrazia Harris potrebbe dover ricorrere a brogli”. Alcuni sostenitori di Donald Trump hanno accusato quindi il giornale di legittimare ipotesi di brogli per far vincere Harris, e di confermare le accuse preventive in questo senso diffuse da Trump. Martedì l’ Atlantic ha pubblicato un breve comunicato per spiegare che il titolo è falso, ottenuto modificando quello di un articolo pubblicato il 6 ottobre del 2021 – Kamala Harris potrebbe trovarsi a fermare i brogli” dedicato al ruolo dei vicepresidenti nel momento in cui il congresso degli Stati Uniti si trova a certificare il risultato delle elezioni.
“Immagini di titoli dell’ Atlantic falsi circolano sui social network con crescente frequenza. Molte sono falsificate grezzamente, con risoluzioni sgranate e a volte con linguaggi d’odio. Disinformano e manipolano le persone che ci si imbattono. Molte sono condivise da individui con grandi numeri di follower, compresi politici eletti.
Chiunque incontri queste immagini può verificare rapidamente se siano vere o no, con una ricerca sul sito dell’ Atlantic “.


domenica 20 Ottobre 2024

Qualcosa si muove al Washington Post

Forse ci sono novità sul Washington Post, il quotidiano statunitense che Jeff Bezos ha acquistato nel 2013, e sui suoi tentativi di aumentare il numero degli abbonati attraverso nuovi paywall e servizi a pagamento e di superare le tensioni dei mesi passati tra la redazione e la nuova dirigenza.

Il Washington Post è in una crisi economica e di lettori da un paio d’anni: rispetto al 2020 i lettori si sono dimezzati e i 77 milioni di dollari persi nel 2023 hanno portato al licenziamento di 240 dipendenti.
Per mettere in ordine i conti, Jeff Bezos ha nominato amministratore delegato del giornale il manager londinese Will Lewis.
Ma le prime proposte editoriali poco chiare e i suoi tentativi di bloccare degli articoli su uno scandalo in cui era stato coinvolto in passato avevano fatto dimettere la direttrice e irritato la redazione. La crisi era peggiorata con la rinuncia di Robert Winnett – il nuovo direttore incaricato da Lewis – a seguito di una protesta della redazione per i modi troppo autoritari della scelta.
Lewis e Bezos hanno deciso allora di cambiare approccio, facendo sbollire la crisi in redazione e usando toni più concilianti per la scelta del futuro direttore.

Un articolo del New York Times di questa settimana ha raccontato che ora Lewis si starebbe concentrando su nuove acquisizioni e sullo sviluppo di nuovi servizi. Lewis starebbe investendo su un nuovo servizio di informazione aziendale, chiamato “ WP Intelligence ”, in programma per il 2025: in cambio di un abbonamento il servizio garantirà ad aziende e professionisti una maggiore fornitura di informazioni sui settori di loro interesse (una cosa che già fanno Politico Bloomberg).
Sul versante delle acquisizioni, Lewis è interessato al video, e ci sarebbero stati dei contatti esplorativi per l’eventuale acquisto di Punchbowl News, una startup che si occupa di politica e istituzioni di Washington e che è stata recentemente valutata 100 milioni di dollari.
Sempre secondo il New York Times, martedì alla redazione del Washington Post è stata mostrata una presentazione sui progetti e sui risultati del giornale che diceva tra le altre cose: “Dopo un periodo di significativo declino dei numeri dei nostri abbonamenti digitali, stiamo crescendo per la prima volta dal 2021”. Per spingere più persone ad abbonarsi, il Washington Post ha modificato il suo paywall – cioè si potranno leggere meno articoli gratuitamente – e ha cercato di chiudere i più di 160mila abbonamenti gratuiti per gli uffici e i dipendenti federali.


domenica 20 Ottobre 2024

AGI e Angelucci forse non si fa, per il momento

Il prospettato acquisto dell’agenzia di stampa AGI – ora di proprietà della società di energia e combustibili fossili ENI – da parte del deputato leghista Antonio Angelucci, già editore dei quotidiani LiberoTempo Giornale, sarebbe diventato più improbabile, secondo un articolo pubblicato dal Fatto martedì. Dopo le proteste della redazione di AGI e di esponenti dell’opposizione al governo, della trattativa non si era più parlato per alcuni mesi.


domenica 20 Ottobre 2024

Voci

In un articolo pubblicato sabato, e arricchito da ipotesi e nomi apparentemente poco realistici (l’impressione è che si tratti di una voce forse fondata, ma allungata per occupare lo spazio di mezza pagina), il Fatto ha sostenuto che siano in corso dei progetti sull’acquisto di Repubblica da parte di Claudio Calabi, manager di ricco e ammirato curriculum, che è stato amministratore delegato di RCS e del Sole 24 Ore, tra le molte altre cose. L’articolo sostiene che Calabi starebbe verificando la possibilità di costruire un gruppo di soci per comprare il giornale.


domenica 20 Ottobre 2024

Pessime lezioni

IrpiMedia è uno stimato sito italiano di inchieste giornalistiche, e questa settimana ha pubblicato una lunga indagine che denuncia le molestie sessuali che avverrebbero sistematicamente all’interno delle dieci scuole italiane di giornalismo riconosciute dall’Ordine dei giornalisti: quelle che permettono ai loro studenti di svolgere il periodo di praticantato necessario a sostenere l’esame di Stato.

L’inchiesta si riferisce agli ultimi dieci anni di attività delle scuole e ha coinvolto 239 studentesse e studenti che hanno testimoniato a partire da febbraio 2024: il 50% delle persone intervistate ha riferito di aver assistito o saputo di molestie sessuali e verbali, tentate violenze sessuali, atti persecutori, stalking, ricatti e discriminazioni di genere; il 33% delle studentesse ha descritto nel dettaglio gli abusi subiti; nessuna delle studentesse molestate ha denunciato i responsabili.

Il sessismo e le molestie sessuali all’interno delle redazioni giornalistiche italiane, e nel mondo dei media in generale, sono state già documentate: secondo un’indagine del 2019 condotta dalla Commissione Pari Opportunità della Federazione nazionale della stampa italiana in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti e altri enti, in Italia l’85% delle giornaliste dichiara di aver subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della vita professionale.

A seguito dell’inchiesta di IrpiMedia il presidente dell’Ordine dei giornalisti ha convocato i direttori delle scuole “ribadendo la necessità di intensificare la vigilanza e ogni iniziativa utile a prevenire e reprimere episodi di questo genere”.


domenica 20 Ottobre 2024

Torna un “public editor”, ma in Germania

A settembre il direttore del settimanale tedesco Der Spiegel (il più importante newsmagazine del paese, famoso per il suo lavoro di accuratezza e verifica), Dirk Kurbjuweit, ha annunciato l’inizio di una collaborazione piuttosto innovativa con l’esperto di media Bernhard Pörksen. Pörksen è un professore all’università di Tubinga, ed è uno dei più conosciuti tra gli esperti di media e di testate giornalistiche tedesche.
Il compito assegnato a Pörksen è di commentare e criticare regolarmente il lavoro di informazione fatto dallo Spiegel : può farlo nel modo che preferisce, i suoi articoli non vengono corretti dalla redazione e sono pubblicati a prescindere dalle critiche contenute al loro interno, “anche se dovesse essere doloroso”. Pörksen ha anche accesso completo agli archivi del giornale e può parlare con i giornalisti e lo staff della redazione tutte le volte che ne ha bisogno.
Gli interventi dall’esterno di Pörksen dovrebbero fornire ai lettori il punto di vista autorevole di un esperto ben informato sul lavoro dello Spiegel e sul suo modo di raccogliere informazioni e raccontare le notizie. L’obiettivo di questa collaborazione, dice Kurbjuweit, è quello di rafforzare la fiducia dei lettori nei confronti del giornale, che punta a dimostrarsi trasparente e aperto alle critiche.

Il nuovo ruolo di Pörksen all’interno dello Spiegel potrebbe ricordare quello del “public editor”, o “ombudsman” (in passato molto presente all’interno delle redazioni dei giornali statunitensi e che qualche anno fa aveva avuto un breve esperimento italiano alla Stampa ), un intermediario tra lettori e redazione che garantisca il rispetto dei principi etici che regolano il lavoro di raccolta e distribuzione delle notizie da parte dei giornalisti. Il public editor è un ruolo tendenzialmente ricoperto da un giornalista interno alla redazione ma autonomo, Pörksen invece è un accademico: la sua funzione non è regolata né gestita all’interno dell’azienda e non sarà remunerato per il suo lavoro, per garantire autenticità e imparzialità alle sue opinioni.


domenica 20 Ottobre 2024

Indietro facendo tappa

Anni fa, quando la priorità di quasi tutti i maggiori siti di news italiani era di ottenere più “pagine viste” possibile, per aumentare i ricavi legati alle visualizzazioni delle pubblicità, i siti stessi si dedicavano a molti escamotage con questo obiettivo: il “reload” automatico delle pagine, pagine aperte e nascoste dietro a quelle principali, ripartizioni degli articoli su molte pagine successive. Oggi questo succede ancora su alcuni siti, ma i risultati sono stati indeboliti dal diminuito valore della pubblicità online e dagli accorgimenti tecnici più efficaci con cui gli inserzionisti possono valutare l’effettiva visibilità dei loro banner, video, eccetera.
Un’invenzione che però è stata molto sfruttata in questi anni, e tuttora diffusa anche tra i siti di news maggiori, è quella che dirotta il tasto “back” del browser – quello che dovrebbe far ritornare alla precedente pagina visitata – verso una pagina intermedia del sito in cui ci si trova. Il funzionamento è spiegato per esempio qui.

“I siti non stanno cambiando il comportamento del pulsante Indietro. Caricano e reindirizzano semplicemente rapidamente a un sacco di altre pagine prima di portarti a quella che volevi. Quindi, quando premi il pulsante Indietro, ti porta a una delle pagine che ha caricato e reindirizzato segretamente prima di andare alla pagina corrente. È un modo squallido per aumentare le visualizzazioni degli annunci e tenerti sul sito”.


domenica 20 Ottobre 2024

Charlie, rubriche nella ruota

Le rubriche firmate periodiche sono uno dei “format” più diffusi sui giornali di tutto il mondo. Quelle più autorevoli e dedicate all’attualità sono chiamate “column” nei giornali americani, e possono essere pubblicate una o due volte alla settimana, di solito. Nei quotidiani italiani sono più frequenti quelle quotidiane: Corriere della Sera Stampa hanno ogni giorno in prima pagina le rubriche di Massimo Gramellini e di Mattia Feltri, Repubblica ne ha diverse all’interno, le più visibili quelle di Michele Serra e Concita De Gregorio. Il Fatto ha ogni giorno in prima pagina la lunga rubrica del direttore. Il Foglio ne ospita diverse in ogni pagina, anche molto brevi, rinnovandole spesso. Ma anche i settimanali hanno autori e autrici di rubriche fisse, di solito nella prima parte del giornale.
Ce ne possono essere di più o meno popolari, e con approcci e argomenti i più diversi, ma tutte condividono un aspetto che ha maggiori implicazioni di quel che sembra: ovvero la frequenza fissa e obbligata, che impone a ciascun autore o autrice di consegnare al giornale un articolo a prescindere dalle idee che può avere, dalle cose da dire, o insomma dai fattori che normalmente generano la scrittura di un articolo su un giornale. Sono articoli scritti per rispettare una scadenza, prima di tutto: ed è un fattore che va considerato nel giudicarli e valutarli, sia nel bene – con ammirazione per chi è capace di consegnare un articolo riuscito con maggiore frequenza – che nel male, con consapevolezza che altre volte l’idea o la notizia non c’erano, e non sempre si riesce a scrivere bene intorno all’assenza di un’idea. Ma per capire la genesi di quello che leggiamo sui giornali, anche questo è un elemento di cui tenere conto.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Ottobre 2024

Per non litigare

Continuando a mantenere per i suoi abbonati l’offerta di uno spazio per commentare gli articoli – che nell’ultimo decennio è stato cancellato da molti siti italiani e internazionali – il Post ha spiegato l’introduzione di ulteriori attenzioni a conservarne l’aspetto di arricchimento civile e rispettoso.


domenica 13 Ottobre 2024

Extra territoriali

Le pagine del sabato in particolare, sui due maggiori quotidiani italiani, sono quelle che vengono più spesso occupate da articoli “di favore” offerti ai maggiori inserzionisti, con sovrapposizioni spesso molto vistose: ieri è successo con l’articolo celebrativo del brand Max Mara sul Corriere della Sera, il giorno dopo la pubblicazione di una pagina pubblicitaria comprata da Max Mara stessa, e lo stesso giorno di due altre pagine acquistate sul supplemento IoDonna.


domenica 13 Ottobre 2024

Non si sa dove vada CNN

La newsletter Status curata da Oliver Darcy ha pubblicato una riflessione molto severa sul primo anno di gestione di CNN dall’arrivo del nuovo amministratore delegato Mark Thompson.
Status è stata creata di recente e si occupa dei media statunitensi, del business di cinema e video e delle aziende tecnologiche come X, Meta, Google e TikTok, tutte organizzazioni molto influenti nel mondo dell’informazione americana: Darcy aveva curato fino a prima dell’estate un’analoga e popolare newsletter pubblicata proprio da CNN. Di Status si era parlato di recente per via dello scoop sulla relazione tra Robert Kennedy Jr. e la giornalista Olivia Nuzzi.

Nell’ultima newsletter Darcy ha giudicato inadeguata la nuova gestione di Thompson, in particolare sottolineando la poca trasparenza mostrata nei confronti dei giornalisti e dipendenti di CNN e l’assenza di un piano chiaro su come rilanciare l’azienda. Da qualche anno CNN cerca di fare i conti con una notevole diminuzione degli ascolti televisivi e dei profitti, e un insufficiente sfruttamento del proprio sito: crisi che era stata molto seguita dai media durante la gestione del precedente amministratore delegato Chris Licht: tredici mesi piuttosto burrascosi, in particolare perché l’emittente si era data l’obiettivo di tornare ad essere seguita dagli elettori repubblicani dopo un battagliero impegno anti Trump, e Licht aveva cercato di imporre ai giornalisti un approccio più conciliante, finendo per causare vistosi malumori e proteste all’interno dell’azienda. Thompson, che lo ha sostituito, è molto rispettato per essere riuscito a invertire una crisi al New York Times un decennio fa e a trasformarlo in un’azienda solida in un momento di difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti digitali, simile a quello vissuto in questi anni da CNN.

Nella newsletter Darcy ha riconosciuto a Thompson di essere riuscito a riportare stabilità all’interno dell’azienda grazie alla sua leadership calma e riservata, ma ha al tempo stesso criticato l’assenza di un coinvolgimento dei dipendenti e dei giornalisti – con cui Darcy ha mantenuto evidentemente molti intimi contatti – che gli hanno raccontato di non comprendere quale sia il piano immaginato dalla dirigenza. Negli ultimi 12 mesi Ken Jautz, Deborah Rayner e Sam Feist – tre storici giornalisti e dirigenti dell’azienda – hanno abbandonato CNN


domenica 13 Ottobre 2024

IoLuce in fondo al tunnel

Su Repubblica e sul Corriere della Sera è tornata la presenza eccezionalmente assidua di un’inserzionista, l’azienda di gioielleria Visconti, che ogni anno negli ultimi mesi dell’anno occupa pagine pubblicitarie tutti i giorni su entrambi i quotidiani. Charlie lo aveva raccontato qui.
«Gli investimenti che facciamo sulla campagna pubblicitaria della collezione di IoLuce è di circa 1,5 o 2 milioni l’anno, dove carta stampata e social la fanno da padrone: su questi due mezzi investiamo il 60-70% del totale. Facendo una stima in un anno sulla carta stampata investiamo tra i 500 e i 750mila euro».


domenica 13 Ottobre 2024

Per chi se lo chiedesse

Non ha avuto finora nessuna conferma la notizia della sostituzione dell’amministratrice delegata del Sole 24 Ore, che il Giornale aveva annunciato nelle sue pagine dell’economia una settimana fa.


domenica 13 Ottobre 2024

Vacche grasse al Financial Times

Il londinese Financial Times , uno dei quotidiani finanziari più importanti al mondo (l’altro è il newyorkese Wall Street Journal) ha comunicato internamente (in un documento consultato dal sito Press Gazette che ne ha dato notizia) che nel 2023 i suoi ricavi sono stati i maggiori della sua storia, superando il mezzo miliardo di sterline, con un profitto di 30 milioni di sterline. Il giornale è di proprietà della grande società giapponese di media finanziari Nikkei, ed è stato nel passato decennio uno dei più attivi nell’adattamento ai mercati digitali e alle opportunità di innovazione tecnologica, sviluppando e ampliando i servizi alle aziende che erano sempre stati una parte importante della sua offerta.


domenica 13 Ottobre 2024

Il regno di Israele

L’errore di traduzione sul sito di Ansa di questa settimana – ultimo e sicuramente non ultimo di una intensa serie – potrebbe raccontare due cose che riguardano i giornali, tutte e due interessanti. Una è il sempre più frequente ricorso a sistemi di traduzione automatica, che per quanto perfezionati avrebbero sempre bisogno di una revisione. Ma può darsi che in questo caso invece l’errore sia umano, e generato allora dal pudore un po’ anacronistico di alcune testate nel pubblicare parole più volgari, che qui ha ingannato chi non ha compreso che “king” era solo una parte della parola “fucking” e non un improbabile re.
(l’articolo è ancora online – anche su altri siti di news che lo hanno ripreso – senza correzioni quando mandiamo questa newsletter, malgrado diverse segnalazioni sui social network)


domenica 13 Ottobre 2024

Giochi preziosi

Il sito di news americano Semafor ha scritto martedì che il New York Times starebbe testando – per ora solo fra i suoi utenti canadesi – un nuovo gioco, chiamato Zorse. L’obiettivo del gioco, che riprende in parte il formato del programma televisivo “La ruota della Fortuna”, è indovinare una frase conoscendo il tema. Per risolverlo si possono poi svelare fino a un massimo di cinque lettere diverse usate nella frase.

Testare giochi come Zorse per capire se possano essere messi o sulla sua sezione di giochi (per cui è stata costruita anche un’app di grande successoNYT Games), è molto importante per il New York Times, perché dal successo del gioco può derivare un’ulteriore crescita di uno dei servizi più remunerativi per il giornale, in termini di aumento degli abbonamenti.
Il New York Times infatti non è più proposto solo come un mezzo di informazione, ma fornisce ai suoi utenti una serie di servizi – di sport, cucina, giochi e recensioni di prodotti – a cui ci si può abbonare, per garantirsi l’accesso completo a uno o a più di questi servizi. Negli ultimi dieci anni questo sistema ha aiutato il New York Times a ottenere ricavi eccezionali: ad agosto ha scritto di avere quasi undici milioni di abbonati, un aumento del 13,6% rispetto all’anno precedente.
Negli ultimi anni la sezione dedicata ai giochi si sta rivelando il più importante fra questi servizi nel sostenere la straordinaria crescita economica del New York Times: gli ultimi dati (2023) dimostrano come gli abbonati ormai passino più tempo a giocare sul Times che a leggerne le notizie.

Il giornale aveva una sua app di giochi già dal 2009, all’inizio chiamata NYT Crossword, perché mostrava solo la versione digitale del suo storico cruciverba. Dal 2014 ha aggiunto giochi e rompicapo ancora oggi molto apprezzati dagli utenti, come Spelling Bee (un gioco dove si deve fare il massimo numero di parole possibile con poche lettere), a cui si poteva accedere gratuitamente una volta al giorno. La situazione è cambiata radicalmente quando nel 2022 il New York Times ha comprato Wordle, un gioco – che stava già spopolando in rete da qualche mese – in cui ogni giorno bisogna indovinare una parola di cinque lettere con soli sei tentativi e indicazioni che riprendono il meccanismo del vecchio gioco da tavolo che si chiamava Master Mind. Quando Wordle è stato aggiunto come gioco gratuito all’app, in un anno gli utenti attivi sull’applicazione sono passati da 800mila (2022) a 2,6 milioni (2023).
Il New York Times ha quindi investito molto più di prima sui giochi. Dal 2022 i data analyst del giornale hanno riorganizzato in modo più efficiente tutto il sistema di gestione e analisi dei dati provenienti dall’app, per poter capire meglio come gli utenti usano l’applicazione e come migliorarla: lo stesso Wordle è stato dotato di una serie di accessori perché gli utenti archivino e valutino i propri risultati.
Dal 2023 l’app dei giochi ha poi cambiato nome, passando da NYT Crossword NYT Games, per porre meno l’accento sul cruciverba e più sulla varietà di giochi offerti.