domenica 10 Dicembre 2023

Non regole, ma strumenti

Il sito del Poynter Institute, un’importante istituzione americana che si occupa di giornalismo, ha raccontato alcune cose sull’ AP Stylebook, che è una cosa piuttosto speciale e rinomata nel mondo del giornalismo statunitense ma anche internazionale. È il “manuale di stile” dell’agenzia di stampa Associated Press – a sua volta una delle istituzioni giornalistiche più importanti e autorevoli del mondo, spesso chiamata AP -, in cui vengono organizzate e aggiornate di continuo le indicazioni per i giornalisti e i dipendenti non solo sulle scelte ortografiche, formali, linguistiche ma anche di scelte giornalistiche ed etiche. L’AP Stylebook esiste da più di un secolo e da settant’anni è venduto al pubblico, con aggiornamenti biennali, ed è diventato il riferimento editoriale e formale per tantissime organizzazioni, aziende, case editrici, giornali.

Nell’articolo su Poynter sono descritte alcune cose spiegate dalla direttrice Paula Froke in un workshop organizzato dallo Stylebook. Froke spiega che lo Stylebook non deve essere considerato una raccolta di regole ma uno strumento, e che quelle che contiene non sono istruzioni a cui obbedire ma da prendere considerazione valutando di volta in volta contesti e variabili diverse: e lo stesso manuale spesso suggerisce i diversi fattori da valutare per fare scelte differenti, «alcune norme obbligano a prendere delle decisioni, siete voi che dovete fare delle scelte». E ogni redazione che segue il manuale deve sentirsi libera di adattarne le istruzioni per il proprio pubblico.
Sono anche citati alcuni casi particolari di applicazioni giornalistiche: per esempio come considerare le risposte ricevute per email, per valutare se possono essere adattate per ragioni di chiarezza – come si fa con le interviste raccolte a voce – oppure devono essere rispettate nella loro versione esatta e integrale, come si fa con qualunque testo stampato. Lo Stylebook indica la seconda. E infine, Associated Press ha diffuso delle istruzioni sulla guerra a Gaza tre settimane dopo gli attentati di Hamas, “spiegando il contesto storico, i protagonisti e le ragioni per cui, per descrivere Hamas, “militants” è permesso e “terrorists” no”.

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