domenica 15 Settembre 2024

Non in nostro nome

I dissensi tra la redazione di Repubblica da una parte, e dall’altra l’editore GEDI, il direttore Molinari e la concessionaria di pubblicità del gruppo, sono già ripresi pubblicamente dopo appena 13 giorni di settembre. Questa volta a irritare i giornalisti è stata la scelta di “vendere” a un inserzionista la testata stessa del giornale – nelle pagine del sito -, colorandola in maniera che richiamasse il prodotto promosso, un profumo del brand Dior. La pratica non è del tutto inedita (lo stesso Post , all’interno di un’iniziativa grafica più complessa di diversi anni fa, trasformò la propria testata; altre testate internazionali anche cartacee hanno variato a volte il colore in occasioni speciali) ma in questo caso il suo “valore simbolico” – forse anche perché applicata a un prodotto di connotazione particolarmente frivola e lussuosa come un profumo – ha spinto il Comitato di redazione a pubblicare una protesta sul quotidiano, l’indomani, con esplicite allusioni a insoddisfazioni assai più estese.

“Ieri, la testata di “Repubblica” online ha perso il suo abituale colore per far spazio a un giallo “griffato”, iniziativa collegata alla pubblicità di un marchio di moda. Non sfuggirà il valore simbolico: una testata giornalistica, che si definisce indipendente, pronta ad “affittare” il proprio nome su richiesta di un inserzionista (o su proposta della concessionaria della pubblicità). Scelte di questo tipo, che possono pure avere un senso economico nell’immediatezza, rappresentano invece una pesante ipoteca sulla reputazione del giornale. Ma occorre voler bene a “Repubblica” per capirlo. La gestione degli ultimi anni del gruppo Gedi, o per meglio dire ciò che ne rimane, conferma invece quel che ribadiamo da tempo: questo management non ha nessuna passione editoriale né rispetto per la missione che ci siamo dati, cioè il giornalismo. Vorremmo dire che non siamo in vendita e che non tutto può essere vincolato a interessi altri rispetto al giornalismo. Ma questa purtroppo rimane una enunciazione di principio, visto che ogni nostra sollecitazione e protesta è finora caduta nel vuoto. Per fortuna ci resta la libertà di parola e in questo caso di denuncia: tutto ciò non sta avvenendo in nostro nome”.

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