domenica 4 Febbraio 2024
In Italia una serie di norme ha sempre imposto alle amministrazioni pubbliche di pubblicare determinate comunicazioni sui giornali, con l’obiettivo di consentire massima pubblicità e trasparenza all’oggetto di quelle comunicazioni. Si tratta di solito di bandi pubblici, e ne avevamo scritto su Charlie la prima volta tre anni fa.
“quelle più frequenti e familiari a chi sfoglia i quotidiani sono i bandi di gara pubblici, poi ci sono avvisi diversi che si ritiene corretto abbiano estesa pubblicità tra i cittadini e gli interessati e non restino confinati ai documenti amministrativi; e anche la pubblicazione delle sentenze processuali, che ha altre regolamentazioni ma che si riferiscono in molti casi sempre alla carta stampata.
Sono casi spesso diversi tra loro, ma in prevalenza sono imposti o da leggi specifiche sulla comunicazione pubblica di alcuni atti, o da leggi specifiche sulla quota di investimenti che le amministrazioni devono destinare alla pubblicità (e ci sono state sanzioni in passato per quelle che non l’hanno rispettata).
Per farla breve: lo Stato ritiene che i giornali siano un servizio pubblico utile alla comunicazione “ufficiale” e li ha inclusi formalmente tra i propri canali di informazione, al tempo stesso creando una fonte di ricavo pubblicitario garantito per i giornali stessi (stimato negli anni scorsi come il 10% circa dei ricavi pubblicitari)”.
Queste norme sono state messe in discussione negli ultimi anni, e per questo ne avevamo già scritto allora (tornandoci poi quando discussioni simili erano avvenute nel Regno Unito e negli Stati Uniti).
“il problema è che l’utilità di queste comunicazioni pubbliche – così come sono concepite – è diventata anacronistica: in quanto continua a considerare soltanto l’informazione su carta e non quella online, laddove la seconda sarebbe oggi molto più efficace per questo tipo di comunicazioni. Perché le persone ormai si informano molto di più online, perché i contenuti online hanno una permanenza molto maggiore ed efficace, perché sarebbe un risparmio prezioso per gli enti pubblici. Lo aveva segnalato a un certo punto il governo Renzi in maniera sommaria (ovvero suggerendo di limitarsi a usare i siti istituzionali, poco visibili e visitati, che sarebbe un ripiego inadeguato), ma si è persa a causa di resistenze e campagne delle grandi testate; e anche della bassa priorità, in termini di consenso, di una scelta la cui utilità i cittadini percepiscono poco”.
Da diversi anni le norme in questione, in assenza di una revisione più ampia, vengono reinserite ogni anno “temporaneamente” in quello che si chiama “decreto milleproroghe“: in sostanza, come si fa per altre questioni, il governo dice “per quest’anno facciamo così, poi vedremo”, e si prosegue così per anni. Quindi adesso siamo di nuovo all’eventuale rinnovo della consuetudine, fortemente sostenuto dagli editori di giornali, perché costituisce una secondaria ma preziosa fonte di sostegno economico pubblico alle testate coinvolte (nei fatti quasi tutte cartacee). Ma oltre alle ragioni di anacronismo di questa pratica, quest’anno ci sono all’interno della maggioranza di governo altre resistenze: che hanno a che fare con gli interventi in generale per ridurre i costi pubblici, ma anche con le richieste del PNRR di modernizzare questo tipo di comunicazioni pubbliche e gestirle attraverso strumenti digitali. Quindi gli editori di giornali cartacei – che abitualmente ottengono ascolti e attenzioni da parte di governi e parlamenti, in ragione della loro capacità di pressione – sono più preoccupati del solito di perdere questo beneficio.
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