domenica 30 Giugno 2024
È pratica comune e indiscussa, nelle aziende giornalistiche, che le conseguenze di eventuali denunce contro i giornalisti siano coperte economicamente dalla società editrice, e non lasciate a carico dei singoli giornalisti, che sarebbero altrimenti inibiti a prendersi le più ordinarie responsabilità del loro lavoro. Non solo quelle che possono generare condanne, ma semplicemente quelle che possono generare denunce intimidatorie, spese legali, rischi connessi. Un giornalista con un mandato, e un direttore prima ancora, devono poter contare su una difesa adeguata dai rischi legati al buon svolgimento del loro lavoro: è una delle ragioni – non l’unica – per cui i grandi scoop di inchiesta di solito provengono da testate importanti e con risorse economiche maggiori, il poter procedere senza temere le possibili ritorsioni dei soggetti che si ritengono danneggiati dal loro lavoro. I quali, se avessero delle ragioni, dovranno sì vederle riconosciute, ma col giornale che si prende la responsabilità delle scelte fatte e non le scarica sui singoli.
Questa condizione fondamentale del buon lavoro giornalistico sembra essere stata rinnegata questa settimana dal nuovo editore del settimanale L’Espresso, che si sta sottraendo alla difesa dell’ex direttore del giornale Lirio Abbate in una causa per diffamazione da parte dell’attuale ministro della Difesa, legata a un articolo pubblicato sul giornale nel 2022. L’editore sostiene che il fatto che Abbate non lavori più per l’ Espresso – ” mai avuto il piacere di conoscere l’ex direttore Abbate” – liberi l’azienda dalle sue responsabilità (tesi ardita, considerati i tempi processuali di questo genere di cose).
In una condizione simile, per sviluppi diversi, si era trovata qualche anno fa la giornalista e scrittrice Concita De Gregorio, rispetto al suo lavoro di direttrice del quotidiano L’Unità.
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