domenica 11 Settembre 2022
Mathew Ingram, che cura abitualmente la newsletter della Columbia Journalism Review – il sito della Scuola di giornalismo della Columbia University di New York – ha riassunto le valutazioni che si fanno sulla legge australiana che ha costretto Google e Facebook a compensare i giornali per i link ai loro contenuti: a partire dal progetto di legge simile che ora è stato proposto anche al Congresso degli Stati Uniti*. L’articolo di Ingram si può leggere in italiano sul Post .
Nonostante l’apparente successo della legge australiana, un certo numero di osservatori rimane critico nei confronti dell’applicazione dell’idea negli Stati Uniti. Jack Shafer di Politico scrive che «tassare le società tecnologiche per il fallimento dell’industria delle notizie è semplicemente ingiusto», perché Google e Facebook non hanno ucciso i giornali; piuttosto, i danni alle aziende giornalistiche sono «autoinflitti». Il calo pro capite della diffusione dei giornali è iniziato nel secondo dopoguerra, osserva, «e gli introiti pubblicitari hanno raggiunto il loro picco nel 2005». Da parte sua, il sindacato NewsGuild dice che il disegno di legge «manca ancora di barriere sufficienti ad assicurarsi che le entrate aggiuntive siano utilizzate per assumere giornalisti e per servire meglio i lettori».
*venerdì la possibile approvazione bipartisan della legge ha avuto un arresto perché il senatore Repubblicano Ted Cruz ha ottenuto per un voto l’approvazione di un emendamento che di fatto annulla la possibilità di accordi se nelle trattative tra piattaforme e giornali vengono evocate limitazioni ai contenuti pubblicati che possano essere assimilate a censure (la destra americana accusa le piattaforme di censura nei confronti dei contenuti più reazionari), e la senatrice Democratica Klobuchar – promotrice della legge – si è molto arrabbiata: ha denunciato una violazione degli accordi sulla legge sostenendo che l’emendamento dia alle piattaforme la scusa per sottrarsi alla trattativa.
Nel frattempo un’importante associazione americana di editori di giornali piccoli e locali, digitali e cartacei, si è detta contraria alla legge perché non offre garanzie che i compensi ottenuti dai giornali siano distribuiti equamente e non solo alle grandi testate, e siano utilizzati come investimenti nel giornalismo e non per altre destinazioni da parte delle aziende che possiedono i giornali.
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