domenica 2 Aprile 2023

Lavorare da casa al Foglio

Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha raccontato – all’interno di una lunga riflessione sugli sviluppi del lavoro “da casa” in questi ultimi anni – quello che sta imparando dalla condizione della sua redazione in queste settimane, che si trova a lavorare senza uno spazio fisico comune, per ragioni passeggere.

“Da un mese, il nostro giornale si trova, a Roma, senza una sede fisica in cui il giornale viene elaborato. Il Foglio sta cambiando sede, a breve avremo un nuovo ufficio, ma nell’attesa di accomodarci in un nuovo palazzo, i lavori non sono ancora finiti, ci siamo trovati a lavorare come in pandemia: tutti da casa. Nel farlo, però, abbiamo scoperto che, al contrario della primavera del 2020, eravamo involontariamente preparati. Da tre anni, ormai, le nostre riunioni mattutine, che di solito vengono convocate attorno alle 11.45, si sviluppano su Skype, anche quando siamo tutti in redazione: è più comodo, è più flessibile, è più sicuro, degli starnuti improvvisi abbiamo ancora un po’ di timore, e in fondo, in questi anni, abbiamo imparato a confrontarci bene, e anche a litigare se necessario, anche senza essere seduti tutti nella stessa stanza. Da qualche anno, poi, il nostro sistema operativo, Gmde, ci permette di lavorare da remoto facilmente: è sufficiente un computer, un collegamento internet decente e il giornale lo si può passare da qualsiasi parte del mondo. Da tre anni, infine, gran parte delle nostre comunicazioni si muove, durante il giorno, attraverso le chat su WhatsApp, dove viaggiano le informazioni, le segnalazioni, le idee, gli spunti di giornata aggiuntivi rispetto alle idee presentate la mattina in riunione.

Risultato: mentre stiamo dedicando molta energia alla sistemazione del nuovo ufficio, ci siamo accorti, ci siamo ricordati, che di un ufficio in teoria si può fare a meno e che anche i giornali, in teoria, si possono fare anche senza ufficio. Diciamo in teoria perché, mentre facciamo queste riflessioni, ci siamo anche accorti che, pur potendo fare tutto o quasi senza avere un ufficio, non avere un ufficio significa perdere qualcosa su vari versanti. Significa perdere qualcosa in creatività, perché, salvo preziose eccezioni, le idee che nascono incrociando uno sguardo in redazione consentono di unire sinapsi improvvise, che difficilmente si attivano stando da una parte all’altra del telefono e stare lontani ci ha fatto capire quanto forse sia importante anche riunirci guardandoci negli occhi. Significa perdere qualcosa in tempestività, perché essere in uno stesso luogo di lavoro consente di controllare meglio quello che accade durante il giorno e permette una migliore contaminazione del proprio lavoro con quello degli altri. Significa perdere qualcosa in progettualità, perché ci sono spunti che non possono viaggiare, non riescono a viaggiare in una chat su WhatsApp, in una telefonata rapida, in un susseguirsi di vocali, e non solo per una questione di organizzazione. Significa perdere qualcosa nella distribuzione del lavoro, perché chi gestisce un giornale via WhatsApp, da remoto, con un grafico da una parte, un redattore da un’altra parte, un collaboratore da un’altra parte, un correttore di bozze da un’altra parte e una connessione non sempre all’altezza sa quanto sia faticoso tenere insieme tutto, essere contemporaneamente efficienti, precisi, creativi, reattivi.

Lavorare da casa, naturalmente, significa anche altro. Significa scrivere articoli più velocemente. Significa, a volte, chiudere il giornale prima del tempo. Significa riuscire a fare una cena in un orario non da dopocena. Significa, a volte, riuscire persino a vedere un figlio quando esce di scuola e non solo quando è già sotto le lenzuola. Significa conoscere bene tutte le connessioni dei bar sotto casa, necessari quando scopri il chiasso che fanno i figli quando non sono sotto le lenzuola. Significa, però, al fondo, avere la consapevolezza che i lavori che impongono creatività non potranno mai fare a meno di un ufficio e che guardarsi negli occhi e vedere la scintilla nello sguardo di un collega è infinitamente più intimo, più veloce, più efficace che individuare quella scintilla attraverso un vocale su whatsapp. Si può fare, certo, la creatività la si può governare anche da remoto, e anche noi abbiamo una nostra flessibilità, ma per quanto la banda possa essere larga la verità è che la creatività non potrà mai prescindere dalla scintilla nascosta in uno sguardo (e stare lontani ci ha fatto capire quanto forse sia importante anche riunirci guardandoci negli occhi)”.

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