domenica 27 Dicembre 2020

La storia meno attraente di tutte

Ma è un pezzo importante di quello che sta succedendo a tutta una serie di condizioni acquisite del lavoro giornalistico italiano e rivela la loro attuale fragilità e le loro confuse prospettive. È la storia delle traversie dell’INPGI, l’ente che si occupa delle pensioni di quella particolare categoria professionale che sono i giornalisti in Italia.

Come molti albi professionali in Italia, anche quello dei giornalisti ha infatti un ente previdenziale sostitutivo dell’INPS, con cui garantisce ai suoi iscritti le pensioni e le varie indennità di malattia, gravidanza, disoccupazione. Da qualche tempo l’INPGI è in crisi: nel 2020 chiuderà con il bilancio in perdita per il quinto anno consecutivo, con una perdita di 253 milioni, assai più grave che negli anni precedenti. In questi casi la legge prevede che l’ente venga commissariato, ma un emendamento alla legge di bilancio del 2021 ha prorogato il termine per il commissariamento di 6 mesi. È la terza proroga dal 2019. In questi 6 mesi l’INPGI dovrà studiare piani per il futuro per riportare i conti in ordine, come non ha fatto finora. Il problema principale dell’INPGI sta nel suo funzionamento: l’istituto deve pagare pensioni – a volte anche molto alte – con i soldi versati annualmente dai giornalisti iscritti, che però sono sempre meno e guadagnano meno di un tempo (e quindi versano contributi minori). Dal 2012 al 2019 in Italia ci sono stati 2.509 contratti giornalistici in meno, perché sono di più i giornalisti che vanno in pensione di quelli che vengono assunti stabilmente. E la contraddizione è che se in questi anni si consentono alle aziende giornalistiche in difficoltà maggiori ammortizzatori e prepensionamenti per aiutarle a tagliare costi, quei prepensionamenti poi deve pagarli l’INPGI (ovvero gli altri giornalisti). Tutta questa questione è a sua volta legata a quella più ampia della grande distanza che esiste tra i professionisti in condizioni di consolidato privilegio e quelli in condizioni di contemporanea precarietà e disagio economico.

Le soluzioni finora pensate – contributi di solidarietà sulle pensioni più alte, tagli alle pensioni di reversibilità – bastano a risparmiare appena qualche milione ogni anno. La proposta migliore sembra quella di far entrare nell’INPGI i “comunicatori” che svolgono professioni non esattamente giornalistiche in simili ambiti, ma è difficile stabilire con certezza chi ne faccia parte (non esiste un contratto nazionale dei comunicatori) e anche se nell’INPGI entrassero tutti i comunicatori pubblici immaginati porterebbero 50 milioni in più all’anno, ancora troppo poco. Per giunta, le stesse associazioni dei comunicatori non vedono con favore l’idea di essere associati a un ente di previdenza in difficoltà. Insomma questa proroga di 6 mesi serve più a prendere tempo che a muoversi in qualche direzione. A rischio sono le pensioni future dei giornalisti (per le quali i giornalisti pagano i dovuti e cospicui contributi), e l’opzione più probabile sullo sfondo è che sia l’INPS ad assorbire l’INPGI rivedendone tutti gli attuali funzionamenti e criteri.

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