domenica 6 Febbraio 2022
Su Charlie ci ripetiamo spesso a proposito dell’inefficacia dei contributi pubblici diretti ai giornali: che si definiscono destinati al “pluralismo” e in questo senso aumentano certamente la pluralità di testate esistenti, ma inevitabilmente non possono valutare la qualità del servizio informativo di quelle testate, che è ciò che sarebbe nell’interesse della comunità e dello Stato. Il pluralismo senza una qualità di informazione serve quindi a poco: e quei soldi finiscono per sovvenzionare una buona informazione solo casualmente e parzialmente, e altrettanto casualmente ne sovvenzionano di cattiva.
Ma c’è un altro aspetto “distorsivo” nell’erogazione dei contributi diretti a cui abbiamo accennato, e che in queste settimane ha un esempio palese e comprensibile. Dal momento che i criteri per accedere ai contributi possono essere in buona parte soddisfatti attraverso la creazione di strutture formali (cooperative, soprattutto) che non cambiano la natura societaria delle aziende giornalistiche, la differenza di condizione tra alcune testate che vengono finanziate e altre che invece no è inesistente, e questo crea una discriminazione di fatto alla libera concorrenza. Prendete la vivace competizione che si sta sviluppando tra i quotidiani italiani di destra, con Libero che cerca di rincorrere i recenti successi della Verità, e un gran lavoro di entrambi nel convincere gli inserzionisti a preferire l’uno o l’altro: bene, in questa competizione lo Stato – e le persone che pagano le tasse, e il canone Rai – dà a Libero cinque milioni e mezzo di euro che la Verità non riceve. E lo stesso si può dire degli altri giornali che si possono permettere grazie ai contributi pubblici investimenti sui contenuti o sulla promozione, sottraendo lettori a chi quei contributi non li riceve (in Trentino-Alto Adige c’è un quasi monopolio dell’informazione, ricco e potente: ed è ampiamente sovvenzionato dallo Stato). Se è vero, come è vero, che tra le testate beneficiarie ce ne sono che rispondono correttamente ai criteri richiesti, o che producono informazione utile alla comunità, e se è vero, come è vero, che è purtroppo illusorio pensare di azzerare il groviglio di interessi e spartizioni politiche e clientelari che è alla base della attuale distribuzione, bisognerebbe almeno ridurre il peso – assai maggiore – dei suoi effetti negativi: stabilendo per esempio un limite, tra l’1 e il 2% del totale, alle contribuzioni per ciascuna testata beneficiata.
Fine di questo prologo.
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