domenica 15 Dicembre 2024
Il sito americano 404 Media, che si occupa di tecnologia e internet, ha pubblicato un articolo di uno dei suoi fondatori, Jason Koebler (404 Media è stato creato un anno fa da tre giornalisti provenienti dal sito Motherboard dopo la sua chiusura), dedicato a spiegare una pratica contemporanea dell’informazione giornalistica: la ricerca di informazioni negli account sui social network di improvvisi protagonisti dell’attualità fino ad allora sconosciuti. Koebler ne ha scritto a proposito dell’uomo accusato di avere ucciso un importante dirigente d’azienda a Manhattan due settimane fa.
“Il rituale è questo. Hai un nome. Cerchi di incrociare i dettagli diffusi dalle autorità con quello che trovi online. Hai individuato il “Luigi Mangione” giusto? Allora cominci a googlare e a fare degli screenshot dei suoi account prima che vengano cancellati. Aveva un account su Twitter? Su Instagram? Su Facebook? Su Substack? Aveva pubblicato qualcosa sulla tragedia/fatto? Quali erano i suoi hobby e opinioni? Chi seguiva? Cosa pubblicava? I suoi post corrispondevano all’idea di una persona che potesse fare una cosa come questa? Che posizioni politiche ha? È gay o etero o trans o religioso o ricco o povero? Sembra mentalmente sofferente? C’è un manifesto?
Poi cerchi di trovare qualcuno che lo conosceva? Puoi contattare la sua famiglia? I suoi amici? Un collega, o un ex collega? E qualcuno che andava con lui all’università e non lo sente da un decennio? Un vicino? Già qualcosa.
Poi arriva una ricerca di secondo livello basata su quello che hai trovato nella raccolta iniziale. Smetti di cercare il suo nome e cominci a cercare i nomi utente che hai trovato negli altri suoi account. Cerchi l’indirizzo di posta. Guardi il suo account su Goodreads. Che informazioni raccoglieva? Cosa ci dice di lui?
Poi scrivi un articolo. “Cosa sappiamo di [sparatore]”. O “[Sparatore] ascoltava podcast controversi”. O qualunque cosa. L’algoritmo di Google News lo mostra, oppure no. Viene promosso su Reddit, oppure no. Viene retwittato, oppure no. Il tuo caporedattore è contento, perché hai trovato qualcosa. Hai “fatto notizia”. Hai “arricchito la conversazione”.
Lunedì sera NBC News ha pubblicato un pezzo intitolato: “«Il massimo dell’ironia»: il presunto omicida giocava a un videogioco di killer, ricorda un amico”. L’articolo è su tutti i miei feed dei social, perché è rappresentativo del tipo di ricerca che ho descritto. È un articolo pessimo la cui ragione principale di esistere è il suo contenere uno scampolo di “nuove” “informazioni”, solo che in questo caso l'”informazione” è che Luigi Mangione ha giocato al videogioco Among Us quando era all’università.
L’articolo di Koebler prosegue spiegando che il gioco Among Us è stato scaricato da 500 milioni di persone e che soprattutto durante la pandemia è stato popolarissimo. E raccontando che lui stesso ha fatto questo tipo di ricerche su Mangione, salvo rendersi conto a un certo punto che questo tipo di ricerche finisce per raccogliere informazioni infinite di cui è difficile stabilire la rilevanza e l’utilità. “Mi sono chiesto cosa troverebbe online chi cercasse informazioni su di me”, scrive Koebler: cose che non si ricorda nemmeno di avere scritto, o di avere fatto, tantissime persone che lo hanno conosciuto pronte a citare impressioni passeggere, informazioni ed esperienze del tutto occasionali e fuorvianti nella comprensione di chi sia.
“E ho pensato, lasciamo perdere, è tutto una enorme distrazione. Ho sprecato la giornata e adesso ce l’ho con me stesso. La sola cosa che posso provare a scrivere è un meta-articolo su come tutti corrano a cercare qualunque cosa qualcuno abbia fatto online, e come questo sia spesso una cosa inutile”.
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