domenica 14 Gennaio 2024
James Bennet è un giornalista americano di 57 anni con una ricca e varia carriera finora: adesso è il titolare di una storica rubrica sulla politica statunitense sul settimanale britannico Economist (la rubrica si chiama Lexington), ma prima è stato il capo della sezione delle opinioni del New York Times e il direttore del mensile Atlantic, e prima ancora inviato e reporter del New York Times in ruoli diversi. Tra le altre cose, alla Casa Bianca, a Pechino, a Gerusalemme.
Ma la sua fama più recente si deve a una drammatica polemica, di cui i lettori di Charlie si ricorderanno: nel 2020 fu costretto a dimettersi da direttore della sezione dei commenti ed editoriali (che fino a due anni fa si chiamava sezione Op-Ed) del New York Times dopo la pubblicazione di un articolo di un consigliere del presidente Trump che approvava l’intervento dell’esercito per reprimere illegalità e crimini durante le proteste pubbliche che stavano avvenendo in quei mesi negli Stati Uniti. L’articolo e la sua pubblicazione furono violentemente contestati all’interno della redazione “news” del giornale – oltre che da molti lettori – che è separata dalla redazione che si occupa dei commenti e degli editoriali.
Il mese scorso Bennet ha pubblicato sul magazine dell’ Economist – 1843 – un lunghissimo resoconto dal suo punto di vista di quella vicenda, all’interno di una più estesa riflessione su quello che secondo lui sarebbe cambiato al New York Times e sui modi diversi di intendere il ruolo del giornalismo. L’articolo di Bennet è molto dignitoso pur togliendosi molti sassolini dalle scarpe, ed è assai avvincente nelle questioni che pone: ma è anche un racconto molto interessante di come si svolge il lavoro al New York Times , dalla grande alla piccola scala.
Tra gli altri passaggi interessanti ce n’è uno che attribuisce all’ex direttore del giornale Dean Baquet un pensiero non nuovo per i lettori di Charlie e di Voltiamo decisamente pagina, sull’avere “come unici padroni i lettori”.
“Perception is one thing, and actual independence another. Readers could cancel their subscriptions if the Times challenged their worldview by reporting the truth without regard to politics. As a result, the Times’s long-term civic value was coming into conflict with the paper’s short-term shareholder value. As the cable networks have shown, you can build a decent business by appealing to the millions of Americans who comprise one of the partisan tribes of the electorate. The Times has every right to pursue the commercial strategy that makes it the most money. But leaning into a partisan audience creates a powerful dynamic. Nobody warned the new subscribers to the Times that it might disappoint them by reporting truths that conflicted with their expectations. When your product is “independent journalism”, that commercial strategy is tricky, because too much independence might alienate your audience, while too little can lead to charges of hypocrisy that strike at the heart of the brand.
It became one of Dean Baquet’s frequent mordant jokes that he missed the old advertising-based business model, because, compared with subscribers, advertisers felt so much less sense of ownership over the journalism”.
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