domenica 12 Giugno 2022
La questione della difficoltà delle grandi testate giornalistiche nel gestire gli spazi di autonomia e visibilità dei propri giornalisti sui social network, e le recenti insofferenze dei direttori rispetto a queste autonomie negli Stati Uniti, hanno avuto nell’ultima settimana uno sviluppo spettacolare e abbastanza catastrofico sotto gli occhi di tutti al Washington Post : proprio nei giorni in cui il giornale si preparava a diffondere e ricevere celebrazioni di se stesso relative ai cinquant’anni dall’inizio dello scandalo Watergate, il momento più illustre e riverito della sua storia.
È successo che un noto giornalista del Washington Post , Dave Weigel, abbia retwittato una battuta stupida e sessista e che la sua collega Felicia Sonmez lo abbia criticato per questo con un altro tweet che più esplicitamente criticava il loro stesso giornale: “Fantastico lavorare in un giornale in cui sono permessi retweet come questo!”. Weigel è stato allora molto attaccato e ha cancellato il retweet, scusandosi e scrivendo che lo aveva trovato buffo ma poi si era reso conto che no, non lo era. A quel punto un terzo giornalista del Washington Post era intervenuto per dire a Sonmez, con toni molto diplomatici e criticando il tweet di Weigel, che il suo intervento contro Weigel – che stava venendo travolto da critiche e insulti – non fosse però il modo migliore per affrontare la questione e che si fosse trasformato nell’aizzamento di bullismo e molestie personali. Sonmez aveva attaccato anche lui, la polemica era proseguita, si erano aggiunti altri giornalisti, e nel frattempo si era sviluppata con ancora maggiore intensità anche sui canali Slack interni della redazione (Slack è quel software di chat interne usato da molte aziende in tutto il mondo), con prese di posizione a sostegno di Weigel o di Sonmez o con ulteriori articolazioni.
Ma la cosa imbarazzante per il giornale era diventata la pubblica rivelazione di tensioni e insofferenze interne, in tempi in cui le testate più autorevoli ci tengono molto a rivendicare la fedeltà e la compattezza “aziendalista” dei propri giornalisti, come un ulteriore punto di orgoglio: tensioni e insofferenze interne a proposito del tema dei temi, in questi anni, quello del sessismo e del rispetto per le donne. A inizio settimana molti altri giornali e moltissimi siti di news stavano seguendo e riferendo gli sviluppi della lite. Era dovuta intervenire la direttrice Sally Buzbee per ricordare in una comunicazione interna la necessità di rispetto, di atteggiamento “collegiale” e che non fossero accettabili attacchi personali contro i colleghi. Il giornale ha quindi deciso di sospendere per un mese Weigel; e di fronte al suo insistere in critiche e attacchi su come tutto quanto stesse venendo gestito, di licenziare Sonmez. All’intrico di fattori si somma che Sonmez aveva denunciato l’anno scorso il giornale per la scelta della dirigenza di non affidarle articoli su questioni di violenza sessuale, con la motivazione che lei ne fosse stata in precedenza vittima e ne avesse parlato pubblicamente, e che il suo coinvolgimento personale la rendesse inadeguata a giudicare: scelta che il Washington Post aveva poi annullato .
Da due giorni non ci sono sviluppi ulteriori, ma è sia una storia che non andrà via né al Washington Post né intorno al Washington Post, sia una storia che non esaurirà i problemi relativi alla permeabilità tra il lavoro interno delle redazioni e le comunicazioni e notorietà dei giornalisti all’esterno.
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