domenica 3 Dicembre 2023

Il governo israeliano contro Haaretz

Haaretz è un giornale israeliano progressista, il più autorevole sul piano internazionale, che da tempo è critico rispetto all’influenza delle politiche più radicali e nazionaliste nel governo del paese, alla gestione della questione palestinese, e alla politica dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu; in un lungo articolo David Remnick, direttore del settimanale americano New Yorker, aveva definito le persone che lavoravano al giornale “i dissidenti”. Tra i collaboratori di Haaretz ci sono stati negli scorsi decenni i più importanti e stimati intellettuali e scrittori israeliani, e il giornale è stato il principale organo dei progetti di convivenza tra israeliani e palestinesi, o almeno di attenuazione delle conseguenze dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Haaretz nacque nel 1919 a Gerusalemme, nel 1922 spostò la sua sede a Tel Aviv e nel 1935 fu acquistato da Salman Schocken, un editore tedesco sostenitore del movimento sionista che si era da poco rifugiato in Palestina. Schocken si era arricchito con una catena di grandi magazzini che fu costretto a cedere al governo tedesco quando i nazisti lo privarono della cittadinanza e aveva avviato diverse imprese editoriali. La famiglia di Schocken controlla tuttora il giornale che, oltre alla pubblicazione in lingua ebraica, ha dal 1997 ha anche un’ edizione inglese. Non è il quotidiano più diffuso in Israele, è al terzo posto molto distante dai primi due e vende alcune decine di migliaia di copie al giorno; ma nel 2021 ha dichiarato 100 mila abbonamenti al giornale digitale, quasi dieci anni dopo l’avvio della campagna degli abbonamenti online.

In queste settimane di guerra tra Israele e Hamas Haaretz è tornato a essere protagonista delle attenzioni internazionali, ma anche delle intenzioni di censura del governo israeliano, che ne è costantemente attaccato: Shlomo Karhi, ministro delle Comunicazioni, ha proposto di applicare delle sanzioni al giornale accusandolo di “menzogna, propaganda disfattista” e “sabotaggio di Israele in tempo di guerra”. La proposta di Karhi mira a cancellare i finanziamenti e gli abbonamenti istituzionali al giornale e a “vietare la pubblicazione di avvisi ufficiali”, che sono una fonte di ricavo. Il 20 ottobre il governo di Israele ha emanato un regolamento che gli permette di chiudere e bloccare temporaneamente (30 giorni alla volta) i media stranieri ritenuti dannosi per il Paese: l’intenzione di questa norma era quella di chiudere il canale televisivo qatariota Al Jazeera , che finora non è stato bloccato anche per il ruolo che il Qatar ha avuto nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Il regolamento ha invece bloccato le trasmissioni della rete libanese Al Mayadeen TV per “motivi di sicurezza”: il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant l’ ha accusata di “essere diventata, in pratica, sostenitrice dell’organizzazione terroristica Hezbollah”, il cui obiettivo è “danneggiare la sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi cittadini”.

Sulle possibili sanzioni del governo, l’editore di Haaretz Amos Schocken ha commentato che: «se il governo vuole chiudere Haaretz, questo è il momento di leggere Haaretz». Il quotidiano israeliano Times of Israel , senza citare la fonte da cui lo ha appreso, ha scritto che però un’azione del governo nei confronti di Haaretz appare «improbabile» e, sempre secondo Times of Israel , il lavoro giornalistico di Haaretz è stato «ampiamente favorevole allo sforzo bellico, anche se molto critico nei confronti del governo che lo conduce».

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