domenica 15 Ottobre 2023
Press Gazette – il sito britannico che si occupa di giornalismo spesso citato su Charlie – ha pubblicato una lunga e interessante intervista alla direttrice della sezione Opinioni del New York Times, Kathleen Kingsbury, spiegando il suo lavoro e quello del giornale statunitense. Il New York Times è probabilmente il giornale più importante al mondo, e la sua pagina delle opinioni è gestita da una redazione separata da quella delle notizie: risponde direttamente al management del giornale, e non al direttore Joe Kahn, in modo da avere maggiore indipendenza per pubblicare commenti non necessariamente in linea con quello che viene scritto nelle altre pagine del giornale. In questi anni le scelte di accoglienza, di opinioni anche lontane dalle posizioni più progressiste del giornale, hanno generato spesso critiche verso la sezione anche all’interno della redazione.
Kingsbury racconta diversi aspetti del lavoro e del funzionamento della sua redazione, che è triplicata rispetto al 2017 e oggi impiega circa 150 persone. Gli articoli di opinione sono spesso tra i più discussi e commentati dai lettori, ma i dati di coinvolgimento non condizionano la scelta degli articoli di opinione, dice: pur avendo a disposizione i dati su quali editorialisti abbiano portato il maggior numero di persone ad abbonarsi, la redazione sceglie di non tenerne conto.
Secondo Kingsbury il successo della sezione delle opinioni si basa su un fattore più astratto e complesso da misurare, cioè sulla varietà di punti di vista espressa dagli editoriali. Avere i propri articoli pubblicati nella sezione è estremamente complicato: la redazione riceve ogni giorno circa mille proposte, ma nel mese di settembre sono stati pubblicati 113 articoli di opinione. Kingsbury dice che c’è: “molto interesse da parte dei legislatori e dei politici che vorrebbero scrivere per noi… [ma] il 98% delle volte la risposta è no”. Ogni articolo accolto o scelto deve rispettare tre criteri: non deve alimentare o incitare discorsi d’odio, l’autore non deve avere conflitti d’interesse, e deve essere accurato. La redazione ha circa 12 persone che si occupano di fact-checking per verificare quello che viene scritto negli articoli; è il team di fact-checking più numeroso di tutto il giornale, dovendo confrontarsi con autori che non necessariamente rispettano gli standard di accuratezza dei giornalisti del New York Times.
Nell’intervista Kingsbury parla anche delle critiche che i colleghi al giornale manifestano pubblicamente o sui social media nei confronti del quotidiano: nei mesi scorsi è stata pubblicata una nota interna diretta al personale in cui, lei e il direttore Joe Kahn, hanno scritto che: “non è accolta e non è tollerata la partecipazione di giornalisti del New York Times a proteste organizzate da gruppi di sensibilizzazione o attacchi a colleghi sui social media e in altri spazi pubblici”. A Press Gazette ha aggiunto che “se pensi che il tuo datore di lavoro stia facendo qualcosa di sbagliato, posso capire l’istinto di volerlo criticare”, ma che considerando il complicato contesto in cui i giornalisti si trovano a lavorare “c’è bisogno di contare davvero gli uni sugli altri. E minare questa fiducia è qualcosa che non si dovrebbe prendere alla leggera”.
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