domenica 5 Novembre 2023
La sostenibilità economica delle produzioni di podcast è argomento dibattuto da diversi anni, da quando il relativo successo del formato ha spinto molte aziende giornalistiche a investirci (o anche a nascere come produttrici dedicate) in cerca appunto di un modello di ricavo garantito. Finora i risultati sono stati abbastanza occasionali, e né la pubblicità, né i podcast sponsorizzati, né la vendita dei contenuti a piattaforme maggiori si sono mostrati sufficienti, almeno per la gran parte dei produttori e delle testate. Un pensiero che stanno indagando da qualche tempo alcune aziende giornalistiche è di “monetizzare” i podcast attraverso il proprio sistema di abbonamenti, facendoli diventare parte dell’offerta per gli abbonati (è quello che fa per esempio il Post con alcuni dei suoi podcast). E diventando potenzialmente delle “piattaforme di podcast” a pagamento, pur con offerte assai più limitate di quelle di Spotify, o Audible.
Il settimanale londinese Economist ha da poco introdotto un nuovo piano di abbonamenti a pagamento per i suoi podcast: il costo è di 4,90 sterline al mese o 49 sterline all’anno, mentre chi ha già altri abbonamenti alla rivista accederà anche all’offerta di podcast. L’ Economist ha realizzato il suo primo podcast nel 2006 ma la sua pubblicazione principale, il quotidiano “The Intelligence”, è nata nel 2019: è un podcast che attualmente ha 2,5 milioni di ascoltatori unici al mese. Oggi l’ Economist pubblica una decina di podcast realizzati da una redazione di circa 25-30 persone, quasi il 10% dei 300 membri dell’intera redazione della rivista. Fino a questo momento i podcast dell’ Economist erano sostenibili economicamente grazie agli introiti pubblicitari, ma il direttore dei podcast John Prideaux ha detto a PressGazette – sito britannico che si occupa di giornalismo – che la crescita nei podcast è più interessante per rafforzare gli abbonamenti, che rappresentano la principale fonte di reddito dell’ Economist (sono circa 1,2 milioni gli abbonati totali). Per l’ Economist uno degli ostacoli dei podcast a pagamento è che molte persone sono abituate a ascoltare i programmi su Apple Podcasts o Spotify: “È possibile ascoltare i podcast dell’ Economist sulla nostra app, è facilissimo e l’esperienza d’uso è buona, ma la realtà è che quasi tutti i nostri ascoltatori usano Spotify o Apple. […] Si tratta di introdurre un paywall su una piattaforma gestita da altri, il che è più complicato dal punto di vista tecnologico, ma abbiamo trovato una soluzione che funziona abbastanza bene”. Ad esempio è possibile collegare i propri account dall’ Economist ad alcune applicazioni per i podcast: è un’operazione macchinosa ma non troppo complessa. Secondo Prideaux la strategia dei podcast in abbonamento diventerà “sempre più comune” grazie agli adeguamenti tecnologici. Questo anche perché molti giornali hanno aumentato la produzione di podcast ed è aumentata anche la loro centralità:
“ Posso parlare solo per l’ Economist, ma cercare di vendere un abbonamento a un prodotto giornalistico e però allo stesso tempo regalare gratuitamente molto del proprio giornalismo, è una cosa strana da fare e non ha molto senso. Ma c’è un problema: più i podcast migliorano, più si rischia di cannibalizzare la propria attività. […] E quindi penso che questa logica porterà un maggior numero di persone a sottoscrivere abbonamenti ai podcast. Ma mi chiedo anche quanti abbonamenti ai podcast le persone vorranno avere ”.
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