domenica 8 Ottobre 2023
Il quotidiano Domani ha pubblicato un articolo sulla difesa di uno spot dell’Esselunga da parte di Matteo Salvini, attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e leader della Lega. Lo spot in questione è stato molto discusso, si intitola “La Pesca” e ha come protagonisti una bambina e i suoi genitori separati o divorziati. Salvini ha pubblicato un post in cui fa la spesa in un supermercato della catena: questo, secondo Domani, lo renderebbe tra l’altro colpevole di fare pubblicità illecita, dal momento che Salvini è ancora un giornalista iscritto all’albo come professionista.
Tralasciando il caso specifico (è un po’ forzato definire “pubblicità” quel post, che si esclude sia stato retribuito), è utile capire come è regolata e limitata la partecipazione retribuita a pubblicità da parte dei giornalisti. Nel “ Testo unico dei doveri dei giornalisti ” (testo che comprende le regole deontologiche che i giornalisti sono tenuti a seguire) all’Articolo 10 si parla dei “Doveri in tema di pubblicità e sondaggi”:
Il giornalista:
a) assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni;
b) non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali.
Negli anni ci sono stati diversi casi controversi. Uno ha riguardato Gad Lerner e Vittorio Feltri ed è forse tra i più noti: nel 2003 furono fotografati insieme per fare pubblicità a un marchio di abbigliamento, mentre nel 2006 girarono degli spot per una marca di biscotti mentre prendevano un tè insieme. Entrambi giustificarono la loro scelta dicendo di aver devoluto in beneficenza i compensi ricevuti: criterio che però – a meno di non forzare molto quel “volte a fini” – non è previsto come discriminante nelle regole deontologiche, alla cui base c’è il rischio di perdita di indipendenza e di credibilità del giornalista, piuttosto che quello del suo arricchimento personale.
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