domenica 27 Dicembre 2020
Una storia di questa settimana mostra di nuovo le contraddizioni e inadeguatezze dell’attuale sistema di contributi pubblici diretti ai giornali, di cui abbiamo scritto spesso. La storia è questa, e dovete avere un po’ di pazienza e attenzione perché ha dentro molte storie e cerchiamo di essere sintetici: due anni fa l’allora sottosegretario Crimi sostenne e ottenne l’abolizione della legge che regola i suddetti contributi, all’interno di un generale atteggiamento repressivo del M5S nei confronti dei giornali, che aveva reso la scelta del taglio non limpidissima. La nuova legge prevedeva che i contributi sarebbero stati progressivamente diminuiti fino ad estinguersi nel 2022. Due decreti sostenuti dal successivo governo hanno poi sospeso quell’intervento e differito le scadenze: ma dal 2021 la riduzione avrebbe dovuto iniziare. Invece nel decreto “Ristori” appena approvato è stata inserita una nuova proroga che garantisce la totalità dei contributi fino al 2022 (ovvero la quota relativa all’anno 2021).
Qui ci sarebbero da inserire molte parentesi, attingendo a cose che Charlie ha spiegato in passato. Una è che il contributo statale a un buon servizio pubblico di informazione che non ha più le fonti di autonomia economica di un tempo è una cosa che sarebbe del tutto responsabile e sensata per il funzionamento della democrazia. Un’altra è che adottare dei criteri per cui questo contributo provveda effettivamente a un miglioramento dell’informazione pubblica è difficilissimo. Una terza è che nei fatti i criteri adottati oggi sono in questo senso un fallimento, premiando senza nessuna ragione logica o di valore soprattutto testate che non meritano nessun trattamento di favore rispetto ad altre che quei contributi non li ricevono, e che in alcuni casi hanno sfruttato fino a oggi in modi truffaldini i criteri richiesti per accedere ai contributi. Un’altra ancora è che il 2020 ha di molto aggravato e legittimato le preoccupazioni per la salute economica dei quotidiani.
L’ultima è che il governo attuale si appoggia su due partiti che hanno atteggiamenti speculari ed entrambi sventati nei confronti di tutto questo: il M5S non nasconde le sue insofferenze e i suoi desideri punitivi nei confronti delle testate giornalistiche presso le quali gode di rarissime simpatie (l’unica eccezione è il Fatto), mentre il PD tende a mantenere un atteggiamento prudente e conservativo – e un po’ clientelare – rispetto ai poteri dell’informazione tradizionale e alle loro richieste.
In questo contesto nei giorni scorsi ci sono state trattative e baratti che hanno permesso al sottosegretario Martella di ottenere la nuova proroga dei contributi integrali ma solo di due anni, con il M5S che non ha voluto consentire prolungamenti maggiori. Questo ha molto preoccupato e deluso in particolare il Manifesto, che tra i giornali destinatari dei contributi si trova in due condizioni particolari: di difficoltà economiche storicamente maggiori, e di corrispondenza più legittima ed esatta al criterio che stabilisce i contributi per le “cooperative di giornalisti”, che altri giornali soddisfano assai meno credibilmente con acrobazie societarie.
Martella ha risposto al quotidiano con una lettera che dice in sostanza “siete ingiusti, ho fatto del mio meglio, non vi rendete conto con chi ho a che fare”, il Manifesto sta promuovendo una bellicosa campagna di sostegno, gli altri quotidiani coinvolti stanno più quieti godendosi il bicchiere mezzo pieno del prolungamento dei benefici, che non era scontato.
La cosa più promettente della lettera di Martella è probabilmente la promessa di una riforma generale dei criteri di contribuzione pubblica.
“il governo è al lavoro per formulare una proposta di riforma della contribuzione diretta all’editoria che superi definitivamente la prospettiva dei tagli, introduca elementi innovativi”
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