domenica 28 Gennaio 2024
Dopo che l’invasione russa dell’Ucraina era stata raccontata come “la prima guerra sui social network” per il ruolo iniziale che avevano avuto video e informazioni diffuse online non solo dai giornali, quello che da tre mesi sta avvenendo a Gaza è stato a lungo analizzato e commentato per l’impegno enorme di propaganda che sia Hamas che Israele stanno dedicando a ottenere preziose attenzioni e indulgenze per le loro azioni: e molti articoli sono stati già scritti sulla diffusione di notizie false e sulla difficoltà di verificarle, con fallimenti che hanno riguardato anche le maggiori testate giornalistiche.
Questa settimana il sito della rivista americana Atlantic ha spiegato invece alcuni esempi in cui alle falsificazioni ha concorso un misto di sbadatezze giornalistiche e inadeguatezze nell’affrontare delle lingue poco conosciute dai media occidentali come quelle usate in Israele e a Gaza. Alcuni virgolettati errati o non compresi, attribuiti a membri del governo israeliano, sono arrivati ad avere conseguenze nel dibattito politico internazionale e nello stesso procedimento che riguarda l’accusa di genocidio contro Israele.
“Queste omissioni e cattive interpretazioni non sono solo formali: hanno ingannato lettori, giudici e politici. Non doveva succedere. La buona notizia è che in futuro possono essere evitate assicurandosi di controllare le traduzioni alla fonte; chiedendo ai giornalisti di linkare le fonti originali quando è possibile; e mettendo nel contesto i riferimenti alle scritture religiose di ciascuna fede.
[…] Principi neutrali come questi non risolveranno le profonde questioni morali e politiche poste dalla guerra tra Hamas e Israele. Non basteranno a dire ai lettori cosa pensare di questa devastazione. Ma garantiranno che qualunque conclusione a cui i lettori arrivino sia basata sui fatti, non su invenzioni: che è, in fondo, l’obiettivo del giornalismo”.
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