domenica 25 Luglio 2021
È stata molto criticata in giro e sui social network l’insistenza di alcuni quotidiani sull’ipotesi che l’attore Libero De Rienzo fosse morto in conseguenza di abusi di sostanze “stupefacenti”: sia per la grande enfasi e priorità data – a partire dai titoli – a quello che era solo un aspetto della notizia della sua morte, sia per le certezze che quei titoli trasmettevano rispetto a quella che gli articoli descrivevano come una ipotesi da prendere con cautela, appunto.
Per Repubblica ha risposto alle accuse Marco Mensurati, rivendicando la scelta e attaccando le critiche secondo lui promosse per ragioni di amicizia da un “circolo intellettuale che oggi ringhia contro i giornali”.
Alessandro Trocino del Corriere della Sera ha commentato la questione con una lettura più complessa e comprensiva:
“Si può discutere cosa sia una notizia. Cosa meriti di essere divulgato e cosa no. Ma forse quello su cui si dovrebbe discutere non è “se” le notizie meritino di essere riportate. Ma come. La continenza, l’equilibrio, la sensibilità dovrebbero essere un bagaglio comune, del cronista, del capo che titola e del social manager che fa il lancio. Non sempre è così”.
Anna Masera, invece, ha usato la sua rubrica di “Public editor” della Stampa per condividere lo stupore di molti lettori per come era stata promossa, in un titolo e in un articolo, una eventuale relazione – molto dubbia e messa molto in dubbio dall’articolo stesso – tra la morte di una persona e il suo essersi vaccinata.
“I giornali non sono concepiti per restare senza titoli, ma certamente si può fare uno sforzo per raddoppiare l’attenzione nel farli”.
Il direttore del Post Luca Sofri ha infine commentato sul suo blog una risposta opposta di frequente da alcuni giornali e giornalisti nei confronti delle critiche di diverso genere, comprese quelle succitate: quella che dice “le notizie si danno”.
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