domenica 19 Giugno 2022
Sui temi di cui sopra e su alcuni loro aspetti, è efficace tradurre un passaggio della lunga ricostruzione che ne ha fatto Joshua Benton su NiemanLab , il sito della Nieman Foundation che si occupa di innovazione nell’informazione.
“A onor del vero, Google e Facebook hanno fatto grossi assegni agli editori per anni. La Google News Initiative e il Facebook Journalism Project (i rispettivi fondi per sostenere progetti giornalistici, ndr) hanno pagato agli editori di tutto il mondo centinaia di milioni di dollari. Ma decidevano Google e Facebook a chi darli, per cosa, e quanti. Lo hanno fatto per bontà d’animo? No, per PR, un tentativo di far desistere gli editori e i loro governi da scelte più severe.
Ma poi l’Australia le ha fatte, le scelte più severe. I leader del paese hanno approvato una legge che, di fatto, chiede a Google e Facebook di distribuire mazzette agli editori australiani. La dimensione di quelle mazzette deve rimanere un segreto, ma devono essere grosse abbastanza da far contenti gli editori.
Potete pensare che sia una descrizione ingenerosa della legge australiana: e ok, l’Australia dice che si limita a chiedere a Google e Facebook di impegnarsi in “trattative” con i maggiori editori del paese per determinare il giusto compenso per… permettere ai loro articoli di raggiungere più persone? Il risultato è che Google e Facebook sono stati costretti a sedersi a un tavolo con gli editori e dire loro “20 milioni e smettete di lagnarvi? 30 milioni? Ok, facciamo 50 milioni?”.
Sono trattative senza senso, che non hanno nessuna relazione con un’idea di valore o di beneficio, legate a un prodotto laterale e minore (le brevi anteprime degli articoli, ndr) che nessuno usa se non la ricerca di Google e il News Feed di Facebook.
Ho scritto più volte perché ritengo – malgrado il mio desiderio che gli editori ricevano dei soldi – che il modello australiano sia una pessima idea. Potete essere d’accordo o no.
Ma in ogni caso per i giornali ha funzionato. News Corp, l’azienda di Rupert Murdoch, riceverà bonifici mensili da Google e Facebook per un valore di 50 milioni di dollari ogni anno, solo per le sue testate australiane. È la cifra che le due società hanno ritenuto adeguata a interrompere le decennali lamentele di Murdoch. La minaccia di interventi del governo – compreso il sequestro del 10% dei ricavi delle piattaforme in Australia – è bastata a mettere in moto questa macchina”.
“Google invece ha bisogno delle news. Non quanto gli editori pensano, per carità, ma è un bisogno comprensibile. Ha bisogno di news aggiornate nei risultati delle ricerche, se vuole “organizzare l’informazione del mondo”. Google ne ottiene valore: non tanto valore economico in dollari, ma in qualità delle ricerche, soddisfazione degli utenti, e altro. Ora, Google potrebbe sostenere (e io sarei d’accordo) che quel valore lo ottiene attraverso il diritto al “fair use” e senza violare nessuno dei diritti degli editori o degli altri produttori di contenuti. Google ottiene valore da ogni sito internet, e non c’è nessuna buona ragione per cui gli editori debbano avere un compenso speciale che nessun altro riceve. Ma è un valore sufficiente a suggerire a Google di distribuire un po’ di soldi in giro.
Ma Facebook? Facebook ha cercato di sbarazzarsi delle news per anni. Perché finanziare con centinaia di milioni di dollari editori di contenuti che sta cercando di rimuovere dai suoi feed? Gli editori a volte pensano a Google e Facebook come a due cose intercambiabili e come a un’unica montagna di soldi. Ma hanno interessi diversi. Google ha protestato contro la legge australiana, ma quello che ha minacciato di staccare la spina alle news è stato Facebook. Quindi non deve sorprenderci che Facebook metta in conto di smettere di pagare. Deve tagliare i costi. Ha distribuito centinaia di milioni di dollari per mettere a tacere gli editori, e ora editori di altri paesi hanno trovato il modo di chiedergliene molti di più. Se i bonifici non hanno funzionato, perché continuare a farli? E se pensi di smettere, perché non rimuovere anche il pretesto e ridurre al minimo le news sulla tua piattaforma?”
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