domenica 24 Gennaio 2021
L’introduzione del cosiddetto “diritto all’oblio” nelle pratiche dei quotidiani è stata una cosa rivoluzionaria: benché la sua regolamentazione sia rimasta giustamente vaga e affidata molto alla discrezione dei giornali, è entrato nell’ordine di idee dell’informazione che le persone citate negli articoli possano avere accettabili ragioni per chiedere che il loro nome sia rimosso (e soprattutto non rintracciabile dalle ricerche su Google), trascorso un certo tempo e considerando il rilievo della notizia e della citazione. Le ragioni delle richieste però entrano in conflitto con la condivisa e celebrata necessità di “difendere la memoria” delle cose e del passato, oltre che con l’importanza documentale di un patrimonio di informazioni sul passato così vasto e dettagliato come quello dei giornali. Giornali che quindi si muovono con cautela e scelte diverse a seconda dei casi e dei contesti, e faticano a codificare delle regole assolute: è un terreno molto vario e accidentato.
Questa settimana il quotidiano Boston Globe – il più importante di Boston, quello del film Spotlight – ha annunciato la creazione di un servizio che prenda in considerazione i casi in cui un “breve e non significativo articolo del Globe influisca sul futuro delle persone coinvolte, con l’impressione che – conoscendo il sistema giudiziario – questo abbia in passato avuto effetti sproporzionati sulle persone di colore”. Ma “metteremo l’asticella molto alta per i personaggi pubblici o per i crimini maggiori” ha detto il direttore del digitale del giornale. Le soluzioni prospettate – da decidere caso per caso – sono la rimozione di passaggi, l’anonimizzazione dei protagonisti, la deindicizzazione degli articoli dai motori di ricerca. Come dice lo stesso articolo del Globe, il tema “solleva questioni delicate per i giornali, che si sono sempre ritenuti i responsabili delle prime bozze di scrittura della Storia”.
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