domenica 27 Marzo 2022
Il New York Times ha una sezione dedicata a raccontare scelte e funzionamenti del giornale – si chiama Insider – che questa settimana ha pubblicato una sommaria indagine sui fattori che rendono un articolo del giornale “virale” e lo fanno essere molto condiviso: il risultato delle riflessioni in questione non è particolarmente illuminante (vanno forte gli articoli che generano emozioni nei lettori, o che permettono di rafforzare la propria presenza e le proprie relazioni sociali) ma salta agli occhi l’insistenza con cui l’articolo ripete che il numero delle condivisioni sarebbe un dato su cui al giornale c’è sì curiosità e interesse, ma che non guida le scelte su cosa pubblicare.
L’insistenza si deve al fatto che la seconda scelta – “dare ai lettori ciò che vogliono” – è invece alla base della stessa esistenza di moltissimi siti di notizie nati in questo secolo, e che dedicano grande impegno a intercettare le ricerche su Google o le dinamiche dei social network; ma è anche un approccio considerato e praticato ormai dai siti di molte testate tradizionali, che ne ha spesso aumentato i numeri ma peggiorato la qualità. Farsi guidare da “ciò che funziona” non solo fa perdere senso al ruolo e alla responsabilità del giornalismo e all’autonomia nel considerare il valore del suo servizio pubblico, ma privilegia un rapporto con la quota di lettori più passeggera e meno fedele che – pur degnissima di rispetto – costituisce un capitale meno fertile per la creazione della relazione necessaria a ottenere coinvolgimento, fedeltà e quindi abbonati. Il New York Times ha capito che la gran parte dei suoi abbonati preferisce che sia il New York Times a decidere per loro: è il suo lavoro.
Fine di questo prologo.
Charlie è la newsletter del Post sui giornali e sull'informazione, puoi riceverla gratuitamente ogni domenica mattina iscrivendoti qui.