domenica 19 Febbraio 2023
Una polemica a proposito del New York Times ha mostrato la contraddizione tra due valori apparentemente apprezzabili ma che appunto possono entrare in conflitto quando si tratta di aziende giornalistiche, ovvero luoghi dove l’espressione e il confronto di opinioni è parte del “core business”. Ben duecento persone, molte delle quali collaboratrici del giornale e alcuni persino giornalisti del New York Times, hanno firmato una lettera di protesta contro i modi in cui il giornale stesso parla delle persone trans e non binarie: “trattando la diversità di genere con uno sgradevolmente familiare mix di pseudoscienza e linguaggio eufemistico e allusivo” e facendo il gioco di associazioni e persone dedicate ad accusare le persone trans di essere una minaccia. La lettera cita esplicitamente alcuni articoli e i loro autori.
Il giornale non ha risposto pubblicamente ma il direttore e la direttrice della sezione delle opinioni hanno firmato una comunicazione interna che respinge le accuse e rivendica l’accuratezza e l’impegno del giornale sui temi di genere in questione, ma che soprattutto è molto severa nei confronti dei giornalisti che si sono aggregati alle accuse contro i loro colleghi e contro il giornale. Il conflitto sui diritti e sull’impegno civile all’interno del New York Times era stato molto vivace negli anni passati, ma si era attenuato dall’insediamento del nuovo direttore Joe Kahn, che aveva manifestato da subito l’intenzione di ridimensionare le ambizioni di una classe più giovane e nuova di dipendenti di intendere il giornalismo in forme più militanti.
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