domenica 29 Ottobre 2023

Coi video degli altri

PressGazette – sito britannico che si occupa di media e giornalismo – ha descritto come diversi giornali abbiano dovuto pagare diverse centinaia di sterline di rimborsi per aver utilizzato, senza autorizzazione, un video che era stato pubblicato su Twitter. Le testate giornalistiche hanno usato il video accreditando la proprietà del contenuto a un account che lo aveva pubblicato che non era però della persona che lo aveva effettivamente girato: a quest’ultimo quindi i giornali hanno dovuto pagare per ogni utilizzo non autorizzato 300 sterline a immagine o 600 sterline a video.

In Italia l’uso giornalistico dei video caricati sui social non ha una disciplina specifica, ma l’attività giornalistica dovrebbe attenersi alle regole deontologiche esistenti. Nel caso di video creati da terzi, occorre innanzitutto valutare se i contenuti sono tutelati dal diritto d’autore: questo avviene nei casi in cui il video abbia un carattere creativo ossia non sia una semplice ripresa di fatti comuni. Ad esempio, il contenuto creato da una persona che lavora con i contenuti video (youtuber o streamer, ad esempio) è tendenzialmente tutelato dal diritto d’autore; lo stesso non può dirsi, però, nel caso in cui un utente riprenda avvenimenti la cui diffusione rientra sotto il diritto di cronaca: con questo si intende il diritto di diffondere informazioni che hanno interesse pubblico. I criteri per definire un interesse pubblico sono spesso sfumati e soggetti a interpretazione.

Anche in questo caso, tuttavia, è buona e rispettosa prassi citare la fonte da cui il video è ripreso: utilizzare integralmente il video in genere non è necessario, spesso per la completezza dell’informazione basta riprendere qualche fotogramma e poi linkare alla fonte originale del video (senza appropriarsene). È una violazione del copyright caricare i propri loghi (della testata, della tv, del giornalista) su video altrui: il primo obbligo del diritto d’autore è rispettare la paternità dell’opera, cioè rispettare i cosiddetti diritti morali. Diverso è il caso se il video viene acquistato: in questo caso è possibile applicare il logo.

In teoria il giornalista non ha sempre bisogno di chiedere l’autorizzazione dell’autore del video, perché altrimenti potrebbe essere facile limitare molte inchieste giornalistiche invocando il diritto d’autore. Per questo ci sono eccezioni al diritto d’autore che consentono l’uso di contenuti altrui anche in assenza di autorizzazione: la libertà di espressione e il diritto di informare sono alla base delle democrazie, come indicato dall’Articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’Articolo 21 della Costituzione italiana. In ognuno di questi casi però è fondamentale che la raccolta delle informazioni (e quindi anche delle immagini o dei video) avvenga in modo corretto e trasparente, così come la diffusione dei dati deve avvenire all’interno del principio di essenzialità, cioè fare informazione solo su fatti di interesse pubblico.

Con i cambiamenti e le opportunità portati dalle tecnologie digitali l’unicità dei giornalisti professionisti nel fare e diffondere informazione si è molto diluita, e quindi nuove correttezze e rispetto del lavoro richiederebbero che qualunque produttore di contenuti che altri siti o giornali scelgono di riprendere (ottenendone ricavi, seppure in misure contenute) sia compensato o almeno richiesto di un consenso, compatibilmente con i tempi stretti dell’informazione. O che i contenuti pubblicati siano usati attraverso le pratiche di “embed” e condivisione messe a disposizione dalle piattaforme, che permettono di rimandare alla pubblicazione originale.
Un articolo del Washington Post tradotto sul Post aveva raccontato alcuni altri aspetti della questione.

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