domenica 6 Marzo 2022

Chi si prende l’Espresso

Da diverse settimane circolano ipotesi sulla possibile vendita del settimanale L’Espresso da parte del suo editore GEDI: ipotesi confermate da fonti interne, e rese credibili e realistiche dal fatto che l’azienda ha mostrato – da quando è cambiata la sua proprietà – di volersi liberare di molte delle sue testate meno rilevanti o più laterali. E l’Espresso è da molti anni tra le vittime della crisi dei settimanali, per quanto la sua attuale diffusione come allegato a Repubblica gli abbia restituito dei numeri non insignificanti. Ma al tempo stesso si tratta dell’Espresso, ovvero della testata che è stata così rilevante nella storia di quel gruppo da avergli dato persino il nome: si chiamava “gruppo Espresso” prima di diventare GEDI. E un brand ancora forte (meno screditato e indebolito di quello che un tempo fu il suo concorrente, Panorama, ceduto da Mondadori al gruppo della Verità), su cui ci sono interessi e curiosità: attenuati in parte dai suoi debiti e costi, compresa la quindicina di dipendenti.

Venerdì è diventata più esplicita l’ipotesi che riguarda la società BFC Media, che pubblica la versione italiana di Forbes e alcune altre piccole testate: e il Comitato di redazione dell’Espresso ha protestato e annunciato una serie di giorni di sciopero.
“Siamo preoccupati per il destino del nostro settimanale e di tutte le testate giornalistiche di un editore che non si è fatto scrupolo a definire “non coerente con le strategie del gruppo” il primo newsmagazine di inchiesta italiano”.

Poche ore dopo, con toni ancora più severi, il direttore Marco Damilano ha annunciato le sue dimissioni.
“Gedi è nel cuore di questa crisi. In un gruppo che aveva sempre fatto della solidità, della stabilità e della continuità aziendale e editoriale il suo modo di essere, soltanto durante la mia direzione si sono alternati due gruppi proprietari, due presidenti, tre amministratori delegati, tre direttori di Repubblica. E ora si vuole far pagare al solo Espresso l’assenza di strategia complessiva.
Ho appreso della decisione di vendere L’Espresso da un tweet di un giornalista, due giorni fa, mercoledì pomeriggio. Ho chiesto immediati chiarimenti all’amministratore delegato Maurizio Scanavino, come ho sempre fatto in questi mesi.
Mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata.
Non mi sono mai nascosto le difficoltà. Ho più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia.
La cessione dell’Espresso, in questo modo e in questo momento, rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano.
È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo.
[…]
Mi è stata offerta la possibilità di restare, ringrazio, ma non posso accettare per elementari ragioni di dignità personale e professionale. Non è una questione privata, spero che tutto questo serva almeno a garantire all’Espresso un futuro e ad aprire un dibattito serio sul ruolo dell’informazione nel nostro Paese.
Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona”.

GEDI ha immediatamente assegnato al vicedirettore Lirio Abbate il ruolo di direttore: scelta e tempi che sembrano coerenti con un approccio non particolarmente costruttivo e progettuale da parte dell’azienda, e priorità di cessione per quanto riguarda l’Espresso.

Charlie è la newsletter del Post sui giornali e sull'informazione, puoi riceverla gratuitamente ogni domenica mattina iscrivendoti qui.