domenica 21 Luglio 2024
Un articolo di Charlie Warzel sull’ Atlantic ha riassunto martedì alcuni dei tantissimi spunti offerti ai pensieri sull’informazione dall’attentato di una settimana fa contro Donald Trump. Uno è la rapidità con cui notizie di dimensione storica vengono digerite e si accavallano: che non significa che siano trattate più sbrigativamente, ma che l’intensità della loro circolazione e discussione ne satura ogni aspetto in tempi molto più brevi.
Un secondo è come gran parte di questa condivisione di informazioni sia condizionata dagli interessi dei messaggeri: gli interessi delle piattaforme digitali a incentivare l’uso dei propri spazi, gli interessi dei media vecchi e nuovi a guadagnare attenzioni, gli interessi di ogni individuo a ottenere visibilità per sé, per le proprie attività online o anche soltanto per la propria vanità e desiderio di affermazione di sé.
Un terzo aspetto è il conflitto tra i tempi precipitosi della circolazione e della discussione delle notizie da una parte, e quelli delle più elementari cautele sulla loro accuratezza dall’altra: nei minuti successivi all’attentato molte testate hanno dato la notizia dicendo quel che si sapeva fino a quel punto, e attente alle approssimazioni e falsità che spesso circolano nei momenti concitati successivi a imprevisti simili. E hanno titolato su “Trump ferito mentre si sono sentiti dei rumori simili a spari”; o hanno scritto del ” presunto attentatore ucciso”, che era quello che si sapeva in quel momento. Ma le esigenze affannose dei social network hanno rapidamente attaccato – con qualche supponenza – quei titoli, e li hanno fatti circolare a lungo, anche quando erano stati aggiornati, accusando i siti in questione persino di indulgenza nei confronti della gravità di quello che era successo.
Parte di questa confusione, che non fa che crescere ormai da anni, si deve alla fine della distinzione dei ruoli tra giornalisti di professione e persone che formalmente non lo sono: ma spesso quello che fanno è la stessa cosa – informare altri – e questa fine è inevitabile, da accettare, e in parte anche preziosa. Ma delle sue implicazioni i non giornalisti non sembrano avere ancora preso consapevolezza, e svolgono quindi quotidianamente ruoli rilevantissimi di promozione e diffusione delle notizie (vere o false: ma quello lo fanno anche i giornalisti) senza sentirne abbastanza la responsabilità, e con frequenti ingenuità e ignoranze su cosa sia il lavoro dei giornali. Invece di opporsi risentiti a una cosa che ormai è successa, gli stessi giornali farebbero un lavoro proficuo a condividere di più quello che serve sapere di come funziona il loro lavoro: siamo tutti sulla stessa enorme barca.
Fine di questo prologo.
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