domenica 9 Aprile 2023
Due storie molto lontane permettono di notare quanto le discussioni sull’informazione siano spesso dirottate da posizioni pregiudiziali e partigiane, a danno di analisi più esperte e importanti. La prima storia è quella di Twitter che – obbedendo secondo alcuni a un’insofferenza del suo proprietario Elon Musk – ha deciso di etichettare come “testata affiliata allo Stato” la radio pubblica statunitense NPR, come finora aveva fatto con altri mezzi di informazione su cui Twitter suggerisce di avere dei pregiudizi perché non indipendenti da regimi non democratici (per esempio Russia Today in Russia). Ma anche trascurando la differenza tra una testata pubblica autorevole in un paese democratico e una fonte di propaganda di una dittatura (nessuno degli account RAI , come quello del Tg1, è etichettato in questo modo; né quelli di BBC , né quelli di altri media americani che ricevono sovvenzioni pubbliche), il fatto è che NPR non ha nessuna relazione editoriale con le istituzioni dello Stato americano: anche prendendo in considerazione i suoi critici che la accusano di partigianeria politica, non si tratterebbe di un’affiliazione allo Stato, ma casomai a un partito o a una posizione politica. L’assurdità della scelta di Musk – che molti hanno legato ai suoi risentimenti per come la sua gestione di Twitter è stata raccontata, ma su cui lui stesso sembra avere le idee poco chiare – e di chi la sostiene si spiega solo con la faziosità capricciosa di ogni dibattito: chi si è rallegrato di questa lettera scarlatta su NPR avrebbe probabilmente protestato se un analogo trattamento fosse stato destinato a Fox News o a una testata più di destra.
La seconda storia è la notizia che il senatore Matteo Renzi dirigerà un quotidiano di proprietà privata che ha una diffusione così limitata da non essere neanche certificata e che realisticamente non supera il paio di migliaia di copie: venendo quindi letto da meno persone di tanti account di Twitter personali (Renzi raggiunge molte più persone col suo di quanto possa fare il Riformista), e circa un ventesimo dei destinatari di questa newsletter, per fare due esempi (nessuna di queste considerazioni ha a che fare con un giudizio sulla qualità del giornale, sia chiaro). Che “un politico diriga un quotidiano” è quindi un problema del tutto sproporzionato e che si è posto soltanto per via della capacità divisiva ed eccitante tuttora mantenuta da Renzi, malgrado il suo stesso scarsissimo rilievo politico in questo momento. Nel frattempo, per chi temesse davvero eccessive relazioni dei quotidiani con la politica, due dei maggiori quotidiani nazionali italiani sono persino posseduti da un deputato della maggioranza (uno dei due è diretto da un ex senatore), per non parlare delle televisioni. Anche in questo caso le polemiche hanno ignorato queste valutazioni di fatto ma sono state animate dalle rispettive simpatie e antipatie, con perdita della misura e rimozione delle priorità. Prendete uno qualunque dei molti temi rilevanti sull’attualità dell’informazione, e dei rischi relativi, di cui via via leggete su Charlie, e valutate quanti abbiano avuto più spazi e preoccupazioni nel dibattito pubblico rispetto a “Matteo Renzi dirigerà il Riformista “.
Fine di questo prologo.
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