domenica 15 Gennaio 2023
Il ruolo di “watchdog” dei poteri, come lo chiamano gli americani, attribuito al giornalismo è un terreno di discussione complicato e con molte sfumature, e invece spesso è affidato a semplificazioni e slogan retorici: come confermano le espressioni ancora più teatrali usate in Italia, “sentinella della democrazia”, “cane da guardia del potere”, eccetera. Spostare il messaggio sulla buona informazione da “fattore fondamentale del buon funzionamento delle democrazie” a formule come queste che presuppongono priorità repressive o aggressive, che trasmettono come obiettivo principale l’individuazione del male e la sua persecuzione, sono approcci sicuramente molto attuali e purtroppo tipici di diversi ambiti, ma poco costruttivi: come qualunque strategia che privilegi la repressione rispetto all’educazione. Il giornalismo è soprattutto educazione, per definizione.
Ma la repressione, piano B dell’educazione, ha purtroppo sempre le sue necessità, benché subordinate: e anche sorvegliare i poteri – compreso il proprio, che spesso viene dimenticato – è in effetti un utile ruolo del giornalismo. Ruolo che però non è indebolito solo dalle pretese viltà che spesso vengono attribuite ai giornali, ma anche dalle stesse sfiducia e aggressività nei loro confronti: ci sono estese e fondate critiche puntuali e quotidiane da fare a quello che pubblica e diffonde l’informazione italiana, potenzialmente utili, ma svalutare genericamente l’informazione e il giornalismo, come fanno in molti spesso con superficiale ingenuità o strumentale interesse, significa contribuire a rendere insignificante quel ruolo e i suoi risultati quando arrivano.
La cosa che colpisce del giornalismo d’inchiesta italiano non è l’assenza di svelamenti di pratiche deplorevoli e pericolose, ma quanto questi svelamenti non abbiano conseguenze costruttive, non portino cambiamenti in quelle pratiche: tutto passa, tutto è accettabile, anche quando sta davanti agli occhi, tutto è partigiano. Manca autorevolezza, certo, ma anche disponibilità a riconoscerla quando c’è: non c’entrano solo i giornali, in questo.
Fine di questo prologo.
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