domenica 30 Aprile 2023
Difficile che sia un’inversione di tendenza, ma le sue ragioni sono interessanti: la nuova CEO di Time Jessica Sibley ha detto in un’intervista al sito di news americano Axios (tradotta sabato da Repubblica) che Time rimuoverà il proprio paywall e renderà accessibili a tutti i propri contenuti online. È un’anomalia, dopo quasi una decina d’anni in cui praticamente tutti i principali giornali online hanno spostato le loro attenzioni – alcuni con successo, altri sperando di ottenerlo – sugli abbonamenti e sui contenuti a pagamento: e quella è tuttora la direzione promettente per quasi tutti, lontana da eventuali delusioni o ripensamenti. Ma Time – che da tempo non è più la testata del magazine più autorevole e ammirato del mondo e che da tre anni esce di carta ogni due settimane – ha deciso diversamente sulla base di due considerazioni collegate, e la seconda è la più interessante: la prima è di avere probabilmente più opportunità degli altri di raccolta pubblicitaria e di partnership – il brand resta forte e si è molto spostato sulle produzioni video e sugli eventi sponsorizzati – se può garantire agli inserzionisti di raggiungere un pubblico maggiore, cosa che il paywall impedisce. La seconda è che il paywall limita appunto molto la diffusione e la visibilità di una testata non più sostenuta dal successo del settimanale, e quindi anche il ricambio dei propri lettori e la presenza nella condivisione e nella discussione online. E questo è un limite che i paywall stanno mostrando ai giornali che lo hanno adottato e il cui brand non è consolidato o forte abbastanza da attrarre nuovi abbonati da solo o con la quantità dei propri contenuti. Un piccolo esempio da noi è quello del giovane quotidiano Domani, che fatica a farsi conoscere maggiormente in rete da nuovi potenziali abbonati perché tutti i suoi contenuti sono a pagamento solo per abbonati, in un circolo vizioso che si può interrompere solo con una presenza sui social network più vivace e arricchita da contenuti accessibili. Ma la questione vale per molte testate, i cui articoli spesso più capaci di circolare e dare qualità al sito non sono leggibili per la gran parte degli utenti online che quindi non vengono in contatto con quella qualità e non si convincono a pagare (da qui gli abbonamenti superscontati o i periodi di prova): mentre restano gratuiti quelli magari più facilmente “virali” che però raramente costituiscono una motivazione all’abbonamento. Time – ” the pre-eminent newsweekly when newsweeklies were still a thing” – ha pensato a un “rollback”: tornare a esserci nel mondo online, e quindi nel mondo, per ricominciare ad attrarre inserzionisti e magari lettori paganti. A costo di sacrificare gli ambìti ricavi degli abbonamenti, grazie alla disponibilità economica della sua più recente proprietà. Non se lo possono permettere tutti, ma la questione di allargare il proprio spazio di visibilità online c’è per tutti.
Fine di questo prologo.
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