domenica 17 Dicembre 2023
Chiedendo maggiori sovvenzioni per i giornali, la Federazione degli editori ha di nuovo parlato questa settimana di “rischi per il pluralismo” se queste sovvenzioni venissero invece ridotte. Il “pluralismo”, se ci pensate, è una parola che esiste nell’uso solo in questo contesto, e solo per suggerire che sia minacciato. Quello che in realtà gli editori di giornali chiedono di difendere – come è legittimo e comprensibile – sono le loro attività imprenditoriali dalle rispettive difficoltà economiche, evidenti e protagoniste di molta parte di questa newsletter. La “difesa del pluralismo” è la difesa del numero di testate pubblicate, ed è un modo per tradurre in criteri quantitativi quello che invece è un interesse pubblico qualitativo: una comunità e una democrazia bene informate. Interesse che non passa dal numero di giornali ma dalla affidabilità e accuratezza del loro lavoro: in Italia il pluralismo è infatti piuttosto presente, pur con una notevole prevalenza – tra i dieci-venti maggiori quotidiani – delle testate di orientamento politico conservatore o di destra. Ma non è ad attenuare questo squilibrio che si riferiscono le richieste degli editori: le sovvenzioni statali sono dirette soprattutto alle testate esistenti, e per esempio non stanno impedendo la creazione di un’aggregazione inedita e omogenea di quotidiani filogovernativi: alcuni dei quali invece ricevono proprio cospicue sovvenzioni di stato, a dimostrazione del fatto che i contributi pubblici non favoriscono il pluralismo, ma il suo contrario. Ma è solo un esempio, appunto, del fatto che il “pluralismo” è un alibi propagandistico per la richiesta di soldi raramente destinati a ripensamenti su quello di cui ha bisogno la democrazia italiana: buon giornalismo e innovazione, più che tanti giornali da salvare.
Fine di questo prologo.
(Charlie si prende qualche domenica di vacanza: tornerà il 14 gennaio, e buone feste)
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