domenica 24 Settembre 2023
Il Reuters Institute for the Study of Journalism, una delle istituzioni più attive nell’analisi dei cambiamenti dell’informazione, ha fatto circolare in molte redazioni delle domande per un’indagine annuale che quest’anno è molto dedicata a due questioni: come una maggior flessibilità nel lavoro in presenza stia cambiando le redazioni, e come le redazioni si pongano rispetto alla creazione di maggiori “diversità” al loro interno. Dove con diversità si intende la “diversity” protagonista di un dibattito molto americano sulla scarsa rappresentanza di “minoranze” di varia natura nel giornalismo: si parla di etnie, ma anche di disabilità, e di genere.
Lette dall’Italia, le domande del Reuters Institute spiazzano un po’: pongono questioni lontanissime dall’agenda e dai pensieri, qui. Con l’eccezione di quella sul ruolo delle donne – che Charlie ha citato spesso – quelle relative alle minoranze non bianche e non di origini europee pongono una questione più grande, che è la presenza di quelle minoranze nella cultura e nel dibattito italiani. Detto che parliamo di comunità tuttora molto più piccole di quelle americana o inglese o francese o persino tedesca, quelle comunità esistono e crescono ma è tutto il sistema culturale italiano che non le contempla (se non nella loro forma transitoria e grossolana di “migranti”): e su questo andrebbero fatte riflessioni che possono precedere la questione della “diversità” nelle redazioni, oppure esserne incentivate. E persino sulle disabilità (o sulle altre identità di genere) la scarsa attenzione alla loro rappresentazione sui media deriva sicuramente da una scarsa integrazione in tutte le opportunità della vita comune e civile, e da un limite più grande di questo paese: ma che è difficile affrontare senza appunto coinvolgere le persone più competenti, anche nei giornali.
Il percorso delle “quote” è sempre complicato, e ha i suoi limiti e i suoi buoni argomenti da valutare di volta in volta: ma intanto cominciare anche solo a pensarci senza cadere dalle nuvole, a queste cose, sarebbe già un progresso.
Fine di questo prologo.
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