domenica 12 Maggio 2024
Il “dannato futuro dei giornali” è una questione di soldi, come questa newsletter e le sue notizie suggeriscono ogni settimana: e questo influisce sullo stesso lavoro giornalistico. Che i primi – i soldi – siano fattore del secondo, piuttosto che viceversa, è la condizione prevalente oggi. Ma prevalente non vuol dire unica. Accanto ai fenomeni, alle tendenze e ai dibattiti che riguardano le sostenibilità economiche dei giornali, è utile anche ricordare quello che è il dibattito più importante a proposito del ruolo del giornalismo, sullo sfondo: che si può sintetizzare nell’alternativa se il giornalismo debba darsi come obiettivo diretto la difesa della democrazia e della civiltà come la consideriamo, o se al perseguimento di questo obiettivo debba partecipare svolgendo al meglio il suo lavoro di informazione e trasmissione della conoscenza. Per come si sta manifestando in questi anni di difficoltà delle democrazie e di attacchi ai diritti e alla convivenza, è ancora una volta lo storico dibattito sull’emergenza, sul fine che giustifica i mezzi, sulla necessità di “schierarsi”: dove queste necessità sono invece criticate come pericolose da chi pensa che gli stessi obiettivi si possano raggiungere creando tra le persone consapevolezza e conoscenza della realtà e ricostruendo relazioni di fiducia e condivisione con i mezzi di informazione.
Non c’è situazione più esemplare di questo confronto che quella del New York Times, dove le posizioni di impegno e attivismo hanno agitato il giornale e la redazione negli anni passati e dove da quasi due anni il nuovo direttore Joe Kahn sta invece conducendo una “restaurazione” verso un’idea del ruolo del giornale dedicata a informare e non a prendere parte. “Altrimenti diventiamo propaganda e non siamo più credibili”, è l’obiezione che Kahn fa a chi rimprovera il New York Times di non sostenere abbastanza la rielezione di Joe Biden. Kahn pensa che la democrazia si protegga rispettando le scelte degli elettori qualsiasi siano e facendo in modo che quelle scelte siano bene informate: forse con troppo rigore terzo nel voler trascurare un’evidenza piuttosto eccezionale, in questi anni, da cui è opportuno trarre comunque indicazioni su quali siano le carenze di informazione degli elettori, e compensarle. Ma la discussione – anche perché è appunto una discussione eterna e che non riguarda solo il giornalismo – è preziosa, e l’intervista che Kahn ha dato a Semafor (sempre Ben Smith, sì) assai interessante.
Fine di questo prologo.
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