domenica 2 Ottobre 2022

Charlie, il buon giornalismo e basta

Adesso che sono più di due anni che questa newsletter cerca di raccontare a chi i giornali li legge quanto sia importante non darli per scontati, non considerarli un servizio pubblico gratuito, e tenere in considerazione quanto le inevitabili necessità economiche di aziende commerciali private influiscano sulla nostra conoscenza della realtà, adesso possiamo permetterci una pausa e un’eccezione rispetto a queste priorità. E ricordare che – quando invece sia in grado di sostenersi economicamente – il giornalismo ha anche delle motivazioni che dai ricavi economici dovrebbero e potrebbero emanciparsi del tutto. Dentro a un giornale pensare a fare ottimi contenuti di informazione senza preoccuparsi della resa – in termini di clic, di copie vendute, di abbonamenti, di complimenti, di visibilità personale, di posizionamento del giornale – è stata per alcuni decenni una condizione realizzabile, almeno in teoria e spesso nella pratica: si poteva, volendo. Quando le economie delle aziende giornalistiche erano floride, come ricaduta diretta e indiretta del prodotto giornalistico, i giornalisti e i direttori potevano decidere che un articolo – anche costoso, anche meno superficialmente attraente per i lettori – si facesse senza pensare “ai numeri”, ma solo perché sarebbe stato un buon servizio pubblico: mica avveniva sempre, anzi, ci mancherebbe. Ma poteva avvenire, e avveniva.
Oggi cominciano a esserci nel mondo fortunati e lungimiranti progetti giornalistici – grandi e secolari o piccoli e nuovi – che hanno ritrovato sostenibilità economiche dopo essere passati attraverso ristrettezze, rischi, tagli, osservazioni quotidiane e preoccupate dei numeri e parsimonia sugli spiccioli. Per quei giornali è un buon momento per provare a riemergere da quell’ordine di idee – riemergere un po’, con prudenza – e pubblicare belle storie e reportage solo perché il giornalismo è quella cosa lì e i suoi profitti servono a fare quella cosa lì.

Fine di questo prologo.

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