domenica 10 Novembre 2024

Charlie, fine del quarto potere

Tra le tante cose che l’elezione di Donald Trump ha dimostrato e sancito, e che impongono grosse revisioni delle letture della realtà prevalenti finora, una riguarda anche “il potere del giornalismo”: formula che con diverse declinazioni, come spieghiamo sotto, tanti giornali esibiscono per ottenere sostegno dai propri lettori e per indicare un proprio ruolo di strumento essenziale per limitare quelle che a loro dire sono le peggiori derive politiche e sociali di questi anni.
Il fatto è che quel potere sembra non esistere più: se quasi tutti i più autorevoli e diffusi quotidiani e periodici americani hanno fatto opposizione a Trump in questi anni (di quattro quotidiani nazionali: due sono contro Trump, uno critico su Trump, uno neutrale; le maggiori riviste praticamente tutte contro), e Trump ha vinto le elezioni senza imbrogli, quel potere si sta evidentemente perdendo. La formazione e l’informazione delle persone si fa attraverso altri canali, soprattutto i social network e – ancora – la televisione. Che sono canali dove i contenuti giornalistici di quelle testate non funzionano, e lo dimostrano le stesse testate, che in televisione e sui social network rinunciano spesso a portare l’informazione di qualità che li rappresenta, e sono costretti ad adeguarsi alla domanda (in Italia, questo vale anche per i siti web dei giornali maggiori, tuttora assai più accondiscendenti nei confronti delle più pedestri richieste del mercato, ovvero noialtri lettori).
Ha scritto nella sua newsletter Matt Pearce, già al 
Los Angeles Times e oggi a capo di un importante sindacato di giornalisti: «Il New York Times ha probabilmente sia più lettori, che più giornalisti, che meno rilevanza che mai rispetto a informare gli elettori su quale candidato presidente scegliere. Solo una minoranza davvero piccola di elettori si imbatterà mai nei contenuti scritti accuratamente e prodotti da molti giornalisti professionisti in qualunque redazione».

Insomma, ci vuole ben altro che “sostenere l’informazione di qualità” per tornare a far funzionare la democrazia come strumento di convivenza e senso del bene comune: il che non significa che “sostenere l’informazione di qualità” (imparando a distinguere la qualità, che è un altro impegno del giornalismo) non sia una pratica minoritaria necessaria per costruire auspicabili futuri più promettenti. Ma senza la collaborazione di altri poteri – i governi non ancora plagiati dal populismo, la scuola, le persone di buona volontà in ruoli di potere, le stesse imprese private, e modi nuovi di affrontare un contesto del tutto trasformato – non saranno i giornali ben fatti e ben sostenuti a far vincere i progetti progressisti. Come si vede.

Fine di questo prologo.

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