domenica 30 Giugno 2024
C’è stata durante la settimana una polemica politica intorno a una serie di reportage del sito di news Fanpage che mostrano atteggiamenti razzisti e antisemiti all’interno di movimenti vicini al partito di maggioranza italiano, Fratelli d’Italia. Diversi membri del partito, compresa la presidente del Consiglio, piuttosto che affrontare il merito della questione, hanno contestato la legalità del metodo giornalistico di Fanpage, che ha ottenuto registrazioni video di nascosto e senza rivelare che i loro autori fossero giornalisti. Questo ha generato ulteriori polemiche, a base di formule astratte e partigiane, da “regime” a “intimidazione alla stampa”, eccetera, così rituali e svuotate di significato da rendere impossibile una discussione.
Buona idea è stata quindi quella del Corriere della Sera di intervistare sabato il consigliere giuridico della presidente del Consiglio per chiedergli il fondamento delle accuse di illegalità contro il lavoro giornalistico di Fanpage .
E gli argomenti dell’intervistato si sono rivelati quindi fumosi e fragili, ricchi di paragoni suggestivi e improbabili, alieni alla comprensione di cosa siano l’informazione e il giornalismo, oppure frutto di acrobatici tentativi di gettare la palla in tribuna: «la libertà di esprimere le proprie opinioni e le proprie idee politiche in segretezza è tutelata», dice per esempio, rendendo così illegale una enorme quota della storia del giornalismo mondiale (nonché del lavoro degli storici) fatta di testimonianze e racconti di conversazioni e opinioni espresse non in pubblico. Oppure: «Se [le idee politiche] si traducono in reati ci sono le autorità di pubblica sicurezza e della magistratura. Altrimenti nel nostro Paese è garantito il diritto di parlare liberamente». Formulazione che di fatto legittima il lavoro di Fanpage: se è garantito il diritto di dire qualunque cosa che non si “traduca in reato”, perché dovrebbe essere un problema che lo si sappia? Nessuno ha chiesto arresti per quelle parole. Per non dire della definizione di “idee politiche” attribuita alle battute razziste dei protagonisti dei video.
E ancora: «Su quello [eventuali attività criminali] interviene la magistratura. L’informazione si deve fermare fuori». L’idea che “l’informazione si debba fermare fuori”, più che un attentato alla democrazia e alla libertà di stampa, è un attentato alla logica e all’intelligenza di chi legge l’intervista.
Fine di questo prologo.
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