domenica 24 Novembre 2024
Questa newsletter raccoglie ogni settimana informazioni le più diverse che aiutino a capire attraverso quali percorsi – non sempre orientati solo da priorità giornalistiche – si formi la conoscenza della realtà di tutti, conoscenza nella quale i giornali continuano ad avere un sostanzioso ruolo. E lo fa riservando a questo spazio iniziale un commento o una riflessione in cui ci prendiamo la responsabilità di un giudizio, e non solo di una spiegazione. E oggi lo sfruttiamo per dire due cose complementari. Una è che le difficoltà economiche dei giornali sono un’attenuante da considerare sempre, nei giudizi, e che Charlie cerca sempre di ricordarla: anche le commistioni che citiamo tra lavoro delle redazioni e richieste della pubblicità vanno sì considerate come una cessione di indipendenza da parte delle redazioni e come uno scadimento della qualità dell’informazione che i lettori ricevono, ma per molte testate quello scadimento serve a pagare anche il lavoro di qualità che in altri spazi sono in grado di offrire.
L’altra cosa è ricordare che però in questi anni abbiamo citato due pratiche, che riguardano il sistema dei giornali italiani, che attenuanti non ne hanno: sono indiscutibili violazioni del principio come è scritto e condiviso. Il sistema dei contributi pubblici ai giornali finanzia tuttora testate in nome di intenzioni – dare possibilità a progetti giornalistici con minori risorse, in nome del “pluralismo” – che vengono poi ingannate. Tra i giornali che ricevono quei cospicui contributi ce ne sono diversi per cui il rispetto dei criteri è solo formale e le cui risorse e opportunità economiche sono le stesse – e a volte maggiori – di molte testate che quei contributi non li ricevono. Con rilevante distorsione della concorrenza, permessa da un sistema spartitorio tra i partiti in parlamento, che quasi tutti hanno interessi più o meno limpidi a mantenere il sostegno a un’azienda giornalistica o a un’altra.
L’altra violazione, palese e divenuta la norma nei maggiori quotidiani italiani, è quella della trasparenza della natura dei contenuti pubblicitari, di modo che i lettori possano sapere se quei contenuti – e i loro giudizi, pareri, suggerimenti – derivano da autonome scelte giornalistiche o da una legittima necessità commerciale del giornale. Ci sono codici etici condivisi dall’Ordine dei giornalisti, nientemeno, che lo imporrebbero.
Non si vede in giro nessuno che abbia a cuore né l’uso dei soldi pubblici, né il rispetto della concorrenza, né quello dei lettori e della buona informazione, e ponga – in parlamento o nelle istituzioni giornalistiche – queste due trasgressioni ai principi enunciati. Quindi ciclicamente le ricordiamo qui: chissà che un giorno.
Fine di questo prologo.
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